ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto diritto

GIURIDIZIONE

ricerca 1
ricerca 2

GIURIDIZIONE

Innanzitutto dobbiamo dire che il processo è una specie del genere procedimento; infatti entrambi sono caratterizzati da un insieme di norme e di atti concatenati l'uno all'altro e finalizzati all'emanazione dell'atto conclusivo. Il processo poi è un provvedimento nel quale si esercita la giurisdizione (una delle 3 funzioni proprie dello stato). La funzione giurisdizionale diretta all'attuazione delle norme da parte dei giudici era prima legata agli altri poteri e questo è evidente se prendiamo ad esempio l'istituto del pubblico ministero che nasce appunto come rappresentante del potere esecutivo e che evidenziava un collegamento tra potere esecutivo e potere giurisdizionale; discorso simile può essere fatto per la cassazione che evidenzia un collegamento tra potere giurisdizionale e potere legislativo; infine anche il regolamento di giurisdizione evidenziava un collegamento tra potere esecutivo e potere giurisdizionale. Possiamo dire che oggi sussistono delle situazioni al confine tra i poteri dello stato, ad esempio:

i decreti legge (al confine tra potere esecutivo e potere legislativo);



la volontaria giurisdizione (al confine tra potere giurisdizionale e potere esecutivo-amministartivo);

il processo esecutivo (al confine tra potere giurisdizionale e potere esecutivo-amministartivo).

Il processo costituzionale (al confine tra potere giurisdizionale della Corte cost. e potere legislativo).

La giurisdizione è una nozione positiva, non c'è una nozione valida in tutti i tempi, in tutti i luoghi e in tutte le situazioni; infatti ogni stato può avere una nozione differente di giurisdizione. Per individuare la giurisdizione sono state fatte molte ipotesi che hanno ad oggetto elementi diversi:

il contraddittorio, ma questo non è sempre presente (infatti è assente nel decreto ingiuntivo);

la domanda di parte, ma questa è presente anche nei procedimenti amministrativi e quindi non caratterizza i procedimenti giurisdizionali;

la controversia, ma non sempre le attività giurisdizionali sono caratterizzate da una lite tra le parti (infatti questa non c'è nella volontaria giurisdizione);

l'immutabilità del provvedimento, ma questo non avviene sempre (infatti la volontaria giurisdizione non si conclude con un provvedimento immutabile).

Per determinare la giurisdizione si può fare riferimento alle norme costituzionali rappresentate da alcuni articoli:

Art.24 Cost.: Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento

Art.25 Cost.: Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge .

Art.101 Cost.: La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge .

Art.111 Cost.: La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale .

La nozione complessa di giurisdizione che ne deriva è costituita da una serie di elementi:

attuazione del diritto;

necessità della domanda di parte;

terzietà del giudice;

contraddittorio;

decisione riferita all'ordinamento nella sua globalità.

Sono previste più giurisdizioni: ordinaria (civile e penale); amministrativa; tributaria; costituzionale; comunitaria. Tra i vari tipi di giurisdizione sussistono rapporti diversi (come quello tra giurisdizione civile e giurisdizione penale o come quella tra giurisdizione civile e giurisdizione amministrativa). La giurisdizione civile che più ci interessa ha ad oggetto diritti soggettivi ma il giudice ordinario che esercita tale giurisdizione, a volte, incontra dei limiti (non può decidere sempre e comunque, perché in alcuni casi non ha la giurisdizione che è di un altro giudice). Dobbiamo analizzare a riguardo l'art.37 cod.proc.civ. (riformato dalla legge n.218/1995 nella quale è stato trasferito il 2° comma dell'articolo in questione oltre che l'art.2 cod.proc.civ. ed altre leggi). L'art.37 al 1° comma individua i primi due limiti per il giudice ordinario che sono costituiti dal limite nei confronti della pubblica amministrazione e dal limite nei confronti dei giudici speciali; mentre la legge n.218/1995 individua all'art.11 il limite per il giudice ordinario nei confronti del convenuto straniero (limite prima contenuto nel 2° comma dell'art.37). quindi il fulcro del 1° comma dell'art.37 cod.cov.proc. e dell'art.11 della legge n.218/1995 è la questione di giurisdizione o meglio il "difetto di giurisdizione". Si ha il primo limite quando ad un giudice ordinario viene sollevato un difetto di giurisdizione, ma qui si tratta di risolvere una questione che ha ad oggetto un atto della pubblica amministrazione e dove vi è un problema di merito in quanto si tratta di vedere se esiste o meno il diritto dedotto in giudizio; in realtà il giudice non potrà decidere non solo perché la giurisdizione dovrebbe essere del giudice amministrativo ma soprattutto perché il diritto non esiste (infatti se parliamo del limite del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione ci riferiamo per lo più ad una situazione di improponibilità della domanda in funzione dell'inesistenza del diritto). Si ha il secondo limite quando ad un giudice ordinario viene sollevato un difetto di giurisdizione che trova la sua giustificazione nel fatto che la materia sulla quale si deve decidere è sotto la giurisdizione di un altro giudice e precisamente un giudice speciale (amministrativo, tributario . ). Si ha il terzo limite quando ad un giudice ordinario viene sollevato un difetto di giurisdizione dal convenuto straniero nei confronti del quale non devono sussistere criteri di collegamento (criteri a carattere personale: domicilio, residenza, rappresentanza; criteri a carattere oggettivo: materie previste dalla convenzione di Bruxelles; criterio dell'accettazione, espressa o tacita). Per ciò che riguarda i primi due limiti bisogna dire che il difetto di giurisdizione può essere rilevato in ogni stato e grado del processo anche d'ufficio a condizione:

