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DIRITTO COMMERCIALE: CESSIONE D'AZIENDA
Art.2556.
In caso di trasferimento, si devono applicare regole particolari che fanno leva sul fatto che il trasferimento d'azienda non è paragonabile a qualunque altro atto di trasferimento.
Es. vendita mobiliare o immobiliare.
Mentre la vendita attiene i diritti reali, per cui è privilegiato l'aspetto statico, nell'azienda si privilegia l'aspetto dinamico e soprattutto il fatto che con l'esercizio da parte dell'imprenditore dell'attività d'impresa si venga a contatto con una serie di soggetti come creditori o lavoratori, le cui posizioni vengono prese in considerazione dal legislatore e tutelate.
Ci sono delle regole in caso di vendita d'azienda. La disciplina generale è l'art.2556.
In caso di alienazione d'azienda esiste il divieto di concorrenza (art.2557).
Oltre gli effetti propri di ogni contratto, l'alienazione d'azienda produce degli effetti, per legge, e quindi detti legali, che sono ulteriori rispetto a quelli previsti per ogni contratto. Anche perché il complesso di beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa produce nelle sfere giuridiche altrui delle situazioni che vanno tutelate. Possono essere sia derogabili che inderogabili.
Gli effetti legali ulteriori riguardano:
R divieto di concorrenza
R sorte dei contratti
R sorte dei debiti
R sorte dei crediti aziendali
Divieto di concorrenza
La disposizione si applica anche alle aziende agricole per connessione quando se è possibile uno sviamento di clientela.
L'attività agricola per connessione è attività commerciale.
La norma cerca di contemperare interessi opposti:
interesse dell'acquirente di mantenere immutata la situazione sotto il profilo della
clientela. Mira a trattenere la clientela che c'era in capo al precedente alienante e
quindi mira a godere di questo avviamento soggettivo = clientela, di cui si è tenuto
conto nel prezzo di vendita.
si vuole anche tutelare l'alienante nel senso di non restringere troppo la propria
libertà entro un tempo massimo benessere preciso. Entro i limiti necessari affinché
l'acquirente possa consolidare a sua volta una nuova clientela.
Il divieto di concorrenza è posto a tutela primaria di chi compra e vuole evitare uno sviamento di clientela, che sarebbe ingiusto perché ha ato per l'avviamento.
Queste regole sono derogabili e hanno carattere relativo, cioè bisogna vedere se l'attività effettivamente iniziata dall'alienante sia in effettivo rapporto concorrenziale con quella dell'acquirente. E' derogabile, perché la legge consente di ampliare la portata del divieto di concorrenza.
La legge dice che si può ampliare la portata dell'obbligo di astenersi dal fare concorrenza, purché non sia impedita ogni attività professionale dell'alienante. In ogni caso è vietato prolungare oltre i 5 anni la durata del divieto.
Il legislatore però non intende dire che si possono superare i 5 anni. E' durata prestabilita dalla legge. Se nel contratto si prevede una durata superiore, automaticamente gli anni si ridurrebbero a 5.
La portata dell'obbligo di astensione dal fare concorrenza può essere ampliata stabilendo ad esempio che sono in concorrenza delle attività che non sono direttamente in concorrenza tra loro.
Es. la giurisprudenza ha detto che non viola l'obbligo di non concorrenza che aliena azienda relativa ad impresa che produce pane e poi apre un negozio di generi alimentari diversi.
Se il gestore di un ristorante aprisse una pizzeria ci sarebbe rischio di sviamento della clientela.
L'astensione dalla concorrenza è un obbligo di non fare.
Il divieto esiste anche in caso non di vendita volontaria, ma anche in caso di vendita fallimentare. Il fallito non può esercitare attività in concorrenza con quella in cui si presume non abbia brillato.
I problemi sorgono quando si devono analizzare delle situazioni che pongono incertezze perché non sono espressamente regolate:
divisione ereditaria con assegnazione dell'azienda a uno degli eredi.
