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TRAPIANTO - Azione ed effetto del trapiantare

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TRAPIANTO - Azione ed effetto del trapiantare




Medicina

La possibilità di effettuare trapianti tra viventi è limitata, almeno per ora, alla cornea, al rene, al lobo sinistro del fegato, al segmento terminale della coda del pancreas e al midollo osseo. In tutti gli altri casi il prelievo degli organi deve avvenire da un cadavere e nei limiti consentiti dalla legge. L'attuale nomenclatura suddivide i trapianti in autotrapianti, in cui il donatore è anche recettore del tessuto od organo; isotrapianti, trapianti fra individui geneticamente identici (gemelli monocoriali o fratelli o consanguinei); omotrapianti, tra individui della stessa specie ma di diversa costituzione genetica; eterotrapianti (o xenotrapianti), tra individui di specie differenti; allotrapianti, tra l'individuo e tessuti non organici, o meglio artificiali. Tale distinzione è di fondamentale importanza poiché il tessuto trapiantato si comporta in maniera differente nei diversi casi, in quanto il trapianto avvia una reazione biologica di natura immunitaria la cui entità è proporzionale alle differenze genetiche fra i tessuti trapiantati e quelli dell'ospite. L'attecchimento e la sopravvivenza di un trapianto sono normali nel caso degli autotrapianti e in genere anche degli isotrapianti. Viceversa quando ospite e donatore presentano costituzione genetica diversa, il trapianto (omo-, etero- e allotrapianto) può indurre reazioni più o meno violente in proporzione al grado di istoincompatibilità esistente fra i tessuti trapiantati e i tessuti dell'ospite; ovviamente gli allotrapianti e gli eterotrapianti stimolano reazioni di rigetto più rapide e violente degli omotrapianti. La dinamica della reazione di rigetto è stata ricondotta a un processo di natura immunitaria, già noto fin dal 1956. Il tessuto trapiantato agisce quale antigene stimolante la produzione di anticorpi tissutali. Di conseguenza l'esito di un trapianto dipende dal trattamento immunosoppressivo a disposizione. Il donatore ideale è rappresentato ovviamente dal gemello monozigote del recettore, ma dato che tale possibilità può realizzarsi molto raramente si ripiega sul donatore che per qualità antigeniche differisca il minimo possibile dal recettore. La ricerca degli organi viene attuata a livello nazionale e, si spera presto, anche internazionale utilizzando reti informatiche atte a reperire a a distribuire gli organi, che siano geneticamente il più possibile simili, anche se non si esclude mai il trattamento immunosoppressivo. Dopo farmaci di valore ormai storico- didattico, quali azatiopirine, e/o contemporaneamente steroidi, globuline antilinfocitarie e ciclospirina A, è stato introdotto un potente farmaco, l'FK506. Tutti questi immunosoppressori permettono non solo una lunga sopravvivenza, ma anche una buona qualità della vita. Oltre al problema immunologico che rappresenta il fulcro di tutto il discorso sui trapianti, si sono imposte all'attenzione degli operatori due altre questioni non meno importanti: il modo di ottenere trapianti vitali e di conservarli tali nell'intervallo di tempo compreso tra il prelievo e il ristabilimento della circolazione. Tali problemi s'impongono nel caso di trapianti omovitali (in cui le cellule del trapianto devono sopravvivere per assolvere alla loro funzione) mentre non hanno importanza per quelli omostatici (ossa, arterie, cornea per i quali, di solito, ci si avvale di tessuti conservati), in cui le cellule del trapianto debbono servire da struttura di sostegno nella quale possono crescere le cellule dell'ospite.



. Il trapianto di cute, operazione ben nota in chirurgia plastica, viene attuato già da molto tempo al fine di riparare zone distrutte o per ricostruire strutture congenitamente o accidentalmente alterate nella loro fisionomia, oppure per motivi estetici. Gli autotrapianti di cute attecchiscono permanentemente al pari degli isotrapianti. I metodi classici per i trapianti cutanei sono: 1. il metodo di Celso o per scorrimento, in cui si fa scorrere un tratto di pelle adiacente, opportunamente scollato, sulla zona da ricoprire; 2. il metodo indiano o per torsione, consistente nel far ruotare un lembo su un peduncolo, che viene reciso in un secondo tempo; 3. il metodo italiano, divulgato da Tagliacozzi nel XVI sec., con cui si trasferiscono lembi scolpiti sul braccio per riparazioni al viso. Da quest'ultimo metodo è derivato il sistema ora più in uso con innumerevoli varianti, quello del lembo tubulato, ideato da Filatov nel 1916 e sistematizzato da Gillies. Esistono anche particolari tecniche di innesto che per proteggere le zone colpite utilizzano uno strato di derma a base di fibre animali o uno strato siliconico.



Il trapianto di cute

Il trapianto di cute, operazione ben nota in chirurgia plastica, viene attuato già da molto tempo al fine di riparare zone distrutte o per ricostruire strutture congenitamente o accidentalmente alterate nella loro fisionomia. Gli autotrapianti di cute attecchiscono permanentemente al pari degli isotrapianti. I metodi classici per i trapianti cutanei sono: 1. il metodo di Celso o per scorrimento, in cui si fa scorrere un tratto di pelle adiacente, opportunamente scollato, sulla zona da ricoprire; 2. il metodo indiano o per torsione, consistente nel far ruotare un lembo su un peduncolo, che viene reciso in un secondo tempo; 3. il metodo italiano, divulgato da Tagliacozzi nel XVI sec., con cui si trasferiscono lembi scolpiti sul braccio per riparazioni al viso. Da quest'ultimo metodo è derivato il sistema ora più in uso con innumerevoli varianti, quello del lembo tubulato, ideato da Filatov nel 1916 e sistematizzato da Gillies.



Cornea

La cornea, essendo un tessuto non vascolarizzato, può essere trapiantata agevolmente in quanto è tollerata molto bene dall'organismo ricevente. I trapianti limitati alla porzione lamellare superficiale, quando l'opacizzazione interessa solo la porzione corneale anteriore, danno in genere buoni risultati mentre, quando l'opacizzazione colpisce tutta la cornea e occorre eseguire una cheratoplastica perforante, l'esito è più incerto.



Rene

I trapianti di rene, prelevati sia da viventi che da cadaveri e realizzati per la prima volta nel 1902 da Carrel e Ulman che eseguirono separatamente il primo autotrapianto di rene su animale, trovano indicazione nell'uremia terminale e contano una numerosa casistica con molti casi di sopravvivenza. Nel trapianto di rene è concreta e talvolta utilizzata la possibilità di poter ripetere l'intervento più di una volta, o ricorrere alla dialisi in caso di insuccesso, anche se le difficoltà chirurgiche non sono molto elevate.



Fegato

Il trapianto di fegato, dopo le più dure difficoltà iniziali, quando la sopravvivenza non superava l'anno, ora permette una vita più lunga fino e oltre dieci anni in taluni casi. I successi più consistenti sono stati ottenuti in soggetti con cirrosi epatica o epatopatie croniche irreversibili.



Polmone

Le indicazioni al trapianto del polmone sono rappresentate da tutte quelle pneumopatie che conducono all'insufficienza respiratoria. Dal primo trapianto di polmone nell'uomo, effettuato da J. D. Hardyen nel 1963, altri tentativi sono stati effettuati con sopravvivenza ancora limitata. Per quanto riguarda il polmone è bene ricordare che questo è l'organo, dopo la milza, più ricco di antigeni, il che rende estremamente difficile la prevenzione del rigetto. Inoltre questo tipo di trapianto presenta il particolare problema dell'equilibrio fra il polmone trapiantato e quello sano: il polmone trapiantato attira a sé la maggior parte della circolazione polmonare, mentre la corrente dei gas respirati tende a essere deviata verso l'altro polmone.



Pancreas e intestino

Il primo trapianto di pancreas è stato effettuato da R. C. Lillehei nel 1966 e il primo trapianto di intestino nel 1967 dallo stesso chirurgo. I trapianti di pancreas sono stati praticati in diabetici giunti allo stadio terminale dell'insufficienza renale; così alcuni di essi sono stati associati a trapianti di rene. Il trapianto di intestino pone problemi immunologici particolari a causa della ricchezza di tessuto linfoide dell'intestino. La più lunga sopravvivenza è inferiore a un mese.



Cuore

La sostituzione di un cuore malato con uno sano fu realizzata per la prima volta da Christian Barnard il 3 dicembre 1967 al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, in Sud Africa. Il trapianto del cuore è indicato solo nel caso di malattie cardiache che interessano il miocardio in cui rappresenti l'unica possibilità di sopravvivenza. Tali malattie di solito derivano da alterazioni coronariche che distruggono progressivamente il miocardio sino a renderne impossibile la funzione. Il problema del rigetto è verosimilmente meno grave e, entro certi limiti, più facilmente dominabile che nel caso di trapianti di cute o di rene in quanto il cuore possiede un'azione antigenica meno spiccata. La tecnica del trapianto può essere così schematizzata. Assicurata la circolazione del ricevente mediante una macchina cuore-polmone, si procede alla resezione dell'aorta, dell'arteria polmonare e delle vene cave in prossimità del loro sbocco. Vengono staccati i ventricoli e parte degli atri lasciando in situ la parete posteriore dell'atrio destro e la parete posteriore dell'atrio sinistro con gli sbocchi delle vene polmonari. Il cuore del donatore staccato in toto e mantenuto in perfusione coronarica ipotermica viene modellato in modo da poter essere perfettamente adattato e suturato alla parte residua del cuore del ricevente. Ripristinata la circolazione coronarica, qualora non si ristabilisse spontaneamente un ritmo cardiaco normale le contrazioni cardiache debbono essere provocate con stimolazione elettrica. Nonostante l'interruzione di tutte le vie nervose afferenti ed efferenti si stabilisce una sufficiente autoregolazione e si è potuto osservare che talvolta nello spazio di circa due mesi il cuore riprende a rispondere alle stimolazioni del sistema nervoso autonomo. Nonostante l'entusiasmo iniziale il bilancio di tale tipo di trapianto è tuttavia deludente. I segni del rigetto sono rilevabili elettrocardiograficamente, clinicamente, nonché con l'innalzamento del livello di alcuni enzimi nel siero. La relativa scarsità di successo dei risultati ha portato molti chirurghi, specie di scuola francese, a fare alcune riserve circa la validità del metodo, anche se i progressi realizzati dalla tecnica, nonché dalle metodiche nella determinazione dei criteri di compatibilità o meno fra donatore e ricevente e, soprattutto, il perfezionamento dei metodi immunosoppressori permettono di sperare in migliori risultati di questi interventi, attualmente ultima risorsa per alcuni cardiopatici condannati a brevissima scadenza. Molti ricercatori sono orientati all'abbandono del trapianto in favore dell'impianto di un cuore artificiale.




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