che la questione di giurisdizione non sia stata trattata;

che la decisione, ovvero la sentenza, sulla questione di giurisdizione sia stata impugnata (questo nel caso in cui la questione sia stata trattata e decisa).

Quindi bisogna ribadire che il difetto (o eccezione) di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione o del giudice speciale può essere sollevato dal convenuto o dal giudice in ogni stato e grado del processo. Per quanto riguarda invece il difetto di giurisdizione nei confronti del convenuto straniero, bisogna precisare che l'eccezione di giurisdizione può essere rilevata in qualunque stato e grado del processo: dal convenuto che non abbia accettato, espressamente o tacitamente, la giurisdizione o dal giudice d'ufficio se il convenuto sia contumace (assente), o se ricorre l'ipotesi di cui all'art.5 della legge n.218/1995 (ovvero la controversia riguarda beni immobili situati all'estero) o se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale.


Si potrebbe ravvisare una contraddizione tra la parte della norma che stabilisce la possibilità di sollevare l'eccezione in ogni stato e grado del giudizio e la parte della norma che stabilisce l'impossibilità di sollevare l'eccezione per il convenuto che abbia tacitamente accettato la giurisdizione; in realtà quando la norma prevede la possibilità di sollevare il difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del giudizio sottintende che l'eccezione debba essere il primo atto difensivo del convenuto, quindi il convenuto si può costituire nel corso della causa (e non necessariamente all'inizio) ma se vuole rilevare un difetto di giurisdizione deve farlo come suo primo atto difensivo se non vuole che la giurisdizione si ritenga accettata tacitamente. Ora è importante esaminare l'art.8 della legge n.218/1995 che richiama l'art.5 cod.proc.civ. apportandogli un correttivo. Infatti per individuare il momento determinante della giurisdizione si applica l'art.5 cod.proc.civ. (regola della perpetuatio iurisdictionis) che fa riferimento al momento della proposizione della domanda, ma l'art.8 della legge n.218/1995 aggiunge (soprattutto per ragioni di economia processuale) che possono essere presi in considerazione i fatti e le norme che determinano la giurisdizione anche se questi intervengono nel corso del processo (questo vale anche per la competenza). Per ciò che riguarda il caso in cui ci siano collegamenti tra due cause, una discussa in Italia e l'altra all'estero, bisogna prendere in considerazione l'art.7 della legge n.218/1995 che tratta al 1° comma della proposizione della stessa domanda davanti ad un giudice italiano e davanti ad un giudice straniero, stabilendo che in questo caso se il giudice italiano ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l'ordinamento italiano questi deve sospendere il giudizio; mentre al 3° comma tratta del rapporto di pregiudizialità (o di prelazione) che può esistere tra le due cause, stabilendo appunto che nel caso di pregiudizialità di una causa straniera il giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l'ordinamento italiano. Ora dobbiamo capire cosa succede nel caso in cui sorga una questione di giurisdizione dinanzi ai diversi giudici (giudice di pace e tribunale); per far ciò bisogna dire che il giudice di pace è un organo monocratico (conosce e decide come giudice unico), mentre il tribunale può essere monocratico o anche collegiale (in questo caso dal 1940 la parte istruttoria si svolge davanti ad un giudice istruttore, mentre la decisione è affidata ad un collegio). Oggi la maggiorparte delle cause sono conosciute dal tribunale monocratico; quelle conosciute dal tribunale collegiale sono individuate dall'art.50-bis c.p.c. L'art.187 c.p.c., poi, reca provvedimenti del giudice istruttore, se c'è il collegio, e provvedimenti del giudice unico se il collegio non c'è; Secondo questo articolo, se il tribunale è collegiale, il giudice istruttore può rimettere al collegio la decisione sulla giurisdizione affinché questa venga decisa separatamente o anche unitamente al merito. Il legislatore ha optato per la scelta a favore del giudice, cioè o decide subito la questione o la decide alla fine (la soluzione ideale sarebbe decidere subito in modo tale da abbreviare i tempi). Secondo l'art.279 c.p.c. la forma del provvedimento sulla giurisdizione è quella della sentenza che può essere: definitiva quando il giudice unico o quello istruttore decidono subito sull'eccezione di giurisdizione, ma bisogna dire che una sentenza è definitiva quando il giudizio viene chiuso (definito) e questo avviene se la sentenza sulla giurisdizione è declinatoria (il giudice dice che non ha giurisdizione ed il giudizio si chiude) oppure quando il giudice decide di non definire subito la questione di giurisdizione (il giudice deciderà alla fine con una sentenza conclusiva); non definitiva quando il giudice decide subito sull'eccezione di giurisdizione ma positivamente con una sentenza dichiarativa (il giudice decide cha ha la giurisdizione e quindi il giudizio continua, infatti esso si chiuderà con la sentenza che decide nel merito).


