diritto |
Il concetto e le classificazioni del diritto del lavoro
Il diritto del lavoro, inteso in senso lato, può essere definito come l'insieme delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro, ossia la relazione giuridica intercorrente tra il prestatore ed il datore di lavoro. Tale relazione rappresenta un rapporto giuridico complesso, avente ad oggetto tanto l'obbligo del lavoratore di prestare la propria attività e l'obbligo del datore di corrispondere la retribuzione, quanto una molteplicità di situazioni giuridiche soggettive attive e passive, facenti capo alle due parti del rapporto.
Il diritto del lavoro è una disciplina giuridica relativamente nuova, sviluppatasi essenzialmente a partire dai primi anni dell'Ottocento, quando emerse con tutta evidenza la necessità di mediare le esigenze della tutela dei lavoratori con quelle della produzione. Disciplina che ha subito un'evoluzione fortemente condizionata dalle varie fasi attraversate nella storia sociale, economica e politica del nostro Paese.
Il diritto del lavoro presenta connotazioni peculiari rispetto alle altre branche del diritto, in quanto si sottrae alla partizione tradizionale - ma sempre più, oggi, contestata - del diritto nei due rami del diritto pubblico e del diritto privato. In esso, infatti, confluiscono:
La dottrina tradizionale distingue nell'ambito del diritto del lavoro inteso in senso ampio:
Le fonti del diritto del lavoro
Il sistema delle fonti di produzione del diritto del lavoro in senso stretto presenta aspetti di particolare complessità e problematicità, in ragione del concorso di una molteplicità di atti che, se pur dotati di un diverso grado di efficacia, hanno tutti la forza giuridica di incidere sulla regolamentazione concreta del rapporto di lavoro e di determinarla.
In via di prima approssimazione, le fonti che concorrono alla produzione del diritto del lavoro possono essere suddivise nel modo che segue:
Le fonti sovranazionali
Ricordato che a termini dell'art. 35, co. III, Cost., la Repubblica 'promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro', occorre precisare che nel novero delle fonti sovranazionali od internazionali si distinguono due livelli di produzione normativa:
Con riferimento al primo livello, oltre ai vari trattati internazionali stipulati anche dall'Italia, rivestono fondamentale importanza alcuni atti ad efficacia esterna emanati dall'O.I.L. (Organizzazione internazionale del lavoro, istituzionalmente deputata a favorire il progresso delle classi lavoratrici nel mondo), e cioè:
Con riferimento al secondo livello, va ricordato che, a differenza delle norme del diritto internazionale, quelle del diritto comunitario - che hanno assunto, specie nell'ultimo decennio, una sempre crescente importanza - possono esplicare efficacia immediata e diretta all'interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Tali norme sono quelle contenute:
Le fonti legislative
In materia di diritto del lavoro, le fonti legislative sono le seguenti:
La Costituzione
La nostra Carta costituzionale, definita da taluno 'lavoristica' (MAZZIOTTI), considera il rapporto di lavoro come il più importante rapporto interprivato. Prova ne è che nella grande area delle garanzie costituzionali attinenti ai rapporti tra privati, le garanzie relative al rapporto di lavoro sono di gran lunga prevalenti (GHERA).
Il rilievo dato dalla Costituzione al lavoro si evince, innanzitutto, dall'art.
1, co. I, ai sensi del quale 'L'Italia
è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro'.
Nonostante qualche autorevole opinione contraria, sembra doversi ritenere che,
nel contesto di tale disposizione, il termine lavoro assuma un significato
ampio, tale da comprendere cioè non solo il lavoro salariato, ma ogni
altra attività, anche imprenditoriale.
Vengono, quindi, dettati in altre norme costituzionali, altri principi fondamentali volti a rendere più concreta la disposizione di cui all'art. 1, co. I.
In realtà, è necessario distinguere in proposito le norme della Costituzione sociale dalle norme della Costituzione economica. Infatti, come osserva Ghera, 'la tutela del soggetto contraente debole rappresenta indubbiamente la finalità delle norme dettate dalla Costituzione in materia di lavoro, ma non si tratta più di una finalità esclusiva: si aggiunge, infatti, ad essa la finalità ulteriore e più ampia della garanzia dei diritti sociali. Al tradizionale obiettivo della tutela della posizione contrattuale debole si affianca perciò l'obiettivo della tutela della libertà e dignità sociale del lavoratore'.
