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DIRITTO INTERNAZIONALE "Conforti" - LO STATO COME SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE -INESISTENZA DI NORME GENERALI SCRITTE

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DIRITTO INTERNAZIONALE    "Conforti"

DEFINIZIONE DI DIRITTO INTERNAZIONALE : 'Diritto della comunità degli Stati', quindi regolerebbe il rapporto fra Stati. No, questo descrive solo un dato formale. In verità anche rapporti individuali.
DIRITTO INTERNAZIONALE PUBBLICO E PRIVATO: quest'ultimo previsto dalla 218/95. Non sono omogenei, quindi ha scarso senso contrapporre, anzi la qualifica di 'pubblico' è addirittura erronea.

1. FUNZIONE NORMATIVA: diritto internazionale generale (consuetudine) e particolare (accordo). Al di sotto degli accordi vi sono i procedimenti previsti dagli accordi.
2. FUNZIONE DI ACCERTAMENTO GIUDIZIARIO: carattere arbitrale (diversamente dal diritto interno).
3. FUNZIONE DI ATTUAZIONE COATTIVA: autotutela (diversamente dal diritto interno).

CARATTERE OBBLIGATORIO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE: la soluzione del problema dell' obbligatorietà/capacità a ricevere concreta attuazione non può non passare attraverso gli operatori giuridici interni, i quali utilizzano 'fino al limite massimo dell'utilizzabilità' gli strumenti che lo stesso diritto interno offre a garanzia di siffatta osservanza. JELLINEK: 'il diritto internazionale è frutto di un'autolimitazione del singolo Stato'. Ma l'applicazione del diritto internazionale non può spingersi fino al punto di compromettere i valori costituzionali.
FAZIT: la cooperazione del diritto interno è indispensabile, ma sul versante internazionale il diritto internazionale appare come un punto di riferimento di una sana diplomazia ('aspetto politico-diplomatico'). Noi affronteremo un approccio internistico (adattamento diritto interno al diritto internazionale).



LO STATO COME SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE: l'unica alternativa utile è quella fra Stato-comunità e Stato-apparato (o Stato-organizzazione). Al secondo viene riportata la sua personalità internazionale. In particolare agli organi statali che partecipano alla formazione delle norme internazionali: tutti gli organi, anche le amministrazioni locali e gli enti pubblici minori.
Tale organizzazione è presa in considerazione in quanto abbia due elementi:
1. EFFETTIVITA': eserciti effettivamente il suo potere sul territorio. No 'governi in esilio', no comitati, fronti di liberazionie e organizzazioni che abbiano sede in territorio estero (es. OLP).
2. INDIPENDENZA: inteso 'cum grano salis'. Si fa leva su un dato formale, cioè che l'ordinamento dia originario, tragga la sua fonte da propria Costituzione.
Il governo che esercita effettivamente ed indipendentemente il proprio potere sulla comunità territoriale diviene soggetto internazionale AUTOMATICAMENTE. Il riconoscimento non è costitutivo della sua personalità internazionale, perché si risolverebbe in una sorta di potere di ammissione da parte degli altri Stati. Non occorrono altri requisiti tipo che non costituisca minaccia per la pace e la sicurezza o che goda del consenso del popolo liberamente espresso.
E gli INSORTI, fino a quando non riescono a costituire un'organizzazione di governo che controlla effettivamente una parte del territorio, sono solo dei sudditi ribelli rispetto al GOVERNO LEGITTIMO.

GLI INDIVIDUI COME SOGGETTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE: si è pensato a ciò perché gli Stati sono tenuti internazionalmente a tutelare i diritti fondamentali dell'uomo. Ma la tesi non è accolta. Si tratterebbe di situazioni giuridiche riconducibili ad ordinamenti particolari, distinti dalla comunità internazionale. Il Conforti si associa a questo indirizzo.
E LE MINORANZE ETNICHE: valgono le stesse considerazioni. Si parla spesso di 'diritto dei popoli', ma il termine è usato in modo enfatico e indica lo Stato come titolare di esso. Diversamente quando lo si intende come contrapposto allo Stato: in questo caso esso prende la conurazione del DIRITTO ALL' AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI. Esso è contenuto in testi convenzionali, ma ha acquistato carattere consuetudinario. Vale solo quello ESTERNO (per i popoli sottoposti ad un governo straniero; possono scegliere di associarsi o integrarsi ad altro Stato) e limitatamente al periodo che parte dall' affermazione del principio come giuridico, non prima. Non vale quello INTERNO (bisogna guardarsi dal credere che nel diritto internazionale tutti i governi godano del consenso della maggioranza dei sudditi e siano da essi liberamente scelti).
In caso di VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE gli altri Stati sono tenuti ad adottare misure sanzionatorie. Lecito è l'appoggio ai FLN. E' tuttavia azzardato parlare di un vero e proprio diritto soggettivo internazionale di autodeterminazione dei popoli.

Abbiamo considerato gli enti SOTTOPOSTI allo Stato; vediamo quelli che nascono ACCANTO allo Stato. La ICJ ha riconosciuto (parere su accordo OMS-Egitto) la piena personalità alle ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI (ONU, Istituti specializzati delle NU, CE . ). Gli accordi che esse concludono con gli Stati sono produttivi di veri e propri obblighi per le organizzazioni, ma restano senza effetto sulla sfera giuridica degli Stati membri.
Altro ente del tutto indipendente dagli Stati è La CHIESA CATTOLICA. Ad essa è stata riconosciuta la personalità anche fra il 1870 e il 1929, quando è venuto meno il suo dominio territoriale.


La formazione delle norme internazionali

A - DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE

A1 - LA CONSUETUDINE

La consuetudine è costituita dal comportamento costante ed uniforme tenuto dagli Stati, accomnato dalla convinzione dell' obbligatorietà del comportamento stesso. CONCEZIONE DUALISTICA, fortemente criticata da teorie che si basano troppo sulla logica e poco sulla prassi internazionale. 2 gli elementi dunque:

1. OPINIO IURIS SIVE NECESSITATIS (la convinzione della sua obbligatorietà): secondo alcuni ammettendo questo elemento, si ammetterebbe che la consuetudine nasca da errore, ma in verità il comportamento può anche non essere tanto sentito come giuridicamente quanto socialmente dovuto. L'opinio iuris, per ricavare una norma consuetudinaria dalla prassi internazionale si rifà ai trattati (alla prassi convenzionale).
2. DIUTURNITAS (ovvero il ripetersi del comportamento, la prassi): problema del tempo di formazione. Esso può essere tanto più breve quanto più diffuso è un certo contegno fra gli Stati, ma è un fattore ineliminabile in quanto una consuetudine istantanea è una contraddizione.

Quali ORGANI DELLO STATO concorrono nella formazione della consuetudine? Tutti e tutti gli atti da essi emanati, sia esterni che interni (es. per certe norme consuetudinarie è la giurisprudenza interna a giocare un ruolo decisivo).
La consuetudine si impone a tutti gli stati, ma anche ai nuovi Stati sorti dal processo di decolonizzazione? Questi hanno preteso di seguire solo quelle preesistenti accettate. E' possibile? Se a contestare è un singolo (persistent objector) è da considerare irrilevante; non può essere ignorata una contestazione ferma e ripetuta proveniente da un gruppo di Stati. Prima però l'interprete dovrà cercare un minimo comune denominatore nell' atteggiamento degli Stati.


Oltre alle norme consuetudinarie GENERALI, vi possono essere delle norme consuetudinarie PARTICOLARI, cioè vincolanti una ristretta cerchia di Stati? Si, e possono addirittura abrogare i patti fra loro intercorsi. Suscita perplessità solo se la si riferisce alle organizzazioni internazionali che comprendono un organo destinato a vegliare sul rispetto del trattato istitutivo (es. CE).
Le norme consuetudinarie generali sono suscettibili di APPLICAZIONE ANALOGICA, ma solo con riguardo a fattispecie nuove.

A2 - I PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI

L'Art. 38 Statuto ICJ li annovera tra le fonti. Sarebbero utilizzabili la dove manchino norme patrizie applicabili ad un caso concreto, costituendo dunque una sorta di analogia iuris. Polemiche: da chi nega addirittura che abbiano il valore di norme giuridiche internazionali, a chi li pone invece al primo grado della gerarchia delle fonti. Conforti: i requisiti che debbono sussistere sono quei due che abbiamo visto per la consuetudine, ed infatti i principi generali non sarebbero altro che una categoria sui generis di norme consuetudinarie internazionali. In questo modo finiscono col perdere la loro caratteristica di colmare soltanto le lacune della consuetudine, ma il loro rapporto con le norme consuetudinarie diviene un rapporto fra norme di pari grado. Questo porta alla conseguenza che la ricostruzione di un principio generale può consentire al giudice interno di farne applicazione anche quando il principio medesimo non si trova nell'ordinamento statale, sempre che l'ordinamento interno imponga l'osservanza del diritto internazionale.

A3 - ALTRE PRESUNTE NORME GENERALI NON SCRITTE

Una parte della dottrina pone al di sopra delle norme consuetudinarie una serie di principi costituzionali connaturati con la comunità internazionale. QUADRI: 'espressione immediata e diretta della volontà del corpo sociale'; i principi FORMALI sarebbero 'consuetudo est serranda' e 'pacta sunt serranda' e degraderebbero consuetudine ed accordi a fonti di secondo grado; i principi SOSTANZIALI potrebbero avere qualsiasi contenuto a seconda delle forze prevalenti. Più che i primi (pacifici) sono i secondi che rendono inaccettabile la tesi del QUADRI perché tendente a legittimare anche gli abusi e perché non rispondente alla prassi odierna nella quale è inconcepibile una norma generale che non abbia l'adesione della maggior parte degli Stati.
Si discute se sia fonte L'EQUITA', intesa come il comune sentimento del giusto e dell' ingiusto. A parte quella 'infra' e 'secundum legem' la risposta è negativa. Da escludere infatti quella 'contra' e 'praeter legem'. L'equità va inquadrata più che altro nel procedimento di formazione del diritto consuetudinario. Infatti quando una sentenza interna ricorre a considerazioni di equità essa influisce direttamente sulla formazione della consuetudine; diversamente per i Tribunali Internazionali, dove l'influenza è solo indiretta, dato che non si tratta della prassi degli Stati.

INESISTENZA DI NORME GENERALI SCRITTE:

1 - IL VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE
Il fenomeno della codificazione data dalla fine del secolo scorso. Fino alla fine della prima guerra mondiale esso era rappresentato dal diritto internazionale bellico. Ulteriori tentativi di codificazione generale furono fatti all' epoca della Società delle nazioni, ma senza successo. Il Trattato resta oggi l'unico strumento adoperabile.
L'Art. 13 Carta ONU prevede l' Assemblea generale per occuparsi dello 'sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione'. A tal fine è stato costituito la COMMISSIONE DI DIRITTO INTERNAZIONALE DELLE NAZIONI UNITE, composto di esperti che vi siedono a titolo personale e con il compito di provvedere alla preparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarie.
Gli accordi di codificazione vincolano anche gli Stati non contraenti? 1) Non è il caso di riporre un'illimitata fiducia nell'opera di codificazione della Commissione e 2) gli Stati stessi cercano di far prevalere le loro convinzioni e i loro interessi.
FAZIT: Gli accordi di codificazione vanno considerati alla stregua di normali accordi internazionali che vincolano solo i contraenti. Più rilevante è la necessità del RICAMBIO delle norme contenute nell'accordo, nel caso di mutata pratica degli Stati. Nessun dubbio che in questo caso la norma non sia più applicabile, ma l'interprete deve essere sicuro della prassi da cui intende estrarre la norma consuetudinaria abrogatrice dimostrando che la nuova consuetudine si è formata con il concorso degli Stati contraenti e che questi intendano applicarla.

2 - IL VALORE DELLE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI
Fin dai primi anni di vita l' ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU ha emanato delle Dichiarazioni (diritti dell'uomo e libertà fondamentali, genocidio, diritti del fanciullo . ). Queste non costituiscono una autonoma fonte di norme internazionali generali e non vincolano gli Stati membri (se l' Assemblea avesse poteri legislativi sarebbe in mano ai paesi del terzo mondo). E però vero che, ai fini dello sviluppo del diritto, esse svolgono un ruolo importante e vengono in rilievo nella sua formazione in quanto prassi degli Stati. Certe Dichiarazioni hanno valore di veri e propri accordi, quando non solo enunciano un principio ma in modo espresso e inequivocabile ne equiparano l'inosservanza alla violazione della Carta. Questo tipo di Dichiarazioni sono dette IN FORMA SEMPLIFICATA.


B - DIRITTO INTERNAZIONALE PARTICOLARE

B1 - I TRATTATI

FORMAZIONE E COMPETENZA A STIPULARE: i trattati basano su un accordo, inteso come l'incontro delle volontà di due o più Stati diretta a regolare una sfera di rapporti. Non è da accogliere la distinzione operata dalla dottrina tedesca del secolo scorso fra TRATTATI NORMATIVI (caratterizzati da volontà di identico contenuto e produttivi di vere e proprie norme giuridiche) e TRATTATI CONTRATTO (incontro di volontà contrastanti). Questa distinzione anacronistica non ha senso perché non lo ha la contrapposizione fra norma e rapporto giuridico.
I trattati, come tutte le fonti giuridiche, possono dar vita a NORME MATERIALI o a NORME FORMALI O STRUMENTALI (come quello che istituiscono nuove ed ulteriori fonti ad es. i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali).
I trattati SOTTOSTANNO ALLE NORME CONSUETUDINARIE, come ci dice eloquentemente l' Art. 4 Convenzione Vienna 1969: la prima parte dell' Art. si riferisce alle regole della Convenzione meramente riproduttive delle norme consuetudinarie generali, facendole valere per tutti gli Stati (ovvio!); la seconda parte dell' Art. si riferisce alla regola non riproduttiva del diritto consuetudinario, specificando che la Convenzione si applica solo ai trattati conclusi dopo la sua entrata in vigore.
COME SI ARRIVA ALLA CONCLUSIONE DI UN ACCORDO? Attraverso un PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE: ancora oggi esso ricalca quello dell' epoca delle monarchie assolute. I negoziati sono condotti dai PLENIPOTENZIARI, solitamente organi del potere esecutivo. La fase della negoziazione è tanto più complessa quanto più sono gli Stati che partecipano. Nell'ambito della conferenza internazionale l'unanimità va cedendo il passo al principio di maggioranza qualificata (Art. 9 Convenzione Vienna). Essi si chiudono con la firma dei plenipotenziari. Questa non crea ancora il vincolo, ma solo l'autenticazione del testo. La manifestazione di volontà dello Stato che gli sta dietro avviene con la RATIFICA, da parte del Capo dello Stato (Art.14 Convenzione Vienna). In Italia l' Art. 87 C. attribuisce tale potere al Presidente della Repubblica previa autorizzazione del Parlamento. L'autorizzazione è necessaria sempre quando si tratti di situazioni previste dall' Art. 80 C. (trattati di natura politica, regolamenti giudiziari, variazioni del territorio nazionale, oneri alle finanze). Sinonimi di ratifica sono approvazione, conclusione e adesione. Una volta ratificato, l'accordo si conclude con lo SCAMBIO E DEPOSITO DELLE RATIFICHE. In seguito l'accordo va REGISTRATO presso il Segretariato dell' ONU alias non potrà essere invocato di fronte ad un organo dell' ONU.
Accanto a questo PROCEDIMENTO STANDARD gli Stati possono adottare PROCEDIMENTI DIVERSI che si distinguono a seconda che sfocino comunque nella ratifica (es. FIRMA DIFFERITA), oppure in una variazione dei negoziati stessi (es.ACCORDI IN FORMA SEMPLIFICATA). Mentre la prima consta di una generica dichiarazione di disponibilità, con gli accordi in f.s. il trattato entra in vigore per effetto della sola sottoscrizione dei plenipotenziari (es. il caso delle cd. note diplomatiche oppure quegli accordi che si formano interamente nell'ambito delle organizzazioni internazionali). Attenzione: per aversi gli accordi in f.s. non basta che si salti la ratifica, ma serve che dal testo emerga una sicura volontà di obbligarsi, altrimenti si scade in semplici INTESE NON GIURIDICHE tra governi, avvolte nella prassi difficilmente distinguibili dagli accordi in f.s. La COMPETENZA A CONCLUDERE ACCORDI IN F.S. è regolata da ciascuno stato. In Italia gli accordi in f.s. sarebbero da escludere solo per gli atti ex Art. 80 C. La prassi degli accordi in f.s. risponde a motivi di speditezza e praticità (negli U.S.A. si parla di 'executive agreements' e hanno per oggetto materie tecnico-amministrative). In Italia si è superata la sfera delle materie tecnico-amministrative per approdare ai confini dell' Art.80 C.
SE L'ORGANO CHE RATIFICA NON HA COMPETENZA? Se il potere esecutivo si impegna autonomamente, che valore ha? Non mancano precedenti (es. memorandum per Trieste, base navale USA alla Maddalena . ). La maggior parte degli scrittori concorda nell' escludere soluzioni radicali: come si esclude che siano interamente validi, così si esclude che qualsiasi vizio possa inficiarle. Varie sono le soluzioni che si profilano, ma la teoria accolta dall' Art. 46 Convenzione Vienna è la più ponderata: il fatto che l'esecutivo abbia violato una regola interna dello Stato, non può essere addotto a fondamento del vizio del suo consenso, a meno che non si tratti di una violazione manifesta (evidentemente contraria a buona fede) o di una norma interna di importanza fondamentale. L' Art. 46 Convenzione Vienna corrisponde, in questo senso, al diritto internazionale generale. Non pare da seguire nella parte in cui enuncia il principio di buona fede, perché l'atto è e rimane in ogni caso privo di carattere giuridico. Va notato che spesso si hanno accordi che espressamente subordinano la loro entrata in vigore alla comunicazione, da parte di ciascun governo dell' adempimento delle procedure previste dal diritto interno. Simili accordi si presentano come una via di mezzo fra quelli solenni e quelli in f.s.
Diffusi nella prassi sono gli ACCORDI STIPULATI DALLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI. Spetta allo statuto, o in alternativa alle regole risultanti dalla prassi di ciascuna di esse, stabilire quali sono gli organi competenti a stipulare e quali le materie. Una violazione grave delle norme statuarie porta all'invalidità dell' accordo. La maggior parte degli accordi delle organizzazioni internazionali non presenta grande interesse per il giurista (es. gli accordi che le organizzazioni stipulano tra di loro).