La sentenza definitiva declinatoria, quella definitiva che decide unitamente sul merito e sulla giurisdizione e quella non definitiva possono essere impugnate in appello e poi dinanzi alla cassazione a sezioni unite. Quando vi è un difetto di giurisdizione per risolvere la questione di giurisdizione oltre che un modo ordinario, che è quello analizzato, vi è un modo straordinario che è quello del regolamento di giurisdizione disciplinato dall'art.41 c.p.c. e dagli artt.367 e 368 c.p.c. Il regolamento di giurisdizione ha avuto origine dall'istituto della vocazione che aveva lo scopo di togliere al giudice il potere di conoscere la controversia sottoposta al suo esame, perché doveva essere competenza della pubblica amministrazione. Il potere di decidere sulla questione di giurisdizione nel regno piemontese era dato al re, poi fu dato al consiglio di stato ed infine alla cassazione. Nel 1940 il regolamento di giurisdizione, che prima era un potere della pubblica amministrazione, è diventato una facoltà di tutti. Il regolamento di giurisdizione può essere proposto, tramite la contestazione della giurisdizione, da parte del convenuto oppure da parte dell'attore ma sempre a condizione che il convenuto contesti la giurisdizione. Quindi possiamo dedurre che il momento iniziale per poter proporre il regola,mento di giurisdizione è quello della contestazione. Mentre attraverso l'art.41 c.p.c. possiamo vedere come il legislatore richieda che ci si trovi in primo grado e che la causa non sia stata decisa nel merito; anche se la cassazione in una sua prima sentenza ha affermato in generale che affinché si possa proporre un regolamento di giurisdizione non dev'essere stata emessa nessuna sentenza (nel sul merito, ne sulla giurisdizione) nel corso del giudizio di primo grado, ma dopo cambi a orientamento dicendo il contrario. Prima l'inconveniente dell'istituto in questione stava nel fatto che esso portava alla sospensione del processo ritardando così la decisione del giudice; invece dal 1990, con la riforma dell'art.367 c.p.c., è stato stabilita la previsione della sospensione obbligatoria, infatti ora il giudice prima di sospendere il processo deve effettuare una duplice valutazione (simile a quella del giudice a quo che rimette le questioni di legittimità alla Corte cost.) in ordine alla fondatezza della questione di giurisdizione ed in ordine all'ammissibilità del ricorso. In seguito alla proposizione del regolamento di giurisdizione sorgono dei problemi a seconda che il processo di merito venga o meno sospeso. Quando il processo di merito viene sospeso: se la cassazione decide che la giurisdizione è del giudice davanti al quale ci si è presentati, allora il processo di merito andrà riassunto (entro 6 mesi) e potrà continuare; altrimenti se la cassazione decide che la giurisdizione non è di quel giudice, il processo di merito non andrà riassunto davanti a quel giudice, tuttalpiù potrebbe essere il convenuto a riassumere il processo a quel giudice per far condannare l'attore al amento delle spese giudiziarie. Quando il processo di merito non viene sospeso, quindi si ha la contemporanea pendenza del giudizio di merito e del giudizio sulla giurisdizione alla cassazione: se arriva prima la sentenza della cassazione il processo di merito continua se la cassazione ha deciso che la giurisdizione è di quel giudice altrimenti no (tuttalpiù può esserci la condanna dell'attore al amento delle spese giudiziarie); se arriva prima la sentenza del giudice di merito questa, qualora passi in giudicato, non sarà influenzata dalla successiva sentenza declinatoria della cassazione sulla giurisdizione, ma affinché una sentenza passi in giudicato non dev'essere impugnata altrimenti la decisione della cassazione avrà influenza sul giudizio di merito in appello. Il procedimento sulla questione di giurisdizione si svolge davanti alla cassazione a sezioni unite in maniera analoga al ricorso normale in cassazione (infatti sono ammessi solo i documenti e poiché il regolamento di giurisdizione deve essere proposto all'inizio, altrimenti la sentenza ne rende impossibile la proposizione, non vi sarà stata una fase istruttoria).


Una delle differenze tra il modo ordinario per risolvere la questione di giurisdizione ed il modo straordinario (regolamento di giurisdizione) sta nel fatto che nel primo caso è necessaria un'impugnazione, quindi una sentenza, mentre nel secondo caso una sentenza precluderebbe la possibilità proporre il regolamento di giurisdizione. Il regolamento di giurisdizione non è un'impugnazione e consente alla cassazione di decidere la questione di giurisdizione saltando la fase dell'appello (fase intermedia), ecco perché esso è detto ricorso per cassazione omesso medio. La ragione per la quale una parte sceglie uno dei due procedimenti (quello ordinario o quello straordinario) anziché l'altro sta nell'effetto finale, infatti nel modo ordinario non si sospende il processo, mentre nel modo straordinario se si convince il giudice si ha la sospensione e si evita il processo fino alla decisione della cassazione. Ci si è chiesti se è possibile proporre il regolamento di giurisdizione anche nei processi sommari cautelari che sono caratterizzati da una certa celerità che contrasta con la sospensione derivante appunto dalla proposizione di un regolamento di giurisdizione. Nel 1996 la cassazione modificando la sua giurisprudenza afferma che nell'ambito di un procedimento cautelare non è possibile proporre il regolamento di giurisdizione, non perché la sospensione contrasta con la funzione del processo cautelare, ma perché nell'ambito di un processo cautelare il provvedimento del giudice è suscettibile di essere reclamato dinanzi ad un altro giudice (quindi anziché allungare i tempi con il regolamento di giurisdizione e possibile risolvere la questione di giurisdizione in tempi più celeri dinanzi al giudice del reclamo). L'art.41 c.p.c. va analizzato sotto un altro aspetto indviduato nel 2° comma; infatti in tale comma è prevista la possibilità per la pubblica amministrazione che non sia parte in causa di far dichiarare dalla cassazione a sezioni unite il difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo (non si parla qui di regolamento di giurisdizione perché questo può essere proposto solo in primo grado) purchè non sia già stata affermata la giurisdizione con sentenza passata in giudicato. In questa situazione è il prefetto che chiede al capo dell'ufficio giudiziario davanti al quale pende la causa (ad es. presidente del tribunale) di sospendere il processo; ma dovrà essere una delle parti (quella più diligente) che dovrà attivarsi per adire la cassazione. Per ciò che riguarda la sentenza della cassazione sulla giurisdizione bisogna dire che questa ha efficacia pan-processuale, cioè efficacia generale in tutti i processi che dovessero essere promossi sulla stessa domanda (sulla stessa questione di giurisdizione); questo vale anche nel caso di estinzione del processo. A differenza della sentenza della cassazione, quella del giudice di merito ha efficacia endo-processuale, cioè efficacia limitata al giudizio in corso. Nel nostro ordinamento manca l'effetto di continuazione della causa da un giudice privo di giurisdizione ad un giudice fornito di giurisdizione (quindi manca il passaggio da una giurisdizione ordinaria ad un'altra, essendo il nostro sistema fondato su di un'assoluta separazione delle giurisdizioni); in ragione di ciò sorgono dei problemi: quello inerente al conflitto negativo e quello inerente agli effetti della domanda. Nel caso di conflitto negativo questo si presenta quando un soggetto che propone un domanda prima ad un giudice ordinario e poi ad un giudice amministrativo ottiene due decisioni di diniego della giurisdizione, in tal caso il soggetto in questione potrà rivolgersi alla cassazione che risolve il conflitto negativo e stabilisce di chi è la giurisdizione; in questa situazione il soggetto avrà proposto più domande perché nel nostro sistema non c'è la continuazione. Per quanto riguarda gli effetti della domanda bisogna innanzitutto dire che la proposizione della domanda stessa interrompe la prescrizione del diritto ("credo nella sede adeguata"). Dato che nel nostro ordinamento non c'è la continuazione, nel momento in cui il giudice presso il quale viene presentata la domanda dichiara di non avere la giurisdizione, la domanda deve essere ripresentata presso un altro giudice; questo potrebbe causare la decadenza del diritto in quanto il termine per la prescrizione (ad esempio quello di 60 giorni per impugnare gli atti amministrativi) è trascorso.


Se vi fosse la continuazione è come se la domanda fosse stata proposta fin dal primo momento davanti al giudice fornito di giurisdizione. Ricordiamo poi che non si può presentare la stessa domanda presso giudici di organi differenti.





Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta