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ell'antichità le conoscenze sulla circolazione sanguigna erano assai vaghe: Aristotele credeva che l'aria dei polmoni penetrasse direttamente nelle arterie; Galeno considerava il fegato come il generatore del sangue e situava nel cuore il centro della respirazione. Nel 1553 Miguel Servet distinse il cuore destro dal cuore sinistro e ammise la circolazione polmonare. Due anni dopo Andrea Vesalio dimostrò che questi due cuori non sono comunicanti e distinse le arterie dalle vene; nel 1629 W. Harvey scoprì la circolazione del sangue e ne formulò le leggi principali; nel 1653 T. Bartholin diede la prima descrizione completa dei vasi linfatici. Nel XIX sec. Magendie spiegò la natura e la funzione dei capillari, scoperti da Malpighi, e C. Bernard riconobbe i nervi vasomotori e la loro azione sulla circolazione locale.
Negli animali pluricellulari la circolazione sanguigna, anche nei casi in cui è semplicissima, ha il compito di apportare ai tessuti le sostanze nutritizie e di portarne via i rifiuti metabolici in modo da mantenere pressappoco costante la composizione del mezzo interno in cui vivono tutte le cellule dell'organismo. Quindi lo sviluppo progressivo dell'apparato circolatorio consiste nella differenziazione di organi motori, il o i cuori, aventi il compito di pulsare il liquido nutritizio, o sangue, in un sistema di canali o vasi, costituito da arterie e vene. Negli animali inferiori, anche quando esistono organi pulsanti e un vaso dorsale come negli insetti, la circolazione è lacunare perché il sangue bagna la cavità viscerale e circola in vasi non completamente chiusi. Nei molluschi sono presenti organi analoghi alle arterie e alle vene, ma si verifica ancora la mescolanza del sangue arterioso con quello venoso; ciò avviene anche nei vertebrati inferiori che hanno il cuore con un unico ventricolo. Negli uccelli e nei mammiferi, in cui la separazione del cuore destro (venoso) e del cuore sinistro (arterioso) è completa e il sistema vascolare rigorosamente chiuso, i due tipi di sangue sono nettamente separati.
Circolazione embrionale
Nella vita intrauterina la circolazione dell'embrione passa attraverso due fasi distinte: nella prima, che dura dal 15º al 45º giorno circa, il cuore è semplicemente un tubo contrattile e la circolazione è detta onfalomesenterica; nella seconda, che si protrae sino alla nascita, la circolazione è detta placentare. Il cuore inizialmente è formato da tre cavità: la cavità ventricolare che successivamente formerà i due ventricoli, la cavità atriale da cui deriveranno i due atri che, sino al momento della nascita, comunicano tra loro mediante il forame di Botallo, e il bulbo aortico da cui ha origine l'aorta.
La piccola circolazione o circolazione polmonare non esiste nell'embrione perché il sangue fetale si ossigena per mezzo della placenta; la circolazione del neonato diventa simile a quella dell'adulto soltanto quindici giorni dopo la nascita.
Circolazione sanguigna
L'apparato circolatorio dell'uomo al pari di quello dei vertebrati superiori è costituito da un organo motore centrale, il cuore, e da vasi: arterie, che partono dal cuore, e vene, che vi sfociano. Tra le arterie che portano il sangue ossigenato ai diversi organi e le vene che conducono al cuore il sangue caricatosi del biossido di carbonio e dei rifiuti metabolici, è interposto un sistema di piccoli vasi formati da un solo strato di cellule endoteliali, il sistema capillare, a livello del quale avvengono gli scambi tra il sangue che apporta ossigeno e sostanze nutritizie e la linfa intercellulare che vi rigetta il biossido di carbonio e i rifiuti del metabolismo.
La circolazione sanguigna è continua poiché il ritmo cardiaco, alternato, viene smorzato dall'elasticità delle arterie e si effettua sempre nello stesso senso. Il sangue delle vene proveniente dai diversi organi sbocca, mediante la vena cava, nell'atrio destro da cui passa nel ventricolo destro. Da questo esce mediante le arterie polmonari che lo portano ai polmoni in cui si trasforma in sangue arterioso ed è ricondotto dalle vene polmonari all'atrio sinistro. Questo circuito costituisce la piccola circolazione o circolazione polmonare.