INEFFICACIA DEI TRATTATI NEI CONFRONTI DEGLI STATI TERZI: la regola generale è 'pacta tertiis nec nocenti, nec posunt', cioè fa stato solo fra i contraenti. Ma può darsi che si tratti di un TRATTATO APERTO CONTENENTE UNA CLAUSOLA DI ADESIONE. Gli stati terzi potranno aderire, l'unica differenza è nel fatto che essi non abbiano partecipato alla elaborazione dell' accordo e dovrà dimostrarsi che essi abbiano voluto obbligarsi. Le parti di un trattato possono però sempre impegnarsi a tenere comportamenti VANTAGGIOSI PER I TERZI, ma tali vantaggi possono essere sempre revocati 'ad libitum' (anche se ciò non scalfisce la loro natura di veri e propri diritti). La CONVENZIONE VIENNA si conforma a tale indirizzo (Art.34 richiede il consenso del terzo; Art. 35 accettazione espressa scritta del terzo di un obbligo; Art.36 presunzione di consenso del terzo fino a dichiarazione contraria per un diritto; Art.37 revocabilità da parte dei contraenti originari a meno che irrevocabile).

INCOMPATIBILITA' FRA NORME CONVENZIONALI: siamo alla tematica della SUCCESSIONE NEL TEMPO. Premettiamo che un trattato può essere modificato o abrogato da un trattato successivo concluso fra gli stessi contraenti. E se questi coincidono solo in parte? Fra gli stati contraenti di entrambi, prevale il successivo; per quelli che siano parti di uno solo, restano integri entrambi gli obblighi, nonostante l'incompatibilità. Lo stato contraente di entrambi dovrà scegliere, una volta scelto è irrevocabile. La CONONE DI VIENNA segue questo indirizzo (Art. 30 che al paragrafo 5 specifica che questa regolamentazione non si applica in pregiudizio dell' Art. 41 stabilendo che due o più parti di un trattato del genere 'non possono concludere un accordo mirante a modificarlo, sia pure nei loro rapporti reciproci, quando la modifica è vietata dal trattato multilaterale . '). Frequenti sono comunque le CLAUSOLE DI COMPATIBILITA' contenute in un trattato nei confronti di un altro: in questo modo il problema si risolve alla radice. Es. Art. 234 Trattato CE che conferisce agli Stati membri 'tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate precisando che, comunque, il Trattato CE non avrebbe compromesso la validità di convenzioni concluse anteriormente.

LE RISERVE NEI TRATTATI: con questo termine si indica la volontà dello stato di non accettare certe clausole del trattato o di accettarle con talune modifiche o secondo una determinata interpretazione. La riserva ha senso solo nei trattati multilaterali, dato che in quelli bilaterali lo stato non ha che da proporli direttamente alla controparte.
Nel DIRITTO INTERNAZIONALE CLASSICO la possibilità di apporre riserve doveva urare dal testo sottoscritto dai plenipotenziari, alias si poteva ratificare o meno il trattato. Non erano mai ammesse riserve non uranti nel testo.
Nel DIRITTO INTERNAZIONALE MODERNO fondamentale risulta un PARERE DELLA ICJ DEL 1951 secondo cui una riserva poteva essere formulata all' atto della ratifica anche se non urante ne testo 'purché essa sia compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato'. La CONVENZIONE VIENNA dice che una riserva può sempre essere formulata purché non esclusa o incompatibile con l'oggetto del trattato. Se questa non viene contestata entro 12 mesi, la riserva si intende accettata. Anche dopo la convenzione Vienna la disciplina ha continuato ad evolversi. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA PER I DIRITTI DELL' UOMO aggiunge che se uno stato formula una riserva inammissibile, tale inammissibilità non comporta l'estraneità dello stato stesso rispetto al trattato, ma l'invalidità della sola riserva ('utile per inutile non vitiatur').
Quando alla formulazione della riserva concorrono più organi dello stato, cosa succede SE IL GOVERNO NON TIENE CONTO DI UNA RISERVA ESPRESSA DAL PARLAMENTO? Svariate le posizioni dottrinali: quelli che sostengono che il governo POSSA lo giustificano con il fatto che esso è gestore dei rapporti internazionali; quelli che sostengono che il governo NON POSSA richiamano la necessità dell'effettiva collaborazione ex Art. 80 C. Il CONFORTI distingue fra formazione e manifestazione della volontà dello stato da una parte (in questo caso il governo potrebbe) e responsabilità del governo di fronte al parlamento dall' altro (in questo caso il governo non potrebbe). Il discorso è diverso per quanto riguarda il PROFILO DELLA RESPONSABILITA' , caso che ammetterebbe senz'altro l'attivazione dei meccanismi di controllo parlamentare. Sotto il PROFILO INTERNAZIONALE la questione non presenta alcun interesse, conta solo la manifestazione della volontà dello stato.

L'INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI: La tendenza è oggi nel senso dell' ABBANDONO DEL METODO SUBIETTIVISTICO (ricerca della volontà effettiva degli stati) per il METODO OBBIETTIVISTICO (il senso fatto palese dal testo). A favore di questo anche la CONVENZIONE VIENNA (Art. 31 parla del significato ordinario da attribuirsi ai termini; Art. 32 considera i lavori preparatori come mezzo supplementare; Art. 33 nel caso di trattai redatti in più lingue si adotta il significato tenendo conto dell' oggetto e dello scopo). A parte ciò valgono le regole della teoria generale (Artt. 1362 cc. ss con particolare enfasi sull'interpretazione estensiva ed analogica).
Naturalmente queste regole valgono anche per i TRATTATI ISTITUTIVI DI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI. Tali accordi non vanno visti come semplicemente costitutivi di dette organizzazioni e questo è stato reso palese dall' applicazione ad essi della TEORIA DEI POTERI IMPLICITI (ogni organo è titolare non solo dei poteri espressamente attribuitigli, ma anche di tutti quelli necessari per l'esercizio dei poteri espressi). L'applicazione di tale teoria al Trattato CE, ha consentito alla CORTE DI GIUSTIZIA di scavalcare (interpretativamente) la 'deliberazione unanime del Consiglio' prevista dall' Art. 235. Ma una dilatazione oltre misura di questa teoria potrebbe essere controproducente.
La Convenzione Vienna NON AVVALLA INTERPRETAZIONI UNILATERALISTICHE. DUE REGOLE in proposito: 1) per i testi non concordanti, redatti in più lingue ufficiali, si impone un'interpretazione che concilii tutti i testi; 2) nell' interpretazione occorre tenere conto di altre norme internazionali. Tra le 'altre norme' consono incluse quelle proprie degli stati contraenti. A parte questi casi c'è, per i giudici interni, massima libertà di interpretazione.

LA SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI: Questione: quando uno stato si sostituisce all'altro nel governo di un territorio (effettivo e indipendente), è vincolato dai trattati stipulati dal suo predecessore e in vigore in quel territorio? Bisogna distinguere 1) la SUCCESSIONE NEI RAPPORTI INTERNAZIONALI (il problema si pone relativamente ai trattati) 2) dalla SUCCESSIONE NEI RAPPORTI INTERNI (il problema si pone relativamente al debito pubblico):

1) Se ne occupa la CONVENZIONE VIENNA 1978 secondo la quale è pacifico (Art.12) che la successione nei TRATTATI LOCALIZZABILI (che riguardano l'uso di determinate parti del territorio) avvenga secondo il principio del 'res transit cum onere suo'. Lo stesso Art. 12 pone però un LIMITE che riguarda gli accordi che abbiano una prevalente caratterizzazione politica, che siano cioè legati al regime vigente prima del cambiamento di sovranità (es. basi militari straniere). In realtà, più che un limite, si tratta dell' applicazione del principio del 'rebus sic stantibus'.
Passiamo a vedere anche i TRATTATI NON LOCALIZZABILI: qual è la loro sorte? Prassi confusa, risposta difficile. Il CONFORTI pensa che la regola base sia quella della TABULA RASA secondo la quale lo stato subentrante non sarebbe vincolato. Esaminiamo qui di seguito le singole ipotesi di mutamento di sovranità assumendo come punto di partenza la regola della 'tabula rasa':
a) DISTACCO di una parte del territorio = tabula rasa per la parte distaccatasi (secessione) che formi uno o più nuovi stati. Se quest' ultima si aggiunge ad altro stato preesistente ad essa si estenderanno automaticamente gli accordi vigenti nello stato che acquista il territorio ('principio della mobilità delle frontiere'). La Convenzione Vienna accoglie la 'tabula rasa' per gli ex territori coloniali, mentre accoglie 'la continuità dei trattati' negli altri casi. I TRATTATI BILATERALI conclusi dal predecessore potranno continuare ad avere valore solo con un rinnovo (anche tacito) della parte distaccatasi; mentre per i TRATTATI MULTILATERALI aperti ad adesione il principio della 'tabula rasa' subisce un'eccezione: non c'è bisogno di un nuovo accordo, basta la NOTIFICAZIONE DI SUCCESSIONE. Con questo atto la sua partecipazione retroagisce al momento dell'acquisto dell'indipendenza (ex tunc), mentre la semplice adesione ha effetto ex nunc.
b) SMEMBRAMENTO: mentre la successione non implica l'estinzione dello stato che la subisce, nello smembramento lo stato si estingue e si formano due o più nuovi stati. L'unico criterio idoneo a distinguere le due ipotesi è quello della continuità o meno dell' organizzazione di governo preesistente. Ai fini della successione nei trattati lo smembramento è da assimilare al distacco = 'tabula rasa' per tutti i nuovi stati, temperata dalla facoltà della notificazione di successione.
c) INCORPORAZIONE è opposta al distacco e si ha quando uno stato, estinguendosi, entra a far parte di un altro stato. All'incorporazione si applica la regola della 'mobilità delle frontiere dei trattati' (al territorio incorporato si estendono i trattati dell' incorporante).
d) FUSIONE speculare allo smembramento, si ha quando due o più stati si estinguono e danno vita ad uno stato nuovo. Allo stato sorto dalla fusione si applica il criterio della 'tabula rasa'. Un' ECCEZIONE (Artt. 31-33 Convenzione Vienna) alla 'tabula rasa', sia nel caso della fusione che in quello dell' incorporazione si ha quando le comunità incorporate o fuse continuino a conservare, all'interno del nuovo stato, una certa autonomia (di tipo federalistico o meno), nel qual caso vale la 'continuità degli accordi'.
Un problema di successione si pone anche nel caso di MUTAMENTO EXTRALEGALE DI GOVERNO (es.Colpo di Stato). Si applicherà la 'tabula rasa' o la successione nei trattati? La prassi è per la seconda, ma più che un' eccezione si tratta del principio 'rebus sic stantibus'. Una parte della dottrina addirittura sostiene che la persona dello stato neppure si estingua per effetto dei mutamenti rivoluzionari, mantenendo le convenzioni in vigore.

2) Per la SUCCESSIONE NEI RAPPORTI INTERNI si fa questione del DEBITO PUBBLICO. Fra l'alto può darsi che il debito non sia stato contratto dal predecessore nell' ambito del proprio diritto interno, ma in base ad un accordo internazionale con altro stato. In questo caso = 'tabula rasa' salvo i 'debiti localizzabili' (contratti con esclusivo riguardo al territorio oggetto dal cambio di sovranità) anche se la prassi più recente è nel senso di un equa ripartizione.

CAUSE DI INVALIDITA' ED ESTINZIONE DEI TRATTATI: La disciplina di queste, analoga a quella propria dei contratti, è contenuta nelle norme consuetudinarie (precisamente nei principi generali di diritto). La CONVENZIONE VIENNA prevede le CAUSE D'INVALIDITA' agli Artt. 48-51 e sono: ERRORE ESSENZIALE circa una fatto o una situazione che uno stato supponeva esistente al momento della conclusione del trattato; DOLO cioè la corruzione dell'organo stipulante; VIOLENZA esercitata sull'organo stipulante.
Sono invece CAUSE DI ESTINZIONE: CONDIZIONE RISOLUTIVA, TERMINE FINALE, DENUNCIA, RECESSO INADEMPIMENTO, SOPRAVVENUTA IMPOSSIBILITA' DELL' ESECUZIONE, ABROGAZIONE TOTALE O PARZIALE MEDIANTE ACCORDO SUCCESSIVO.
Tra le CAUSE DI INVALIDITA' abbiamo visto LA VIOLENZA esercitata sull'organo, così come sullo stato nel suo complesso. La Convenzione Vienna (Art. 52) dice che ' è nullo ogni trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l'uso della forza' soprattutto quando fra i due vi sia un rapporto immediato e indiretto. Precisiamo che si tratta della minaccia della FORZA ARMATA, non di pressioni politiche o economiche.
Tra le CAUSE DI ESTINZIONE degli accordi internazionali, la più tipica è quella contenuta nella clausola del REBUS SIC STANTIBUS. Si ritiene cioè che il trattato si estingua in tutto o in parte per il mutamento di circostanze di fatto esistenti al momento della stipulazione, purché essenziali. Ed è proprio questa essenzialità che rappresenta il temperamento introdotto dalla Convenzione Vienna (Art. 62) al principio. Ma il principio de qua, seppur inteso restrittivamente, ha comunque una sfera di applicazione abbastanza ampia, in quanto varie regole del diritto dei trattati ne costituiscono una SPECIFICAZIONE (es. la regola circa gli effetti della guerra sui trattati; si tratta dello stesso principio applicato ad un'ipotesi tipica). Approfondiamo: LA GUERRA E' CAUSA DI ANNULLAMENTO DEI TRATTATI? Ovvio è che essi non trovino applicazione durante le ostilità, ma dopo? Una parziale soluzione è offerta dall' Art. 44 TRATTATO PACE PARIGI 1947: le potenze vincitrici avrebbero notificato all' Italia, entro 6 mesi, quali accordi bilaterali intendessero mantenere. E per i trattati multilaterali? La regola classica era nel senso dell' estinzione, ma questa è stata affievolita dalla prassi che è venuta negando l'effetto estintivo della guerra. La valutazione del 'rebus sic stantibus' verrà operata di volta in volta.


