chimica |
ALOGENI
Costanti |
Fluoro |
Cloro |
Bromo |
Iodio |
Astato |
N° atomico |
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Massa atomica |
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Stato fisico |
Gas giallo chiaro |
Gas giallo verdastri |
Liquido rosso bruno |
Cristalli grigio scuro |
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°t fusione (°C) |
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-l01 |
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°t ebollizone (°C) |
-l88,1 |
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Gli alogeni appartengono al settimo gruppo del sistema periodico, avendo in comune la conurazione elettronica esterna s2p5. L'elettronegatività è, in generale, alta e quindi hanno una forte tendenza ad acquisire un elettrone per raggiungere l'ottetto; per la loro reattività non si trovano liberi in natura ma sottoforma di composti (tranne l'At, che è un elemento artificiale radioattivo).
Il nome "alogeno" significa "generatore di sale"; infatti questi elementi si combinano coi metalli formando direttamente sali.
Allo stato elementare si presentano sottoforma di molecole biatomiche con atomi uniti da forti legami covalenti.
Sono tutti tossici e reagiscono facilmente con l'H, formando idracidi di formula HX.
Si presenta, in condizioni standard, come un gas giallo pallido. È estremamente tossico ed il non-metallo più reattivo (ha elettronegatività 4): è un ossidante fortissimo e forma fluoruri con quasi tutti gli elementi, tranne che coi gas nobili. Per la sua alta reattività non si trova libero in natura.
Il fluoro deve il suo nome (dal latino fluo = scorro) non tanto alle caratteristiche dell'elemento quanto alle proprietà del suo principale minerale CaF2 (fluorite), che è stato usato nella preparazione del vetro e della ceramica per rendere più fluide le masse fuse. Un altro minerale in cui si trova è la criolite, di formula Na3AlF6.
Alla proprietà scoperta verso la metà del XVI secolo della fluorite di emettere luce se riscaldata venne di conseguenza attribuito il nome di fluorescenza. Se l'esistenza dell'elemento è stata accertata già agli inizi del XIX secolo al punto che il nome fu proposto a H. Davy nel 1812 da A. M. Ampere e Mendeleev introdusse il fluoro nella sua tavola periodica, l'isolamento dell'elemento fu un problema chimico a lungo non risolto. Non solo non esiste una via chimica di ottenimento dell'elemento dai suoi sali ma anche la via elettrolitica era vanificata dall'estrema reattività del fluoro che ne impediva l'isolamento. Il successo arrise a H. Moissan il 26 giugno 1886: il chimico francese elettrolizzò una soluzione di KHF2 raffredata a circa -50° in HF. Il gas che si liberò reagì immediatamente facendo bruciare del silicio cristallino presente.
Uno dei principali usi del F2 è legato alla produzione di UF KHF6 necessario all'industria nucleare così come nella produzione di altri fluoruri di metalli (W, Re) che sfruttano la volatilità di questi composti in processi di purificazione e deposizione da fase gassosa. È poi usato nelle paste dentifricie come fluoruro di sodio (NaF) e di stagno (SnF2).
La vera novità nella chimica del fluoro è legata allo sviluppo nel XX secolo di una serie di composti del carbonio e del fluoro detti clorofluorocarburi (CFC) che hanno trovato impieghi in moltissimi campi, anche se oggi è sottoposto a restrizioni perché si ritiene che sia uno dei responsabili della riduzione dello strato di ozono nell'atmosfera.
Dal 1928 è iniziato lo sviluppo dei Freon (ad esempio CCl2F2) come gas usati negli impianti refrigeranti e come propellente nelle bombolette sprat perché è inodore, non tossico, non infiammabile, seguito dallo sviluppo del Teflon, costituito solo da F e C, sintetizzato nel 1938, che trova largo impiego nell'industria delle materie plastiche.
L'HF viene usato per intaccare silice e silicati, e quindi il vetro.