Il sangue dall'atrio sinistro passa nel ventricolo sinistro, ne esce mediante l'aorta, quindi, seguendo le successive ramificazioni dei vasi in arterie, arteriole e capillari, in cui la circolazione si rallenta notevolmente, perviene ai diversi organi. Dai capillari arteriosi il sangue passa nei capillari venosi, quindi nelle vene che lo convogliano verso la vena cava e l'atrio destro ove ricomincia il ciclo (grande circolazione). In questa circolazione è inserito il sistema della vena porta che, mediante la vena suddetta, conduce al fegato il sangue venoso proveniente dai capillari di una parte dell'intestino; nel fegato la vena porta si risolve a sua volta in una rete capillare da cui originano le vene epatiche che sboccano poi nella vena cava inferiore. La circolazione del sangue è relativamente rapida in quanto si valuta che in un'ora il sangue compia più di centoventi volte il giro del corpo. Questa circolazione si compie in primo luogo grazie alla forza contrattile del cuore e secondariamente in virtù dell'elasticità delle arterie che assicura la continuità della circolazione sanguigna anche durante la diastole cardiaca. Le pareti arteriose infatti, distese al momento della sistole, esercitano successivamente sul sangue una pressione di intensità uguale a quella della forza che le aveva distese.
La circolazione venosa è sostenuta fondamentalmente dalla pressione arteriosa residua che si esercita a livello dei capillari (questa pressione, esercitata dietro al sangue venoso, viene detta perciò vis a tergo) e da alcuni fattori secondari: 1. la gravità, per le vene situate superiormente al cuore; 2. le contrazioni muscolari che, esercitando pressioni tangenziali sulle pareti venose, comprimono il sangue e lo forzano a circolare in un unico senso, cioè verso il cuore in quanto nelle vene esistono valvole che impediscono al sangue di refluire; 3. i movimenti respiratori (aspirazioni toraciche, compressione addominale per abbassamento del diaframma) che producono al momento dell'inspirazione una pressione inferiore alla pressione atmosferica nelle vene cave e negli atri.
COS'È LA PRESSIONE ARTERIOSA?
La pressione arteriosa è la forza esercitata dal flusso di sangue contro le pareti delle arterie. Essa oscilla ampiamente, può aumentare durante periodi di eccitazione, nervosismo o esercizio fisico, e può diminuire durante il sonno. Contrariamente a quanto comunemente detto, la pressione è più alta nelle prime ore del mattino (tra le 6:00 e le 10:00), rimane approssimativamente su questi valori durante il giorno per poi ridursi nel corso della sera. Durante una intera giornata, dunque, i valori pressori possono variare di 20 o 30 millimetri di mercurio (mm Hg) nel soggetto normale e anche di più in un soggetto iperteso non adeguatamente curato.
Con un normale manometro munito di un bracciale rivelatore, denominato SMOMANOMETRO (a colonna di mercurio nella foto grande, e completamente automatico con lettore digitale nella foto piccola) e viene espressa in millimetri di mercurio (mm Hg). La pressione arteriosa può essere misurata sia da seduti che da distesi. Se non vi sono motivazioni diverse la pressione arteriosa va effettuata in condizioni basali: seduti o distesi, lontano da esercizi o attività fisiche o da condizioni che possono determinarne un'alterazione (es. stati d'ansia).
Come misurare con un normale smomanometro a bracciale:
Avvolgere il bracciale sulla parte superiore del braccio e fissarlo. Il braccio deve essere scoperto. Attenzione che l'arrotolamento delle maniche dei vestiti, verso l'ascella, non sia troppo stretto e non funzioni da laccio, alterando quindi i valori pressori.
Gonfiare il bracciale lentamente controllando il polso radiale. Quando questo sta sendo gonfiare più lentamente fino alla sua completa ssa; liberare un po' d'aria dal bracciale fino alla risa del polso. Rigonfiare fino alla ssa. Ripetere queste manovre un po' di volte sino a che non si è identificata la soglia pressoria di ssa del polso. Questa è la pressione SISTOLICA. Alternativamente al polso radiale si può seguire l'arresto del flusso di sangue con un fonendoscopio posato sulla piega del gomito, sotto il bracciale.
