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IL RAZIONALISMO ITALIANO



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IL RAZIONALISMO ITALIANO


Prima di cominciare a trattare della nascita e dello sviluppo di quella tendenza architettonica italiana che gli stessi protagonisti hanno definito razionalismo, non si può non fare un sia pur breve accenno al ruolo di precursore che ebbe l'architetto com'asco Antonio Sant'Elia, il quale, del resto, è stato in vario modo tenuto a modello anche da alcuni di coloro che hanno operato il rinnovamento dell'architettura in campo europeo, non escluso lo stesso Le Corbusier.

Sant'Elia, aderendo nel 1914 al movimento futurista, che era stato fondato da Filippo Tommaso Marinetti cinque anni prima, diffonde un suo manifesto dell'architettura futurista in cui, proprio nella logica della concezione antipassatista e assolutamente modernista insita nell'idea marinettiana, sosteneva che, per creare l'architettura nuova, bisognava partire da zero, non tenendo in conto minimamente le esperienze dettate dalla tradizione, e più specificamente, i riferimenti formali degli "stili storici".



L'architetto com'asco, che morì giovanissimo in guerra, non ebbe modo di tentare di porre in pratica la teoria presentata nel manifesto, ma produsse, comunque una gran quantità di disegni "teorici", i quali, insieme al proprio manifesto, costituiscono, appunto, i riferimenti in cui non pochi progettisti guardarono in Europa subito dopo la fine del primo conflitto mondiale.

Coloro che, in Italia, dettero vita al movimento chiamato razionalismo avvertirono senza dubbio l'influenza dell'opera santeliana, ma nel clima culturale nuovo in cui essi si trovarono ad operare, quello del ritorno all'ordine che (soprattutto in conseguenza della drammaticità dell'evento bellico) dominò il primo dopoguerra, ritennero di non poter accettare, tuttavia, il carattere iconoclasta e decisamente antitradizionalista che, come si è detto, costituiva uno degli elementi di fondo dell'insegnamento futurista.

Il razionalismo nasce, se vogliamo individuare una data di origine, con la formazione nel 1926, di un nucleo di giovani architetti dell'ambiente milanese che si autodefinisce Gruppo 7.

Coloro che ne facevano parte - Gino Pollini, Luigi ini, Giuseppe Terragni, Guido Frette, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava, Ubaldo Castagnoli, (al quale subentrò, nel 1927, Adalberto Libera) - presentarono il loro programma per mezzo di una serie di quattro articoli, con i quali espressero i concetti che sarebbero stati a lungo alla base della loro attività progettuale e di quella di coloro che ad essi si riferirono.  

In breve si può affermare che il Gruppo 7, dichiarandosi apertamente debitore nei confronti di coloro che, in Europa, hanno iniziato il rinnovamento architettonico, e particolarmente Le Corbusier, tende a collocare la propria idea della progettazione nell'ambito internazionale; ma, ciò facendo, esso - avvertendo decisamente il clima nazionalista del momento - non rinuncia ad individuare alcuni caratteri che, derivando dalla tradizione, vengono proposti come quelli capaci di costituire l'elemento distintivo dell'architettura italiana. Anzi, i componenti del Gruppo 7 dichiarano abbastanza presto che l'Italia dovrà tornare ad assumere il ruolo di protagonista e di paese-guida che, in campo architettonico, gli è stato riconosciuto nei secoli passati.



Tra coloro che avevano dato vita al Gruppo 7 (questa sorta di associazione non ebbe alcun carattere professionale e fu sciolta già intorno al 1930), colui che assunse ben presto la maggiore notorietà fu senza dubbio Giuseppe Terragni.

Terragni esordì con un'opera che suscitò echi assai notevoli ed ampie polemiche. Si tratta del cosiddetto Novocomum, un edificio per appartamenti che egli eresse a Como nel 1928.

Quest'architettura può essere definita la prima che, in Italia, nasce con l'intento di sperimentare in maniera piena il linguaggio nuovo che si sta ormai consolidando in alcuni paesi europei. Se il punto di partenza è senz'altro l'insegnamento lecorbuseriano, non vi è dubbio che nel Novocomum siano rappresentati anche elementi formali che possono essere collocati nell'area dell'espressionismo e in quella del costruttivismo.

In merito a quest'edificio, appare di particolare interesse riferire del commento che ne fece nel 1930 sulla rivista La casa bella, Giuseppe ano, il quale fu senza dubbio un altro dei protagonisti di quel momento di rinnovamento dell'architettura italiana. In un articolo dedicato a quella costruzione di Terragni, Giuseppe ano, tra le altre cose, scrive: "Cammina, cammina, la nuova architettura, partita dai paesi brumosi del Nord, è arrivata anche in Italia. Com'è logico, toccata la frontiera, s'è fermata nella prima città un po' considerevole trovata nei suoi passi, ed eccola a Como, a suscitare uno scandalo che ha messo a soqquadro la pacifica città lacustre".

Infine, afferma che la costruzione terragnesca appare a lui essere considerabile come il primo esempio di architettura razionalista italiana. 

Oltre a Giuseppe Terragni, e a coloro che, con lui, avevano dato vita al Gruppo 7, possiamo, in breve sintesi, citare alcuni architetti che, in vario modo, possono essere collocati nell'area razionalista, o che, comunque, da essa sono stati fortemente influenzati. E ricordiamo senza trascurare del resto lo stesso Giuseppe ano, Giovanni Michelucci, Gaetano Minnucci, Mario Ridolfi e, tra quelli della generazione immediatamente successiva, Gian Luigi Banfi, Lodovico Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, ossia i quattro che operarono fin dall'inizio con la denominazione B.B.P.R.



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