Fonti
Il metodo originale di Moissan (elettrolisi di una soluzione di KHF2 in HF anidro con elettrodi Pt/Ir) è ancora oggi il metodo industriale di ottenimento del fluoro. Si usano rapporti stechiometrici KHF2/HF diversi in funzione della temperatura di esercizio delle celle elettrolitiche. Il problema fondamentale è legato alla natura corrosiva dell'acido ed al forte potere ossidante del fluoro. È fondamentale impedire il mescolamento di quest'ultimo con l'idrogeno che si può formare, l'assenza di ogni grasso o altro composto che darebbe luogo ad una immediate violenta reazione con
produzione di fiamme.
Si presenta, in condizioni standard, come un gas giallo-verde denso e velenoso. Si scioglie in acqua in piccole quantità. È un forte ossidante e forma cloruri con molti elementi. È l'alogeno più abbondante in natura e il suo composto principale, NaCl, costituisce il 2,7% dell'acqua marina.
NaCl è un composto che fa parte integrante della vita dell'uomo praticamente da sempre: vi sono evidenze archeologiche risalenti a 5000 anni fa che testimoniano l'uso di questo sale da parte dei nostri antenati. La sua importanza nella vita quotidiana è testimoniata da molti esempi come quello relativo all'uso nell'antica Roma (200 a.C.) di are una parte dei servigi dei generali e dei tribuni militari con quantità di sale da cui la parola 'salario' ancora oggi utilizzata.
Il Cl2 venne isolato puro nel 1772 da J. Priestley, raccogliendolo su mercurio, e due anni dopo C. W. Scheele produsse Cl2 gassoso ossidandolo con biossido di manganese. Lo scienziato, seguace della teoria del flogisto [elemento immaginario ritenuto causa della combustione], era convinto di aver isolato un composto a cui dette il nome di "aria deflogisticata dell'acido di mare (o acido muriatico)", confortato dal fatto che il gas per reazione con acqua generava una soluzione di HCl liberando ossigeno, che a quei tempi era considerato una componente essenziale degli acidi. La confutazione di quest'ultima teoria e la demolizione di quella del flogisto portarono nel giro di qualche decennio a chiarire le differenze tra HCl ed il gas isolato da Scheele di cui fu riconosciuta la natura biatomica e nel 1811 H. Davy propose per il nuovo elemento il nome di cloro dal greco chloros = giallastro o verde chiaro. Dalla stessa radice, ad esempio, trae origine anche il nome clorofilla.
Le proprietà sbiancanti del cloro furono scoperte già nel 1774 all'atto del suo isolamento e lo sfruttamento industriale di questa capacità fu iniziata da C. L. Berthollet a partire dal 1785. Anche le proprietà disinfettanti furono scoperte abbastanza presto (1801) e l'uso del cloro come antibatterico si diffuse rapidamente. Queste due applicazioni legate specialmente alla produzione della carta ed alla preparazione delle acque potabili assorbono circa il 20% della produzione annuale del gas. Il 70% della produzione viene invece impiegato nella produzione di composti organici in genere ottenuta con una reazione catalizzata da alogenuri di rame.
Anche la candeggina è formata da cloro e composti, come ipoclorito di sodio (NaClO).
Tra i composti di largo impiego si segnalano materiali plastici come il polivinilcloruro (PVC) e i clorofluorocarburi (CFC). Il PVC è impiegato per la fabbricazione di tubi, valvole, raccordi, giocattoli e parti di autovetture.
Il residuo 10% viene utilizzato per preparare composti inorganici di vario uso come HCl, AlCl3, Cl2O, SiCl4, TiCl4, PCl5 etc.
Per la sua tossicità e corrosività, durante la prima guerra mondiale fu usato come aggressivo chimico; serve anche per la fabbricazione di solventi (trielina) e anestetici (cloroformio).
L'HCl si trova, in piccole quantità, in alcune emanazioni vulcaniche e nel succo gastrico dell'uomo. È uno degli acidi inorganici più importanti della grande industria chimica di base.
La sorgente principale del Cl2 è ovviamente il cloruro di sodio che si ritrova sia nell'acqua di mare che in miniere che utilizzano giacimenti originati dall'evaporazione in ere geologiche lontane di acqua di mare. Il metodo generalmente usato è basato su un processo di tipo elettrolitico sia su soluzioni che in massa fusa. La produzione mondiale si aggira attorno ai 40 milioni di tonnellate l'anno.
Si presenta, in condizioni standard, come un liquido denso, velenoso e di colore rosso bruno. I suoi vapori sono irritanti ed hanno un cattivo odore. È un potente ossidante, formando bromuri con molti elementi; è poco diffuso in natura.
ll bromo fu isolato nel 1826 da A. J. Ballard il quale osservò che trattando le acque madri che risultavano dalla cristallizzazione di cloruro e solfato di sodio estratti dalle acque di alcune lagune vicino a Montepellier con acqua di cloro si osservava la formazione di un colore giallo intenso. Il giovane scienziato trattò la soluzione che conteneva sostanzialmente MgBr2 con etere ed idrossido di potassio per poi estrarre dal bromuro di potassio così ottenuto l'elemento sotto forma di un liquido rosso-bruno per reazione con una miscela H2SO4/MnO2. La natura del nuovo elemento fu rapidamente accettata data la somiglianza delle sue proprietà con quelle del cloro e dello iodio già isolati. Addirittura J. Von Liebig si rese conto di averlo già isolato molti anni primi ma di averlo scambiato per ICl. Balard propose il nome di murio ma la proposta non fu accettata dall'Accademia di Francia e si ripiegò su bromo per il pessimo e penetrante odore dell'elemento (dal greco bromos = puzzolente).
Il primo minerale in cui fu identificata la presenza di bromo (bromirite, AgBr) fu scoperto in Messico nel 1841 mentre le prime applicazioni industriali iniziarono successivamente alla scoperta del gigantesco deposito di potassa a Stassfurt nel 1858. I primi impieghi furono nel campo della fotografia del bromuro d'argento come materiale fotosensibile e del bromuro di potassio come sedativo ed anticonvulsivo nei casi di epilessia.
L'uso industriale di composti del bromo risale a molti secoli orsono: già nella Bibbia si parla di un prezioso colorante per stoffe dal magnifico color porpora che i Romani chiamavano porpora di Tiro. La produzione infatti era monopolio dei Fenici, abitanti dell'attuale Libano, che dal loro porto di Tiro spedivano questa preziosa merce che estraevano dal guscio di una chiocciola (Murex brandalis) con un procedimento laborioso: occorrevano circa 12.000 gusci per ottenere 1,5 g di colorante. Nel 1909 H. Friedlander ha dimostrato che la porpora di Tiro è il colorante 6,6'-dibromoindigo. Ai nostri giorni il principale composto utilizzato dall'industria è stata la dibromoetilene impiegata nella formulazione delle benzine come molecola capace di bloccare il piombo di risulta dalla decomposizione del tetraetilene derivato del metallo pesante. Al declino dell'impiego di Pb è seguito il declino di questo composto che 40 anni fa costituiva il 95% di tutta la produzione dei bromoderivati ed oggi non arriva al 50%. Nel frattempo sono subentrati altri usi come quello del bromuro di metile (vermicida) o di molecole attive come pesticidi. Notevole è l'impiego nei sistemi ritardanti di fiamma, mentre è ancora diffuso l'uso in campo fotografico e in quello dei pesticidi.
Il principale metodo di preparazione del bromo è sempre l'ossidazione del bromuro presente nelle salamoie di diversa origine con cloro. Il bromo che si forma viene estratto insufflando vapore od aria in un processo di per sè semplice ma reso difficoltoso dalla reattività delle sostanze coinvolte e dalla loro elevata capacità corrosiva. La produzione annua è attorno alle 300.000 ton, pari circa ad un centesimo rispetto a quella del cloro.
Lo iodio, in condizioni standard, è un solido nero-bluastro con una certa lucentezza. È molto volatile e forma vapori violetti, velenosi e dall'odore penetrante; sublima facilmente. È poco solubile in acqua ma si scioglie abbastanza facilmente in solventi organici (la "tintura di iodio" è una miscela di alcol, acqua, iodio e ioduro di potassio; è usata in farmacia per il suo elevato potere disinfettante, anche se molto irritante). Forma composti con molti elementi ma è meno reattivo degli altri alogeni che lo spostano dagli ioduri.
Un chimico che lavorava nell'industria, B. Cotois, osservò nel 1811 che trattando le ceneri di alghe che erano state calcinate per estrarre potassa e nitrato di potassio con acido solforico concentrato si otteneva un composto che per sublimazione dava dei cristalli con lucentezza metallica e colore viola scuro composti da un nuovo elemento. Due anni dopo J. L. Gay Lussac propose il nome di iodio (dal greco iodos = colore viola) dal colore dei suoi vapori. Peraltro era noto da tempo che certe alghe dal colore scuro erano utili per trattare i malati di gotta e nel 1819 fu introdotto KI come medicina per curare la stessa affezione. Il primo minerale contenente iodio (AgI) fu scoperto nel 1825 in Messico e successivamente fu scoperto che in certi campioni di salnitro del Cile vi era una quantità di iodato da rendere questi minerali utili per l'estrazione industriale dello iodio.
Lo iodio non ha usi industriali specifici: è presente in composti che vengono utilizzati come catalizzatori nell'industria della gomma, stabilizzanti di coloranti, pigmenti per inchiostri, medicinali e prodotti chimici per pellicole ad alta sensibilità (ioduro d'argent, AgI). È inoltre indispensabile all'organismo umano (ormoni tiroidei) ed ha per questo altri impieghi nell'industria farmaceutica.
I metodi industriali di produzione dello iodio dipendono dal tipo di materiale grezzo a disposizione. In caso di salamoie, si procede all'ossidazione con cloro gassoso, estrazione con vapore e relativa separazione dal bromo con purificazione finale mediante sublimazione. In alternativa, dopo una filtrazione preventiva, si aggiunge AgNO3 per precipitare AgI che viene rimosso trattato con acciaio o rottami di ferro per produrre Ag metallico e una soluzione di ioduro ferroso. Ag viene attaccato con acido nitrico e rimesso in circolo mentre la soluzione viene trattata con cloro gassoso per separare lo iodio. Se si dispone di salnitro del Cile in cui lo iodio è presente sotto forma di iodato, il processo prevede la solubilizzazione e concentrazione di IO3- e trattamento della soluzione con solfito per avere:
2 IO3- + 6 HSO3- <=> 2 I- + 6 SO42- + 6 H+
La soluzione acida è trattata con la soluzione di partenza per avere:
5 I- + IO3- + 6 H+ <=> 3 I2 + 3 H2O
Lo iodio viene filtrato e la soluzione neutralizzata con carbonato di sodio viene riciclata nel processo. La produzione mondiale annua si aggira sulle 12000 tonnellate.
L'astato, in condizioni standard, è un solido dall'aspetto metallico volatile come lo iodio. Si conoscono oltre 20 isotopi dell'astato, tutti radioattivi. Il più stabile è il 210At che ha un tempo di semitrasformazione di 8,3 ore.
Dallo studio della posizione dell'elemento con numero atomico 85 nella Tabella Periodica si era derivata la convinzione che gli isotopi di questo elemento dovevano essere tutti instabili. Questa ipotesi era rafforzata dalla constatazione che, anche se alcuni di questi isotopi facevano parte delle serie radioattive naturali, non era possibile isolarli. La produzione dell'elemento 85 fu legata ad una reazione artificiale portata a termine da D. R. Carson, K. R. McKenzie e E. Segrè [Nobel per la Fisica 1959 per la scoperta dell'antiprotone] nel 1940. Bombardando 209Bi con particelle alfa in un potente ciclotrone esii produssre l'isotopo 211At che ha un tempo di semitrasformazione di 7,1 ore:
Bi + 4He <=> 211At + 1n
Date le caratteristiche dell'elemento fu scelto il nome di astato (dal greco astatos = instabile) dato anche che di tutti i 24 isotopi preparati il più stabile ha una semivita di 8,3 ore.
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