QUANDO SI VERIFICA UNA CAUSA DI ESTINZIONE O INVALIDITA', QUALI SONO I MEZZI PER FARLA VALERE? Controverso il diritto consuetudinario in materia: c'è chi propende per l'automaticità, altri che sia necessaria una denuncia notificata ai contraenti, altri ancora che i trattato continui fino a quando non sia accertata la sua invalidità o estinzione in modo imparziale. Indubbiamente la materia risente della mancanza nella comunità internazionale, di una funzione giurisdizionale istituzionalizzata. Il CONFORTI sostiene che l'automaticità vada in linea di massima riconosciuta, ma in un senso ben circoscritto. Chiunque debba applicare il trattato (operatori giuridici interni) non può non decidere se il trattato sia ancora in vigore o meno. Saranno dunque i giudici nazionali a deciderlo nelle loro sentenze, ma solo per il caso concreto a loro sottoposto. E' chiaro che queste decisioni si riverberano sulla prassi internazionale. Così intesa L'AUTOMATICITA' NON E' ALTERNATIVA ALLA PROCEDURA DELLA DENUNCIA. Quest' ultima serve per manifestare la volontà dello stato di sciogliersi un volta per tutte dal vincolo contrattuale. E' la denuncia sufficiente a produrre la cessazione del vincolo? Sul piano interno indubbiamente si, a livello internazionale gli altri contraenti non sono vincolati da questa denuncia unilaterale, cosicché in caso di disaccordo si aprirà una fase di incertezza sul piano internazionale dalla quale si uscirà solo con un nuovo accordo.
VEDIAMO LA PROCEDURA PER FAR VALERE L'INVALIDITA' O L'ESTINZIONE: Essa è prevista dagli Artt.65-68 CONVENZIONE VIENNA. Lo stato deve NOTIFICARE PER ISCRITTO la sua intenzione alle altre parti; trascorsi
TRE MESI senza obiezioni, la dichiarazione diviene DEFINITIVA e il trattato diviene invalido o estinto. NEL CASO DI OBIEZIONI debbono cercare una SOLUZIONE ENTRO 12 MESI. Trascorsi ciascuna parte può attivare una complessa PROCEDURA CONCILIATIVA che fa capo alla Commissione NU e non sfocia neppure in una decisione obbligatoria. Una decisione obbligatoria potrà essere richiesta alla ICJ, ma solo se si tratta di un'invalidità fondata sul 'ius cogens'. Nei rapporti tra paesi che aderiscono alla Convenzione questa procedura si sostituisce all' atto di denuncia.

LE FONTI PREVISTE DA ACCORDI:

LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI:

A) LE NAZIONI UNITE: (vedi appunti Libro 2)

B) GLI ISTITUTI SPECIALIZZATI E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI: In campo economico e sociale opera tutta una serie di organizzazioni internazionali sia a carattere universale che a carattere regionale. Un gran numero di organizzazioni universali assume il nome di istituti specializzati delle NU. Trattasi di organizzazioni autonome, sorte da trattati del tutto distinti dalla Carta delle NU. Il collegamento tra queste e le NU avviene attraverso un ACCORDO che dal lato delle NU è negoziato dal CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIALE E APPROVATO DALL' ASSEMPBLEA GENERALE. Questo rapporto si è intensificato nel quadro della collaborazione ai PROGRAMMI PER LO SVILUPPO (UNDP) promossi dalle NU. Anche gli istituti specializzati, come le NU, emanano RACCOMANDAZIONI non vincolanti, anche se si danno atti vincolanti (es. ICAO, OMS . ).
VEDIAMO QUALI SONO:
1. FAO (Food and Agricultural Organization): creata nel 1945 ha assorbito il vecchio Istituto Internazionale di Agricoltura. Si COMPONE della Conferenza, del Consiglio e del Direttore Generale. Le sue FUNZIONI sono quelle dell' attività di ricerca e informazione, di esecuzione di programmi e assistenza tecnica.
2. ILO (International Labour Organization): creata nel 1945 si COMPONE di una Confererenza Generale, del Consiglio di Amministrazione, dell' Ufficio Internazionale del Lavoro e del Direttore generale. Le sue FUNZIONI sono di emanare raccomandazioni e di predisporre progetti di convenzione.
3. UNESCO (UN Educational Scientific and Cultural Organisation): Si COMPONE della Conferenza Generale, del Comitato Esecutivo e del Segretariato. La FUNZIONE è quella di promuovere lo sviluppo dei mezzi di educazione e di diffondere la cultura.
4. ICAO (International Civil Aviation Organization): Fra le FUNZIONI quella di emanare, sotto forma di allegati alla Convenzione, tutta una serie di disposizioni relative al traffico aereo. Si tratta di atti vincolanti.
5. WHO (World Health Organization): Detta OMS, ha fra le sue FUNZIONI l'obiettivo di perseguire il conseguimento da parte di tutti i popoli del livello più alto possibile di salute. Dispone di un certo potere vincolante.
6. IMO (International Marittime Organization): Creata nel 1958, si occupa dei problemi relativi alla sicurezza ed efficienza dei traffici marittimi ma emanando raccomandazioni non vincolanti.
7. ITU (International Telecommunication Union); WMO (World Meteorological Organization); UPU (Universal Postal Union): Creati da circa un secolo, si occupano del coordinamento delle attività statali e predispongono testi convenzionali e regolamenti. Mentre i regolamenti di WMO e UPU non sono vincolanti, lo sono quelli dell' ITU.
8. IMF (International Monetary Found); IBRD (International Bank for Reconstruction and Development); IFC (International Finance Corporation); IDA (International Development Association): I primi due sono del 1944, istituiti con gli accordi di Bretton Woods. Il FONDO si COMPONE del Consiglio dei Governatori, il Consiglio di Amministrazione e il Direttore Generale. Le sue FUNZIONI sono di promuovere la collaborazione monetaria, la stabilità dei cambi, l'equilibrio delle varie bilance dei amenti e dispone di un capitale di riserva per fronteggiare gli squilibri. La BANCA ha un cospicuo capitale sottoscritto dagli stati membri e può loro concedere mutui per investimenti.
9. IFAD (International Fund for Agricultural Development): Nata nel 1977, si occupa dello sviluppo dell' agricoltura dei paesi poveri con deficit alimentare notevole. L'organo deliberante dell' Organizzazione è sotto il controllo dei paesi in via di sviluppo.
10. WIPO (World Intellectual Propiety Organization): Dal 1970 si occupa dei problemi relativi alla proprietà intellettuale.
11. UNIDO (UN Industrial Development Organization): Attiva dal 1979 è costituita dall' Assemble, dal Consiglio ed un Segretariato. Le sue funzioni sono di tipo operativo, non normativo.
12. IAEA (International Atomic Energy Agency): Promuove lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche dell' energia atomica.
13. WTO (World Trade Organization): Indipendente dalla NU fu creata nel 1994 e consta di circa 135 stati. Tra le funzioni, quello di trovare un forum per i negoziati relativi alla massima liberalizzazione del commercio. Vegli altresì sull'esecuzione di tutti i trattati (es. GATT, GATS . ). Le sue decisioni sono vincolanti.

C) LE COMUNITA' EUROPEE E L'UNIONE EUROPEA: Le tre comunità europee (CE, CECA, EURATOM) sono le organizzazioni internazionali maggiormente dotate di poteri decisionali nei confronti degli stati che ne fanno parte. Sono gli esempi più cospicui di fonti di norme internazionali previste da accordi. La CECA nasce a Parigi nel 1951, CE e EURATOM a Roma nel 1957. Modifiche di rilievo si avranno con L'ATTO UNICO EUROPEO (1986), IL TRATTATO DI MAASTRICHT (1992) e il TRATTATO DI AMSTERDAM (1998). Con il secondo dei tre si determina l' UE che si fonda sulle prime tre comunità e su azioni comuni di politica estera, giustizia e affari interni. Inoltre una serie di innovazioni come il rafforzamento del Parlamento Europeo, la creazione della cittadinanza europea, l'unione economica e monetaria, la BCE, l' euro. Delle tre comunità la CE è la più importante, perché investe tutta la vita economica e sociale degli stati membri, determinando la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali al suo interno. Inoltre la libera concorrenza, la politica agricola, dei trasporti, commerciale, gli incentivi alle imprese, la sicurezza sociale, la politica economica e monetaria, lo sviluppo ecologico .
SI DICUTE SULLA NATURA GIURIDICA DELLA CE : vere e proprie organizzazioni internazionali oppure frammenti di uno stato federale? La sovranità degli stati membri non viene intaccata, centro del potere decisionale rimangono ancora gli esecutivi nazionali.


PASSANDO ALLA STRUTTURA:
1. COMMISSIONE: composta da individui che vi siedono a titolo personale (sopranazionale). Nella CECA la Commissione è l'organo decisionale, mentre nella CE lo è il Consiglio in modo tale da fare tornare i poteri nelle mani degli stati.
2. CONSIGLIO: rappresenta i 15 stati ed è presieduto a turno (6 mesi) dagli stati, nelle persone dei loro ministri. Al Consiglio è venuto sovrapponendosi il CONSIGLIO EUROPEO nato dalle riunioni dei capi di stato e di governo. Questo è diventato l'organo dell' Unione con compiti specifici di politica estera e cooperazione in materia di giustizia e affari interni.
3. PARLAMENTO EUROPEO: formato nel 1979 è composto da rappresentanti dei popoli degli stati membri, eletti a suffragio universale e diretto. Non è l'organo legislativo, ma ha funzioni di controllo politico sulle altre istituzioni, esamina i rapporti, istituisce commissioni d'inchiesta, mozioni di censura, partecipa nelle procedure di cooperazione e codecisione. Ad avere l'ultima parola è però sempre il Consiglio anche se il Parlamento può respingere, a maggioranza assoluta, un atto legislativo adottato dal Consiglio (potere di veto). Restano escluse le materie di capitale importanza come quelle della politica agricola e commerciale.
4. CORTE DEI CONTI: effettua il controllo su tutte le entrate e spese della comunità. E' composta di 15 persone indipendenti.
5. CORTE DI GIUSTIZIA: veglia sul rispetto dei trattati e può, tra l'altro, essere adita anche dagli individui.
PASSIAMO ALLA LEGISLAZIONE COMUNITARIA: La legislazione comunitaria è importante per il fatto che i trattati sono programmatici e si rimettono alla normativa emessa dai singoli organi, in particolare dal Consiglio. L'Art.189 Trattato CE prevede:
1. REGOLAMENTI: si sostituiscono o sovrappongono alla legislazione degli stati membri. Il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi. Essi entrano in vigore dopo una 'vacatio legis' di 20 gg dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea.
2. DECISIONE: non ha portata generale ed astratta, ma concreta. Essa può indirizzarsi ad uno stato, ad un individuo o ad un'impresa. E' vincolante ed acquista efficacia in seguito alla notificazione al soggetto.
3. DIRETTIVA: vincola lo stato membro a cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere salvo agli stati la scelta della forma e dei mezzi. Entra in vigore a seguito della pubblicazione in GU. Appare chiaro che la direttiva dovrebbe limitarsi all'enunciazione di principi e criteri generali. Spesso, però, dato il contenuto dettagliato della direttiva, la discrezionalità dello statosi riduce alla mera scelta della veste giuridica da dare all' atto. Senza dubbio le DIRETTIVE DETTAGLIATE si discostano dal 189, ma nella prassi non è mai stata posta la questione circa la loro legittimità. ½ è poi un'ulteriore categoria di ATTI COMUNITARI ATIPICI (es. le decisioni prese dai rappresentanti degli stati membri in quanto tali, fuori dalle procedure comunitarie). Questo genere di atti possono essere ascritti alla categoria degli accordi in f.s.
Come tutte le organizzazioni internazionali, anche la CE CONCLUDE ACCORDI INTERNAZIONALI. L'Art.228 indica gli ORGANI COMPETENTI a fare ciò. Gli accordi conclusi diventano vincolanti per gli stati membri (attenzione: eccezione alla regola generale). Può trattarsi di ACCORDI DI ASSOCIAZIONE o addirittura di ACCORDI COMMERCIALI. La competenza della CE a concludere accordi internazionali, ha carattere 'esclusivo', ed è per questo che si è formata la pratica delle autorizzazioni accordate dal Consiglio ai singoli stati per la conclusione di accordi con terzi. Di qui anche la partecipazione di stato e CE ai cd. ACCORDI MISTI. A parte questi accordi previsti, può la CE stipularne altri in materie regolate dal trattato? La risposta dovrebbe essere negativa secondo la Corte di giustizia. Diciamo 'dovrebbe' perché nella giurisprudenza della Corte, basante sulla difficile distinzione fra competenze 'interne' ed 'esterne' della Comunità, vi sono ancora alcune zone d'ombra.

D) IL CONSIGLIO D'EUROPA E GLI ORGANI EUROPEI PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI: Subito dopo la seconda guerra mondiale furono create diverse organizzazioni e furono stipulate svariate convenzioni per la tutela dei diritti umani. Fra queste ricordiamo (mischiando un po organizzazioni e trattati):
1. OCSE: è l' Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, ha finora rappresentato il gruppo di paesi industrializzati contrapposti al terzo mondo.
2. CONSIGLIO D'EUROPA: comprende 40 stati membri. SCOPO è quello di conseguire una stretta unione fra i suoi membri per salvaguardare, promuovere e favorire il loro progresso economico e sociale. ORGANI sono il Comitato dei Ministri degli Esteri, l' Assemblea Consultiva dei rappresentanti parlamentari nazionali e il Segretariato con a capo il Segretario Generale. Il COMITATO DEI MINISTRI è competente a decidere, a maggioranza qualificata, se vi sia stata effettivamente una violazione della Convenzione. La decisione aveva effetti giuridici di rilievo: Il Comitato dei Ministri ha cessato la sua attività dal 1999.
3. COMMISSIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL' UOMO: è composta di tanti membri quanti sono gli stati, eletti per 6 anni dal Consiglio d' Europa, vi siedono a titolo personale. Prima della riforma del 1998 aveva una funzione istruttoria e di conciliazione in ordine ai ricorsi. Dopo la riforma si limita a redigere i rapporti.
4. CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL' UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI: firmata a Roma nel 1950 contiene norme di carattere sostanziale (catalogo dei diritti e delle libertà) e procedurale (Commissione e Corte Europea dei Diritti dell' Uomo, successivamente, 1998, fuse in un' unica Corte).
5. CONVENZIONE AMERICANA SUI DIRITTI DELL'UOMO: sulla scorta di quella europea fu creata nel 1969.
6. CARTA AFRICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEI POPOLI: entrata in vigore nel 1986. Unico organo da essa istituito è la Commissione.
7. PATTI DELLE NAZIONI UNITE SUI DIRITTI DELL'UOMO: sono del 1966 e riguardano diritti economici, sociali, culturali, civili e politici. Questi ultimi sono supervisionati dal COMITATO PER I DIRITTI DELL'UOMO. Questo si COMPONE di 18 membri che vi siedono per 4 anni a titolo personale: Le sue FUNZIONI sono quelle di prendere in esame i reclami presentati contro uno stato o un individuo. La procedura non sfocia mai in atti vincolanti.
8. LE RACCOMANDAZIONI DEGLI ORGANI INTERNAZIONALI: abbiamo visto che le raccomandazioni, mai vincolanti, sono gli atti tipici degli organi delle NU. Pur non essendo vincolanti producono comunque un EFFETTO DI LICEITA' secondo cui lo stato che viola impegni precedentemente assunti per dare seguito ad una raccomandazione, non commetterebbe illecito. Ovviamente ciò solo in relazione alle raccomandazioni legittime, o meglio strettamente conformi alle norme statuarie. Manca tuttavia un organo che giudichi tale liceità. Ne consegue quindi che l'effetto di liceità potrà verificarsi fra quegli stati che hanno votato a favore della raccomandazione, in quanto nel voto contrario è implicita una dissociazione dall' atto. Taluni ritengono che sia illecita la violazione REITERATA delle raccomandazioni. La tesi è inaccettabile perché tendente a conferire alle raccomandazioni un effetto obbligatorio che esse non hanno.

TRACCIAMO UN QUADRO DELLA GERARCHIA DELLE FONTI INTERNAZIONALI:
1. CONSUETUDINE (compresi i PRINCIPI GENERALI DELLE NAZIONI CIVILI)
2. TRATTATO (o ACCORDO)
3. FONTI PREVISTE DA ACCORDI INTERNAZIONALI
QUALI SONO I RAPPORTI FRA QUESTE FONTI?
1. RAPPORTO CONSUETUDINE-ACCORDO: ricordiamo che una norma di grado inferiore può derogare ad una di grado superiore, se questa lo consente. Essendo le norme consuetudinarie FLESSIBILI ciò sarà possibile da parte delle norme convenzionali (e ciò vale anche per la categoria dei principi generali delle nazioni civili). Fanno eccezione alla flessibilità le norme di IUS COGENS, cioè la NORMA IMPERATIVA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale (Artt. 53 e 64 Convenzione Vienna). La Convenzione Vienna non ci dice però quale sia questo diritto cogente. Neanche in dottrina si ha un orientamento unanime.

CONFORTI: lo IUS COGENS sarebbe previsto dall' Art. 103 Carta NU secondo cui in caso di contrasto fra obblighi internazionali e obblighi derivanti dalla Carta prevarranno le norme del presente Statuto. Questa norma finisce per diventare 'ius cogens'. La riprova è data dalla stessa CONVENZIONE VIENNA ALL' ART. 30 quando, definendo la regola secondo cui le norme successive abrogano quelle anteriori, fa espressa riserva all' Art. 103 Carta NU. La SFERA DI APPLICAZIONE DEL 103: settore del mantenimento della pace, il campo economico e sociale (collaborazione fra stati), il settore umanitario (rispetto della dignità umana). Ma finché si rimane sul generale il 103 ha scarsa applicazione. Solo passando a norme più circoscritte e dettagliate è possibile il ricorso al 103. Una norma del genere nella Carta è quella relativa al mantenimento della pace ( in particolare all'obbligo di rispettare la dichiarazione di 'embargo' decisa dal Consiglio di Sicurezza NU). Concludiamo specificando che fanno parte delle norme cogenti, e quindi inderogabili, anche le norme relative all' INVALIDITA' E L'ESTINZIONE DEI TRATTATI.
2. RAPPORTO ATTI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI-STATUTI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI: ricordando che gli statuti delle organizzazioni internazionali sono posti in essere mediante trattati, questo problema va risolto caso per caso.
3. RAPPORTI ATTI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI-CONSUETUDINE: rimane anche nei confronti di questi la regola della 'flessibilità' delle norme consuetudinarie, eccezion fatta per lo 'ius cogens'.


IL CONTENUTO DELLE NORME INTERNAZIONALI:

LIMITE ALL' USO DELLA FORZA: questo rappresenta il filo conduttore attorno al quale ruota il diritto internazionale. Precisiamo che per FORZA INTERNAZIONALE è da intendersi quella di uso bellico. Più complesso il concetto di FORZA INTERNA intesa come il potere di governo esplicato sugli individui e sui loro beni. Che cosa deve intenderesi con il potere di governo delimitato dal diritto internazionale? Precisiamo che non si può identificare semplicemente l'esercizio della coercizione come uso della forza materiale, ma bisogna anche guardarsi dall' identificarla come mera attività normativa astratta. Finché al comando non segue la sua concreta applicazione non vi sarà violazione del diritto internazionale. Deve sempre esservi un contenzioso su questioni concrete. CONFORTI: non basta nemmeno l'emanazione di comandi concreti (questa sarebbe la tesi sostenuta dalla dottrina anglosassone). E' in generale l'attività di mero comando (concreto o meno) che non sarebbe idonea a determinare una violazione del diritto internazionale. Si può dunque concludere che il potere di governo dia qualsiasi intervento concreto degli organi statali.
La materia del limite all' uso della forza internazionale, considerato il divieto generale della forza di tipo bellico, viene in rilievo sotto il profilo della LEGITTIMA DIFESA.
MA COMINCIAMO DAI LIMITI ALL'USO DELLA FORZA INTERNA: LA SOVRANITA' TERRITORIALE
Con la fine del Sacro Romano impero la sovranità territoriale venne concepita come una sorta di diritto di proprietà dello stato. Relativamente al suo CONTENUTO si continua a discutere sulla NATURA GIURIDICA INTERNAZIONALE del territorio. Come può definirsi questo contenuto? Possiamo dire che il diritto internazionale attribuisce ad ogni stato il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulla comunità territoriale. La violazione della sovranità territoriale si ha solo con la presenza non autorizzata dell' organo straniero nel territorio.
Il potere di governo non è però solo quello esecutivo, è anche LIBERO (ancorché parzialmente limitato) di fare ciò che vuole nel suo stato. Le ECCEZIONI A TALE LIBERTA' riguardano il trattamento degli stranieri, agenti diplomatici e stati stranieri, ma anche (e soprattutto) quelli che perseguono valori di collaborazione internazionale, solidarietà e giustizia tra i popoli. Relativamente all' ACQUISTO DELLA SOVRANITA' TERRITORIALE vale il principio dell' EFFETTIVITA'.
Attuale è il PROBLEMA DEGLI ACQUISTI DI TERRITORI IN VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI, oppure in violazione del principio di autodeterminazione dei popoli. I tentativi fatti dopo la seconda guerra mondiale di limitare la portata del principio di effettività (per evitare violente espansioni territoriali) è fallito.
Oggi le norme consuetudinarie tendono a negare gli effetti extraterritoriali agli atti di governo di un territorio illegittimamente acquistato, sempreché l'acquisto sia contestato dalla più gran parte degli stati. Acquisto e perdita, lo ricordiamo, si hanno anche in relazione a vicende relative alla vita dello stato, come distacco, cessione o incorporazione.

VEDIAMOLI NEL DETTAGLIO QUESTI LIMITI TERRITORIALI:

A) IL TRATTAMENTO DEGLI STRANIERI: Questo rappresenta uno dei limiti classici alla sovranità territoriale. DUE SONO I PRINCIPI:
a) ALLO STRANIERO NON POSSANO IMPORSI PRESTAZIONI che non si giustifichino con un sufficiente attaccamento dello stesso con la comunità territoriale (es.servizio militare, sanzioni penali se non di fronte a reati che presentino qualche collegamento con lo stato o i suoi sudditi oppure quelli collegati con qualsiasi comunità territoriale come i 'crimina iuris gentium' rispetto ai quali c'è l'universalità della giurisdizione penale secondo cui ogni stato può, ma non deve, punire). A proposito dell' ultimo es. in parentesi: la giurisdizione penale dello stato, in materia di crimini contro l'umanità, risulta limitata quando ad essa concorra la ICJ oppure altra CORTE INTERNAZIONALE (Tribunale di Norimberga, Tribunale per i crimini nella ex Jugoslavia, in Randa . ). Quello della ex Jugoslavia, composto da due camere di prima istanza e una d'appello, funziona in base ad uno Statuto allegato alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza e ad un Regolamento. Sussiste la PRIMACY rispetto alle Corti nazionali e gli stati debbono consegnare l'imputato alla Corte Internazionale. Questa Corte, a differenza di quella di Norimberga e di Tokio, non ha la materiale disponibilità degli imputati, risiedendo fuori del territorio in cui i crimini sono stati commessi. Alla luce di queste premesse va valutato lo Statuto della CORTE PENALE INTERNAZIONALE adottato a Roma nel 1998. esso prevede che la competenza della Corte sia complementare rispetto a quella degli stati, quando questi non vogliano o non possano perseguire il crimine commesso.
b) L'OBBLIGO DI PROTEZIONE da parte dello stato che deve predisporre le misure idonee a prevenire (adeguatamente alle circostanze e mediante l'apparato di polizia) e reprimere (attraverso l'apparato giurisdizionale, evitando il diniego di giustizia) le offese contro la persona e i beni.
SU QUESTI DUE PRINCIPI SE NE INNESTANO ALTRI:
c) PROTEZIONE DEGLI INVESTIMENTI STRANIERI richiesta soprattutto da un folto gruppo di paesi in sviluppo ed inquadrabili nel 'nuovo ordine economico internazionale'. Questi sostengono che ogni stato dovrebbe disciplinare gli investimenti in conformità alle sue leggi e regolamenti ed ai suoi obiettivi di politica economica e sociale. Una simile regola può anche rappresentare la regola di diritto internazionale in materia di investimenti, a patto che lo stato non arrivi ad un' INIQUA REMUNERAZIONE DEL CAPITALE STRANIERO.
d) ESPROPRIAZIONE E NAZIONALIZZAZIONE DI BENI STRANIERI la prassi in materia risale alle grandi nazionalizzazioni sovietiche per continuare con le nazionalizzazioni da parte degli stati est europei e con quella delle comnie petrolifere da parte degli stati arabi. Nessuno dubita ne della capacità degli stati di espropriare, ne vi è controversia circa la questione dei motivi di pubblica utilità. L'unica questione riguarda l' INDENNIZZO. Questo sussiste sempre, ed è sempre stato applicato, ma grande incertezza sussiste circa LE MODALITA' E IL QUANTUM DOVUTO. L'indennizzo viene corrisposto nei modi più vari e spesso è oggetto di transazione tra lo stato nazionalizzante e quello di appartenenza degli espropriati con i cd. ACCORDI DI COMPENSAZIONE GLOBALE ('lump sum agreements'). Se l'accordo interviene fra gli stati, lo stato di appartenenza può anche sacrificare, in vista di altri vantaggi, l'interesse del privato. Solo se non sussistono neanche questi accordi si può parlare di illecito.
e) RISPETTO DEI DEBITI PUBBLICI questo si riallaccia alla protezione degli interessi patrimoniali stranieri. La dottrina tradizionale era favorevole alla SUCCESSIONE NEL DEBITO, ma nella prassi più recente si è sostenuto che l'accollo dello stato subentrante debba ispirarsi a motivi di carattere pratico più che alla convinzione di dover rispettare precise norme di diritto internazionale. Lo stato subentrante sarebbe tenuto per i DEBITI LOCALIZZABILI ed esonerato per quelli generali.
f) AMMISSIONE ED ESPULSIONE DEGLI STRANIERI nessun limite, piena libertà dello stato. Ovviamente non con modalità che risultino 'oltraggiose'. Numerose sono gli accordi internazionali (CONVENZIONI DI STABILIMENTO) con i quali ciascuna parte si obbliga ad un TRATTAMENTO DI PARTICOLARE FAVORE. Particolari le norme sul diritto di stabilimento (Artt. 52 ss Trattato CE). Se lo stato viola queste norme, commette un ILLECITO INTERNAZIONALE. Lo stato dello straniero maltrattato potrà assumere la sua difesa sul piano internazionale, ma non prima che lo straniero abbia esaurito tutte le procedure. Occorre cioè che l'azione sia DEFINITIVA. DOTTRINA CALVO: l'istituto della protezione diplomatica è oggetto di contestazione limitatamente ai rapporti economici. Secondo la questa dottrina le controversie in tema di trattamento degli stranieri sarebbero di esclusiva competenza dei TRIBUNALI DELLO STATO LOCALE. Questo in base alla CLAUSOLA CALVO (rinuncia di protezione del proprio stato) inserita nei contratti delle imprese. La clausola Calvo non va drammatizzata, ma nessuno può costringere uno stato, accusato di aver violato le norme sul trattamento degli stranieri, a trattare la questione sul piano internazionale mediante arbitrato. Qual è in tutto ciò, il RUOLO DEI GIUDICI INTERNI? Questi possono evitare che lo straniero ricorra alla protezione del proprio stato ed essere in grado di tutelarlo più del suo stesso stato nazionale (che magari ha sacrificato l'interesse del maltrattato per altri vantaggi). Fra l'altro la PROTEZIONE DIPLOMATICA può essere esercitata sia a difesa della PERSONA FISICA che della PERSONA GIURIDICA. Va però detto che la NAZIONALITA' DELLA PERSONA GIURIDICA non è altrettanto definita. Si tende a seguire l'attribuzione della nazionalità in base allo stato in cui è stata COSTITUITA O HA LA SEDE PRINCIPALE, piuttosto che quella di APPARTENENZA DELLA MAGGIORANZA DEI SOCI. E' dubbio se la regola secondo cui lo stato nazionale della società può esercitare la protezione diplomatica sia senza eccezioni. Questo perché spesso gli investimenti all'estero avvengono mediante la costituzione di società locali di cui la società madre ha il controllo.

B) IL TRATTAMENTO DEGLI ORGANI STRANIERI (AGENTI DIPLOMATICI): Le immunità riguardano gli agenti dal momento in cui entrano nel territorio al momento in cui escono. La presenza dell' agente è subordinata alla volontà dello stato ospitante attraverso il GRADIMENTO. L'espulsione viene determinata attraverso la CONSEGNA DEI PASSAPORTI E L'INGIUNZIONE a lasciare, entro un certo termine, il paese. LE IMMUNITA' DIPLOMATICHE SONO:
a) INVIOLABILITA' PERSONALE con particolari misure preventive e repressive, anche e soprattutto nella sottrazione del diplomatico a qualsiasi misura di polizia diretta contro la sua persona.
b) INVIOLABILITA' DOMICILIARE riguardante sia la sede della missione diplomatica che quella di abitazione privata. Una volta si parlava di 'extraterritorialità'.
c) IMMUNITA' ALLA GIURISDIZIONE PENALE E CIVILE distinguendo fra ATTI FUNZIONALI E ALTRI ATTI PRIVATI. I primi sono coperti dall' immunità funzionale per garantire all' agente l'indisturbato esercizio della sua attività, non potendo essere citato in giudizio neanche una volta cessate le sue funzioni (NON IMPUTABILITA'). I secondi, dal carattere esclusivamente processuale (NON PROCEDIBILITA'), sono immuni per lo stesso motivo dei primi, ma l'agente non è dispensato dall'osservare la legge e una volta cessate le sue funzioni potrà essere sottoposto a giudizio.
d) IMMUNITA' FISCALE sussiste esclusivamente per le IMPOSTE DIRETTE PERSONALI, ma per tutto il personale diplomatico delle missioni e anche per le loro famiglie. Esso comprende persino il personale tecnico e amministrativo della missione, con esclusione degli impiegati che siano cittadini dello stato territoriale. Si ritiene che dette immunità spettino anche ai Capi di Stato, di Governo e ai Ministri degli Esteri. Per qualsiasi altro soggetto statale non ci sono immunità, neanche per i Consoli (i quali però godono almeno dell'immunità funzionale).

C) IL TRATTAMENTO DEGLI STATI STRANIERI: La questione è se ed in quali limiti vi è anche qui la NON INGERENZA negli affari di altri stati, principio che va via via perdendo la sua autonomia con l'affermarsi di altre regole fra cui quella del DIVIETO DELL' USO DELLA MINACCIA O DELLA FORZA. Fra le possibili applicazioni del principio della non ingerenza vengono in rilievo gli interventi dello stato diretti a condizionare le scelte di politica interna ed internazionale di un altro stato come nel caso delle MISURE DI PRESSIONE ECONOMICA o di AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI. Ci si chiede se dal principio di non ingerenza derivi l'obbligo di impedire che nel proprio territorio si tengano comportamenti che possano TURBARE L'ORDINE PUBBLICO. Non c'è una regola generale, l'unica regola è quella del divieto della PREPARAZIONE DI ATTI TERRORISTICI diretti contro altri stati. Tutto il resto appartiene alla sfera convenzionale.
Il problema più interessante riguarda il fatto se gli stati stranieri siano assoggettabili alla GIURISDIZIONE CIVILE dello stato territoriale. Nel secolo scorso si era ancora a favore di una immunità assoluta degli stati stranieri. Sono state la giurisprudenza italiana e quella belga a determinare un'inversione di tendenza forgiando L'IMMUNITA' RISTRETTA O RELATIVA, oggi comunemente ammessa. Secondo questa dottrina l'esenzione degli stati stranieri sarebbe limitata agli ATTI IURE IMPERII e non agli ATTI IURE GESTIONIS O IURE PRIVATORUM. Fra questi in particolare l'ambito del LAVORO presso ambasciate, istituti di cultura ed altri uffici stranieri. Difficile però dire quali aspetti vadano presi in considerazione per essere qualificati come pubblicistici o privatistici ai fini dell' immunità. Fino ad epoca recente si riconosceva l'immunità del lavoratore come partecipe all'esercizio di funzioni sovrane (però troppo ampia). Recentemente è intervenuta la CONVENZIONE EUROPEA SULL'IMMUNITA' DEGLI STATI che adotta (Art.5) per i rapporti di lavoro il CRITERIO DELLA NAZIONALITA' DEL LAVORATORE CUMULATO CON QUELLO DEL LUOGO. Per quanto riguarda la GIURISPRUDENZA ITALIANA questa si è allineata alla Convenzione, dapprima sotto gli aspetti patrimoniali del rapporto, poi gradualmente anche per gli ulteriori aspetti. Notiamo infine che l'immunità può sempre essere oggetto di rinuncia.
L'immunità viene anche riconosciuta agli ENTI TERRITORIALI E ALLE ALTRE PERSONE GIURIDICHE PUBBLICHE diverse dallo stato.
La teoria dell'immunità ristretta va anche applicata sia al PROCEDIMENTO DI COGNIZIONE che all' ESECUZIONE FORZATA SUI BENI detenuti da uno stato estero. Essa è da ritenersi quindi ammissibile solo se esercitata su beni non destinati ad una pubblica funzione. Sull' esecuzione forzata di beni stranieri esisteva IN ITALIA UNA LEGGE (1263/1926) che dichiarava l' improcedibilità senza l'autorizzazione del Ministro Giustizia attuando una (oggi) inammissibile dipendenza del potere giudiziario da quello politico. Intervennero la Consulta e la Cassazione con diverse sentenze di smantellamento: prima ammettendo azione contro il decreto ministeriale, poi escludendo l'autorizzazione ministeriale per i beni destinati a pubblica funzione, infine venne meno anche l'autorizzazione per i beni privati (contraria all'immunità assoluta). A parte questi, non c'è nessun altro limite: senza fondamento la dottrina dell' ACT OF STATE (COSIDERATA UN' AUTOLIMITAZIONE DELLE Corti atta ad evitare imbarazzo al proprio governo) secondo cui la Corte interna non potrebbe rifiutarsi di applicare una legge o altro atto di sovranità straniero in quanto contraria al diritto internazionale.

D) IL TRATTAMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI: Per quanto riguarda i loro funzionari non esistono norme consuetudinarie, sicché la materia può essere regolata solo mediante CONVENZIONE conclusa dall' organizzazione con lo stato membro o meno. Egualmente per la materia delle immunità.
Lo stato nel cui territorio opera ufficialmente un FUNZIONARIO internazionale è tenuto a PROTEGGERLO mediante misure preventive e repressive. La sua violazione, come detto prima, da luogo alla protezione diplomatica da parte dello stato. Tale obbligo SUSSISTE ANCHE PER L'ORGANIZZAZIONE A CUI APPARTIENE? Non si può dire, essendo scarsi i casi. Possiamo dire che è possibile estendere per ANALOGIA LA NORMA SUL RISPETTO DEI CITTADINI STRANIERI. Non è possibile estendere analogicamente tale norma anche nel senso che lo stato sia tenuto verso l'organizzazione a risarcire i danni arrecati all'individuo come tale (svincolato dalla sua funzione di appartenenza all'organizzazione internazionale.
Nei limiti in cui gli stati membri sono immuni dalla GIURISDIZIONE CIVILE dello stato territoriale, lo sono anche le organizzazioni. Questa impostazione, espressa in numerose convenzioni, rappresenta una consuetudine autonoma.

E) I LIMITI RELATIVI AL C.D. DOMINIO RISERVATO: A parte i limi visti, ve ne sono altri previsti da norme CONVENZIONALI che perseguono valori di cooperazione, solidarietà e giustizia tra i popoli. Con l'affermarsi di questi valori si è eroso il DOMINIO RISERVATO O DOMESTIC JURISDICTION, cioè le materie delle quali il diritto internazionale si disinteressa e nelle quali lo stato è conseguentemente libero. Quali sono gli ambiti erosi del dominio riservato?
a) TUTELA DEI DIRITTI UMANI tutelati ovunque, anche nei confronti del proprio stato. MOVIMENTI CONVENZIONALI sono stati: Convenzione Americana sui diritti umani; Patti delle NU sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali; Carta Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli. In questo settore si sono venuti formando anche numerosi PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO RICONOSCIUTI DALLE NAZIONI CIVILI (= CONSUETUDINE): divieto delle 'gross violations' (apartheid, genocidio, tortura, esecuzione di massa); divieto di diniego di giustizia (limitata dal previo esaurimento dei ricorsi interni); autodeterminazione dei popoli.
b) DIRITTO INTERNAZIONALE ECONOMICO è un settore dominato dalle norme CONVENZIONALI e riguarda in particolare i rapporti fra paesi industrializzati e in via di sviluppo. Fra queste la DICHIARAZIONE DELLA CONFERENZA DI RIO 1992, nonché, prescindendo dagli accordi di cooperazione, numerosi ACCORDI TENDENTI ALLA LIBERALIZZAZIONE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE. In questo secondo senso i tentativi più interessanti sono stati compiuti dalla legislazione antitrust e dalla legislazione riguardante il commercio internazionale. Si è così affermato che lo stato non debba interferire negli interessi economici essenziali degli stati stranieri (questo sulla scorta della forte influenza USA sugli interessi economici degli altri stati e sulla minaccia di embargo).
c) LIBERTA' DI SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE DEL TERRITORIO ci chiediamo se la libertà di uno stato di sfruttare le risorse naturali del suo territorio incontri dei limiti? Innanzitutto l'obbligo di non compiere ATTI NOCIVI, il che si riverbera soprattutto sui rapporti di vicinato quando si parla dei fiumi internazionali. Ma esso si pone oggi in relazione all' attività ultra pericolosa delle centrali atomiche. Sia la DICHIARAZIONE DI STOCCOLMA che quella di RIO, sostengono solo che lo stato ha i diritto di sfruttare le sue risorse naturali senza causare danni all' ambiente in altri stati. E' azzardato cercare di ricostruire un tale obbligo sotto il profilo del diritto internazionale generale. Forse si può dire che esso preveda L'OBBLIBO DI INFORMARE DELL'IMMINENTE PERICOLO, ma per il resto mancano norme consuetudinarie. L'unico caso citabile fu quello della FONDERIA DI TRAIL che venne risolto mediante arbitrato. Ma fu un caso circoscritto e diverso dall' energia atomica. Relativamente a quest' ultima gli stati sono sempre stati restii ad ammettere la loro responsabilità (USA nelle isole Marshall; Francia a Mururoa) cosa dimostrata anche dalla graziosità dell' indennizzo. SUL PIANO INTERNO INVECE vale il principio del 'chi inquina a' conformemente alla Dichiarazione di Rio. A parte gli usi nocivi, lo stato deve anche GESTIRE RAZIONALMENTE le risorse secondo il criterio dello SVILUPPO SOSTENIBILE e della RESPONSABILITA' INTERGENERAZIONALE? La risposta è negativa.
Passando dal diritto consuetudinario al DIRITTO PATTIZIO questo è molto ricco: segnaliamo gli ACCORDI PER LA GESTIONE RAZIONALE DELLE RISORSE come la Convenzione di Ramsar 1971, la Convenzione di Vienna 1685 e la Convenzione di Nairobi 1992.

IL DIRITTO INTERNAZIONALE MARITTIMO

LIBERTA' DEI MARI E CONTROLLO DEGLI STATI COSTIERI: Passiamo dalla terraferma ai mari. In questa materia si sono avute DUE CONVENZIONI: Ginevra 1958 e la Terza Conferenza delle NU sul diritto del mare 1974-l982. Ginevra produsse quattro convenzioni: sul mare, sull' alto mare, sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche, sulla piattaforma continentale. Dalla seconda delle quattro è sortita la CONVENZIONE DI MONTAGO BAY 1982. Prima ancora dell'entrata in vigore di questa nuova convenzione, si sostenne che le norme sulla zona economica esclusiva si fossero trasformate in consuetudine. La nuova Convenzione le riprodurrebbe.
PER MOLTI SECOLI vigeva la LIBERTA' DEI MARI (unico limite il rispetto della pari libertà altrui). Furono soprattutto gli Olandesi a promuoverla abbandonando le pretese sul DOMINIO DEI MARI. IN CONTRAPPOSIZIONE si è sempre manifestata la pretesa (mai vittoriosa) al CONTROLLO DELLE ACQUE ADIACENTI. Ma la prassi è sempre stata contraria, eccetto per la pesca e per la repressione del il contrabbando. Col tempo cominciò L'EROSIONE DELLA LIBERTA' DEI MARI:
- successivamente alla seconda guerra mondiale Truman sostenne la PIATTAFORMA CONTINENTALE cioè quella parte del fondo e sottosuolo marino che rappresenta il prolungamento della terraferma costante prima di precipitare negli abissi.
- Negli anni '80 si parlò della ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA estesa fino a 200 miglia marine dalla costa e considerante appartenente allo stato tutte le risorse ivi presenti.
- Infine il Cile, l'Argentina e il Canada hanno sostenuto negli ultimi anni di voler tutelare la specie ittica in alto mare anche al di la della zona economica esclusiva. Questo con la loro presenza e da qui MARE PRESENZIALE.

IL MARE TERRITORIALE (1) E LA ZONA CONTIGUA (2): Il MARE TERRITORIALE è quello sottoposto alla sovranità dello stato costiero come la terraferma. L'acquisto della sovranità è automatico. In base a Montego Bay (Art.3) esso si estende fino ad un massimo di 12 migli marine.
Secondo una dottrina formatasi fra le due guerre, la ZONA CONTIGUA al mare territoriale sarebbe stata recepita da Ginevra (Art.24). Ma come stanno le cose nel diritto internazionale? Per quanto riguarda la VIGILANZA DOGANALE il limita dello stato costiero è FUNZIONALE E NON SPAZIALE. Esso può prevenire e reprimere il contrabbando, la distanza dalla costa ha scarso significato, conta un qualche contatto tra la nave e la costa (trasbordo delle merci) o una particolare pericolosità sociale. Bisogna ricorrere alla TEORIA DELLA PRESENZA COSTRUTTIVA, la nave che abbia contatti con la costa è come se si trovasse negli spazi governativi dello stato.
DA QUALI PUNTI DELLA COSTA SI MISURANO LE 12 MIGLIA? E' il problema del LIMITE INTERNO O LINEA BASE: Montego Bay fissa il principio secondo cui la linea base per la misurazione è data dalla bassa marea, seguendo le sinuosità della costa. PIU' IMPORTANTE E' IL SISTEMA DELLE LINEE RETTE: la linea base è data dalla congiunzione dei punti sporgenti della costa. Nel caso di isole o scogli vicini (non devono discostarsi in misura apprezzabile dalla direzione generale della costa) si congiungono anche questi. Altra norma importante è quella riguardante LE BAIE: se la distanza fra i punti naturali d' entrata della baia non supera le 24 MIGLIA, il mare territoriale viene misurato congiungendo i due punti; alias si traccia una linea interna di 24 miglia. La Convenzione considera baie solo quelle la cui superficie sia pari o maggiore ad un semicerchio avente per diametro la linea d'entrata. Tutti questi calcoli sono importanti al fine di determinare la pertinenza delle RISORSE NATURALI. L'Italia ha adottato il sistema delle linee rette.
PASSANDO AI POTERI CHE SPETTANO ALLO STATO NEL MARE TERRITORIALE sono gli stessi che esso ha sulla terraferma, ma con DUE LIMITI:
- DIRITTO DI PASSAGGIO INOFFENSIVO Montego Bay precisa che il passaggio deve essere 'continuo e rapido' e che non 'rechi pregiudizio alla pace, al buon ordine o alla sicurezza dello stato costiero'. In caso contrario lo stato può adottare le necessarie misure, eccezionalmente chiuderlo al traffico. Questo vale per navi civili, militari e sottomarini con l'obbligo di navigare in superficie.
- GIURISDIZIONE PENALE SULLE NAVI STRANIERE non 'dovrebbe' (formulazione ambigua di Montego Bay) esercitarsi in ordine a fatti puramente interni alla nave e questo vale anche per le navi nei porti.

LA PIATTAFORMA CONTINENTALE (1) E LA ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA (2): Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale segnano la corsa all'accaparramento delle risorse naturali marine, con il conseguente controllo degli stati oltre il mare territoriale. Furono quindi coniate queste due teorie. La prima da Truman 1945, la seconda nell' ambito della terza Conferenza sul diritto del mare 1973.
1) PIATTAFORMA CONTINENTALE lo stato costiero ha, al dilà del mare territoriale, sulla piattaforma continentale il diritto esclusivo di sfruttare le risorse. Il diritto sulla piattaforma ha NATURA FUNZIONALE, a differenza del diritto di sovranità sul territorio o sul mare territoriale. Questa dottrina, facendo leva sulla conformazione geografica delle coste, è ABBASTANZA INIQUA (es. Cile ha molta costa, ma piccola piattaforma). Un problema importante è quello della DELIMITAZIONE DELLA PIATTAFORMA TRA STATI CHE SI FRONTEGGIANO (es. Adriatico che è tutta una piattaforma). La CONVENZIONE DI GINEVRA stabiliva il criterio dell' EQUIDISTANZA dalle rispettive linee di base, ma esso non è imposto dal diritto internazionale consuetudinario, quindi si può agire soltanto mediante accordi ispirati all' equità, come aveva sancito la ICJ nel 1969. ma che senso ha subordinare l'accordo all' equità? Nessuno, quando è concluso è valido, equo o iniquo che sia.
2) ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA teoria che è venuta sovrapponendosi alla piattaforma continentale. Molti stati sono a favore, sicché è diventata consuetudine. Ma quali sono i poteri dello stato in questa zona di 200 miglia marine? Esso avrebbe il controllo esclusivo su tutte le risorse economiche, sia biologiche che minerali, del suolo, sottosuolo e acque sovrastanti. E gli ALTRI STATI DIVERSI DA QUELLO COSTIERO? Potranno continuare a navigare, sorvolare e posare condotte e cavi sottomarini. Ma è difficile inquadrare la situazione degli altri stati nella zona economica come libertà dei mari. I diritti, sia dello stato costiero che degli altri stati hanno CARATTERE FUNZIONALE. COSA NE E' DELLA ZONA FRA QUELLA ECONOMICA ESCLUSIVA E LA FINE DELLA PIATTAFORMA CONTINENTALE, sempre che quest' ultima superi le 200 migli marine? Secondo Montego Bay, lo stato costiero può mantenervi la propria giurisdizione. Resta solo da chiedersi se i paesi in sviluppo abbiano i mezzi necessari a sfruttare economicamente le rispettive zone economiche.

IL MARE INTERNAZIONALE: Gli spazi marini oltre la zona economica esclusiva sono chiamati da Montego Bay ALTO MARE, oggi parliamo di MARE INTERNAZIONALE. Questa rimane l'unica zona in cui rivive la LIBERTA' DEI MARI e l'eguale diritto degli stati. Il principio della libertà ha come RISVOLTO NEGATIVO, che uno stato non possa utilizzare gli spazi marini fino al punto di sopprimere ogni possibilità di utilizzazione da parte degli altri. Questo vale per la specie ittica e per le risorse minerarie (noduli di manganese), essendo tali risorse esauribili. Una RISOLUZIONE ONU DEL 1970 li definisce 'patrimonio comune dell' umanità'. Dalla citata risoluzione ha preso le mosse l'iniziativa di costituire un' AUTORITA' INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI destinata a presiedere le risorse del fondo. Gli organi principali di questa sarebbero l' Assemblea, il Consiglio, il Segretariato e l' Impresa. Quest' ultima partecipa direttamente allo sfruttamento secondo un SISTEMA PARALLELO previsto da Montego Bay e inserito in un quadro di 'joint ventures'. Ma lo sfruttamento dei fondi oceanici resta comunque di difficile realizzazione.