Con gli smomanometri tradizionali si può effettuare solo disponendo di un fonendoscopio (strumento che consente di rilevare i battiti cardiaci). Con i sistemi elettronici moderni viene rilevata automaticamente. Dapprima si rileva la pressione massima poi si fa defluire lentamente l'aria del bracciale seguendo, con il fonendoscopio, l'evoluzione delle pulsazioni a livello della piega del gomito. Il momento in cui ogni pulsazione se, indica la pressione MINIMA o DIASTOLICA.
SENTIRE IL POLSO
Significa percepire i battiti cardiaci trasmessi in periferia ad un'arteria posta in superficie. Poichè il rilievo più frequente avviene in corrispondenza del polso si dice SENTIRE IL POLSO anche se avviene in altra sede. Esistono perciò più 'polsi': RADIALE, GIUGULARE, DEL BRACCIO, DELLA CAVIGLIA ETC. Conoscere i vari polsi è utile in numerose circostanze d'emergenza.
Polso radiale
Si chiama radiale dal nome dell'osso sottostante. Si percepisce nella faccia interna del POLSO, dal lato del pollice. Per sentire il polso è bene tenere unite le tre dita indice-medio-anulare (non usare il pollice perchè questo dito ha una sua pulsazione che può trarre in inganno). Non premere troppo perchè la pressione esercitata potrebbe far sire le pulsazioni. ATTENZIONE: non percepire il polso in un arto traumatizzato o fasciato da una benda, potrebbe significare l'esistenza di una compressione dell'arteria dovuta al trauma (ad esempio formazione di un ematoma, un osso spostato che poggia sull'arteria, una benda troppo stretta etc). Nel settore sportivo esistono dei sistemi di rilevazione automatica della frequenza cardiaca dotati di memoria, non più grandi di un orologio, detti frequenzimetri.
'Polso' del collo o giugulare
Questa pulsazione è la più semplice da sentire durante la respirazione bocca a bocca; inoltre è l'ultima a sire quando il cuore si sta fermando. Per localizzare il polso giugulare, localizzare la trachea in corrispondenza del pomo di adamo e spostare le dita alla destra o alla sinistra in corrispondenza dell'infossatura tra la trachea ed i muscoli del collo.
'Polso' del braccio
È possibile rilevare il polso sulla superficie interna del braccio tra il gomito e la spalla. Questo rilievo è comodo durante la respirazione bocca a bocca nei bambini.
È percepibile sulla superficie anteriore della caviglia. Rilevare questo polso può essere importante in presenza di traumi al ginocchio ed alla gamba. Una sua assenza potrebbe significare una compressione sull'arteria, causata dal trauma.
In accordo a quanto stabilito dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, la linea di confine tra 'normotensione' ed 'ipertensione' corrisponde a valori di pressione di 140/90 mm Hg. Una persona si può considerare ipertesa quando i suoi valori pressori sono costantemente più alti di tali valori, e il suo rischio di complicanze cardiovascolari aumenta proporzionalmente con l'aumentare della pressione al di sopra di questi livelli. In altre parole, più alta è la pressione, maggiore è il rischio che si corre di un incidente cardiovascolare. In base ai livelli pressori (Tabella 1), l'ipertensione può essere classificata come lieve, se la pressione diastolica è compresa tra 90 e 105 mm Hg e/o la pressione sistolica è compresa tra 140 e 180 mm Hg. Se si riscontrano valori pressori superiori, l'ipertensione è definita moderata-severa.
Con ipertensione sistolica isolata si definisce i soggetti con pressione arteriosa sistolica maggiore o uguale a 140 mm Hg e pressione diastolica minore di 90 mm Hg. Quando la pressione sistolica non supera comunque i 160 mm Hg, i soggetti con ipertensione sistolica isolata vengono definiti ipertesi 'borderline'. L'ipertensione sistolica è particolarmente frequente soprattutto negli anziani, ed è quindi scorretto ritenere che col passare degli anni il corpo umano abbia bisogno di alti valori pressori per assicurare l'arrivo di sangue agli organi vitali. Un settantenne con una pressione di 140/90 mm Hg ha un futuro senz'altro migliore di un coetaneo con 170/90 mm Hg perchè è ormai documentato che a qualsiasi età, più è alta la pressione arteriosa, maggiore è la probabilità di ischemia cardiaca, ictus o insufficienza renale.
In quali ambienti è possibile misurare la pressione
Oltre che presso l'ambulatorio del medico la pressione può essere misurata a casa, direttamente dalla persona o in farmacia. Oggi sono disponibili smomanometri che consentono di rilevare la pressione automaticamente sia utilizzando il sistema tradizionale del bracciale sia sistemi alternativi (esempio dal dito). Il costo contenuto di questi strumenti ne consente l'uso anche a livello domiciliare. Alternativamente la pressione può essere misurata in farmacia con strumenti automatici altamente affidabili (questi strumenti forniscono anche uno scontrino con i dati rilevati).
L'ipertensione arteriosa è una condizione clinica caratterizzata dall'innalzamento stabile dei valori pressori del sangue, con importanti ripercussioni sulla funzione di molti organi (cuore, cervello, reni). La diagnosi precoce ed il successivo trattamento possono evitare le complicanze di questa malattia.
Uno dei problemi connessi con l'ipertensione è che, a differenza di altre malattie, può non causare alcun sintomo. Molte persone possono quindi non rendersi conto di essere ipertese fino a quando non cominciano ad accusare i primi segni di danno cardiaco, cerebrale e renale. Per evitare tutto ciò, è necessario sin da giovani sottoporsi con regolarità alla misurazione della pressione arteriosa. E' infatti sbagliato credere che l'ipertensione sia una malattia propria della terza età. Nella maggioranza dei casi, infatti, l'aumento della pressione arteriosa insorge in persone di età compresa tra i 35 e i 50 anni ed alcuni dei casi più gravi possono addirittura svilupparsi in età inferiori. Il controllo dei valori pressori è un esame semplice, indolore, che non richiede più di 30 secondi. Tali valori possono essere espressi con due numeri, il più alto dei quali rappresenta il valore sistolico (la cosiddetta pressione massima, ovvero quando il cuore si contrae ed espelle il sangue al suo esterno), mentre il più basso è il valore diastolico (o pressione minima, cioè quando il cuore si rilassa tra una contrazione e la successiva). Il metodo ideale per misurare la pressione arteriosa è l'impiego di uno smomanometro a mercurio. Possono essere impiegati in alternativa gli apparecchi semiautomatici o automatici oggi disponibili in commercio per la automisurazione a casa, ma va sottolineato che l'accuratezza e l'affidabilità di questi strumenti andrebbe periodicamente verificata confrontandoli con i tradizionali apparecchi a mercurio. Va infine sottolineato che una misurazione isolata della pressione arteriosa non può assolutamente consentire di diagnosticare o escludere la presenza di ipertensione arteriosa, ma sono bensì indispensabili periodiche misurazioni.
La cosiddetta 'ipertensione da camice bianco' è una condizione nella quale la pressione è elevata in presenza di un medico ma ritorna normale non appena il soggetto si allontana dall'ambiente medico, e ciò viene semplicisticamente imputato alla reazione di allarme che si avrebbe in uno studio medico. In verità, studi recenti mettono in dubbio che l'effetto 'camice bianco' sia un fenomeno davvero innocente. E' stato infatti dimostrato che i soggetti che mostrano una marcata differenza tra le misurazioni della pressione arteriosa eseguite in ambiente medico e quelle domiciliari possono presentare un rischio cardiovascolare leggermente aumentato rispetto ai soggetti costantemente normotesi. Dunque, se da un lato è importante riconoscere correttamente l'ipertensione da camice bianco al fine di evitare un trattamento inutile in molti soggetti, dall'altro appare imprudente ignorare l'effetto camice, soprattutto in quei soggetti che presentano altri fattori di rischio cardiovascolare. In futuro, difatti, la pressione arteriosa può aumentare ulteriormente e il rischio di ischemia cardiaca, ictus e insufficienza renale è comunque aumentato. In queste circostanze, non sussiste l'urgenza del trattamento, ma è sicuramente opportuno sottoporsi a controlli periodici in modo da poter intervenire precocemente qualora la pressione si rilevi costantemente elevata.
Nella grande maggioranza dei casi, circa il 90%, l'ipertensione è definita primitiva o essenziale. Con questi termini si vuole sottolineare che le cause dell'ipertensione sono sconosciute, anche se verosimilmente sono da ricondursi alla predisposizione familiare del soggetto iperteso. In meno del 5% dei casi, invece, i pazienti presentano una patologia trattabile (in genere, una disfunzione ghiandolare o una patologia renale) che è la causa degli aumentati valori pressori. Nei paesi industrializzati il 15-25% della popolazione adulta ha la pressione elevata. Ma questa puo´colpire anche i giovani e i bambini piccoli.
1 fattori genetici e familiari
2 stati di stress
3 fumo di sigaretta
4 eccesso di alcool
5 eccesso di sale nella dieta
6 sovrappeso corporeo
7 scarsa attività fisica
8 diabete
malattie renali
Come i muscoli di una persona si ingrossano dopo un costante esercizio fisico, così anche il muscolo cardiaco si ingrandisce se deve lavorare più del normale per pompare il sangue negli organi vitali del corpo. E questo è esattamente quello che succede al cuore dei soggetti ipertesi non trattati. L'aumentato carico pressorio può essere tollerato per anni, ma alla fine, quando il cuore si ispessisce troppo e si dilata, l'apporto di sangue fornito dalle arterie coronarie, che irrorano il cuore, diviene insufficiente, l'azione cardiaca perde di efficacia, meno sangue viene spinto in avanti verso il resto del corpo, sempre più sangue si accumula nei polmoni e il cuore non riesce a sostenere il circolo. E' questa la situazione che i medici definiscono di scompenso cardiocircolatorio. La pressione può però essere abbassata dilatando le piccole arterie ed al cuore viene così richiesto ad ogni contrazione un minor lavoro. Dopo che i valori pressori si sono normalizzati e si sono mantenuti nella norma per almeno 1-2 anni, ci sono buone possibilità che il cuore ritorni verso le dimensioni originali e infatti lo scompenso cardiaco è una evenienza alquanto rara negli ipertesi che presentano un buon controllo dei livelli di pressione. Se l'ipertensione non è tempestivamente diagnosticata o se non è adeguatamente curata, il flusso di sangue esercita una pressione progressivamente crescente sulle piccole arterie del cervello, dei reni e del resto del corpo e si possono verificare ulteriori danni.
A livello cerebrale con l'aumento della pressione di verifica un danneggiamento delle pareti vasali con successiva formazione di dilatazioni della parete (aneurismi). Questi sono molto piccoli ma, occasionalmente, si rompono improvvisamente causando un infarto emorragico del cervello, responsabile di morte o paralisi di una metà del corpo o della perdita di una funzione (ad esempio, l'uso della parola). In alternativa, l'ictus cerebrale può essere causato dal progressivo restringimento di uno dei vasi cerebrali determinato, o quanto meno favorito, dall'ipertensione.
A livello renale, elevati valori pressori possono causare un danno progressivo, mediante il restringimento e l'ispessimento delle arterie con conseguente riduzione della quantità di liquidi che il rene è in grado di filtrare. Dal momento che la funzione dei reni è quella di eliminare con le urine i prodotti di scarto del nostro organismo, con la riduzione del filtrato renale si assiste ad un accumulo di tali scorie. Il risultato è l'insufficienza renale e l'insorgenza di una malattia chiamata uremia che può richiedere come trattamento la dialisi o il trapianto renale. Si calcola che in circa il 25% dei pazienti in dialisi, l'insufficienza renale sia il risultato di una ipertensione arteriosa mal trattata. Il precoce ed efficace trattamento dell'ipertensione può invece generalmente prevenire queste gravi complicanze. Inoltre, anche dopo che si è già verificato un danno dei vasi renali, l'instaurazione della terapia è in grado di ritardare l'ulteriore scadimento della funzione renale.
Altro aspetto di fondamentale importanza è che se la pressione arteriosa non è controllata, parte del grasso che normalmente circola nel nostro corpo, viene spinto con maggior rapidità nelle pareti delle arterie danneggiate, facilitando la formazione di placche (formate proprio dalla raccolta di materiale grasso). Tale condizione viene chiamata aterosclerosi ed è comunemente considerata come un ispessimento delle arterie. Essa può manifestarsi con diverso grado di severità a carico di tutte le arterie del corpo. Più elevata è la pressione arteriosa e maggiore è il tasso di grassi, soprattutto di colesterolo LDL, più rapido sarà il processo di aterosclerosi.
Se le arterie che riforniscono di sangue il cuore, le arterie coronarie, si restringono per l'accumulo di placche, il flusso ematico per le corrispondenti regioni cardiache si riduce causando un ridotto apporto di ossigeno al muscolo. Quando una di queste arterie si chiude completamente vi è un arresto del flusso di sangue e le parti del cuore rifornite da quella arteria vanno incontro alla morte: è quanto succede durante l'infarto miocardico. Con il progressivo invecchiamento, ogni persona subisce un certo grado di ispessimento delle arterie, anche se la pressione arteriosa è normale. I soggetti con ipertensione non diagnostica o non ben trattata, tuttavia, sviluppano l'aterosclerosi in modo più intenso e precoce e sono quindi ad aumentato rischio di infarto miocardico.
Quando si riscontrano per la prima volta elevati valori pressori, è d'obbligo sottoporsi ad una visita medica, ad un elettrocardiogramma, ad un esame delle urine e a un esame del sangue completo. Questi accertamenti sono volti ad indagare i fattori di rischio, a determinare la natura primitiva o secondaria dell'ipertensione, e a identificare se sono già presenti i segni di danni ai vari organi causati dalla pressione elevata. Anche se indispensabili solo in una parte di casi, è spesso utile per un iperteso sottoporsi a ulteriori esami diagnostici, quali l'ecocardiogramma e il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (Holter pressorio).
Attualmente si sa che l'ipertrofia cardiaca è un segno comune di ipertensione non complicata ed è un importante fattore di rischio indipendente di morte improvvisa e infarto miocardico. Anche se l'elettrocardiogramma è di qualche utilità, la diagnosi di ipertrofia può essere posta con accuratezza solo con l' ecocardiografia, che è in aggiunta in grado di fornire utili indicazioni anche circa il trattamento farmacologico più adatto ad ogni singolo caso. Negli ultimi anni si è sempre più diffuso l'impiego dell' Holter pressorio, metodica che consente la misurazione automatica, in genere ogni 15 minuti di giorno e ogni 20-30 minuti nelle ore notturne, della pressione arteriosa per ben 24 ore. Ciò consente al medico di valutare con precisione il profilo pressorio nelle varie fasi della giornata, di definire l'influenza dell'attività fisica e dello stress emotivo sulla pressione arteriosa, e di esaminare l'efficacia nel tempo di una eventuale terapia antipertensiva.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha di recente riconosciuto che una serie di presidi non farmacologici sono raccomandati nella prevenzione primaria della ipertensione arteriosa e, almeno in una minoranza di casi, possono essere efficaci addirittura per ridurre la pressione nei pazienti con ipertensione arteriosa di lieve entità. Va però detto che le modifiche dello stile di vita sono spesso di difficile applicazione generale, che l'attenersi a queste raccomandazioni viene spesso meno nel tempo, e che manca ancora una netta dimostrazione che gli interventi non farmacologici siano in grado di ridurre l'incidenza di complicanze cardiovascolari causate dall'ipertensione arteriosa. Ciononostante, vale sempre la pena tentare di ridurre la pressione arteriosa modificando lo stile di vita prima di iniziare una terapia farmacologica quanto meno nei pazienti con ipertensione lieve, qualora non siano presenti altri fattori di rischio cardiovascolare e non siano già presenti segni clinici di danno prodotto dall'ipertensione sui vari organi dell'organismo.
Il dimagrire, quando appropriato, è probabilmente il miglior trattamento non farmacologico dell'ipertensione. Infatti, anche piccole riduzioni di peso possono ridurre in alcune persone la pressione arteriosa. Per dimagrire, ovviamente, è necessario assumere meno calorie di quante se ne consumano, quindi o si riduce la quantità di cibo assunto quotidianamente o si aumenta il livello di attività fisica, o tutte e due le cose.
Un occasionale consumo di alcool non è dannoso per i soggetti ipertesi. Bisogna però ricordare, soprattutto per le persone in sovrappeso, che l'alcool è una sostanza ricca di calorie, per cui si raccomanda attualmente di limitarne il consumo a non più di 20-30 grammi di etanolo al giorno.
