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Nella Costituzione italiana i diritti umani sono riconosciuti e garantiti principalmente dall'articolo 2:
"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".
I diritti inviolabili dell'uomo sono quelli naturali, e cioè quelli che derivano all'uomo dalla sua natura.
L'affermazione vuole significare che la Repubblica offrirà tutela ai diritti naturali dell'uomo ed impedirà ogni loro violazione.
Degna di rilievo la circostanza che lo Stato non si preoccupa solo della tutela dei diritti dell'uomo come singolo, ma anche di quelli che ad esso spettano nelle formazioni sociali in cui vive ed opera.
Queste formazioni sociali sono soprattutto la famiglia (artt. 29 e segg.), le comunità professionali (art. 39) ed i partiti politici (art. 49).
Questa tutela è una delle caratteristiche più importanti della nostra Costituzione rispetto allo Statuto del 1848, nonché verso le Costituzioni liberali dell'800 che riflettevano la concezione principalmente individualista della Rivoluzione Francese nonostante avesse come suo fondamento la "Declaration des droits de l'homme et du citoyen" (dichiarazione dei diritti umani e ) e che ponevano i cittadini isolati di fronte allo Stato togliendo importanza costituzionale alle formazioni sociali e ai gruppi intermedi considerati inutili divisori tra lo Stato ed i cittadini.
La norma ha, viceversa, come base il fatto che l'uomo non vive ma isolato, la opera in comunità più o meno vaste e che non si può riconoscere e garantire pienamente la sua libertà se non cogliendo questo suo aspetto sociale.
Poiché il concetto di diritto è profondamente collegato con quello di obbligo, a riconoscimento dei diritti naturali dell'uomo sia come singolo, sia soprattutto come appartenente alla comunità, fa riscontro la riaffermazione che ad esso fanno capo dei doveri naturali, e precisamente quello della solidarietà nel campo politico, economico e sociale.
Oltre agli evidenti significati della natura dei diritti inviolabili suddetti si pone il problema della loro identificazione. A questo proposito, particolarmente nella giurisprudenza costituzionale, i diritti inviolabili sono quelli successivamente e specificamente riconosciuti dalla Costituzione, a cui si devono aggiungere quelli recepiti nel nostro ordinamento in osservanza di obblighi internazionali, come ad esempio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (L. 4 agosto 1955, n° 848).
La questione poi se essi siano posti tutti sullo stesso piano o se, al contrario, siano elencati in una scala gerarchica sembra più corretto risolverla in quest'ultimo modo.
Infatti, quando il rispettivo esercizio dei diritti inviolabili venga in conflitto (ad es. diritto di stampa e diritti relativi all'incolumità fisica) la soluzione del conflitto dovrebbe avvenire a vantaggio dei beni e degli attributi fondamentali della persona umana e, principalmente, della libertà personale.
A tal proposito va citato anche l'articolo 3:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
In primo luogo si deve dire che la parola "cittadini" è intesa in modo ampio, è cioè riferita a tutti gli uomini e non solo ai cittadini italiani.
Come la maggior parte delle Costituzioni contemporanee, l'art. 3 della nostra Costituzione, proclama solennemente il principio di uguaglianza, ispirandosi così ad un comune senso di giustizia sociale proprio dell'epoca in cui viviamo.
Questo principio si divide in due parti: nella prima si attribuisce genericamente ad ogni "cittadino" pari dignità sociale, intesa come parità di trattamento davanti alla legge (uguaglianza formale), mentre nella seconda si impone più specificatamente di rimuovere gli impedimenti e di operare sulle situazioni che impediscono l'effettivo godimenti dei diritti (uguaglianza sostanziale).
Il significato del principio dell'uguaglianza formale non è che il contenuto delle leggi debba essere uguale per tutti i cittadini, ma solo quello di porre un divieto al legislatore ordinario di sancire una qualsiasi disuguaglianza di trattamento in riferimento al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali.
Il significato di queste espressioni sta ad indicare che né il sesso, né la lingua, né le condizioni sociali (vale a dire l'appartenenza all'una o all'altra classe sociale) devono assumere una rilevanza positiva o negativa nelle leggi ordinarie, ne essere assunti quali criteri validi per una diversa disciplina da parte di esse.
Più specificamente a proposito di una diversa disciplina (da parte della giurisprudenza costituzionale) al legislatore, allorché si conforma agli svariati aspetti della vita sociale, non é un divieto prevedere diversità di trattamento per valutare situazioni considerate diverse, quando ciò, nei limiti imposti dalla prima parte dell'art. 3 cost., sia fatto per categoria di destinatari (legge astratta) e non ad personam (legge del caso concreto).
II concetto fondamentale a cui si ispira il primo comma è che il nostro ordinamento non ammette che sia possibile distinguere, per nessun motivo, fra cittadino e cittadino, sia per quanto attiene alla loro dignità sociale, sia per quanto attiene alla loro posizione di eguaglianza di fronte alla legge.
Dire che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale significa che non sono ammesse distinzioni, per cui ad un cittadino spettino certe prerogative onorifiche, o comunque una posizione sociale che non viene riconosciuta agli altri. Un'attuazione di questo principio si trova nella XIV delle Disposizioni transitorie e finali, che sopprime le distinzioni nobiliari.
Dire che tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge significa che i diritti e gli obblighi sanciti da questa si applicano a tutti indistintamente, senza che vi sia possibilità di discriminazione alcuna.
A questo proposito il testo costituzionale si preoccupa di aggiungere che non possono avere rilievo nel nostro ordinamento alcune cause che, in passato o in altri ordinamenti, sono state prese in considerazione per collegarvi diritti ed obblighi diversi.
L 'avere dichiarato che tutte queste distinzioni non possono avere nel nostro ordinamento alcun rilievo ha avuto come conseguenza la caduta di leggi le quali prevedevano un trattamento della donna diverso da quello dell'uomo e la escludevano dall'accesso a determinati uffici pubblici (per es. la magistratura).
Se in futuro venissero emanate leggi che dessero rilievo giuridico ad una delle cause di distinzione sopra elencate, sarebbe incostituzionale e sarebbe possibile ricorrere contro di essa alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 138.
Per quanto riguarda l'attuazione del principio di eguaglianza sostanziale ad esso si provvede con la rimozione di quegli aspetti della vita economica e sociale che, in linea di fatto, ostacolano il pieno sviluppo della personalità del singolo e la sua partecipazione effettiva al godimento dei diritti.
Il secondo comma parte dalla considerazione che le affermazioni di libertà e di eguaglianza contenute nelle costituzioni del secolo scorso non sono servite a creare nel popolo quella coscienza politica che è indispensabile al funzionamento di un regime democratico. Perché ciò sia possibile occorre che i principi di libertà ed eguaglianza acquistino un valore sostanziale e non soltanto formale e siano rimossi quegli ostacoli di ordine economico e sociale che, in pratica, continuano a creare le disuguaglianze abolite dal diritto. La norma in esame ha perciò un evidente carattere programmatico e ad essa si collegano alcune delle norme contenute nel Titolo terzo, soprattutto quelle degli artt. 44, 45, 46 e 47.
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