LA NAVIGAZIONE MARITTIMA: Premettiamo che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello stato di cui ha la nazionalità. Un tempo si diceva che essa fosse 'territoire flottant'. E' sufficiente dire che lo STATO DELLA BANDIERA ha il diritto all' esercizio esclusivo del potere di governo attraverso il COMANDANTE della nave come organo dello stato. Le ECCEZIONI a detto principio aumentano via via che la nave procede verso le coste di un altro stato.
NELLE ACQUE INTERNAZIONALI qualsiasi stato può catturare la NAVE PIRATA. Un' altra eccezione (discussa) è se un POTERE DI VISITA E DI CATTURA di navi altrui sia ammesso, in tempo di pace, per motivi di 'self defence'. Pare esserci solo un caso, quello del CONTRABBANDO DI GUERRA IN TEMPO DI PACE, compresa la nave che si proponga di recare aiuto al contrabbandiere.
NELLA ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA di un altro stato, alle eccezioni considerate si aggiungono quelle favorevoli allo stato costiero. Esso può esercitare tutti i poteri connessi allo sfruttamento delle risorse della sua zona economica. Tutto ciò in base al limite funzionale secondo cui non sono ammesse misure coercitive sproporzionate alle infrazioni commesse dalla nave.
NEL MARE TERRITORIALE i limiti entro i quali lo stato costiero può esercitare il governo sono dati dal PASSAGGIO INOFFENSIVO e dalla SOTTRAZIONE PENALE dello stato costiero ai fatti puramente interni. Costituisce un'eccezione anche la regola relativa al DIRITTO DI INSEGUIMENTO: le navi da guerra o di servizi pubblici possono inseguire una nave straniera che abbia violato le leggi del loro stato purché l'inseguimento abbia avuto INIZIO NELLE ACQUE interne o nel mare territoriale. L'inseguimento deve essere CONTINUO e potranno essere esercitati solo quei poteri ammessi nella zona in cui ha avuto inizio l'inseguimento. L'inseguimento deve CESSARE se la nave entra nel mare territoriale di un altri stato.
E' UNO STATO LIBERO DI CONCEDERE LA PROPRIA NAZIONALITA' a qualsivoglia nave? Montego Bay lascia allo stato di fissare le condizioni, ma DEVE ESISTERE UN LEGAME SOSTANZIALE ('genuine link') con lo stato, tipo un controllo amministrativo, tecnico e sociale. La CONVENZIONE ONU 1986 richiede che alla PROPRIETA' della nave partecipi un numero di cittadini dello stato di immatricolazione, 'sufficiente' per assicurare a questo il controllo o che l' EQUIPAGGIO sia formato da una quota 'soddisfacente' di cittadini. MA COSA SUCCEDE SE LO STATO NON RISPETTA IL GENUINE LINK? Trattasi di BANDIERE OMBRA e gli altri stati sono autorizzati a disconoscerla, anche se ciò non ha riscontro nella prassi.

LA PROTEZIONE DELL' AMBIENTE MARINO: Montego Bay gli dedica più di 40 articoli!!! Esiste A livello CONSUETUDINARIO un OBBLIGO DI NON INQUINARE? La risposta è negativa, in quanto Montego Bay sancisce un principio non codificatorio, ma tendente al progressivo sviluppo internazionale. L'accento è posto sulla responsabilità civile di diritto interno ('chi inquina a'). E AL LIVELLO CONVENZIONALE? Numerose sono le convenzioni, ma esse sono sempre destinate ad operare nel diritto interno.
Un ulteriore problema è stabilire quale stato possa esercitare il POTERE DI GOVERNO SULLE NAVI onde impedire fenomeni di inquinamento. DAL PUNTO DI VISTA CONSUETUDINARIO, lo stato di bandiera e lo stato costiero per prevenire e reprimere l'inquinamento. Nella zona economica esclusiva sarà funzionalizzata alla conservazione delle risorse naturali. A questi principi corrispondono anche le NORME CONVENZIONALI.
C'è infine la possibilità per uno stato di INTERVENIRE ECCEZIONALMENTE NEL MARE INTERNAZIONALE su una nave altrui per prendere le MISURE STRETTAMENTE IDONEE ad impedire danni al proprio litorale, derivanti da incidente già avvenuto (diritto consuetudinario e Convenzione di Bruxelles 1969 sugli idrocarburi).

GLI SPAZI AEREI (1) E COSMICI (2):
1) SPAZI AEREI valgono DUE PRINCIPI GENERALI: ICAO prevede che la sovranità dello stato si estenda allo spazio aereo sovrastante il territorio e il mare territoriale; l'altro è libero. Sul primo lo stato territoriale potrà REGOLARE IL SORVOLO. Ma la contrapposizione tra i due principi non è più così rigida dall' introduzione dei MOTORI A REAZIONE che ha introdotto la prassi delle ZONE DI IDENTIFICAZIONE (gli stati costieri impongono agli aerei che si dirigono verso le loro coste di identificarsi a fini difensivi).
2) SPAZI COSMICI ad essa è applicabile per analogia il principio sulla libertà di sorvolo degli spazi 'nullius'. Per quanto riguarda lo spazio sopra il territorio non è applicabile il principio dell' estensione della sovranità territoriale. ½ furono al riguardo diverse CONVENZIONI MULTILATERALI come quella del 1967 sull' esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra atmosferico. Non c'è la sovranità di nessuno stato e gli astronauti sono INVIATI DELL' UMANITA'. C'è solo la responsabilità dello stato di lancio per i danni dalle attività cosmiche.
Anche qui posiamo parlare di RISORSE NATURALI a fini di RADIO E TELECOMUNICAZIONI. Queste sono libere. UNICO LIMITE è la libertà altrui, soprattutto in riferimento all' ORBITA GEOSTAZIONARIA (nella quale i satelliti ruotano con lo stesso periodo di rotazione della terra) che può contenere massimo 1800 satelliti ed è particolarmente indicata per le telecomunicazioni. Viene semplicemente stabilito che gli stati si 'sforzeranno' di limitare il numero delle frequenze e di utilizzare quelle dell'orbita geostazionaria in maniera efficace ed economica.

LE REGIONI POLARI sono spazi non soggetti ad alcuno stato. L'ANTARTICO è stato INTERNAZIONALIZZATO nel senso della libertà e di un complesso di norme che ne disciplina l'utilizzazione. Non sono mancate le pretese di sovranità, come esplicate dalla TEORIA DEI SETTORI, da alcuni stati ('claimant states') i cui territori si estendono al dilà del circolo polare artico. Le PRETESE ALLA SOVRANITA' sono state sempre RESPINTE dalla maggioranza degli stati, considerate infondate e non sorrette dall' effettività nonché frutto di mire colonialistiche. La MANCANZA DI SOVRANITA' comporta che ciascuno stato esercita la sovranità sulle comunità che gli fanno capo. Per le COMUNITA' NAVALI è lo stato di bandiera. Per le SPEDIZIONI SCIENTIFICHE è lo stato organizzante. Unica eccezione è il PERSONALE SCIENTIFICO SCAMBIATO che resta sottoposto ai rispettivi stati nazionali.
L' Antartide è stata internazionalizzata dal TRATTATO DI WASHINGTON (ratificato anche dai 'claimant states'). Norma chiave è quella che CONGELA le pretese di sovranità e le opposizioni alle medesime. CARATTERISTICHE dell' internazionalizzazione: interdizione di attività militari,nucleare, libertà scientifica e cooperazione. Il Trattato distingue le PARTI CONSULTIVE E NON. Le prime, privilegiate, sono costituite dagli stati che effettivamente esercitano un'attività nella zona. Esse hanno maggiori poteri, soprattutto ispettivi. Il regime internazionale dell' Antartide vincola solo gli stati contraenti. Gli stati terzi hanno libertà, potendo anche sfruttare unilateralmente le risorse.

L'APPLICAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI ALL'INTERNO DELLO STATO

L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO A QUELLO INTERNAZIONALE: Abbiamo visto come si formano le norme internazionali e quale sia il loro contenuto. Vediamone ora L'APPLICAZIONE. Essa è affidata in primo luogo ai GIUDICI INTERNI di ciascuno stato. Il nostro discorso si occupa del diritto italiano. A tal proposito sono da superare le TEORIE MONISTE E DUALISTE (i primi ritengono che il nostro ordinamento trovi fondamento dal diritto internazionale; i secondi sostengono che esso sia originario). LA SOSTANZA DELLA QUESTIONE NON MUTA. Una distinzione generale in ordine all' ADATTAMENTO è quella fra:
1. PROCEDIMENTO ORDINARIO in cui l'adattamento avviene mediante norme interne che riformulano quella internazionale e in nulla si distinguono dalle altre norme interne se non per il motivo per cui vengono emanate (OCCASIO LEGIS).
2. PROCEDIMENTO SPECIALE la norma internazionale non viene riformulata. La norma interna si limita ad ordinarne l'osservanza rinviando ad essa secondo l' Art.10 C.
Dal punto di vista internazionale il secondo è preferibile, perché nel caso di quello ordinario l'interprete ricorre alla norma internazionale solo se vi siano dubbi circa l'interpretazione della norma interna. Nel caso di procedimento speciale la cosa è più diretta, si assume direttamente la norma internazionale e la sua applicazione si sposta dal legislatore all' interprete direttamente. Tuttavia c'è da dire che il procedimento ordinario è più utile quando la norma internazionale non sia SELF EXECUTING. Ovvio poi che i due procedimenti possono COESTISTERE INTEGRANDOSI a vicenda.
Una volta introdotte nell'ordinamento le norme internazionali diventano FONTI DI DIRITTI E DI OBBLIGHI . Tornando sulla DISTINZIONE FRA SENLF E NON SELF EXECUTING, abbiamo questo secondo caso quando la norma attribuisce semplici FACOLTA' AGLI STATI, oppure quando non esistono organi o procedure interne INDISPENSABILI alla sua applicazione.
Occorre reagire invece a quelle tendenze che basano la distinzione su motivazioni POLITICHE per non applicare norme indesiderate. Questo vale soprattutto per i Paesi che rifiutano di applicare una Convenzione sostenendo il suo contenuto 'vago o indeterminato'. Non esiste principio, seppure generalissimo, dal quale l'interprete non possa ricavare una applicazione concreta..
E' poi da respingere l'opinione secondo cui un Trattato che prevede procedure di conciliazione in caso di mancata o difficoltosa applicazione, sia da considerare non self executing. Neppure può ritenersi che costituisca un impedimento la previsione nel Trattato di una CLAUSOLA DI ESECUZIONE, dato che essa manifesta semplicemente la volontà di dare seguito al Trattato.
Ovviamente le norme internazionali sono utilizzabili all' interno entro i limiti in cui si VERIFICHI IN CONCRETO LA FATTISPECIE ASTRATTA da essa prevista, cosa che, nel caso di adattamento mediante rinvio, potrebbe risultare difficoltoso per l'interprete.
Può darsi che un accordo internazionale eseguito in Italia contenga DISPOSIZIONI VANTAGGIOSE per uno stato estraneo all' accordo. Questi potrà invocarle nonostante l'impegno sia stato assunto nei confronti di altri paesi. Non si tratta di efficacia nei confronti di terzi, ma solo dell' applicazione della norma internazionale.
Ma, una volta penetrato nell'ordinamento statale, che RANGO occupa il diritto internazionale nazionalizzato? Tende ad essere quello che corrisponde alla forza che ha il procedimento , ordinario o speciale, di adattamento.


L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO ALLA CONSUETUDINE INTERNAZIONALE: questo avviene a livello costituzionale (Art. 10 C). Questo articolo prevede un PROCEDIMENTO SPECIALE mediante rinvio. La costituzione si limita ad affermare che l'adattamento sarà automatico finché l' Italia farà parte della comunità internazionale. Sarà l'interprete a dover stabilire quali siano le norme internazionali generali 8sia consuetudine che3 principi generali delle nazioni civili).
Qual' è il RANGO delle norme internazionali generali nel nostro diritto interno? Si può ritenere che esso sia SUPERIORE ALLA LEGGE ORDINARIA, che sarà costituzionalmente illegittima nel caso contrasti con questo. Ma hanno addirittura un RANGO SUPERIORE ALLA COSTITUZIONE? Premesso che un conflitto fra norme internazionali e norme costituzionali difficilmente può verificarsi, parlando l' Art. 10 di 'adattamento dell'ordinamento italiano' e non di 'subordinazione' , pare che intenda escludere una subordinazione del diritto costituzionale. Dobbiamo anzi precisare che l' Art.10 salvaguarda i VALORI FONDAMENTALI e non voglia quindi un' esecuzione del diritto consuetudinario fino alla rottura di detti valori. I giudici potranno rifiutarsi, senza un previo intervento della Corte Costituzionale.

L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO AI TRATTATI: La giurisprudenza è univoca nel ritenere che l' Art. 10 C. NON SI RIFERISCA ANCHE AI TRATTATI. Infatti l'adattamento alle norme patrizie avviene in Italia con un ATTO AD HOC DETTO ORDINE DI ESECUZIONE e relativo ad ogni singolo Trattato. L'ordine di esecuzione, un procedimento speciale di rinvio, è dato con legge ordinaria o con atto amministrativo e riproduce il testo dell' accordo. Normalmente la legge che autorizza la ratifica contiene la formula della 'piena ed intera esecuzione'. In tal modo l'ordine di esecuzione precede l'entrata in vigore del Trattato, che si verificherà al momento dello scambio delle ratifiche.
E SE MANCA L'ORDINE DI ESECUZIONE CHE VALORE HA IL TRATTATO? Il problema si pone limitatamente ai TRATTATI IN F.S. e in tutti gli altri casi in cui un accordo vincoli sul piano internazionale l' Italia, ma non si sia provveduto ad eseguirlo all' interno. La GIURISPRUDENZA è unanime nel ritenere che, in difetto dell' ordine di esecuzione, IL TRATTATO NON ABBIA VALORE PER L'ORDINAMENTO ITALIANO. CONFORTI: correggiamo un pò il tiro; l'accordo avrà comunque una FUNZIONE AUSILIARIA anche se dovrà cedere di fronte a norme interne contrarie.
PASSIAMO AL PROBLEMA DEL RANGO che nel sistema delle fonti occupa l'atto normativo in cui l'ordine di esecuzione è contenuto. L' ipotesi più frequente è quella di LEGGE ORDINARIA. Trattati e legge ordinaria occupano quindi lo stesso rango (conseguenze: 'lex posterior derogat priori') oppure c'è una prevalenza sulla legge ordinaria? E' da escludere una prevalenza fondata sull' Art.10 C. Si era sostenuto che, una volta eseguito il Trattato, il legislatore non avrebbe potuto violarlo senza violare indirettamente l' Art. 10, ma questa tesi non è stata condivisa dalla giurisprudenza che ha inteso sottrarre i Trattati dall' applicazione dell' Art. 10, cosicché si ritiene che i rapporti fra legge ordinaria e legge che esegue il Trattato siano sottoposti alle regole sulla normale successione delle leggi nel tempo. Nel solco tracciato dalla GIURISPRUDENZA AMERICANA E SVIZZERA si era posta la prevalenza del Trattato sulla legge. Il Trattato sarebbe sorretto, nell' ordinamento interno, da una DUPLICE VOLONTA' NORMATIVA: a) che certi rapporti siano disciplinati come li disciplina la norma internazionale; b) che gli impegni assunti verso altri stati siano rispettati. Per far prevalere la legge posteriore bisogna che entrambe le volontà siano annullate. Una modifica delle norme di adattamento al Trattato per semplice incompatibilità con una legge posteriore non è ammissibile. La volontà del legislatore di VENIRE MENO AGLI IMPEGNI INTERNAZIONALI può ricavarsi in modo implicito solo quando l'oggetto dell' obbligazione e quello della norma interna COINCIDANO PERFETTAMENTE sia nella materia che nei soggetti. Quindi vale il PRINCIPIO DI SPECIALITA' SUI GENERIS dei Trattati rispetto alla legge interna: la norma internazionale prevale fino a quando non si dimostri la volontà della norma interna di venire meno agli impegni internazionali. Le norme patrizie immesse possono quindi essere sottoposte a controllo costituzionale ed annullate se violano la costituzione.
L'ADATTAMENTO AD UN TRATTATO IMPLICA ANCHE L'ADATTAMENTO ALLE FONTI DA ESSO PREVISTE? In particolare nell' esempio di un Trattato istitutivo di una ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE. Le decisioni di questa diventano vincolanti per il nostro stato? Può darsi anzitutto che il Trattato preveda ESPRESSAMENTE la diretta applicabilità (es. regolamenti emanati dalla CE). Quindi saranno direttamente applicabili. Quando invece NULLA DISPONE, il problema verrà risolto alla luce dell' ordinamento interno. La PRASSI ITALIANA è orientata nel senso dell' adozione di singoli atti di esecuzione (talvolta leggi, talaltra atti amministrativi) per ciascuna decisione di organo internazionale. Una tale prassi però non vuol dire che prima dell' emanazione dei singoli atti di esecuzione le decisioni degli organi internazionali non abbiano valore. CONFORTI: gli ordini di esecuzione hanno solo la funzione di creare maggiore certezza, ma per quanto riguarda la forza formante detta emanazione è superflua. Inutile dire che, come i Trattati, anche le norme prodotte dalle organizzazioni internazionali non si sottraggono al controllo di costituzionalità, a patto di esercitare tale controllo alla luce delle norme materiali e non in base a quello che prevedono l'organizzazione del potere legislativo.

L'ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO A QUELLO COMUNITARIO: Questo ha seguito una strada diversa rispetto all' adattamento con le norme dei comuni Trattati. Si è arrivati infatti ad assicurare alle norme COMUNITARIE UNA PREVALENZA SULLE NORME INTERNE. Vediamo COME (1) ha luogo l'adattamento e poi il RANGO (2) che queste assumono nell'ordinamento interno:
1) COME: per effetto dell' ordine di esecuzione non solo hanno acquistato forza giuridica le norme del Trattato CE, ma anche i REGOLAMENTI CE (Art. 189 Trattato CE che parla di 'diretta applicabilità). Questa diretta applicabilità non comporta una violazione della Costituzione, perché deve intendersi come IMPLICITAMENTE AMMESSA tramite l' Art. 11 C. La diretta applicabilità dei regolamenti riguarda la loro FORZA FORMALE. Per quanto concerne il CONTENUTO ve ne sono di incompleti che abbisognano di una INTEGRAZIONE DA PARTE DELLE NORME STATALI. E' chiaro che in questi casi gli effetti non si produrranno fino a quando l'integrazione non sarà avvenuta. FAZIT: l'applicazione dei regolamenti comunitari comporta necessariamente le sovrapposizione ad essi di atti legislativi interni.
E PER QUANTO CONCERNE LE DIRETTIVE E LE DECISIONI? Queste norme non sono oggetto di mero rinvio da parte dell' ordinamento interno, ma vengono da questo INTEGRALMENTE RIFORMULATE. E' comunque da escludere che direttive e decisioni siano del tutto inapplicabili prima dei provvedimenti interni di riformulazione/esecuzione. La loro obbligatorietà è LIMITATA AL RISULTATO. Si tratta quindi di stabilire quali effetti costituiscono un corollario all'obbligo di risultato (producendosi direttamente) e quali solo in seguito all' atto di esecuzione. CONFORTI: regolamenti, direttive e decisioni sono tutti sullo stesso piano, direttamente applicabili MA la direttiva ESSENDO INCOMPLETA PER DEFINIZIONE può produrre immediatamente solo gli effetti conciliabili con l'obbligo di risultato.
Tale dirittezza è stata sostenuta anche dalla Corte Giustizia, come nel caso dell' EFFICACIA DIRETTA VERTICALE in base alla quale gli individui possono invocare innanzi ai giudici nazionali il rispetto della direttiva. Ricordiamo che questo vale anche per il RISARCIMENTO DEL DANNO provocato ai singoli dalla mancata attuazione di una direttiva da parte dello stato (vedi caso 'Francovich'). NON C'E' L'EFFICACIA DIRETTA ORIZZONTALE , anche se sembra assurda la distinzione fra 'applicabilità diretta', propria dei regolamenti, e 'effetti diretti', propri delle direttive. Non si vede perché applicare due pesi e due misure.
L'efficacia diretta è stata riconosciuta anche alle DECISIONI e agli ACCORDI conclusi dalla CE con gli stati terzi.

2) RANGO: Sul punto la Corte Costituzionale ha più volte cambiato opinione. Nel 1964 pensava che i Trattati, o meglio le leggi di esecuzione di questi, non sfuggissero ai comuni principi sulla successione delle leggi nel tempo e potessero dunque essere abrogati da norme interne successive. Nel 1975 cambiò radicalmente indirizzo riallacciando la prevalenza della normativa comunitaria all' Art.11 C. Il controllo avveniva attraverso il controllo di costituzionalità. Assurde le conseguenze: i giudici non avrebbero potuto applicare la normativa comunitaria prima che la legge non fosse stata annullata dalla Corte. Questo portò ad un nuovo cambiamento con la SENT. 170/84 che sancì il compito di far prevalere il diritto comunitario direttamente al giudice a quo. Il riferimento è sempre all' Art. 11 C. ma non nel senso di implicare l'illegittimità costituzionali delle leggi interne difformi, ma solo che il diritto interno si ritrae di fronte alle norme comunitarie direttamente applicabili. Al giudice a quo la disapplicazione del diritto interno difforme. Tutto ciò che può ricavarsi dall' Art. 11 è che le decisioni vincolanti delle organizzazioni internazionali possono avere efficacia anche senza atti di esecuzione ad hoc. E la prevalenza viene assicurata proprio dall' interprete interno: i giudici.
L'ultima questione è se LE NORME DEI TRATTATI E DELLA LEGISLAZIONE CE POSSANO ESSERE SOTTOPOSTI AL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITA'. La Corte Giustizia ha ritenuto che la TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL' INDIVIDUO, ancorché non codificata, non sia estranea al diritto comunitario, tenendo presenti le tradizioni costituzionali comuni agli stati membri. Parallelamente la Corte Costituzionale aveva affrontato il problema se congessero con la Costituzione certe norme CECA che prevedevano la competenza esclusiva della Corte Giustizia su provvedimenti dell' Alta Autorità riferiti a cittadini degli stati membri. In quel caso aveva deciso di continuare ad esercitare un certo controllo sulla violazione delle norme costituzionali invocate. Successivamente è mutato lo stesso presupposto in quanto stabilendo che 'i due sistemi costituiscono sistemi distinti e separati anche se coordinati fra loro' e che le norme comunitarie hanno piena efficacia obbligatoria ed entrano dovunque in vigore. Inoltre si stabilì che l'ordinamento comunitario ha un PROPRIO SISTEMA DI TUTELA GIURIDICA CHE SI SOTTRAE AL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITA'.

ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE E COMPETENZA DELLE REGIONI: Il problema è quello del coordinamento del diritto internazionale con quelle materie che nel diritto interni formano oggetto di legislazione regionale. La maggioranza della dottrina concorda sul fatto che ad immettere il diritto internazionale è pur sempre lo stato nel suo potere centrale. Principio pacifico è quello del RISPETTO DEGLI OBBLIGHI INTERNAZIONALI assunti dallo stato da parte della Regione. La legge regionale contraria è costituzionalmente illegittima. Le Regioni, anche se autonome, non hanno poteri sovrani. Non ci pare vi siano ulteriori limiti. PER QUANTO CONCERNE I TRATTATI, allo stato la loro esecuzione, alle Regioni l'emanazione della normativa integrativa e di specificazione. All' inizio legislatore e Corte Costituzionale partivano dall' idea che tutto ciò che riguardasse l'applicazione del diritto internazionale fosse di competenza dello stato in quanto 'affari esteri'. Ma come evitare che in certe materie le Regioni fossero spogliate delle loro competenze? Le Regioni vi avrebbero potuto partecipare solo mediante delega del potere centrale. La posizione della Corte si è oggi modificata nel senso di riconoscere la competenza autonoma e originaria alle regioni evitando che esse siano alla mercé degli organi centrali. Ma d'altro canto continua il limite del rispetto degli obblighi internazionali.. E previsto il potere sostitutivo dello stato in caso di 'urgenza' (limite incerto ed elastico).

LA VIOLAZIONE DELLE NORME INTERNAZIONALI E LE SUE CONSEGUENZE

IL FATTO ILLECITO: se ne occupa il PROGETTO

a) L'ELEMENTO SOGGETTIVO: La dottrina (Kelsen, Anzilotti, Ago) ha dedicato ampio spazio e profonde indagini a questa materia. Inoltre gia all' epoca della Società delle Nazioni esisteva una Commissione di diritto internazionale delle NU, ma un progetto completo si ebbe solo nel 1996. Nel 1980 la Commissione approvò un PROGETTO DI ARTICOLI SULLA RESPONSABILITA' DELLO STATO. Nel 1996 una SECONDA PARTE relativa a contenuto, forma, gradi e conseguenze. Infine una TERZA PARTE sulla risoluzione delle controversie. Caratteristica fondamentale è quella della responsabilità prevista per la violazione di QUALSIASI NORMA INTERNAZIONALE, quando prima ci si limitava a quelle sul trattamento degli stranieri.
Data la coincidenza fra lo stato come soggetto internazionale e lo STATO ORGANIZZAZIONE, è chiaro che il fatto illecito dovrà essere compiuto da uno o più organi statali ( TUTTI coloro che partecipano all' esercizio del potere di governo). Essa assume importanza solo per gli ILLECITI COMMISSIVI, non anche per quelli omissivi (es. mancata attuazione di una direttiva). La violazione delle norme internazionali non è possibile attraverso la semplice emanazione di leggi, è un contenzioso che ha ad oggetto QUESTIONI CONCRETE. La responsabilità dello stato sorge anche quando l'organo statale abbia commesso un illecito internazionale agendo FUORI DALLE SUE ATTRIBUZIONI, IN VIOLAZIONE DEL PROPRIO DIRITTO O CONTRAVVENENDO AGLI ORDINI RICEVUTI? Secondo alcuni azioni del genere sarebbero comunque attribuibili allo stato; altri pensano che ci si debba rifare su chi l'ha compiuta e l'illecito dello stato consisterebbe nel non aver adottato le misure idonee a prevenirla. CONFORTI: la prima è la più rispondente alla prassi. Lo stato risponde direttamente quando l'illecito è commesso dai suoi organi e indirettamente quando è commesso DAI PRIVATI. In questo caso la responsabilità è per la MANCATA ADOZIONE DI MISURE ATTE A PREVENIRE L'AZIONE O PUNIRE L'AUTORE.

b) L'ELEMENTO OGGETTIVO: esso è rappresentato dall' ANTIGIURIDICITA' DEL COMPORTAMENTO. Ma quando può definirsi consumata un'azione illecita a livello internazionale. L'Art.22 del Progetto parla del PREVIO ESAURIMANTO DEI RICORSI INTERNI, anche se limitata al trattamento degli stranieri.
All' elemento obiettivo dell' illecito internazionale attengono le cause o circostanze escludenti l'illeceità (Artt. 29 ss):
1. IL CONSENSO DELLO STATO LESO: a parte i casi di violazione di una norma di 'ius cogens'. Ad esempio nel caso della violazione di norme sull' aggressione o sull' autodeterminazione dei popoli, casi in cui il governo che invade è solito appoggiarsi al governo locale: in questi casi è inutile dire che il consenso del governo locale è viziato, visto che dovrebbe essere il governo invasore a farlo valere; ne vale obiettare che la violazione sussiste nei confronti della comunità internazionale, dato che il consenso esclude l' illeceità solo nei rapporti tra stato autorizzante e stato autorizzato. Il consenso dello stato leso deve manifestarsi all' interno di un vero e proprio accordo, anche se nella sostanza è più un atto unilaterale.
2. AUTOTUTELA: cioè l'azione diretta a reprimere l'illecito altrui, non può essere considerata antigiuridicità. Vige il criterio della proporzionalità.
3. FORZA MAGGIORE E CASO FORTUITO: ricompresse come esimenti dall' Art.31.
4. STATO DI NECESSITA': è controverso. Innegabile quando riguardi la VITA DELL' INDIVIDUO-ORGANO O DEGLI INDIVIDUI A LUI AFFIDATI (DISTRESS). Le incertezze riguardano la necessità riferita allo STATO NEL SUO COMPLESSO. E' da ammettere in questo caso? L' Art.33 del Progetto pare favorevole, ma a talune condizioni: che si tratti dell' UNICO MEZZO PER PROTEGGERE UN INTERESSE ESSENZIALE, CHE LA LESIONE ABBIA COLPITO UN INTERESSE ESSENZIALE. Lo stato di necessità non può essere invocato quando: l'obbligo internazionale al quale il fatto dello stato non è conforme discenda da una NORMA IMPERATIVA DI DIRITTO INTERNAZIONALE; oppure se lo stato in questione HA CONTRIBUITO al verificarsi della necessità.
Ma le cose stanno effettivamente così per il diritto internazionale consuetudinario? CONFORTI: da condividere la necessità come mezzo di protezione di INTERESSI VITALI. Più incerta la prassi. Una volta bandito dal diritto internazionale cogente l'uso della forza (inclusi i casi di interventi umanitari e protezione estera dei propri cittadini) gli spazi per l'utilizzazione della necessità si riducono a nulla.
Ricordiamo in questo contesto L'EFFETTO DI LICEITA' DELLE RACCOMANDAZIONI.
Non è del tutto azzardata la tesi secondo cui l'illeceità è esclusa quando l'osservanza di una norma internazionale comporti la VIOLAZIONE DI FONDAMENTALI PRINCIPI COSTITUZIONALI. La Corte Costituzionale ha annullato norme interne di esecuzione di norme internazionali per questo motivo. Ma non dovrebbe avallarlo lo stesso diritto internazionale? Si e finora non ci sono state significative proteste da parte degli stati contro le pronunce della Corte Costituzionale.

c) GLI ELEMENTI CONTROVERSI: LA COLPA E IL DANNO: Serve la sussistenza della colpa dell' organo statale autore della violazione? Premessa la differenza fra COLPA CONTRATTUALE (responsabilità oggettiva relativa) E COLPA EXTRACONTRATTUALE (responsabilità per colpa). Nella prima la responsabilità è aggravata, e vi è anche uno spostamento dell' onere della prova dalla vittima all'autore dell' illecito. ½ è infine un TERZO TIPO DI RESPONSABILITA' anch'essa oggettiva, ma assoluta, che sorge automaticamente dal comportamento contrario ad una norma giuridica, ma non ammette giustificazione. VENENDO AL DIRITTO INTERNAZIONALE per molto tempo è stata sostenuta la responsabilità dello stato come responsabilità per colpa. Solo all' inizio del nostro secolo essa divenne RESPONSABILITA' OGGETTIVA.
QUAL È LA SITUAZIONE? CONFORTI: innanzitutto la responsabilità può essere SPECIFICAMENTE prevista (es. protezione stranieri la cui violazione da luogo alla responsabilità per colpa). Invece, nel caso del lancio di oggetti spaziali, abbiamo un' esempio di responsabilità assoluta dello stato di lancio. Ma A PARTE I REGIMI SPECIFICI? Per i rimanenti sarebbe da applicare la RESPONSABILITA' OGGETTIVA RELATIVA purché non si dimostri l'impossibilità assoluta (forza maggiore e impossibilità di esecuzione sono spesso addotte dagli stati). Il Progetto non dedica al problema della colpa alcun articolo. C'è da chiedersi perché non siano stati fatti salvi almeno i regimi specifici di responsabilità per colpa e responsabilità oggettiva assoluta, che indubbiamente esistono.

LE CONSEGUENZE DELL'ILLECITO INTERNAZIONALE:

a) AUTOTUTELA INDIVIDUALE E COLLETTIVA: Qui vi è stata una estesa speculazione teorica. L'opinione oggi più diffusa è che le conseguenze consistano in una NUOVA RELAZIONE GIURIDICA fra stato offeso e offensore discendente da una norma apposita (SECONDARIA) contrapposta alla norma violata (PRIMARIA).
ANZILOTTI: le conseguenze sarebbero unicamente nel DIRITTO dello stato leso ad un' adeguata riparazione, ma un autonomo rilievo non hanno i mezzi coercitivi per attuarla.
KELSEN: unica ed immediata conseguenza è il ricorso alle misure di AUTOTUTELA mentre la riparazione sarebbe solo eventuale e dipenderebbero dai due stati. Le misure di autotutela non instaurano, come dall' Anzi lotti, alcun rapporto giuridico. Si tratta piuttosto di un ZWANGSAKT (= concezione fortemente imperativistica del diritto). In verità non ha tutti i torti! La fase patologica del diritto internazionale è poco una fase normativa e più una fase di reazione. MA A COSA SONO FINALIZZATE QUESTE REAZIONI? E' un punto focale, ma poca chiaro in Kelsen. Le misure di autotutela non hanno lo scopo di punire, ma quello di reintegrare l'ordine giuridico violato. Per quanto riguarda la DETERMINAZIONE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO essa è rimessa all' ACCORDO FRA LE PARTI. Ma occupiamoci (1) DELL' AUTOTUTELA E (2) DELLE VARIE FORME DI RIPARAZIONE.

1. AUTOTUTELA: nel diritto interno è un fatto eccezionale, ma è normale nel diritto internazionale nel quale manca un sistema di garanzia giuridica. Ma l' autotutela non può consistere nella MINACCIA E NELL' USO DELLA FORZA vietate dalla Carta delle NU. UNICA ECCEZIONE E' LA RISPOSTA AD UN ATTACCO ARMATO (di forze regolari e di bande irregolari, esclusa la semplice assistenza), prevista dall' Art. 51 Carta NU. Come legittima difesa. Il divieto non ha altre eccezioni. C'è chi sostiene che interventi armati siano ammissibili per proteggere i propri cittadini all' estero, o per intervenire contro gravi violazioni dei diritti umani, o per stroncare i finanziatori del terrorismo. Sono ipotesi da escludere. Vanno anche condannai i tentativi diretti a legittimare l'uso della forza IN VIA PREVENTIVA, perché svuoterebbero di contenuto lo stesso divieto. Entro QUALE LIMITE SONO PERMESSE le misure di autotutela al soggetto leso? Il disorientamento regna sovrano. Chiediamoci piuttosto quale sia IL TIPO DI FORZA VIETATO come autotutela. E' LA FORZA INTERNZAIONALE, non essendo vietato l'uso della forza interna.
1.1. CONTROMISURE (prima dette RAPPRESAGLIA) sono la categoria più importante di autotutela. Esse consistono in un comportamento dello stato leso che in se sarebbe illecito, ma diviene lecito in quanto costituisce reazione ad un illecito altrui. Lo stato leso può reagire e violare a sua volta gli obblighi consuetudinari. LIMITE molto importante e' quello della PROPORZIONALITA' anche se non si tratta mai di una perfetta corrispondenza tra le due violazioni. Se sproporzione c'è diventa illecita per l'eccedenza. Un altro limite è quello del RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE COGENTE anche se si tratta di respingere violazioni dello stesso tipo (eccezion fatta per la legittima difesa). C'è poi il limite del RISPETTO DEI PRINCIPI UMANITARI, soprattutto ricollegato alle rappresaglie contro gli stranieri. Infine c'è da dire che è necessario che lo stato abbia PRIMA TENTATO DI ESPERIRE I NECESSARI MEZZI (negoziato, conciliazione, arbitrato . ).
Pur non mutando del tutto la NATURA DELLA CONTROMISURA rispetto a quella della rappresaglia, c'è da dire che essa ha lo scopo di REINTEGRARE L'ORDINE GIURIDICO VIOLATO, lo scopo affittivo è del tutto secondario. Anche la LEGITTIMA DIFESA è una contromisura. Essa ha essenzialmente carattere preventivo. Il tema delle contromisure è, a parte questa, pressoché interamente assorbito dalle MISURE NON VIOLENTE DI AUTOTUTELA.
1.2. RITORSIONE si distingue dalla contromisure in quanto non da luogo alla violazione di norme internazionali, ma solo ad un COMPORTAMENTO INAMICHEVOLE come la rottura della collaborazione economica. Essa si esplica anche SENZA AVERE SUBITO UN ILLECITO.
1.3. AUTOTUTELA COLLETTIVA nel caso in cui a reagire non sia (o non sia solo) lo stato leso, ma anche altri stati che non abbiano subito alcuna lesione. Essa viene posta, nell' ambito del diritto consuetudinario, per le norme che prevedono OBBLIGHI ERGA OMNES quali quelle contro i crimini internazionali contro l'umanità. In tal senso si è espressa anche la COMMISSIONE DI DIRITTO INTERNAZIONALE. Quid dal punto di vista del diritto positivo internazionale? Prescindendo da soluzioni teoriche (non possibili), è innegabile che la possibilità di intervenire per gli stati terzi possa essere prevista da singole norme consuetudinarie internazionali (es. Art. 51 carta NU sulla difesa collettiva). E' però necessaria la proporzionalità e la richiesta dello stato aggredito. Un'altra norma prevede anche che gli stati neghino EFFETTI EXTRATERRITORIALI agli atti del governo che ha acquistato con la forza un territorio e in dispregio dei diritti umani; oppure che addirittura APPOGGINO I MOVIMENTI DI LIBERAZIONE. Passando al diritto patrizio, è possibile che una CONVENZIONE MULTILATERALE preveda essa stessa l'intervento (es. Art.5 Trattato NATO). MA NORME GENERALI IN TAL SENSO NON ESISTONO e la prassi non ne conosce. C'è da chiedersi se la presa di posizione della Commissione a favore dell' autotutela collettiva, come risultante dal progetto, sia opportuna. La risposta pare negativa, l'unica strada è battersi per l'istituzionalizzazione delle sanzioni contro gli illeciti gravi. Escluse le contromisure collettive, cosa possiamo dire delle ritorsioni collettive? Esse sono ammesse. Naturalmente lo stato può obbligarsi, mediante trattato a non ricorrere (Art. 171 Trattao CE che lo demanda alla Gorte di Giustizia) o a ricorre solo sotto certe condizioni (Art.51 carta NU) a misure di autotutela. Obblighi del genere sono ricavabili soprattutto dai trattati istitutivi di organizzazioni internazionali.
Il tema dell' autotutela si riverbera anche sul DIRITTO INTERNO: l'operatore giuridico interno, prima di concludere per la illiceità di un atto interno nei confronti del diritto internazionale, dovrà vedere se esso non si giustifichi come contromisura. L'ordinamento interno può, in tal senso, anche predisporre meccanismi automatici, come le CONDIZIONI DI RECIPROCITA' NELL'OSSERVANZA DELLE NORME INTERNAZIONALI. Ed è questa reciprocità che deve essere accertata da giudice interno. La condizione di reciprocità si profila utile quando inserita in un DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO IN EVOLUZIONE. Spesso essa viene utilizzata, non solo come presupposto dell' osservanza del diritto internazionale, ma anche per gli ATTI DI CORTESIA, ma in questo caso essa può portare solo ad atti in amichevoli, presentandosi quindi come misura di ritorsione.

2.RIPARAZIONE: Anzitutto si è soliti farvi rientrare l'obbligo della restituzione in forma specifica (RESTITUTIO IN INTEGRUM). Essa fa parte dell' illecito e non si pone nei confronti di esso come un obbligo da esso nascente e nuovo. Anche la SODDISFAZIONE è considerata una forma di riparazione dei DANNI MORALI. Essa si esplica nelle scuse, nell' omaggio alla bandiera, nel versamento di somme simboliche e addirittura nell' assistenza a cerimonie religiose di espiazione. SE ACCETTATE DALLO STATO LESO fanno venir meno ogni ulteriore conseguenza del fatto illecito. Essa forma dunque una sorta di accordo.
IN DEFINITIVA L'UNICA VERA FORMA DI RIPARAZIONE DEL DANNO E' IL RISARCIMENTO. Ma l'obbligo scaturisce da qualsiasi violazione? La prassi la fa scaturire dalla violazione al trattamento degli stranieri. Ma a parte ciò la prassi non può considerarsi certa. Per quanto riguarda i danni subiti dagli INDIVIDUI CHE RICOPRONO LA FUNZIONE DI ORGANI occorre distinguere tra i danni subiti dall' individuo e quelli subiti dall' organizzazione statale., ma deve comunque riguardare un DANNO MATERIALE. Infine ricordiamo che l'obbligo del risarcimento di cui stiamo parlando è quello che scaturisce dai rapporti fra gli stati, diverso è quello che scaturisce DALLA VIOLAZIONE DEI TRATTATI, per i quali, nel caso della CE, c'è la Corte di Giustizia.

LA C.D. RESPONSABILITA' DA FATTI LECITI: si discute se essa sia ammissibile nel diritto internazionale. Il settore preso in considerazione è soprattutto quello delle ATTIVITA' PERICOLOSE E INQUINANTI. Difficile poi distinguere la responsabilità senza illecito da quella senza colpa. Tutto ciò che si può dire è che una responsabilità obiettiva può essere altresì responsabilità senza illecito quando lo stato sia chiamato a rispondere non solo dell' attività dei suoi organi, ma anche degli individui posti sotto il suo controllo. Questo è ribadito anche a livello convenzionale, ma a parte il diritto convenzionale, quello consuetudinario non conosce una ura così sofisticata come la responsabilità da fatto lecito. Significativi sono i lavori della COMMISSIONE DI DIRITTO INTERNAZIONALE DELLE NU che sta studiando la responsabilità internazionale per le conseguenze dannose derivanti da attività non vietate dal diritto internazionale. Ma il solo risultato è momentaneamente rappresentato dalla norma che prevede che il risarcimento dei danni derivante da attività pericolosa sia oggetto . di negoziati tra gli stati. Le convenzioni in circolazione sono numerose ma si riferiscono per lo più ad una responsabilità di diritto interno ('chi inquina a').

L'ACCERTAMENTO DELLE NORME INTERNAZIONALI NELL' AMBITO DELLA COMUNITA' INTERNAZIONALE

LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE INTERNAZIONALE: Ancora oggi essa ha sostanzialmente NATURA ARBITRALE. Sono gli stati a dover accertare la giurisdizione del giudice internazionale. Non è certo edificante privilegiare il momento interno dell' applicazione rispetto a quello internazionale. Gli stati possono deferire al Tribunale internazionale QUALSIASI CONTROVERSIA, NON ESISTONO CONTROVERSIE NON GIUSTIZIABILI. La stessa distinzione fra CONTROVERSIE GIURIDICHE E POLITICHE (nelle seconde gli stati non pretendono di invocare il diritto internazionale, ma di mutarlo a loro favore) è oramai anacronistica. L' arbitrato internazionale si è notevolmente evoluto, partendo da accorgimenti per favorire la formazione di un simile accordo all' istituzionalizzazione della funzione arbitrale.
PUNTO DI PARTENZA E' STATO L'ARBITRATO ISOLATO nel quale, sorta una controversia fra stati, si stipulava un accordo (COMPROMESSO ARBITRALE) con il quale si nominava un arbitro, impegnandosi a rispettare la sua sentenza. L'istituto si è poi sviluppato verso la sua ISTITUZIONALIZZAZIONE nella quale possono distinguersi due fasi:
FASE 1 (SECOLO SCORSO): CLAUSOLA COMPROMISSORIA E TRATTATO GENERALE DI ARBITRATO 'INCOMPLETI' che (la prima) creano l'obbligo per gli stati di ricorrere all' arbitrato in relazione alle controversie relative ad interpretazione e applicazione della convenzione; e (la seconda) crea anch'essa un obbligo generico per tutte le controversie che possano sorgere in futuro fra stati eccettuate quelle toccanti l'onore e l'indipendenza delle parti o aventi natura politica, nonché oggi quelle relative al dominio riservato. Clausola compromissoria e trattato di arbitrato creano solo un generico obbligo 'de contraendo'. Nello stesso periodo si assiste alla creazione di organi arbitrali permanenti (Corte Permanente di Arbitrato).
FASE 2 (FINE PRIMA GUERRA MONDIALE): vede la creazione di una CORTE PERMANENTE DI GIUSTIZIA INTERNZAIONALE prima e della ICJ poi. Essa ha sede all' Aja (Den Haag) ed è composta di giudici, eletti dall' Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza. In questa fase e anche la CLAUSOLA COMPROMISSORIA 'COMPLETA' e il TRATTATO GENERALE DI ARBITRATO 'COMPLETO' che non si limitano a creare l'obbligo di stipulare il compromesso, ma direttamente quello di sottoporsi al giudizio. Esse permettono ad uno stato contraente di citare unilateralmente l'altro. L'Art.36 Statuto ICJ prevede la DIVHIARAZIONE DI ACCETTAZIONE DELLA GIURISDIZIONE DELLA ICJ. Ma in questo periodo pare che la funzione giurisdizionale internazionale sia in declino. Dai Tribunali Internazionali bisogna tener distinti i tribunali istituiti all' interno di organizzazioni internazionali, che si occupano delle controversie di lavoro tra i funzionari e l'organizzazione.
Un cenno a parte merita la CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA che, oltre alla funzione arbitrale classica, si occupa:
a) VIOLAZIONE DEL TRATTATO: in caso di inadempimento da parte di uno stato membro degli obblighi che derivano dal Trattato CE.
b) CONTROLLO DI LEGITTIMITA' SUGLI ATTI COMUNITARI: I vizi degli atti vincolanti, se riconosciuti come tali, comportano l'annullamento ex tunc dei medesimi e sono dati dall' incompetenza dell' organo, dalla violazione delle forme sostanziali e dalla violazione del Trattato.
c) QUESTIONI PREGIUDIZIALI: il famoso 177 (ricorso incidentale del giudice a quo alla Corte di Giustizia). Questo per assicurare una uniforme interpretazione delle norme del Trattato. Nel 1988 è stato istituito il TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE CE per i ricorsi promossi dalle persone fisiche e giuridiche ai sensi dell' Art.173 Trattato CE.

Caratteri particolari ha poi la CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL' UOMO, per il rispetto della relativa Convenzione. La Corte è formata da un numero di giudici pari agli stati e scelti tra giureconsulti di notoria competenza. La Corte può essere adita sia dagli stati che dagli individui.
Competenze simili ha la CORTE AMERICANA DEI DIRITTI DELL' UOMO istituita dalla Convenzione interamericana sui diritti dell' uomo del 1969.
Un sistema assai complesso è quello delle SOLUZIONI DELLE CONTROVERSIE NELL' AMBITO DELLA WTO. Questo consta sommariamente di due gradi di giudizio, il primo costituito da PANELS DI ESPERTI, il secondo consistente da un CORPO PERMANENTE DI APPELLO.
Ci si può chiedere quali mezzi ne assicurino L'ESECUZIONE IN VIA COATTIVA. L'osservanza di una sentenza internazionale nel diritto interno è assicurata dalle stesse norme che provvedono all' adattamento alle regole internazionali di cui la sentenza abbia accertato il contenuto. Può darsi poi che determinati effetti della sentenza nel diritto interno siano assicurati dalle stesse norme internazionali (vedi 177).

I MEZZI DIPLOMATICI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI: Essi tendono esclusivamente a facilitare l'accordo, non hanno carattere vincolante. Essi sono:
1. NEGOZIATI: rappresentano il mezzo più semplice di soluzione delle controversie.
2. BUONI UFFICI E MEDIAZIONE: quando si verifica l'intervento di uno stato terzo o un organo supremo di uno stato o di un' organizzazione internazionale.
3. CONCILIAZIONE: La forma diplomatica più evoluta. La COMMISSIONI DI CONCILIAZIONE sono composte da individui e non da stati ed hanno il compito di esaminare la controversia. Il ricorso alla conciliazione è un succedanei al ricorso all' arbitrato ed è sempre più spesso vista come obbligatoria con al conseguente possibilità per uno degli stati di dare unilateralmente l'avvio.
Ai mezzi diplomatici vanno ricondotte anche le procedure di carattere non vincolante poste in essere dalle organizzazioni internazionali. Si parla di FUNZIONE CONCILIATIVA, esse seguono le stesse procedure fin qui esposte e possono sfociare in una raccomandazione.
I MEZZI DIPLOMATICI E I MEZZI GIURIDICI esauriscono i MEZZI PACIFICI di soluzione. La Carta NU impone agli stati membri l'obbligo di risolvere le loro controversie con mezzi pacifici Ne parlano gli Artt. 33-38 Carta NU prevedendo un' eventuale FUNZIONE CONCILIATIVA DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA al quale è conferito un potere d'inchiesta. Il Consiglio di Sicurezza ha anche la facoltà di sollecitare le parti di una controversia a far ricorso ai mezzi procedimentali (MEZZI DI REGOLAMENTO) ex Art.33. L'Art.33 si riferisce ad un invito generico, l' Art.36 prevede che l'organo indichi quale specifico mezzo tra quelli elencati all' Art.33 sia appropriato.
Fra i poteri del Consiglio anche quello di raccomandare i TERMINI DEL REGOLAMENTO, quindi suggerire come risolvere nel merito la controversia.
E L' ASSEMBLEA GENERALE NU? Anch'essa, in base all' Art.41 può raccomandare misure di regolamento pacifico, con il solo limite di astenersi dall' intervenire su questioni di cui si stia occupando il Consiglio.
E IL SEGRETARIO GENERALE NU? Egli agisce come mediatore su autorizzazione del Consiglio o dell' Assemblea Generale.
E LE ORGANIZZAZIONI REGIONALI? Art.52 esse faranno ogni sforzo necessario per raggiungere una soluzione pacifica.




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