Esiste o no l'obbligo di astensione dell'erede che non ha ereditato l'azienda?
scioglimento di una società con assegnazione dell'azienda a uno dei soci, quale quota di
liquidazione. Capita soprattutto nelle aziende di persone. Gli altri soci devono astenersi?
vendita di partecipazione totalitaria o di controllo di una società di capitali o di persone.
Esiste o no divieto di concorrenza?
Divisione ereditaria e b. scioglimento della società
Non siamo in presenza di un trasferimento in senso giuridico. C'è divisione e assegnazione.
Quindi in senso formale si dovrebbe escludere la norma sul divieto di concorrenza.
Cessione di pacchetto azionario
Qui c'è il negozio traslativo. Non si sta cedendo l'azienda. E chi è il titolare dell'azienda? Il soggetto che cede o la società?
Chi vende è titolare delle azioni, non è titolare dell'azienda.
Quindi in tal caso la vendita non riguarda direttamente l'azienda. Riguarda le azioni, ma non direttamente l'azienda perché formalmente l'azienda resta alla società che ne è titolare. Il socio vende l'unica cosa che gli appartiene, cioè le azioni.
Questi casi sono stati risolti diversamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Si potrebbe applicare la norma per analogia, secondo la dottrina, la norma a favore dell'erede o del socio che subentra nell'azienda e a carico degli altri soci o dei coeredi. La ragione è il tenere conto del valore dell'avviamento.
La giurisprudenza è contraria.
Anche la vendita dell'intero pacchetto azionario o della partecipazione di controllo, a livello formale e non sostanziale, danno lo stesso risultato.
Qui il problema è distinguere il caso di società con personalità giuridica e sociatà prive di personalità giuridica. Nelle società di capitali, dotate di personalità giuridica, si può capire di più l'orientamento della giurisprudenza che dice una cosa è la titolarità dell'azienda che compete al soggetto "società di capitali" altra cosa è la titolarità delle stesse che fa capo al socio. Quindi essendoci il diaframma tra
socio che vende le quote
società di cui fa parte l'azienda
la norma non sarebbe applicabile. Non c'è vendita d'azienda, ma solo di azioni.
Il discorso è molto formalistico, perché vendendo tutte le azioni, è come se si trasferisse l'azienda.
La dottrina guarda più all'applicazione sostanziale della norma.
Che differenza c'è tra trasferimento d'azienda e di azioni di una società? Dovrebbe esserci in entrambi i casi, il divieto di concorrenza.
Parte della giurisprudenza, che ha sempre applicato un criterio formalistico, sta valutando l'altra ipotesi con riferimento alle società di persone. Perché non c'è l'ostacolo della personalità giuridica che si frappone nelle società di capitali tra il patrimonio della società e quello dei soci.
Autonomia patrimoniale = società costituiscono un centro autonomo d'imputazione di diritti e doveri e hanno autonomia patrimoniale perché il patrimoni sociale costituisce un patrimonio separato da quello dei singoli soci.
Cosa vuol dire "chi aliena l'azienda"? Abbiamo visto i casi dubbi sopra attinenti a questa tematica.
Cosa significa inizio di una nuova impresa?
Problema che sorge perché alcuni vogliono eludere l'art.2557.
Un soggetto vende la sua azienda e poi inizia un'attività concorrente usando un prestanome.
Oppure vende l'azienda e diventa dirigente di un'impresa concorrente.
Oppure vende l'azienda e diventa amministratore unico di un'impresa concorrente.
C'è o no inizio di una nuova impresa?
Sì perché può togliere clientela all'impresa alienata.
Attenzione a non confondere con la concorrenza sleale perché questa è la concorrenza tra imprenditori.
Questo è il divieto di concorrenza che per legge accomna tutte le cessioni d'azienda.
Il legislatore vuole proteggere anche in questi casi lo sviamento della clientela.
Se l'obbligo di non fare concorrenza è violato tutte le volte in cui si ha sviamento della clientela dall'azienda ceduta, la dottrina afferma che non importa che questo avvenga per un fatto concorrenziale posto in essere direttamente o indirettamente dall'alienante.
A livello pratico è difficile provare queste cose. Allora al momento della stipula del contratto, bisogna prevedere con delle clausole pattizie la precisa estensione del divieto di concorrenza.
Queste clausole devono uniformarsi alla legge.
Successione nei contratti aziendali
Art.2558.
E' la cessione dei contratti in corso.
Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti in corso, cioè i contratti continuano.
Questa norma l'abbiamo studiata con riferimento a cosa fa parte del compendio aziendale.
Accanto a tesi che vuole far rientrare tutti i beni materiali e immateriali, mobili e immobili, c'è una nozione più lata di azienda cioè una nozione che vuole far rientrare anche i contratti, i debiti e i crediti. Questa teoria largheggiante è adottata dalla giurisprudenza.
La dottrina dice che se fosse vero che anche i contratti rientrano nel concetto di azienda, allora non ci sarebbe una regola dispositiva e quindi non sarebbe prevista una disposizione contraria. Se si stabilisce che anche i contratti fanno parte dell'azienda, cioè è un effetto legale, non si potrebbe escludere per volontà gli stessi con partizione contraria. Quindi il legislatore non avrebbe dovuto scrivere "salvo pattuizione contraria".
Visto che secondo la legge, se nulla è detto, i contratti proseguono, ma sarebbe ammissibile una pattuizione contraria a questa, si può dire che il fatto che i contratti proseguono è solo un effetto naturale del negozio, non essenziale.
Questo non fa che ribadire la tesi che nella nozione giuridica di azienda devono rientrare solo i beni mobili o immobili, materiali o immateriali.
Il Cottino afferma che l'organizzazione è l'elemento coagulante del tutto, i contratti, i debiti e i crediti sono una cinghia di trasmissione affinché l'imprenditore utilizzi i beni per l'esercizio dell'impresa, ma non fanno parte del compendio aziendale in se stesso.
Il legislatore nella disciplina del trasferimento dell'azienda cerca di mantenere l'unità economica dell'azienda stessa. Sotto questo profilo si cerca di agevolare il subentro nei contratti in corso dell'acquirente.
Es. alienante quando cede azienda può avere dei contratti aperti con fornitori, clienti o lavoratori.
Che ne è di questi contratti in corso di esecuzione, cioè non ancora eseguiti da nessuna delle due parti?
Le posizioni di cui tenere conto sono tre:
posizione dell'alienante
posizione dell'acquirente
posizione del terzo contraente ceduto
L'acquirente d'azienda ha tutto l'interesse a subentrare nelle posizioni contrattuali in corso e questo fa sì che ci sia una vistosa deroga dei principi di diritto privato. In diritto privato il contratto può anche cedere il contratto, ma ci vuole il consenso del contraente ceduto perché cambia uno dei soggetti con cui si è stipulato il contratto.
Rileggendo l'art.2558 non si fa riferimento al consenso del contraente ceduto, perché è tenuta benessere presente la preservazione dell'unità economica dell'azienda e, per preservarla, si deve garantire all'acquirente di preservare anche i contratti in corso.
Questo è un problema di subentro in contratti in corso di esecuzione.
Es. somministrazione in corso : un soggetto che fornisce materie prime all'alienante e l'acquirente subentra.
Ma se il contratto è già eseguito da una delle parti, non rientriamo in questa ipotesi.
Es. imprenditore ha trasferito la proprietà del bene, ma è ancora creditore del prezzo.
Oppure ha comprato le merci, ma non ha ancora ato quindi è debitore.
Nel trasferimento di proprietà per cosa determinata, l'effetto traslativo è immediato: basta il consenso delle parti legittimamente manifestato.
L'obbligo di consegna della cosa e del amento del prezzo avvengono all'esecuzione del contratto, non alla sua perfezione. Se permane l'obbligo di are il prezzo, l'effetto traslativo si è prodotto ma siamo nell'ambito dell'esecuzione del contratto, per cui chi ha l'obbligo di are è inadempiente ma è già proprietario della merce venduta.
Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale.
Il terzo contraente non è senza tutela, ma è ridotta. Egli può recedere dal contratto entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento se sussiste una giusta causa, salvo la responsabilità dell'alienante. Il subingresso nei contratti prescinde da manifestazione di volontà delle parti. Ciò significa che se le parti nulla scrivono, il subingresso si verifica per legge, purché i contratti non abbiano carattere personale.
Però le parti possono derogare questa regola: possono stabilire il contrario o stabilire il subentro solo per alcuni contrari.
Nel diritto comune la posizione del terzo contraente è privilegiata perché se egli non dà il consenso la cessione non si può fare.
Invece, nel diritto d'impresa il terzo può recedere entro 3 mesi da quando ha avuto notizia del trasferimento dell'azienda. Il recesso produce l'estinzione del vincolo ex nunc cioè dal momento in cui si manifesta la volontà di recedere.
Questo non può avvenire sempre. La giusta causa di recesso è oggettiva, cioè bisogna dimostrare che l'acquirente si trovi in una posizione personale o aziendale tale da non dare più affidamento ragionevole sulla regolare esecuzione del contratto.
Deve esserci situazione oggettiva patrimoniale, personale o aziendale.
Il contraente ceduto ha diritto al risarcimento dei danni. Per ottenerlo deve provare che, se l'alienante fosse stato più attento nella scelta del suo acquirente, avrebbe scelto un soggetto che non si trovi in quella situazione oggettiva patrimoniale o personale tale da far ritenere che il credito potrà non essere onorato. E' difficile provare la mancata diligenza dell'alienante.
La legge ha voluto così favorire l'unità funzionale dell'azienda.
Questo favore legislativo è previsto dall'art.2558, ma è ribadito per determinati contratti:
contratto di lavoro subordinato
contratto di consorzio
contratto di edizione
locazione degli immobili destinati a esercizio di attività industriale e commerciale = legge
sull'equo canone. Conduttore può sub locare l'immobile o cedere il contratto il contratto di
locazione anche senza il consenso del locatore purché venga insieme ceduta o locata
l'azienda.
Non si trasferiscono i contratti che hanno carattere personale. In questo caso è necessaria
R espressa pattuizione contrattuale tra alienante e acquirente
R consenso del contraente ceduto
quindi torniamo alla disciplina della cessione del contratto.
La dottrina prevalente, compreso il Cottino, ritiene che siano contratti a carattere personale quelli basati sull'identità e sulle qualità personali dell'imprenditore alienante perché queste qualità e l'identità devono essere stati determinanti nel consenso quando è stato stipulato il contratto.
Es. Apertura di credito bancario (oltre ad appalto, mandato o commissione)
Bisogna andare a cercare l'effetto determinante dell'alienante nella contrattazione.
Disciplina dei crediti e dei debiti
Art.2559 si occupa dei crediti relativi all'azienda ceduta. Anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione la cessione ha effetto nei confronti dei terzi dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia, il debitore ceduto è esonerato se a in buona fede all'alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell'azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima.
Questo è un problema di opponibilità ai terzi. C'è una deroga rispetto ai principi di diritto comune perché la disciplina del diritto comune prevede che il credito è efficace viene notificato al debitore ceduto oppure la cessione viene da lui accettata con un atto di data certa.
Nell'art.2559 c'è qualcosa di più.
Questo articolo è rimasta lettera morta fino a che non si è attuato il registro delle imprese.
La legge prevede una formalità diversa rispetto a quella di diritto comune. L'efficacia della cessione nei confronti dei terzi è l'iscrizione nel registro delle imprese del trasferimento del credito. Si applica limitatamente alle società da iscrivere nella sezione ordinaria, cioè le imprese commerciale. Per loro, oltre alla notifica e all'accettazione c'è una sorta di "notifica" collettiva che è l'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Esperita questa formalità, la cessione è opponibile ai terzi.
Cosa accade per i debiti? Qui è più forte la deviazione dal diritto comune. C'è una regola comune per il diritto civile e per il diritto delle imprese. Si mantiene fermo il principio generale per il quale non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore: cioè l'alienante non è liberato dai debiti se non risulta che il creditore vi abbia dato consenso.
Ci vuole consenso esplicito alla liberazione del proprio debitore. Se manca, il debitore non è liberato.
Per le sole aziende commerciali, è previsto un principio che diverge da quello di diritto comune, in base al quale ciascuno risponde soltanto delle obbligazioni da lui contratte. Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti aziendali anche l'acquirente dell'azienda se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori.
Quindi anche se non esiste nessun patto di accollo dei debiti, l'acquirente di una sola azienda commerciale (non vale per aziende agricole né per le piccole imprese) risponde in solido con l'alienante nei confronti dei creditori dell'azienda. Ovviamente ai creditori che non hanno liberato il debitore.
Questa responsabilità legale (perché deriva dalla legge) riguarda solo i debiti aziendali. Ei debiti devono risultare dai libri contabili obbligatori.
I libri possono essere tenuti regolarmente o no.
Ai fini dell'accollo dei debiti all'acquirente, i libri possono essere tenuti sia regolarmente sia irregolarmente, perché i libri costituiscono prova contro l'imprenditore.
Per i debiti di lavoro si tiene conto dell'art.2212 che è più favorevole ai lavoratori: l'acquirente dell'azienda risponde in solido con l'alienante, anche se non risultano dai libri contabili e anche se l'acquirente non ne ha avuto conoscenza al momento del trasferimento. Questa regola vale per tutte le aziende, commerciali e non, perché si è voluto favorire i lavoratori.
Eravamo partiti dall'azienda come un universo. Secondo il Cottino, in caso di cessione di azienda
R passano i contratti perché lo dice la legge
R passano i crediti
R non passano i debiti tra le parti
Quello che abbiamo studiato finora è l'opponibilità della cessione ai creditori o ai debitori dell'azienda.
Altro problema è: quando si trasferisce l'azienda che ne è dei contratti, dei crediti e dei debiti tra le parti? Non è un problema di terzi.
Per i contratti, la legge e la dottrina dicono che si trasferiscono, salva pattuizione contraria. Passano tranne quelli personali.
Per i crediti, il Cottino sostiene che visto che il legislatore si è preoccupato solo di dire quando la cessione ha efficacia nei confronti dei terzi, vuol dire che dà per scontato che i crediti passano. E passano perché l'azienda è un'universitas.
I debiti non passano perché ci vuole il consenso del creditore e poi c'è la regola delle scritture contabili.
Oltre a questa opinione vi è quella di una giurisprudenza costante secondo la quale con la cessione passano contratti, debiti e crediti. La giurisprudenza, infatti, parte da nozione allargata di azienda e fa rientrare anche i contratti, i debiti e i crediti.
Se invece si ha nozione più restrittiva di azienda, che fa rientrare solo i beni, allora il problema si pone. Per il Cottino passano i contratti e i crediti, ma non i debiti. Questo perché l'art.2559 dà per scontato che il credito sia passato. Allora si chiede quando la cessione ha efficacia nei confronti dei terzi. Per il Cottino i contratti passano perché lo dice la legge i crediti passano perché lui la interpreta così.
Altri sostengono, come la giurisprudenza, che passa tutto. Na parte dice che passano solo i contratti. Per i debiti e crediti, affinché passino, ci vuole una clausola contrattuale.
Di fatto, la legge si occupa dei terzi, cioè l'aspetto esterno alle parti. Altra questione è cosa passa insieme alla gestione dell'azienda. Non ci dice cosa ne è dei debiti e dei crediti tra le parti. Dice solo cosa avviene di debiti e crediti nei confronti dei creditori e dei debitori dell'azienda.
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