Qualsiasi esercizio fisico è indicato specie se praticato per almeno 30-40 minuti 3 o 4 volte la settimana. In base alle preferenze personali si può fare una corsa leggera, lunghe passeggiate, nuotare, andare in bicicletta o in cyclette. L'importante è non impegnarsi in modo competitivo, atteggiamento che può rivelarsi pericolo perchè si associa in genere, anche nei soggetti normali, a bruschi e consistenti aumenti dei valori pressori. Gli esercizi dinamici (aerobici) sono più indicati di quelli isometrici, tipo sollevamento pesi. Questi ultimi, infatti, servono per sviluppare i muscoli, ma non riducono la pressione arteriosa e non fanno quindi vivere più a lungo.
A tal fine è opportuno usare poco o nulla il sale sia nella preparazione dei cibi che a tavola, nonchè evitare i cibi che sono conservati sotto sale o che ne sono comunque ricchi. Tra i cibi che per l'alto contenuto in sale dovrebbero essere evitati dai soggetti ipertesi vi sono le patatine fritte, i crackers, i biscotti, le olive, gli affettati, le salcicce, la carne o il pesce affumicato, le sardine, molti tipi di formaggio, e molti degli alimenti disponibili nei fast-foods.
I FARMACI ANTI-IPERTENSIVI
Numerose classi di farmaci possono essere impiegate per il trattamento di prima scelta dell'ipertensione arteriosa. Allo stato attuale, difatti, non sembra che i benefici della terapia antipertensiva siano attribuibili ad alcuna classe di farmaci in particolare piuttosto che alla riduzione della pressione arteriosa in sè. Generalmente, i farmaci impiegati appartengono ad una delle seguenti classi: diuretici, beta-bloccanti, ACE-inibitori, calcio-antagonisti e alfa-bloccanti. La riduzione media della pressione arteriosa ottenibile con ciascuna delle differenti categorie di farmaci è simile, ma è quasi la regola riscontrare grandi differenze di risposta nel singolo paziente. La scelta di una determinata classe di farmaci antipertensivi piuttosto che un'altra per un paziente è quindi un processo complesso, che richiede la massima collaborazione del soggetto iperteso, il quale deve aiutare il medico a prescrivere il farmaco in grado di assicurare i maggiori benefici al prezzo dei minori effetti collaterali.
I diuretici sono efficaci non solo nel ridurre la pressione arteriosa, ma anche nel ridurre la mortalità generale per cause cardiovascolari, soprattutto nei pazienti anziani. E' proprio in questi soggetti, pertanto, che vanno preferiti, soprattutto quando impiegati insieme ad altri farmaci antipertensivi, di cui potenziano in genere gli effetti.
I farmaci beta-bloccanti sono particolarmente utili nei pazienti ipertesi con angina da sforzo, tachiaritmie o pregresso infarto miocardico. Come regola generale, vanno evitati in pazienti con insufficienza respiratoria, insufficienza cardiaca o arteriopatia periferica. Il loro uso va pure limitato nei pazienti con iperlipidemia o con diabete.
Questi farmaci sono in genere ben tollerati e non influenzano i livelli di colesterolo o di glicemia. Tra i possibili effetti collaterali è da segnalare la tosse stizzosa, che se con la riduzione del dosaggio e solo di rado richiede la sospensione della terapia. Sono particolarmente utili quando sono presenti i segni clinici e strumentali di danno da ipertensione, come l'ipertrofia e la dilatazione cardiaca.
Sono dei potenti vasodilatatori, non alterano i parametri di laboratorio, hanno un buon profilo di sicurezza, ma si associano a fastidiosi, anche se assolutamente non pericolosi, effetti collaterali, quali tachicardia, cefalea, rossore cutaneo e gonfiore delle caviglie e dei piedi.
Riducono la pressione arteriosa grazie alla loro attività vasodilatante, anche se vanno evitati nei soggetti molto anziani che soffrono di cali di pressione improvvisi. Hanno due favorevoli caratteristiche: influenzano positivamente i livelli di grassi e zuccheri nel sangue ed esercitano anche una rilevante attività terapeutica nell'ipertofia prostatica.
Quando la monoterapia con uno dei farmaci delle suddette cinque classi risulta inefficace nel ridurre la pressione arteriosa in un determinato paziente, è ragionevole sostituire il primo farmaco con un altro a dosaggio pieno, oppure prescrivere due farmaci a basse dosi. Ciò permette di utilizzare differenti meccanismi di azione, limitando allo stesso tempo gli eventuali effetti collaterali.
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