Gli articoli della Costituzione sociale che vengono in rilievo sono:
o l'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità: tale disposizione, da un lato, ha contribuito all'ampliamento della categoria dei diritti civili dei lavoratori e, dall'altro, ha conferito efficacia interprivata alle libertà fondamentali (MAZZIOTTI);
o l'art. 3, che sancisce il principio dell'eguaglianza giuridica e, dunque, implicitamente, il divieto, per il legislatore, di discriminazione fra lavoratori (essendo il principio di eguaglianza non meramente formale, ma sostanziale, saranno chiaramente consentiti trattamenti differenziati in presenza di situazioni diverse);
o l'art. 4, che al co. I statuisce che 'La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro', tipico diritto sociale, ossia finalizzato all'eliminazione delle disuguaglianze sostanziali; e al co. II sancisce il dovere di svolgere un'attività o una funzione che contribuiscano al progresso materiale o spirituale delle società, dovere non sanzionabile penalmente stante l'inammissibilità nel nostro ordinamento del lavoro coatto.
Gli articoli della Costituzione economica relativi alla materia del lavoro sono:
o l'art. 35, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro (in tutte le sue forme ed applicazioni), la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori, promuove gli accordi e le organizzazioni internazionali volti ad affermare i diritti dei lavoratori, riconosce la libertà di emigrazione;
o l'art. 36, che enuncia il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente nonché il diritto irrinunciabile al riposo settimanale ed alle ferie, ponendo altresì il principio che la durata massima della giornata lavorativa deve essere stabilita con legge;
o l'art. 37, relativo al lavoro femminile ed al lavoro minorile, che stabilisce, tra l'altro, che alla donna lavoratrice spetta, a parità di lavoro, parità di retribuzione rispetto ai lavoratori maschi;
o l'art. 38, in cui è preurato l'intervento assistenziale nonché quello previdenziale a favore dei lavoratori subordinati 'in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria';
o l'art. 39, che tratta della libertà sindacale, del sindacato riconosciuto e del contratto collettivo;
o l'art. 40, a norma del quale 'Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano'.
I codici
Nell'ambito delle leggi ordinarie, una posizione preminente, quale fonte del diritto del lavoro, spetta al Codice Civile ed in particolare al suo libro V che reca l'intestazione 'Del lavoro'. Va, però, precisato, al riguardo, che non tutte le norme in esso contenute afferiscono alla materia del lavoro, così come, per converso, molte norme appartenenti al diritto del lavoro sono contenute in altri libri del codice.
Di più, alcune speciali ure di contratti
di lavoro ed alcune categorie di prestatori di lavoro rinvengono la loro
disciplina nel codice della navigazione.
Sempre con riguardo ai codici, va rammentato che il codice di procedura civile
conteneva le norme relative alle controversie in materia di lavoro; ma tali
norme sono state integralmente riformate con la L. 11 agosto 1973, n. 533.
Gli altri atti aventi forza di legge
Per legge deve intendersi anche ogni altro atto avente forza di legge, e quindi:
o i decreti legislativi, di cui agli artt. 76 e 77, co. I, Cost., che hanno trovato ampia applicazione in materia di lavoro, soprattutto in virtù della legge delega 14 luglio 1959, n. 741, che autorizzò il Governo a recepire, appunto con decreto legislativo, in via transitoria, i contratti collettivi fino a quel momento stipulati per conferire ai medesimi efficacia generale;
o i decreti-legge, di cui all'art. 77, co. II e III, Cost, che hanno conosciuto una notevole diffusione negli ultimi tempi (si pensi, ad esempio ai decreti-legge sul costo della forza lavoro).
Le leggi speciali
Numerosissime sono le c.d. leggi speciali volte a
tutelare il lavoratore, non solo in quanto contraente debole, ma anche nella
sua qualità di soggetto che impegna la propria persona nel rapporto di
lavoro, ricavandone un reddito che costituisce, nella maggior parte dei casi,
la sua unica fonte di sostentamento. Nella più recente legislazione si
registra la tendenza a tutelare, oltre all'integrità fisica del
lavoratore, anche l'integrità morale dello stesso.
Si citano qui soltanto alcune delle più importanti leggi speciali, e
cioè:
o la L. 15/7/1966, n. 604 (licenziamenti individuali), modificata ed integrata dalla L. 11/5/1990, n. 108;
o la L. 20/5/1970, n. 300, universalmente nota come Statuto dei lavoratori;
o la L. 11/8/1973, n. 533 (processo del lavoro);
o la L. 23/7/1991, n. 223 (licenziamenti collettivi).
Le fonti contrattuali
Non tutta la disciplina relativa alla materia del lavoro è contenuta nel codice o nelle leggi integratrici - pure numerose - o, ancora, nei decreti-legge e nei decreti legislativi emanati dal Governo.
Altra regolamentazione, che si aggiunge a quella generale, può essere rinvenuta:
o nel contratto collettivo, che la migliore dottrina definisce come il contratto stipulato tra il sindacato dei lavoratori e l'associazione sindacale degli imprenditori, a livello interconfederale, o di categoria, o aziendale, al fine di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro a cui dovranno uniformarsi i singoli contratti individuali;
o e nel contratto individuale, consistente nell'accordo raggiunto direttamente tra singolo lavoratore e singolo datore.
Il contratto collettivo viene stipulato a più livelli. Esso può essere:
o confederale: è tale il contratto che viene stipulato tra le confederazioni nazionali che rappresentano interi rami delle attività economiche, e che è relativo ad istituti di generale applicazione;
o nazionale di categoria: si tratta del contratto stipulato tra le organizzazioni sindacali di categoria, che detta la disciplina generale delle condizioni minime di trattamento della forza-lavoro;
o aziendale: stipulato anche direttamente da parte del datore e, per i lavoratori, anche dal solo organismo sindacale aziendale, che detta la disciplina delle condizioni di trattamento dei dipendenti all'interno dell'azienda.
Nelle ipotesi in cui i contratti di diverso livello predispongano discipline in contrasto fra loro, il criterio risolutore del conflitto deve essere individuato, per la dottrina e la giurisprudenza dominanti, nel criterio della specialità, ossia nella preferenza accordata alla disciplina speciale rispetto a quella generale.
Per quanto concerne i rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale va detto che essi sono strettamente regolati, nel nostro ordinamento, dal meccanismo dell'inderogabilità in peius di natura reale; è invece possibile che il contratto individuale si discosti dal contratto collettivo derogandolo in melius.
Tuttavia, in tema di fonti del diritto del lavoro, l'argomento di maggior interesse è quello del rapporto tra la legge e contrattazione collettiva. Tra tali fonti possono stabilirsi tre forme di relazione funzionale:
o una funzione ordinaria del contratto collettivo di applicazione e specificazione dei principi posti dalla legge;
o una funzione di disciplina del contratto collettivo, in virtù di espressa previsione legislativa;
o una funzione derogatoria del contratto collettivo, abilitato da specifica previsione legislativa a dettare una disciplina difforme da quella posta con legge.
Gli usi
L'uso è costituito da un comportamento costante ed uniforme, dal ripetersi cioè di un dato comportamento nel tempo ('diuturnitas'), accomnato dalla convinzione della conformità al diritto e della necessità giuridica del comportamento stesso ('opinio iuris ac necessitatis').
Nella loro qualità di fonti del diritto del lavoro, gli usi assumono una valenza peculiare. Essi sono sempre dispositivi in quanto si applicano, di regola, solo in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivo e non possono derogare la disciplina del contratto collettivo né prevalere su quella del contratto individuale. Tuttavia, essi, se più favorevoli al prestatore, prevalgono - è questa la deroga, contenuta nell'art. 2078, c.c., alla regola generale sancita dall'art. 8, preleggi - sulle norme dispositive di legge.
Da tale categoria di usi - i c.d. usi normativi - va tenuta distinta quella degli usi aziendali, che esplicano la loro efficacia nell'ambito, non della comunità generale, ma di una singola unità produttiva. Gli usi aziendali non hanno valore di norma inderogabile e, secondo la giurisprudenza, possono essere esclusi dalle parti, ancorché solo al momento della stipulazione del contratto individuale.
Privacy
|
© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta