arte |
|
|||||
Caravaggio:Davide e Golia
Vai a: Navigazione, cerca
La crescente fama di Davide porterà Saul alla gelosia e tenterà di eliminarlo con la lancia. Davide fuggirà, conducendo una vita da bandito e chiedendo anche ospitalità agli alleati dei filistei.
Viene infine eletto re di Giuda e, dopo la morte del successore di Saul, anche d'Israele. In questa veste conquistò Gerusalemme, successivamente diede impulso allo sviluppo della città, preparando la costruzione del tempio per l'arca dell'alleanza, e condusse vittoriose e spietate guerre contro le popolazioni nemiche (filistei, ammoniti, moabiti, ecc).
Nell'ultima parte della vita di Davide sono presenti dolorosi episodi a carattere personale. Pur avendo un numeroso harem il re si era invaghito della bella moglie del suo ufficiale Uria l'Ittita, Betsabea. Per non avere intralci penso di eliminare l'avversario mandandolo in guerra al fronte. Il pentimento di Davide per il suo crimine, dopo che il profeta Natan gli rivelò la sua colpa, sarebbe all'origine del Miserere, uno dei più famosi Salmi. Tragica fu anche la fine del liastro Assalonne, ucciso dopo essersi rivoltato contro di lui. Alla morte del re gli successe al trono il lio Salomone, avuto da Betsabea. La memoria liturgica ricorre il 29 dicembre.
DAVID: NELLA SCULTURA.
Donatello
Formatosi nella bottega del Ghiberti in lavori di rifinitura della prima porta del Battistero, Donatello passò nel 1407 alle dipendenze dell'Opera del Duomo e lavorò, a fianco di Nanni di Banco, a una serie di statue che rappresentano altrettanti tentativi di rinnovamento del linguaggio gotico: il David in marmo (1409, Firenze, Bargello), dove l'ondulazione gotica già acquista vigore naturalistico e dove Donatello già pone il problema della forma plastica libera nello spazio, così come l'amico Brunelleschi lo poneva negli studi per la cupola.
In questa statua Donatello sembra partecipare pienamente alla cultura
urativa più avanzata
Per il celebre David in bronzo la datazione è controversa fra chi sostiene
trattarsi di un'opera giovanile risalente al 1438-42 e chi la colloca nel
1452-53. La scultura fu realizzata, forse, per abbellire una fontana della
Villa medicea di Careggi. Il David fu collocato da Cosimo de Medici nel cortile
del suo Palazzo in Via Larga, a Firenze, sopra una colonna di marmo policromo
posta su una base eseguita secondo il Vasari dal giovane Desiderio da
Settignano, allievo di Donatello. Dopo la cacciata dei Medici da Firenze, nel
Pur identificata come David con la testa di Golia, alcuni storici ipotizzano che si possa trattare della ura mitologica di Mercurio vincitore su Argo, a causa di incongruenze iconografiche con l'eroe biblico: il cappello sembra richiamare il pètaso, (cappello del dio ano), la nudità è di ascendenza classica, la mancanza della fionda e la grande testa mozzata sotto il piede sinistro. A causa di questa ambivalenza iconografica molti storici chiamano l'opera David-Mercurio. Quindi potrebbe rappresentare sia l'eroe biblico (simbolo delle virtù civiche e del trionfo della ragione sulla forza bruta e sull'irrazionalità) sia il dio greco (dio dei commerci ma in questo caso inteso come emblema di una conoscenza ermetica, riservata cioè a uno stretto gruppo di persone).
Donatello qui dà un'interpretazione intelletualistica e raffinata della ura umana, la posa ricalca la statuaria prassitelliana, il fregio con putti dell'elmo di Golia deriva forse da un cammeo delle raccolte Medicee.
Il viso di questo David non è solo pensieroso, se lo si guarda attentamente trasmette quella sensazione di superiorità e malizia di un adolescente. Uno sguardo smaliziato che sa della sua impresa mastodontica e ne è orgoglioso. Il corpo giovane del David lo ritrae in tutta la sua perfezione e potenza, la spada inclinata, la testa inclinata e il piede appoggiato danno ulteriore prova della forza di un semidio, la sua bellezza lo rende un dio.
La statua del David fu progettata per poter essere vista da
più punti e si ispira all'arte ellenistica: corpo nudo (non più
rafurato dopo l'età classica), sbandamento dell'asse, daga usata come
terzo punto d'appoggio, piede sulla testa di Golia, corpo morbido e vivace,
come ritratto dal vivo.
Accettando la prima e tradizionale ipotesi, il David di Donatello non è
stato concepito come un eroe forte e sicuro, ma come un adolescente pensoso,
con un viso dall'espressione sfuggente, malinconica, enigmatica, caratteristica
ideale per sottolineare in senso classicista quella tendenza all'individualismo
e nello stesso tempo valorizzare una bellezza ideale, spirituale e fisica.
E' proprio attraverso la postura del corpo e della composizione tutta che
Donatello riesce a materializzare quel senso di instabilità. La gamba
sinistra, arretrata poggia instabilmente sulla testa mozzata di Golia, ma non
sostiene il peso del corpo che invece si regge sulla gamba destra, verticale
rispetto l'asse di costruzione, con l'anca che sottolinea la decisa flessione
del bacino. Anche questa gamba però dà un forte senso di
instabilità con il piede che non trova un appoggio sicuro e sembra
scivolare.
La forte linea diagonale tracciata dalla spada, che trova il suo parallelo nel
braccio sinistro piegato, nella gamba destra arretrata e nella diagonale che
questa traccia con il busto, sembra accentuare quell'instabilità
generale data dall'oscillazione del corpo verso destra come se stesse per
cadere.
Anche la conformazione fisica della ura, una muscolatura lieve, insicura,
adolescenziale, sembra voler insistere, enfatizzandola, su quella sensazione
ambigua, scivolosa, sfuggente, accentuata anche dalla sensualità efebica
del nudo, resa coloristicamente dalla luce che si produce in tenui risalti
sulle forme bronzee, mentre il copricapo inghirlandato dalla forma appuntita
incornicia quel volto dall'espressione malinconica e compiaciuta insieme.
Forse Donatello, nel modellare l'adolescenziale nudo del David, si ispirò
appunto a qualche scultura ellenistica,
mentre il volto presenta una fortissima somiglianza con quello di Antinoo, ritratto dai romani
d'età imperiale, il favorito dell'Imperatore Adriano che fu divinizzato
in seguito la sua ssa.
La vita.
Donatello è il soprannome di Donato di Niccolò di Betto Bardi (Firenze 1386 ca. - 1466 ca.), scultore italiano del primo Rinascimento, ura di fondamentale importanza nella storia dell'arte italiana. Cominciò la sua formazione artistica a diciassette anni nella bottega di Lorenzo Ghiberti, che assistette nella realizzazione della prima porta del Battistero di Firenze. Tra il 1404 e il 1408 si recò più volte a Roma con l'amico Filippo Brunelleschi, per studiare le opere dell'antichità. Dal 1407 iniziò a lavorare per l'Opera del Duomo, compiendo i primi tentativi di superare lo stile gotico: il David in marmo (1409, Museo del Bargello, Firenze), il San Marco e il San Pietro (1411-l2, entrambi per Orsanmichele, Firenze) mostrano chiare tendenze realistiche, pur nell'impostazione classica, e una nuova concezione dello spazio.
Il San Giorgio in marmo (1416, Museo del Bargello, Firenze) testimonia la nuova visione dell'uomo, centro del mondo e della natura, propria della cultura umanistica; il bassorilievo sul basamento della statua rafura La liberazione della principessa dal drago entro uno spazio prospettico rigoroso, impostato su piani digradanti. Il naturalismo e il classicismo dell'arte di Donatello giungono però a maturazione negli anni successivi, in opere quali i Profeti (1423-l425) del campanile del Duomo fiorentino (Museo dell'Opera del Duomo, Firenze): si veda in particolare la ura di Abacuc, soprannominata lo Zuccone.
Nel periodo dal 1425 al 1443 Donatello rimase fedele ai modelli e ai principi della scultura classica. Fino al 1435 tenne bottega insieme con l'architetto e scultore Michelozzo. Realizzò con lui il fonte battesimale del Battistero di Siena (1423-l427): la formella in bronzo con il Banchetto di Erode è uno degli esempi meglio riusciti della sua tecnica dello 'stiacciato', che consiste nella graduazione dei piani prospettici in modo da esaltare le ure in primo piano (un metodo rappresentativo che avrebbe esercitato grande influenza sulla pittura coeva e successiva). Altri frutti della collaborazione fra i due furono il sepolcro dell'antipapa Giovanni XXIII nel Battistero di Firenze (1425-l427) e quello del cardinale Brancacci (1427, Sant'Angelo a Nilo, Napoli), e il monumento a Bartolomeo Aragazzi (1437 ca.) nel Duomo di Montepulciano. Durante il soggiorno a Roma nel 1432-33 Donatello realizzò, probabilmente con Michelozzo, il Tabernacolo del Sacramento nella sacrestia di San Pietro.
Al ritorno a Firenze eseguì in bronzo il David (1430-l435), la sua opera più nota, pietra miliare dell'arte rinascimentale. La scelta del nudo - il primo nella scultura del periodo - e l'uso del bronzo rappresentano chiare riprese dell'arte classica, ma la posa irrequieta e la vivacità dei giochi di luce sulla superficie della statua costituiscono tratti stilistici ed espressivi del tutto originali.
Nel decennio successivo Donatello
creò opere assai diverse tra loro: ricordiamo l'Annunciazione (1435,
Santa Croce, Firenze) e
Nel 1443 Donatello fu
chiamato a Padova per realizzare un monumento al capitano di ventura
Gattamelata (1446-l450, Piazza del Santo), ispirato a quello di Marco Aurelio
nella piazza del Campidoglio a Roma: primo monumento in bronzo dai tempi
dell'antichità, notevole per il realismo e l'espressività del
viso, questa statua equestre è considerata uno dei capolavori dello
scultore. Donatello eseguì anche numerose opere per
Il soggiorno padovano di Donatello impresse una svolta al corso dell'arte nell'Italia settentrionale, diffondendo il nuovo stile rinascimentale delle botteghe fiorentine; in particolar modo, influenzò la pittura di Andrea Mantegna.
Al suo ritorno a Firenze, verso il 1454, Donatello eseguì ancora numerose splendide opere, come i bronzi del San Giovanni per il Duomo e della Giuditta e Oloferne (1455-l460): quest'ultimo gruppo, coronamento per una fontana dei giardini di Palazzo Medici, fu poi spostato davanti al Palazzo Pubblico, perché simboleggiasse le libertà repubblicane. Per il Battistero eseguì una tragica e dolente Maddalena (1454-55) in legno policromo.
Sino alla fine della sua vita, Donatello non smise mai di sperimentare tecniche diverse: dalla scultura a tutto tondo in marmo e in bronzo al bassorilievo; dal calco dal vivo allo stucco a rilievo policromo e alla tecnica di fusione del bronzo in parti separate, per ogni opera ideata cercava sempre il mezzo di espressione più idoneo. Dei suoi molti allievi, il più noto è Desiderio da Settignano.
Verrocchio eseguì la statua per casa Medici probabilmente tra il 1472 e il 1475. E' un periodo di elaborazioni e ripensamenti formali sul corpo meravigliosamente unitario e semplice dell'opera di Donatello. Di nuovo sembrano scindersi il sentimento della realtà e quello della forma, e per l'ossessione di far più vero e più vivo si giunge ad un virtuosismo analitico di rappresentazioni anatomiche, al congelamento delle forme descritte in ogni loro articolazione fisica.
Il restauro.
Ormai, dal restauro del novembre 2003 sul bronzo del David brilla di nuovo l'oro. Forse
più abbondante di come gli storici dell'arte lo avessero immaginato. Uno
speciale laser ha riportato alla luce la sottile foglia d'oro che Andrea del Verrocchio (Firenze, 1435 -
Venezia, 1488) aveva applicato 'a missione' sui calzari, sulle
decorazioni della corazza, sulla capigliatura e perfino sulle pupille, 'a suggerire lo splendore del suo sguardo
vittorioso' (Beatrice Paolozzi). L'effetto è quello di un
giovane esile e biondo con occhi brillanti, una corazza impreziosita da bordi
dorati, vittorioso sul nemico. E forse apparirà inizialmente strana
quest'immagine dorata e un po' leziosa, così diversa dal David che
alcuni anni dopo trionferà nel marmo bianco di Michelangelo: robusto,
concentrato in attesa della battaglia con Golia.
Così lo aveva realizzato tra il 1468 e il '69 il Verrocchio per Piero
de' Medici, padre di Lorenzo il Magnifico e di Giuliano, che nel 1476
vendettero la statua alla Signoria di Firenze, che intendeva esporlo in Palazzo
Vecchio, all'ingresso della Sala dei Gigli, come eroe simbolo della libertas repubblicana.
Il restauro, iniziato nella primavera del 2002 e diretto da Beatrice Paolozzi
Strozzi e Maria Grazia Vaccari, è stato possibile grazie alla messa a
punto di un particolarissimo laser ad opera, tra gli altri, dell'Istituto di
Fisica del CNR di Firenze. Nessuno degli strumenti a disposizione dei
restauratori fino a poco tempo fa avrebbe permesso di salvaguardare la sottile
pellicola d'oro incollata dal Verrocchio sulla superficie del bronzo. Alla
tradizionale tecnica per la doratura (quella ad amalgama di mercurio) egli
aveva preferito quella 'a missione', molto più fragile (di
solito impiegata in pittura), ma che gli permise di ottenere effetti pittorici,
'di colorare il bronzo . e miniare
direttamente con il pennello intinto di colla, i dettagli della sua ura'
(Paolozzi).
La fragilità della doratura rischiava di pregiudicare l'esito del
restauro, perché l'asportazione della patina nera formatasi sulla superficie
del bronzo avrebbe con grande probabilità eliminato anche la rimanente
doratura, compromettendo ulteriormente l'aspetto originale della statua.
D'altra parte, il restauro diventava sempre più urgente, perché le
croste formatesi sul bronzo rischiavano comunque di sbriciolare la sottile
foglia d'oro.
La scienza ha dato una mano a storici dell'arte e
conservatori. Nel corso del restauro sono stati eseguiti esami approfonditi
sulla tecnica costruttiva, che hanno permesso di raggiungere un altro risultato
significativo: la forma originaria del gruppo era diversa da quella in cui lo
vediamo oggi. Il David aveva la testa di Golia poggiata a terra alla sua destra
(non tra i piedi), ma in questa formazione richiedeva un piedistallo molto
largo, inadatto al ristretto spazio nel quale
Adesso il David è stato provvisoriamente rimontato con la testa di Golia
da un lato e così viaggerà in America in due successive mostre
prima ad Atlanta (dal 22 novembre), poi a Washington (dal 13 febbraio) per
tornare al Museo del Bargello (dove è già stato brevemente
esposto) nell'aprile del 2004. Per l'occasione è stato pubblicato un
catalogo (edizione Giunti) che illustra il restauro e cerca di far luce sulla
storia complessa di questo capolavoro.
La vita.
Andrea di Michele di Cione, detto il Verrocchio fu uno scultore, orafo e pittore italiano che lavorò alla corte di Lorenzo de' Medici.
Madonna col Bambino
Alla sua bottega si formarono come allievi Leonardo da Vinci, Perugino, Domenico Ghirlandaio, Francesco Botticini, Francesco di Simone Ferrucci. Rivestì un ruolo importante nella tendenza a misurarsi con diverse tecniche artistiche, manifestatasi nella Firenze di fine Quattrocento, e infatti la sua bottega divenne polivalente, con opere di pittura, scultura, oreficeria e decorazione, così da poter far fronte all'insistente domanda proveniente da tutta l'Italia di prodotti fiorentini. Tecnicamente molto esperto e curato (grazie anche alla sua lunga attività di orafefice), fu consapevole dell'importanza fondamentale e dell'inarrivabilità dell'opera di Piero della Francesca, da cui assimilò l'uso della linea, che in lui diventò marcata e incisiva, indagatrice del dinamismo psicologico dei soggetti (soggetti spesso tipizzati in base alla loro categoria di appartenenza).
Nasce a Firenze tra 1434 ed il 1437 nella parrocchia di Sant'Ambrogio (la sua casa natale si trova oggi tra via dell'Agnolo e via de' Macci). Sua madre Gemma mise al mondo otto li ed Andrea fu il quinto. Il padre, Michele di Cione, fabbricante di piastrelle e successivamente esattore delle tasse. Andrea non si sposò mai e dovette provvedere al sostentamento di alcuni tra i suoi fratelli e sorelle, a causa dei problemi economici della sua famiglia. La sua notorietà crebbe notevolmente quando venne accolto alla corte di Piero e Lorenzo de' Medici, dove rimase fino a pochi anni prima della sua morte, quando si spostò a Venezia, pur mantenendo la sua bottega fiorentina. Il primo documento che lo cita risale al 1452 ed è relativo ad una rissa dove un giovane perse la vita a causa di una sassata di Andrea. Suo fratello Simone fu un monaco di Vallombrosa e divenne abate di San Salvi. Un fratello fu operaio tessile e una sorella sposò un barbiere. Iniziò a lavorare come orafo, nella bottega di Giuliano Verrocchi, dal quale sembra che Andrea abbia in seguito preso il cognome. I suoi primi approcci alla pittura risalirebbero alla metà degli anni 1460 quando lavorò a Prato con Fra Filippo Lippi. Nel 1465 circa lavora al lavabo della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo. Tra il 1465 e il 1467 esegue il monumento funebre di Cosimo de' Medici nella cripta sotto l'altare della stessa chiesa e nel 1472 termina il monumento funebre per Piero e Giovanni de' Medici nella Sagrestia Vecchia. Nel 1466 gli viene commissionato, dall'Arte della Mercanzia, il gruppo bronzeo con l'Incredulità di san Tommaso per una nicchia esterna della chiesa di Orsanmichele, gruppo sarà collocatovi nel 1483. Compose un gruppo di due ure, con il Cristo al centro della nicchia, e il santo sporto fuori dalla nicchia stessa, in modo sia da evitare una rigida veduta frontale sia di aumentare i punti di vista. Facendo ciò il santo diventa il tramite tra lo spazio reale della strada e quello simbolico dell'opera, tanto da creare una specie di identificarsi con lo spettatore.
Del 1468 è il candelabro, ora ad Amsterdam, per il corridoio del municipio di Firenze. La base è formata da tre lati su due è scritto rispettivamente MAGGIO e GIUGNO, sul terzo vi è la data in numeri romani, 1468. Nei primi anni Settanta compie un viaggio a Roma. Intorno al 1474 è chiamato ad eseguire il monumento Forteguerri per il Duomo di Pistoia, che lascerà incompiuto.
Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci: Battesimo di Cristo
Lo stile del Verrocchio in pittura fu affine a quello del
Pollaiolo e del Botticelli, intensamente realistico, con modi ripresi dalla
pittura fiamminga, costruito da una linea nervosa. Tra il 1474 e il 1475
realizza il Battesimo di Cristo, ora agli Uffizi, l'angelo di sinistra e i
fondali paesistici sono opera di Leonardo, in esso la composizione è
strangolare con al vertice la ciotola nella mano di san Giovanni e come base la
linea che collega il piede sinistro del Battista a quello dell'angelo
inginocchiato, in essa è inscritta e funge da centro visivo la ura
del Cristo in piedi che, nella ponderazione del corpo, dando alla scena un
movimento rotatorio accentuato dalla posizione di tre quarti dell'angelo sulla
sinistra, che volge le spalle all'osservatore. Questo è di mano di
Leonardo, diverso per la sua grazia e morbidezza dalle altre ure monumentali
e definite dalla linea incisiva del contorno; allo stesso modo il paesaggio
sullo sfondo aperto su di un'ampia valle percorsa da un fiume, reso con valori
atmosferici che ne hanno ammorbidito e sfumato le forme, si differenzia dalle
rocce rozzamente squadrate. L'unico dipinto, totalmente autografo, giunto ai
giorni nostri di cui è praticamente certa l'attribuzione al Verrocchio
è
A partire dalla seconda metà degli anni 1470 il Verrocchio si dedicò principalmente alla scultura, attenendosi in un primo tempo ai modelli canonici fiorentini, infatti nel David bronzeo del Bargello, su commissione di Lorenzo e Giuliano de' Medici del 1475 circa, riprende lo stesso soggetto di Donatello, ma stilisticamente, vista l'idealizzata e goticizzante bellezza, si rifà al Ghiberti, risolvendo il tema dell'eroe cristiano in un gio cortese. Nel 1478 circa realizza il Putto alato con delfino, originariamente destinato a una fontana per la villa medicea di Careggi, l'acqua usciva dalla bocca del delfino e spruzzata in alto ricadeva sul gruppo, ora è conservato a Palazzo Vecchio, in esso risente del dinamico naturalismo appreso da Desiderio da Settignano, che lo indirizzò verso la trasurare della materia scultorea in morbide forme levigate, il soggetto deriva dall'antico, ma reinterpretato in sorridente un putto danzante, in precario equilibri, con il manto che si incolla alla schiena e il ciuffo, appiccicato alla fronte, bagnati. Dello stesso periodo è il busto della Dama col mazzolino, dove per evitare una rigida visione frontale e per rendere più dinamica la composizione: girò il volto della donna e grazie all'espediente del tagliò del ritratto all'altezza dell'ombelico, poté inserirvi anche le mani. Sempre dello stesso periodo è il rilievo per il monumento funebre di Francesca Tornabuoni per la chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma, ora al Bargello di Firenze).
Nel 1479 comincia a lavorare al modello per il monumento
equestre di Bartolomeo Colleoni, che è la prima statua equestre in
bronzo a ritrarre una delle gambe del cavallo in posizione sollevata. In altre
parole, l'intero peso della statua è sorretto da tre gambe invece che
quattro. La statua è inoltre notevole per l'espressione attentamente
osservata sul volto del Colleoni. Nel 1479
Michelangelo.
Il David di Michelangelo, terminato da Michelangelo Buonarroti nel 1504 (iniziato nel 1501) è largamente considerato un capolavoro della scultura rinascimentale. Insieme al Mosè e alla Pietà è una delle sculture più note di Michelangelo. Alcuni artisti e storici dell'arte si spingono a dire che sia l'oggetto più bello creato dall'umanità.
Il David
ritrae l'eroe biblico nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia. La
statua, di marmo bianco e alta
Il blocco di marmo era stato precedentemente sbozzato da Agostino di Duccio nel 1464 e da Antonio Rossellino nel 1476 ma entrambi gli artisti abbandonarono la scultura giudicando il marmo troppo fragile non potendo sostenere il peso solo sulla zona delle gambe, la cui apertura era stata scavata. In quella fase era già previsto che l'eroe fosse nudo e che la testa di Golia non venisse rappresentata. Il marmo infine presentava una grande quantità di venature dette 'taròli' che Michelangelo provvide a stuccare e ricoprire con malta di calce restituendo alla superficie la levigatezza tipica delle sue sculture giovanili.
A scultura già ultimata il Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini decise di collocarla in Piazza della Signoria trasferendo il valore simbolico del David da un contesto religioso ad uno civile. Il 25 gennaio 1504 una commissione di illustri artisti fiorentini: Andrea della Robbia, Piero di Cosimo, Pietro Vannucci, Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli e Cosimo Rosselli decise di collocarla sul sagrato di Palazzo Vecchio pittosto che nella Loggia dei Lanzi dove avrebbe avuto problemi di visibilità, esponendola però al degrado causato dagli agenti atmosferici.
Il trasporto dell'enorme statua fu terminato dopo quattro giorni di viaggio il 18 maggio del 1504, all'interno di una gabbia lignea che scorreva su delle travi unte di grasso di sévo mentre il marmo era sollevato dal fondo per evitare che le vibrazioni del trasporto lo danneggiassero. Durante il tragitto, in una pausa notturna un gruppo di giovani fedeli alla fazione filo-medicea, estromessa dal potere, aggredì la statua prendendola a sassate, in quanto simbolo riconosciuto del governo repubblicano.
Michelangelo la rifinì sul posto dipingendo in oro il tronco d'albero dietro la gamba destra e aggiungendo delle ghirlande di ottone con foglie in rame dorato che cingevano la testa e la cinghia della fionda. Nel 1512 una saetta colpì il basamento accentuando la fragilità del marmo che presentava delle 'crettature' ovvero dei cedimenti all'altezza delle caviglie.
Nel 1813 il dito medio della mano destra fu ricostruito in seguito ad un danneggiamento. Nel 1843 lo scultore Lorenzo Bartolini direttore delle 'Regie Fabbriche' incaricò Aristodemo Costoli del restauro che fu eseguito con un metodo drastico di pulitura a base di Acido cloridrico che nel corso degli anni si rivelò nefasto in quanto danneggiò in maniera irreparabile la superficie del marmo. Il 29 agosto 1846 il fonditore Clemente Papi fece il calco in gesso che doveva servire come base della futtura gettatura in bronzo della copia che attualmente si trova in Piazzale Michelangelo.
Nel 1872 viste le condizioni precarie di conservazione fu deciso il trasferimento nella Galleria dell'Accademia di Firenze dove si trova tutt'ora in un locale progettato da Emilio de Fabbris, in modo da ricevere la luce dall'alto da un sistema di vetrature.
La copia del David in Piazza della Signoria
Nel 1813 il dito medio della mano destra fu ricostruito in seguito ad un danneggiamento. Nel 1843 lo scultore Lorenzo Bartolini direttore delle 'Regie Fabbriche' incaricò Aristodemo Costoli del restauro che fu eseguito con un metodo drastico di pulitura a base di Acido cloridrico che nel corso degli anni si rivelò nefasto in quanto danneggiò in maniera irreparabile la superficie del marmo. Il 29 agosto 1846 il fonditore Clemente Papi fece il calco in gesso che doveva servire come base della futtura gettatura in bronzo della copia che attualmente si trova in Piazzale Michelangelo.
Nel 1872 viste le condizioni precarie di conservazione fu deciso il trasferimento nella Galleria dell'Accademia di Firenze dove si trova tutt'ora in un locale progettato da Emilio de Fabbris, in modo da ricevere la luce dall'alto da un sistema di vetrature. Questa volta il trasporto fu effettuato tramite un carrello che scorreva su rotaie, il cui modellino è visibile nel museo della Casa Buonarroti mentre in Piazza della Signoria venne collocata una copia nel 1910. Nel 1991 un folle danneggiò la statua con un martello, rompendo l'alluce del piede sinistro prima di venire fermato. Un'altra copia della statua è stata offerta dalla città di Firenze alla città di Gerusalemme nel 2004 per celebrare il 3000 anniversario della conquista della città da parte di David.
La proposta ha scatenato la protesta di alcuni religiosi ortodossi che consideravano il nudo michelangiolesco non degno di un eroe biblico e anzi troppo vicino ad un ideale estetico classicista e dunque ano; alla fine un compromesso è stato raggiunto e un'altra riproduzione totalmente vestita venne donata al posto della precedente.
A partire dal 2003 è stato sottoposto ad un accuratissimo lavaggio e restauro a cura del laboratorio di restauro dell'Opificio delle pietre dure di Firenze (vedi sezione sottostante). Questo lungo lavoro è stato un realizzato per celebrare il cinquecentenario della realizzazione dell'opera nel 2004. Al termine dei lavori sono stati esposti accanto al David opere ed installazioni di artisti contemporanei internazionali (fra i quali Mikis Kounellis), ma l'accostamento non è piaciuto nè alla critica nè al pubblico, che non ha mancato di sottolinearne l'evidente stridore.
Il successo del David di Michelangelo fu immediato, L'umanista Pomponio Gaurico nel suo dialogo 'De Sculptura' del 1504 lo porta come esempio di arte eccelsa, lo stesso fece Benedetto Varchi anni dopo mentre a testimonianza del mito che la statua incarnava nella cultura umanistica rinascimentale valgono le parole di Giorgio Vasari nelle 'Vite de'più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a' nostri giorni' nell'edizione del 1550 'E veramente che questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si fossero.Perché in essa sono contorni di gambe bellissime et appiccicature e sveltezza di fianchi divine, né grazia che tal cosa pareggi, né piedi né mani né testa che a ogni suo membro di bontà, d'artificio e di parità né di disegno s'accordi tanto.E certo chi vede questa non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o negli altri da qual si voglia artefice'
Sin dai tempi della sua prima apparizione la statua del David venne celebrata come l'opera capace di mutare il gusto estetico del suo tempo e di affermarsi quale espressione ideale del rinascimento, tutto questo grazie alla applicazione dello studio anatomico al fine di rendere con forme virili possenti e armoniche l'immagine del nudo eroico, la cui forma era la realizzazione fisica, di un complesso insieme di valori filosofici ed estetici. I Fiorentini si immedesimarono con l'aspetto atletico e fiero del giovane eroe interpretandolo come espressione della forza e della potenza della città stessa nel momento del suo massimo splendore, per i sostenitori della Repubblica divenne il simbolo della vittoria della democrazia sulla tirannide esercitata in precedenza dalla famiglia Medici.
Con il David si rinnova il canone della bellezza maschile rinascimentale, un corpo atletico al culmine della forza giovanile espresso da forme nate da uno studio attento dei particolari anatomici, come la torsione del collo attraversato da una vena e dalla struttura dei tendini, come le vene sulle mani e sui piedi, la tensione muscolare delle gambe; contratta quella di destra su cui si appoggia il peso, distesa quella di sinistra, che si allunga per il movimento, e la perfetta muscolatura del torso. Sono poche le inesattezze come un muscolo sul polso destro inesistente in realtà, che Michelangelo si inventa per dare maggiore forza espressiva al suo movimento, e una riduzione innaturale della spalla dovuta alla mancanza di materiale su cui lavorare.
Il David dell'Accademia è ben diverso da altre interpretazioni che lo avevano preceduto come quello di Donatello dalle forme effemminate, riprese dalla statuaria ellenistica, interpretabili in senso religioso come l'eroe la cui forza viene da Dio, qui invece si trasmette un'idea di forza assolutamente autosufficiente. Allo stesso sistema di valori va associato lo sguardo fiero e concentrato rivolto al nemico, le ciglia aggrottate, le narici dilatate e la leggera smorfia sulle labbra che forse tradiscono un sentimento di disprezzo verso Golia. L'osservatore non capisce bene se David è ritratto nel momento che precede o che segue l'azione. Il Sasso non è rappresentato, così come non è rappresentata la testa del gigante, l'idea che Michelangelo trasmette è quella di una forza che sta per essere scaturita o che si è appena placata, che non è in atto ma che è in potenza, evidenziata dalla sua forma.
Nel David di
Michelangelo sono evidenziate anche le potenzialità espressive del disegno,
che è la base dello studio e della conoscenza della forma maschile,
praticato dal vero spesso studiando dei cadaveri trafugati. In Ossequio al
criterio della visibilità Michelangelo ingrandisce alcune parti, la
testa e le mani, che paiono sproporzionate, anche se dal disegno perfetto;
questo perché il progetto iniziale dell'opera prevedeva una visione dal basso
ad una grande distanza che richiedeva accorgimenti ottici per una migliore resa
espressiva del corpo. Questo effetto parzialmente visibile anche durante la sua
esposizione in Piazza della Signoria si è ulteriormente attenuato in
seguito al suo trasferimento nel museo dove è stato collocato in un
piedistallo più basso di
Il restauro.
L'ultimo intervento di restauro, fonte di polemiche sul tipo di pulizia da effettuare, è del 2003. Sono state utilizzate nella fase di diagnosi dello stato conservativo dell'opera metodi modernissimi, come la scansione al laser dell'intera superficie, al fine di simulare le zone di maggiore esposizione alla pioggia e agli altri agenti atmosferici ed inquinanti. Il David è stato diviso in 68 zone fotografate digitalmente ognuna delle quali è stata analizzata secondo quattro tipologie di problemi conservativi: difetti del marmo, depositi di materiali in superficie, rotture, residui di lavorazioni precedenti.
Per quanto riguarda la natura e la qualità del marmo,
questo è attraversato da una grande quantità di venature e taròli inusuali nei marmi
considerati buoni dagli artisti del XVI secolo, inoltre le zone maggiormente
esposte alla pioggia (spalle, braccio destro, mano e piede sinistro) mostrano
una erosione superficiale maggiore che nelle altre statue simili. Questa
erosione è attribuibile anche in parte ai danni causati dall'incauto
restauro del 1843 del Costoli la cui soluzione a base di acido cloridrico e
l'uso di ferri taglienti per togliere le croste superficiali scavò la
pelle del marmo in alcuni punti di
La statua mostrava ancora residui del calco in gesso, tracce di encausto steso in funzione protettiva nel 1813 , macchie di cera depositata in occasione di cerimonie pubbliche durante i secoli di esposizione, e anche delle macchie brune di ossidi di ferro lasciati durante la costruzione di un gabbiotto protettivo nel 1872. Alcuni particolari del David sono rifacimenti di diverse epoche: parte della fionda e della mano destra sono successivi ai danneggiamenti del 1527, il dito medio della mano destra è del 1813, il mignolo del piede destro è del 1851.
Il lavoro di ripulitura del David è stato effettuato con tecniche molto semplici. I residui di gesso sono stati asportati con impacchi di acqua distillata su polpa di cellulosa e sepiolite con interposizione di carta giapponese. Le macchie di cera sono state asportate con un tampone imbevuto di una essenza di petrolio, mentre l'encausto e stato eliminato meccanicamente con il bisturi e l'ausilio del microscopio. Con lo stesso sistema sono state tolte le stuccature della ricostruzione del braccio sinistro, sostituito da un impasto di calce e marmi polverizzati.
Oltre alla dovuta pulitura i restauratori hanno cercato di
ottenere una maggiore uniformità cromatica e una migliore
leggibilità al capolavoro Michelangiolesco che nel corso dei secoli
aveva subito numerosi 'eventi' disturbanti. Poter contare su
procedure della massima duttilità nell'intervento di pulitura è
sempre prioritario per ritrovare, in un'opera d'arte, l'armonia e la
continuità perdute.
Ogni superficie ha un suo chiaroscuro o modellato che permette di comprendere
dove sono i pieni ed i vuoti, come sono costruiti i volumi e come si articolano
nello spazio. Permette, cioè, di leggere il testo. E proprio come su un
testo scritto le macchie o le abrasioni rendono difficile e nei casi peggiori
impossibile la lettura, così anche nelle opere d'arte visiva le lacune
della materia o la sovrapposizione di materie estranee, confondendo l'occhio e
la mente, ostacolano la formazione di un'immagine continua di ciò che si
osserva.
Nel caso del David, la superficie scolpita presenta dei chiaroscuri dovuti al
modellato, come ad esempio quelli dei riccioli o dei lineamenti del volto;
questi indubbiamente erano fino dall'inizio destinati ad accogliere zone
d'ombra e di luce che, contrapponendosi, creavano l'evidenza dei tratti. Nelle
zone d'ombra era naturale e prevedibile che si depositasse ben presto la
polvere, rimarcando in tal modo i lineamenti; in queste zone una insistenza
nella pulitura avrebbe rischiato di far perdere l'intensità
dell'espressione. Ecco perché il volto è stato pulito solo con un
leggerissimo passaggio del tamponcino di cotone idrofilo, eliminando del tutto
la fase dell'impacco, mentre in altri punti, per ottenere l'effetto desiderato,
è stato sufficiente usare la sola carta giapponese, senza la polpa di
cellulosa e la sepiolite.
Per quanto la prudenza dei procedimenti adottati non abbia modificato
visibilmente l'aspetto generale dell'opera, la superficie appare allo stato
attuale più ordinata e più equilibrata nei rapporti di luci e di
ombre. Questo effetto è molto apprezzabile nella parte anteriore del
torso, che ora è assai più morbido nella sua definizione
anatomica, avendo recuperato quasi un senso di malleabilità carnale
della materia. In particolare lungo il fianco destro, ma anche in altre
numerose zone dove il livello del degrado era minore, la superficie ha
recuperato la luminosità del marmo, prima non apprezzabile per lo spesso
strato di depositi.
In numerose parti si erano formate macchie a gora, come nella roccia di base, o
a strisce verticali, come nella schiena, a causa della caduta o del dilavamento
dell'acqua. In questi casi si è trattato di attenuare l'effetto riga
andando a passare con il tamponcino, dopo il regolare impacco, solo sulle linee
più scure. L'attenuazione della rigatura verticale ha reso più
evidente il modellato delle membra, in massima parte ad andamento orizzontale.
Un effetto simile si è raggiunto anche sul tronco d'albero dietro la
gamba destra, dove la corteccia è resa tramite ripetute linee
orizzontali.
Alcune macchie hanno resistito ai trattamenti di pulitura da noi ritenuti assolutamente sicuri: su quelle, nulla è stato fatto. La loro presenza, del resto, non risulta particolarmente deturpante in una visione d'insieme. Ci si riferisce in particolare alle macchie viola sulla schiena, in basso (probabili tracce di attività metabolica di microrganismi avvenuta nel passato), e quelle brune dislocate in vari punti (probabili inclusioni di ossidi di ferro e residui di ossalati). Ricordiamo infine che lo scopo prioritario di questo intervento, pur senza nulla togliere al recupero estetico, resta quello conservativo. Sotto questo punto di vista il risultato di gran lunga più importante è l'aver ricondotto la presenza di gesso sulla superficie entro limiti che non costituiscono pericolo per il futuro dell'opera, risultato che si è potuto ottenere grazie all'applicazione degli impacchi estrattivi di acqua distillata.
La vita.
Michelangelo Buonarroti nacque a Caprese, nella Val Tiberina, il 6
marzo del 1475.
Appartenente ad una famiglia di piccola nobiltà, Michelangelo ebbe la
possibilità di frequentare la scuola di Domenico Ghirlandaio col quale
però non andò mai d'accordo. L' attività della bottega non
corrispondeva al carattere di Michelangelo che lavorava sempre in solitudine,
è in questo periodo in cui egli studiò la cultura quattrocentesca
fiorentina e in particolare pittori come Filippo Lippi, Gentile da Fabriano,
Verrocchio, Pollaiolo e soprattutto Masaccio. Dopo un solo anno nella bottega
del Ghirlandaio, Michelangelo si allontanò per accedere al giardino di
casa Medici dove era conservata una collezione di oggetti d'arte, numerose
medaglie e camei antichi e dove si riunivano uomini illustri del panorama
italiano della fine del quattrocento, tra i quali Angelo Poliziano, Pico della
Mirandola e Marsilio Ficino. E' proprio in questo ambiente che l'artista matura
la sua idea della bellezza dell'arte: anche per lui come per gli altri artisti
rinascimentali l'arte è imitazione della natura e attraverso lo studio
di essa si arriva alla bellezza, ma a differenza degli altri lui pensa che non
bisogna imitare fedelmente la natura ma trarre da questa le cose migliori in
modo da arrivare ad una bellezza superiore a quella esistente in natura.
Nel 1496 lasciò la città di Firenze e si trasferì
a Roma dove su commissione del cardinale Jean Bilheres realizzò la Pietà. Il gruppo scultoreo
rappresenta
Nel 1501, tornato a Firenze, gli viene commissionata una scultura
rappresentante il David che
doveva essere collocata presso il duomo. Per la sua realizzazione gli venne affidato
un blocco di marmo che era già stato usato da Agostino di Duccio.
L'opera rappresenta David nell'attimo precedente lo scaglio della pietra, sono
evidenti nelle membra, nelle vene a fior di pelle la tensione e la
concentrazione che precedono l'azione. Il David fu collocato davanti il Palazzo
Vecchio, oggi il suo posto è occupato da una copia, mentre l'originale
si trova all'Accademia di Belle Arti.
Sempre a Firenze, per il matrimonio di Agnolo Doni, eseguì una tavola
rappresentante
Nel 1503 Michelangelo si recò nuovamente a Roma dove il Papa Giulio II
della Rovere gli commissionò il suo mausoleo, al quale l'artista
lavorò dal 1503 al 1545.
Nel 1508 inoltre gli furono commissionati gli affreschi per la cappella Sistina
ai quali lavorò fino al 1512.
La decorazione della volta si organizza in finte strutture
architettoniche, nei pennacchi angolari sono rafurati: Giuditta e Oloferne, Davide e Golia, Il serpente di bronzo e
Poco dopo la morte di Giulio II Michelangelo concluse le sculture dello Schiavo ribelle, dello Schiavo Morente e del Mosè di San Pietro in Vincoli.
Il nuovo Papa Leone X inviò Michelangelo a Firenze per completare la
facciata di San Lorenzo e per la costruzione della Sagrestia Nuova, della
Biblioteca e delle Tombe dei Medici, per le quali eseguì le sculture del
Giorno e della Notte.
Nel 1534 si stabilì definitivamente a Roma accettando l'incarico di
dipingere il Giudizio Universale
nella parete di fondo della cappella Sistina.
Dopo la morte di Bramante vari architetti si susseguirono per portare a termine
i progetto per la fabbrica di San Pietro e nel 1547 Paolo III affidò i
lavori a Michelangelo che intervenne nella zona absidale, ma i lavori vennero
conclusi solo dopo la sua morte con la costruzione della cupola che lui aveva
progettato, ma che probabilmente fu modificata.
L'ultima delle sue opere è la Pietà
Rondanini che non riuscì a completare, oggi si trova al Castello
Sforzesco di Milano. Michelangelo Buonarroti morì il 18 febbraio del
Nel giro d'anni delle invenzioni mitologiche e della proficua protezione del cardinal Scipione Borghese il giovane Bernini intagliò questa dinamica ura di giovane guerriero-pastore, e anche in questo personaggio biblico non si discostò per nulla dalla problematica che informava le favole ovidiane. Quasi a sottolineare con più vigore la propria appassionata partecipazione al programmatico rinnovamento delle forme plastiche, in netta polemica con l'eredità rinascimentale, sia michelangiolesca che manieristica, volle dare al volto del giovane eroe le proprie fattezze, in una posa violenta, ma non retorica. La torsione dolorosa dell'eroe, al culmine dell'azione drammatica (quanto diverso dagli efebi di Donatello e del Verrocchio, sereni nella vittoria), segna il nuovo canone della statua barocca, praticamente valido e imitato fino agli anni del Canova.
La più volte ricordata svolta storica
prodotta da Bernini all'interno della tradizione iconografica di questo tema,
nella quale urano celebri capolavori della scultura italiana come il David
bronzeo di Donatello nel Bargello a Firenze, ma prima di tutto il
'gigante' di Michelangelo di Piazza della Signoria, consiste
nell'aver rappresentato nel medium della scultura non una 'statua',
bensì una 'storia'; non David, bensì la lotta di David
contro il gigante Golia, presente benché non visibile. L'opera di Bernini
coglie l'eroe nell'attimo storico che precede immediatamente il culmine e il
punto di svolta della situazione descritta nel racconto biblico, nel momento
estremo della preparazione al lancio decisivo, che farà cadere il
colosso. E' risaputo che già Michelangelo, nel suo 'gigante'
davanti a Palazzo Vecchio a Firenze, aveva integrato nel medíum della statua i
lineamenti di una 'storia'. Essi sono portati a espressione visiva
nel motivo della giovane ura eretta, nella posizione delle braccia e delle
mani che reggono la pietra e la fionda facendo intuire la futura azione come
imminente, ma soprattutto nella testa voltata in senso opposto alle direzioni
assiali del corpo, con la mimica che rivela tensione e attenzione e lo sguardo
penetrante che sembra fissare il nemico invisibile.
In una storia del genere
'statua', la concezione di Bernini potrebbe essere definita in
confronto radicalmente nuova. In estremo contrasto con la convenzione
compositiva della statuaria, che rende riconoscibile il personaggio
rappresentato solo grazie alla sua apparenza fisica e morale, ai suoi attributi
e all'accenno dell'azione, il David di Bernini è una ura estremamente
mossa e attiva, caratterizzata primariamente non attraverso il suo habitus
corporeo e morale o attraverso i suoi attributi bensì attraverso la sua
'storia'. David colto nel compimento di quell'azione che costituisce
la sua natura: nella lotta contro Golia.
Nell'esasperata tensione con il
medium statuario, nella quale possiamo riconoscere ancora una volta il momento
della difficoltà posta dallo scultore a sé stesso e del paragone della
scultura con la pittura e in particolare con la pittura di storia, è
realizzato un modus di rappresentazione per eventi, secondo il modello della
pittura, e rafurato un unico attimo storico. Con l'acutezza concettuale a
lui propria, Bernini ha spinto all'estremo la momentaneítà della
rappresentazione. Tutto è condensato nella frazione di secondo in cui
l'azione del sollevare il braccio per prepararsi al tiro è giunta al suo
culmine e contemporaneamente al suo punto finale, prima di ribaltarsi nel
movimento in avanti del lancio.
Come il gruppo quasi contemporaneo di Apollo e Dafne la ura in
movimento del Davíd, nella sua momentaneità e nel suo carattere
puntuale, incarna in qualche modo la quintessenza della sculturadi Bernini. La
situazione del passaggio repentino fra due movimenti contrapposti, fra il gesto
appena compiuto dello stendere il braccio per prepararsi a colpire e quello
immediatamente prossimo del lanciare, è definita, come sul filo del
rasoio, come priva di movimento. E' il brevissimo momento di sosta al culmine
dell'azione, che è stato qui congelato nella statua. La tecnica
berniniana della rappresentazione in pietra di azione e movimento è
paradossale: la negazione del movimento calcolata sottilmente al fine di
suscitare l'impressione del massimo movimento.
Fokker
seguito da Wittkower, fu il primo a richiamare l'attenzione sul ruolo svolto
dal Polifemo di Annibale
Carracci nella Galleria Farnese nel processo di invenzione e nello sviluppo del
motivo di base della statua in movimento di Bernini. In effetti si può
difficilmente mettere in dubbio che l'esemplare ura di lanciatore di
Annibale Carracci sia stata la fonte diretta di Bernini. Il confronto mostra,
particolare dopo particolare, che lo scultore seguì questo exemplum.
L'Imitatio del modello deve essere stata preceduta da un caratteristico
processo di astrazione tendente a superare l'abisso a prima vista incolmabile
fra il gigante mostruoso del mito antico e il profeta e antenato di Cristo,
David. Le due ure, nonostante tutte le differenze, sono collegate proprio,
assai singolarmente, dal decorum sociale: entrambi sono pastori seminudi,
entrambi portano a tracolla una sacca da pastore; dal decorum dell'azione:
entrambi lanciano una pietra contro il loro avversario; e dal decorum
dell'affetto: entrambe le ure sono personificazioni dell'affetto della collera.
Quello che però faceva
del Polifemo di Carracci l'esempio ideale per Bernini è il suo contenuto
teorico. Il colosso in movimento che lancia una pietra ha un carattere
esemplare in quanto modello della ura di lanciatore in movimento derivata dal
'Trattato' di Leonardo da Vinci. Giovanni Pietro Bellori, le cui
informazioni risalivano direttamente alla cerchia dei Carracci, spiega
dettagliatamente nelle sue vite
che Annibale Carracci con questa ura 'ci lasciò l'essempio del
moto della forza descritto da Leonardo da Vinci e più volte repetito nel
suo trattato della pittura, discorrendo dell'apparecchio della forza che vuol
generare gran percusione: 'Quando l'uomo si dispone alla creazione del
moto con la forza, si piega e si torce quanto può nel moto contrario a
quello dove vuole generare la percussione, e quivi si apparecchia nella forza
che a lui è possibile'. E nel modulo del movimento: 'Se uno
debbe gittar dardi o sassi, avendo volti li piedi all'aspetto, quando si torce
e si piega e si rimuove da quello in contrario sito, dove esso apparecchia la
disposizione della potenza, esso ritorna con velocità e commodità
al sito dove esso lascia uscire il peso dalle mani'. In altre parole: il
Polifemo di Carracci si colloca all'interno della tradizione delle ure in
moto e in azione della pittura italiana poggianti su riflessioni teoriche
influenzate dal trattato di Leonardo.
Dati questi presupposti non
è improbabile che in Bernini la riflessione sul Discobolo di Mirone, la ura esemplare di lanciatore della
scultura antica, sia stata stimolata dal compito diretto di creare un pendant
ideale ad essa nella statua di un David. É addirittura possibile che si sia riflettuto
sulla posizione storica del suo creatore, Mirone. Nello schema di sviluppo
storico-artistíco delineato da Plinio, a Mirone era stato attribuito il ruolo
di rappresentante della modernità e del progresso a superamento di
Policleto. Se da questa opposizione storica fra il più anziano Policleto
e il più moderno Mirone venisse allora ricavata l'opposizione attuale
fra il 'secondo Policleto' Michelangelo e un 'secondo
Mirone' Bernini, è una questione aperta. Una cosa è certa:
la ricchezza, l'ambiguità e la plasmabilità del soggetto David
hanno condotto al suo sfruttamento illimitato nei campi della religione, della
politica, del culto del potere sovrano, della musica, della poesia, del teatro
e dell'educazione.
É altrettanto certo che alla
ura di David abbiano voluto collegarsi le forme precoci della coscienza e
dell'immagine di sé dell'artista e in particolare dello scultore, le forme
precoci del concetto di genio. Caratterizzando eroicamente la propria
attività artistica di scultore al cospetto del colosso, Michelangelo
aveva annotato a fianco di un suo disegno rappresentante David: 'Davide
cholla fromba / e io collarcho / Michelagniolo'. Bernini, che come
Michelangelo si era identificato nel David impegnato nella lotta conferendogli
i propri lineamenti, allude alla stessa metaforica scultorea inerente al tema
di David. Egli lotta con la pietra in mano nel medium della pietra 'con la
pietra nella pietra'. Ma il suo avversario a quanto pare è un
altro: il 'gigante' di Piazza della Signoria a Firenze e il suo
creatore. Non era forse il concetto di una competizione personalizzata con il
gigante storico Michelangelo, che doveva stare alla base della
personalizzazione del David in lotta mediante i lineamenti di Berniní?
Gian Lorenzo Bernini, architetto, scultore, pittore, scenografo e autore di teatro, fu la personalità artistica dominante del barocco italiano. Mise la sua eccezionale abilità tecnica al servizio di una grande fantasia e rinnovò la tipologia del ritratto e del busto marmoreo, della fontana e del monumento funebre.
lio dello scultore manierista Pietro Bernini, Gian Lorenzo fu artista precoce. Dopo le prime prove ancora immature, con i quattro gruppi scolpiti tra il 1619 il 1625 per il cardinale Scipione Borghese (tra i quali lo splendido Apollo e Dafne e il celebre David, Galleria Borghese, Roma), dimostrò di saper fondere in una elaborazione stilisticamente coerente l'arte dei maestri del Cinquecento e la cultura ellenistica. A differenza di quanto accadeva in passato, i suoi gruppi sono concepiti per essere ammirati da un punto di vista preferenziale: Bernini collocò infatti le sue sculture contro apposite pareti e in luoghi scelti personalmente, imponendo allo spettatore la visione che considerava più rappresentativa della sua opera. Ciò non significa tuttavia che non riservasse la massima cura a ogni dettaglio e all'effetto drammatico dell'insieme.
Nello stesso periodo Bernini iniziò a occuparsi anche di progetti architettonici, disegnando la facciata per la chiesa di Santa Bibiana (1624-l626) a Roma e il sontuoso baldacchino di San Pietro (1624-l633), il primo dei molti lavori eseguiti per la basilica pontificia nell'arco di quarant'anni, al servizio di sette pontefici. Su commissione di Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, Bernini realizzò un'imponente struttura in bronzo, retta da colonne tortili impreziosite da incrostazioni dorate, collocata al centro dello spazio coperto dalla cupola di Michelangelo. Le volute a dorso di delfino che raccordano gli angoli del ciborio si dovettero alla collaborazione di Francesco Borromini, che in seguito opererà in aperta competizione con il Bernini. L'artista decorò inoltre i pilastri su cui si imposta la cupola con logge destinate a contenere reliquie, sotto le quali, entro grandi nicchie, previde di sistemare le statue dei quattro personaggi sacri venerati: di queste, solo una fu effettivamente scolpita da Bernini, il san Longino, mentre le altre furono realizzate da François Duquesnoy, Francesco Mochi e Andrea Bolgi. I lavori per Urbano VIII culminarono con l'eccezionale monumento funebre (1628-l647), che si distacca dallo schema architettonico tradizionale per la presenza di sculture a tuttotondo, bronzi e marmi policromi coordinati entro un progetto fortemente unitario.
Risale agli anni del pontificato
di Innocenzo X (1644-l655) la decorazione della Cappella Cornaro in Santa Maria
della Vittoria, a Roma, per la quale Bernini elaborò una composizione
architettonica e scultorea di stupefacente effetto teatrale:
In qualità di architetto
della fabbrica di San Pietro, nel decennio successivo all'ascesa al soglio
pontificio di Alessandro VII Chigi (1655) Bernini completò l'apparato
decorativo della basilica (nelle navate laterali), ideò la straordinaria
scenografia della piazza, con il celebre colonnato, allestì
Bernini fu architetto di molti
edifici civili a Roma, tra i quali Palazzo Ludovisi (ora Palazzo Montecitorio,
iniziato nel 1650), Palazzo Chigi e Palazzo Barberini (già eretto in
gran parte dal Maderno e realizzato con la collaborazione del Borromini), e lasciò
un progetto mai eseguito per il Louvre, che presentò a Luigi XIV nel
1665. Sono opera sua anche le chiese di Castelgandolfo (1658-l661), con pianta
a croce greca, e la chiesa dell'Assunta ad Ariccia (1662-l664), a pianta
circolare. Un altro suo capolavoro di architettura religiosa, Sant'Andrea al
Quirinale (1658-l670), si caratterizza per la pianta ovale con asse maggiore
parallelo all'entrata, coperta da una cupola decorata con stucchi bianchi e
dorati. Non vanno dimenticate infine le spettacolari fontane, tra le quali note
in tutto il mondo sono
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta