diritto |
La persona umana viene tutelata dall'ordinamento sotto molteplici aspetti.
Innanzitutto vi sono le garanzie personali accordate nella Repubblica italiana all'individuo contro il rischio di illegittime aggressioni dei poteri pubblici nella sfera inviolabile del singolo.
Poi vi è l'impegno assunto dallo Stato di promuovere il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, rimuovendo gli ostacoli che limitano l'effettiva libertà ed eguaglianza di tutti i cittadini.
Inoltre la persona umana viene tutelata da molteplici norme di diritto pubblico, specie di diritto penale, mediante le quali lo Stato mira a proteggere l'individuo, assumendosi il compitodi prevenire aggressioni o di punire il responsabile.
Qui ci interessa specificatamente la tutela di diritto privato concessa al singolo per reagire davanti ai tribunali civili, se e quando l'interessato lo riterrà opportuno, contro le eventuali aggressioni alla sua persona.
I diritti della personalità sono, dunque, diritti assoluti, inerenti ad attributi essenziali della personalità: essi non possono mai mancare, anche se una persona è così povera da non avere alcun diritto sui beni del mondo esterno.
I diritti della personalità sono dunque indisponibili, intrasmissibili agli eredi; anche le persone giuridiche hanno alcuni diritti della personalità (al nome, all'integrità morale).
La giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di ciascuno a non vedersi disconosciuta la paternità delle proprie azioni e a non vedersi attribuire la paternità di azioni non proprie; sicché se vengono alterati, travisati o contestati caratteri, tendenze e azioni di ciascuno o del suo patrimonio politico, intellettuale, sociale, religioso, professionale si ha diritto a chiedere la cessazione dell'aggressione.
Molto rumore ha fatto la legge del 31 dicembre 1996 con cui si è attribuito al singolo un " diritto all'autodeterminazione informativa": occorre cioè il consenso dell'interessato per la legittimità del trattamento di qualsiasi suo dato personale.
Prima esisteva una sorta di illimitata libertà di raccolta di informazioni su chiunque, fuori da ogni controllo dell'interessato. Ora la situazione è completamente rovesciata; oltre al relativo potere di controllo individuale è stato affiancato uno strumento istituzionale, nella forma di una Autorità Garante, organo indipendente al quale è stata affidata una sorta di "governo" del settore, nell'ottica di vigilare affinché il nuovo diritto sia rispettato.
Per l'incolumità fisica occorre innanzitutto prendere in esame il diritto alla tutela della propria integrità fisica, attuata principalmente con le norme penali che puniscono omicidio, lesioni personali, istigazione al suicidio e protetta con il principio della legittima difesa e col diritto di risarcimento dei danni subiti. Il singolo può acconsentire a diminuzioni transitorie della propria integrità fisica (es. le trasfusioni di sangue), ma sono vietati atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica o siano contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.
Le parti staccate del proprio corpo (capelli, denti . ) diventano beni autonomi dal momento del loro distacco.
Per quanto riguarda il cadavere, la legislazione speciale si è orientata verso un progressivo ampliamento della facoltà di compiere espianti. Questi possono avvenire purché vi sia:
accertamento della morte del soggetto
accertamento dei caratteri immunogenetici del donatore
assenza di diniego del soggetto in vita o dei suoi prossimi congiunti.
L'accertamento della morte richiede la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo.
Sotto il punto di vista dell'integrità morale ha innanzitutto importanza il diritto all'onore. Protetto sia in campo penale (reati di ingiuria e diffamazione) che civile (risarcimento dei danni).
In proposito appare difficile conciliare il problema della libertà di stampa con il diritto di ciascuno alla non ingerenza da parte di altri nella propria vita privata.
Infine è tutelato il diritto all'immagine: l'esposizione e la pubblicazione dell'immagine altrui senza il consenso della persona ritratta sono vietate:
quando la riproduzione dell'immagine non sia giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o dal collegamento a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico
se arrecano pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona ritratta o dei suoi congiunti.
La categoria dei diritti reali è stata elaborata per raggruppare i diritti su una cosa caratterizzati dalla pretesa del titolare a non essere disturbato o pregiudicato da qualsiasi terzo. Di regola il diritto reale attribuisce al titolare il potere di utilizzare il bene, anche se ciò non è essenziale (es. le servitù negative e i diritti di garanzia come il pegno e l'ipoteca).
Conseguenza dell'assolutezza dei diritti reali è anche il cosiddetto diritto di seguito o di sequela di cui beneficiano (l'ipoteca su un appartamento concessa a garanzia dell'obbligo di Tizio vale anche se quest'ultimo trasferisce ad altri la proprietà della cosa).
I diritti reali, a differenza dei diritti di credito sono caratterizzati dalla tipicità, i privati, cioè, non sono liberi di costituire diritti reali diversi da quelli espressamente disciplinati dal codice civile perché non si vuole che un bene possa essere gravato da vincoli ulteriori rispetto a quelli ammessi dalla legge.
Vi sono, però, a causa di esigenze degli agglomerati urbani, frequenti pattuizioni volte a vincolare in vario modo le proprietà urbane.
Questi obblighi, però, devono vincolare non soltanto i singoli stipulanti, ma pure tutti i loro aventi causa, successivi titolari sui diritti gravati dagli obblighi in questione.
Tra i diritti reali bisogna distinguere le proprietà dagli iura in re aliena o diritti reali parziali. Al proprietario spettano sia il potere di utilizzazione della cosa, sia il potere di appropriarsi del valore di scambio del bene.
I diritti reali parziali si distinguono in diritti reali di godimento se attribuiscono al titolare il diritto di conseguire direttamente dal bene determinati vantaggi e in diritti reali di garanzia se attribuiscono al titolare il potere di farsi assegnare con prelazione rispetto agli altri creditori il ricavato dell'alienazione del bene, in caso di mancato adempimento dell'obbligo garantito.
Nello Statuto albertino tutte le proprietà erano dichiarate inviolabili, quindi la proprietà privata era un diritto innato, più importante dell'organizzazione stessa dello Stato.
Ancora nel codice civile del 1942 si afferma che nessuno può essere privato dei beni di sua proprietà anche se si afferma la legittimità dell'esproprio per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata e contro il amento di una giusta indennità.
Nella Costituzione del 1948, invece, la proprietà non è più dichiarata inviolabile ed intangibile.
Anche la Costituzione, peraltro, dichiara che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge. Questo implica che il legislatore non può sopprimere l'istituto della proprietà e che sarebbe anticostituzionale una eventuale trasformazione del nostro sistema con un ordinamento in cui i beni siano prevalentemente collettivizzati.
Ci si chiede però entro quale ambito sia garantita la conservazione della proprietà privata dal momento che la Costituzione affida alla legge ordinaria di determinarne i limiti.
Si tratta quindi di chiedersi se la garanzia costituzionale riguardi anche il contenuto della proprietà privata.
Il codice civile afferma che il proprietario ha diritto a godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo.
Quindi il diritto del proprietario si caratterizzerebbe per la sua assolutezza e per la sua esclusività.
Queste caratteristiche, però, sono accettabili oggi solo se riferite a beni di stretto uso individuale; infatti, lo stesso articolo del codice civile aggiunge che il diritto del proprietario deve essere esercitato entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento.
La dottrina tradizionale risolve questa antinomia attribuendo carattere di eccezionalità ad ogni provvedimento volto a limitare i poteri del proprietario, che sarebbero dunque caratterizzati dall'elasticità, ossia dalla capacità di riespandersi automaticamente quando cessa la causa sella loro compressione.
La Costituzione assegna alla legge il compito di assicurare la funzione sociale della proprietà, cioè il legislatore ordinario ha il potere di conformare il regime della proprietà privata, intervenendo a precisare per le singole categorie di beni considerate rilevanti per la vita della collettività, i modi di utilizzazione consentiti.
Quindi al proprietario sono riconosciuti:
a) il diritto di godere cioè di decidere se, come e quando utilizzare la cosa, ma nell'ambito delle destinazioni di volta in volta fissate dal legislatore, a seconda dello "statuto" assegnato al bene (es. fondo agricolo piuttosto che area edificabile)
b) il diritto di disporre; oltre al valore d'uso, al proprietario spetta il valore di scambio dalle cosa. Ossia il potere di realizzare dei corrispettivi cedendo ad altri, in tutto od in parte, i diritti sulla cosa.
Il diritto del proprietario si caratterizza, infine, per la sua imperscrittibilità, perché la proprietà non si può perdere per il non uso, e per la sua perpetuità, infatti, se ad un diritto è apposto un termine di durata non lo si può qualificare come proprietà, ma come diritto parziale
Il problema della disciplina delle aree edificabili e dell'espansione dei centri abitati ha creato dispute molto accese in Italia negli ultimi anni.
Infatti, nei tempi recenti, l'imponente fenomeno dell'urbanizzazione ha posto l'esigenza di assicurare un'abitazione dignitosa a tutti i lavoratori, combattere il crescere dei quartieri dormitorio e contenere la resa parassitaria che si crea con l'alta valorizzazione delle zone periferiche.
Un primo importante passo si fa con la legge urbanistica del 1942 che facilitò la formazione di piani regolatori comunali e la rese obbligatoria per i comuni compresi in appositi elenchi, restando facoltativa per gli altri.
Questa legge consentiva ai piani regolatori di esprimere, attraverso i vincoli di "zonizzazione" (divisione del territorio in zone), dove e cosa si può fare sul territorio, ma non in quale ordine e a spese di chi. La legge, infatti, non esprime densità abitative massime e le quantità minime di servizi che, ad esempio, devono affiancare le residenze, né se tali servizi devono far carico alla proprietà dei suoli o ai Comuni.
Dopo numerosi altri interventi legislativi, si arriva alla legge Bucalossi del 28 gennaio 1977, con la quale da un lato si subordina qualsiasi costruzione ad una previa "concessione" comunale, che può essere rilasciata solo se la costruzione è conforme alla previsioni del piano regolatore, e dall'altro si subordina il rilascio della concessione al amento di un "contributo" che deve servire ai Comuni per le opere di urbanizzazione primaria (strade, parcheggi . ) e secondaria (scuole, asili . ).
Il sistema si completava con la previsione di piani pluriennali di attuazione, che avrebbero dovuto essere obbligatoriamente realizzati dai privati nei tempi fissati dal piano, pena l'espropriazione delle aree interessate contro un indennizzo pari al prezzo agricolo di tali aree; ma la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la misura di tale indennizzo, creando nuova confusione nel settore, mentre lo strumento dei piani pluriennali di attuazione si è rivelato di difficile utilizzabilità.
Le competenze in materia sono passate pressoché integralmente alla regioni, ma non ha trovato soluzione il problema della sperequazioni create tra i cittadini dalle diverse destinazioni che il piano regolatore assegna alle varie aree.
Se il privato, nell'eseguire delle opere, viola norme di edilizia, oltre a soggiacere alle sanzioni disposte da norme di diritto pubblico, si espone a conseguenze anche nei confronti dei vicini. Questi, se sono danneggiati da violazioni di norme relative alle distanze nelle costruzioni, o di norme richiamate da queste ultime, possono chiedere, oltre l'eventuale risarcimento del danno, la "riduzione in pristino" (eliminazione delle opere abusive); se invece la violazione riguarda le disposizioni che regolano l'attività costruttiva, il privato può chiedere solo l'eventuale risarcimento del danno. Se infine la violazione riguarda la stessa conformità ai piani regolatori, il privato che ne abbia interesse può chiedere al giudice amministrativo l'annullamento della concessione edificatoria.
A volte, per la realizzazione di opere pubbliche o per la realizzazione di programmi di edilizia economica, lo Stato può ricorrere all'espropriazione, ossia al trasferimento coattivo (ablazione) di beni oggetto della proprietà dei privati a favore del soggetto che dovrà provvedere alla realizzazione dell'opera o del programma.
E difatti il terzo comma dell'art. 42 Cost. dispone che "la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale".
Riguardo a questa norma, però, vi sono due concetti delicati: l'espropriazione e l'indennizzo.
Per quanto riguarda il primo problema, è stato superato il concetto tradizionale per cui si può parlare di espropriazione solo nel caso estremo di trasferimento della titolarità di un singolo bene dal precedente proprietario ad un soggetto diverso. Il concetto di espropriazione, infatti, è stato esteso anche a provvedimenti non "ablatori", ma che pur non determinando per il proprietario la perdita del diritto incidono in modo sostanziale sui poteri di godimento e quindi sul valore economico del bene.
La grave difficoltà da affrontare, con questa estensione, concerne la sicura non indennizzabilità di semplici limitazioni che il legislatore può semplicemente imporre ai proprietari privati (es. limiti di altezza degli edifici). A questo riguardo, la Corte costituzionale ha costruito la nuova ura delle espropriazioni "anomale", ritenendo illegittime le norme che, non riguardando intere categorie di beni, consentano di imporre a singoli cespiti limiti tali da incidere sulla sostanza del diritto di proprietà (es. servitù militari).
Peraltro i giudici costituzionali hanno escluso la sussistenza di un'espropriazione tutte le volte in cui la legge ordinaria prevede l'imposizione di limitazioni ad un'intera categoria di beni, per caratteristiche intrinseche, anche se concretamente individuabili specificatamente sulla base di singoli atti amministrativi volti ad accertare la loro appartenenza alle categoria delineate dal legislatore: così è stata considerata legittima l'imposizione di vincoli a tutela, per esempio, delle bellezze naturali.
Per quanto riguarda il secondo problema, la Corte costituzionale ha giustamente escluso, attesi i fini di interesse generale che i provvedimenti espropriativi perseguono, che il termine "indennizzo" obblighi a concedere un integrale risarcimento del pregiudizio economico conseguente all'espropriazione.
Pertanto è stato ritenuto che legittimamente si possa prevedere un indennizzo non consistente nel valore venale (o di mercato) che il bene aveva prima del provvedimento che lo ha colpito.
La Corte ha peraltro stabilito che l'indennizzo non possa essere simbolico o irrisorio, tale da dare all'indennità il carattere di mera apparenza; per essere legittimi, i parametri che il legislatore ordinario stabilisce nella previsione di misure espropriative devono essere tali da garantire "un serio ristoro" del danno che il privato subisce per effetto dell'esproprio.
La legge nota come "legge della casa" del 22 ottobre 1971, affermava che il valore-base per fissare la somme da liquidare all'espropriato a titolo di indennizzo sia rappresentato dal valore agricolo medio, corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare.
Questo criterio era stato confermato anche dalla legge Bucalossi, ma la Corte costituzionale l'ha dichiarato illegittimo, in quanto la misura fissata da quelle norme sarebbe insufficiente e creatrice di sperequazioni.
Un decreto legge del 1992 ha limitato al valore agricolo l'indennità di esproprio delle aree non edificabili, mentre perviene, con complicati aggiustamenti, ad una sensibile riduzione del valore venale per l'indennità di esproprio delle aree edificabili. Peraltro questa disciplina ha carattere provvisorio perché è stata esplicitamente dettata per valere fino all'emanazione di una disciplina organica per tutte la espropriazioni.
L'ordinamento giuridico pone limiti all'esercizio del diritto del proprietario.
È fuori dal concetto di limite vero e proprio il divieto di emulazione, ossia di quegli atti che non hanno altro scopo che quello di nuocere o arrecare molestia ad altri (es. piantare alberi col solo scopo di togliere una veduta panoramica ad una villa confinante).
I limiti posti dall'ordinamento giuridico alla proprietà si distinguono in limiti posti nell'interesse pubblico e nell'interesse privato.
La prima categoria è la più importante. Opportuno è anche richiamare anche l'art. 44 Cost. che prevede l'imposizione di obblighi e vincoli alla proprietà terriera e la fissazione di limiti alla sua estensione al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.
Di recente si è accentuata la preoccupazione a proteggere di più l'ambiente e questo è sfociato in numerosi provvedimenti.
In particolare si ricordano due leggi: la prima ha istituito un apposito nuovo "Ministero dell'ambiente" con il compito di "assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento". Con tale legge si afferma che "qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato".
La seconda legge mira a dar vita ad un'organizzazione centrale e locale nuova, forte abbastanza per affrontare il compito dell'amministrazione unitaria del territorio.
La difesa del territorio viene così ad essere ripartita tra Ministero dei lavori pubblici e Ministero dell'ambiente: il legislatore ha mantenuto separati gli interventi di programmazione e di gestione amministrativa del territorio da quelli di lotta ai fenomeni che sono causa del suo degrado; questo, però, potrebbe portare a conflitti che vanno a scapito del raggiungimento degli obiettivi della legge.
Nel vasto campo dei limiti e vincoli pubblici alla proprietà si possono ricordare le distanze legali di ogni costruzione da strade, autostrade, ferrovie . , l'imposizione di servitù pubbliche (es. non costruire nei pressi di un aeroporto), i vincoli forestali, i vincoli idrogeologici.
La legge prevede pure la formazione di consorzi tra i proprietari che possono essere obbligatori o volontari.
Questi limiti concernono la proprietà immobiliare e regolano i rapporti tra le proprietà vicine: essi disciplinano i diritti e i doveri di vicinato.
Giova considerare che la norma che stabilisce limiti legali (es. quella che stabilisce le distanze tra edifici), non fa altro che regolare l'esercizio di una facoltà già compresa nel diritto di proprietà. Sappiamo già che le facoltà non sono suscettibili di prescrizione estintiva. Tuttavia la facoltà che si ricollega al limite legale può estinguersi per rinunzia, perché è stata stabilita nell'interesse particolare di ciascun proprietario.
Le limitazioni del diritto di proprietà costituiscono obbligazioni negative (di non fare) o positive (di fare), di carattere reale (obbligazioni propter rem), incombenti sul proprietario come tale: egli, cioè, è obbligato perché proprietario della cosa.
Questi limiti riguardano:
a) le distanze nelle costruzioni e nelle piantagioni. Rispetto alle costruzioni in questa materia hanno importanza i regolamenti comunali. Questi, infatti, stabiliscono la distanza tra edifici; in mancanza provvede il codice civile stabilendo che la distanza minima è di tre metri. Poiché i regolamenti comunali stabiliscono anche altre norme dettate nell'interesse generale (es. per l'igiene e l'estetica edilizia), occorre distinguere se il regolamento comunale integra il codice, cioè se è richiamato dal codice come avviene per le distanze tra edifici, il vicino può chiedere la rimozione dell'opera abusiva oltre al risarcimento dei danni; se il regolamento non integra il codice, il proprietario può chiedere solo il risarcimento dei danni
b) luci e vedute. La legge deve contemperare l'esigenza del proprietario di un immobile di ricevere luce ed aria nel proprio fondo col diritto del vicino di non essere esposto alla curiosità altrui.
Le finestre o aperture si dividono in:
luci, che danno passaggio a luce ed aria ma non permettono di affacciarsi sul fondo vicino. Il proprietario del muro contiguo al fondo altrui può aprire luci senza osservare distanze, ma possono essere chiuse dal vicino che costruisca in aderenza o che, avendo acquistato la comunione del muro contiguo al fondo altrui, vi abbia appoggiato il suo edificio.
Vedute e prospetti: sono quelle aperture che permettono di affacciarsi e guardare di fronte o obliquamente o lateralmente; per le vedute sono stabilite determinate distanze.
c) acque private: il regime giuridico delle acque private stato radicalmente modificato con la legge del 5 gennaio 1994 che stabilisce che "tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa utilizzata secondo criteri di solidarietà". In precedenza, invece, erano pubbliche solo quelle acque che avessero o acquistassero attitudine ad usi di pubblico interesse. La nuova disciplina, peraltro, tempera il regime di indifferenziata pubblicità delle acque introdotto dalla norma appena citata disponendo che la "raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici è libera".
In questo quadro, scarsissimo è il rilievo da attribuire alle norme dettate dal codice civile, in
tema di acque private. Infatti se l'art. 909 concede al proprietario del suolo di utilizzare le acque
in esso presenti, fa salve
le disposizioni delle leggi speciali per le acque pubbliche: quindi, l'art.
909, può trovare applicazione solo
per le acque raccolte in invasi o cisterne le quali, pur
appartenendo al demanio pubblico, sono suscettibili di libero uso da parte dei privati.
La proprietà si estende in linea verticale, teoricamente, all'infinito, cioè nel sottosuolo e nello spazio soprastante al suolo, ma il proprietario non può opporsi ad attività di terzi svolgentisi a tale profondità o a tale altezza che egli non abbia nessun interesse ad escluderle.
In senso orizzontale la proprietà immobiliare si estende nell'ambito dei propri confini. L'accesso de terzi al fondo non può essere impedito per l'esercizio della caccia, per costruire un muro, per riprendere una cosa o un animale . Vi sono poi consuetudini che consentono di accedere a fondi altrui (specie in zone di montagna) per passeggiare, raccogliere fiori o funghi .
L'assolutezza del diritto spiega facilmente il divieto di ogni immissione materiale (cosa o persona), ma è difficile vietare le immissioni immateriali (fumo, rumore)che non derivano da un'intrusione altrui, ma da ciò che ciascuno fa in casa propria, ma può avere effetti anche sui fondi vicini.
Il legislatore dispone che nessun proprietario può opporsi alle immissioni "che non superino la normale tollerabilità". La nozione di normalità va, peraltro, rapportrata ai luoghi.
Nei casi dubbi decide il giudice; comunque, nell'art. 844 il legislatore gli impone di acconsentire immissioni che superino la normale tollerabilità ove si tratti di tener conto di esigenze sociali connesse alla difesa della produttività di un'impresa, o della priorità di un determinato uso (chi costruisce vicino ad un'officina sa da prima a quali immissioni si espone). In questi casi il giudice può imporre un indennizzo a favore del proprietario del fondo che deve subire le immissioni. Comunque, non sono mai ammesse immissioni intollerabili. Se le immissioni risultano illegittime il molestato può richiedere sia l'eliminazione della causa di tali immissioni, sia il risarcimento dei danni subiti.
Nell'ambito dei modi di acquisto della proprietà si distingue tradizionalmente tra modi di acquisto a titolo originario e a titolo derivativo, a seconda che si determini la nascita di un diritto nuovo oppure la successione dello stesso diritto già appartenente ad un altro proprietario.
I più importanti sono gli acquisti a titolo derivativo, ma qui ci occupiamo di quelli a titolo originario, che sono:
l'occupazione: presa di possesso delle cose mobili che non sono proprietà di alcuno (es. le automobili abbandonate nei cimiteri). La fauna selvatica, invece, costituisce patrimonio dello Stato ed anche i beni immobili non sono suscettibili di occupazione, in quanto, se non sono di alcuno, spettano al patrimonio dello Stato.
L'invenzione: riguarda le cose smarrite. Esse devono essere restituite al proprietario o consegnate al sindaco. Trascorso un anno, se la cosa è stata consegnata al sindaco e non si è presentato il proprietario, la proprietà spetta a colui che l'ha trovata. Se il proprietario si presenta è tenuto a dare al ritrovatore un premio proporzionale al valore della cosa smarrita. Particolare caso di invenzione è il tesoro, cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata di cui nessuno può provare di essere il proprietario. Esso appartiene al proprietario del fondo in cui si trova, ma, se è trovato per caso nel fondo altrui, spetta per metà al proprietario del fondo e per metà al ritrovatore.
L'accessione: avviene quando una proprietà preesistente attira nella sua orbita altre cose che prima ne erano estranee (es. la costruzione fatta sul suolo). ½ sono vari tipi di accessione:
a) accessione di mobile ad immobile. Siccome la proprietà del suolo si estende allo spazio soprastante, deriva che, nel caso di piantagione o di costruzione, ancorché compiuta da persona diversa del proprietario, il suolo è considerato la cosa principale che attrae nella sua orbita le piante, gli alberi, le costruzioni. Il proprietario del suolo può comunque rinunciare a tale acquisto, costituendo a favore di chi ha costruito sul suolo il diritto di superficie. Oltre la possibilità della costituzione della superficie, la regola secondo cui la proprietà del suolo si estende nello spazio soprastante è temperata dalla necessità di tener conto del diritto del proprietario dei materiali che si uniscono al suolo: a tale proprietario viene attribuito un diritto di credito; infatti, gli spetta, di regola il diritto di separarli dal suolo, se ciò possa farsi senza pregiudizio per l'opera costruita o senza che perisca la piantagione. Se non avviene la separazione, il proprietario dei materiali ha il diritto di ottenerne il valore se è stato il proprietario del suolo che li ha impiegati. Se è stato, invece, il proprietario dei materiali ad utilizzarli sul suolo altrui, il proprietario del fondo può obbligarlo a rimuoverle opere costruite senza il suo consenso; se invece decide di conservarle deve are, a sua scelta, al proprietario dei materiali che ha eseguito le opere o il valore dei materiali più il prezzo della mano d'opera, o l'aumento di valore dei materiali più il prezzo della mano d'opera, o l'aumento di valore che il fondo ne ha conseguito.
b) Accessione di immobile ad immobile. In genere consiste nei cosiddetti incrementi fluviali e dà luogo alle seguenti ure derivate dal diritto romano: alluvione, avulsione, isola formata nel fiume, che appartiene al demanio pubblico così come l'alveo abbandonato.
c) Accessione di mobile a mobile che dà luogo alle seguenti ure:
α) unione o mescolanza di più cose mobili appartenenti a diversi proprietari in modo da formare un tutto inseparabile; si ha la proprietà comune a meno che una delle due cose si possa considerare superiore e quindi il proprietario di questa acquista la proprietà del tutto, salvo l'obbligo di corrispondere il valore delle altre cose
β) specificazione: creazione di una nuova specie con materiali appartenenti ad altri. Se è superiore il valore della mano d'opera, la proprietà spetta allo specificatore, che deve però are al proprietario il prezzo della materia, altrimenti prevale il diritto del proprietario della materia che però deve are la mano d'opera.
Idiritti reali su cose altrui costituiscono una limitazione del diritto di proprietà. Essi comprimono il diritto di godimento che spetta al proprietario. Sono la superficie, l'enfiteusi, l'usufrutto, l'uso, l'abitazione, la servitù prediale.
Tutto ciò che sta sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario del suolo medesimo.
Questi, però, può derogare a questo principio mediante attribuzione ad altri del diritto di superficie.
La superficie, perciò, consiste o nel diritto di costruire, al di sopra del suolo un'opera, di cui il superficiario, quando l'abbia realizzata, acquista la proprietà, o nel diritto di mantenere una costruzione già esistente di cui il superficiario acquista la proprietà separatamente dalla proprietà del suolo che resta al concedente.
Se la costruzione già esiste, vi è semplicemente una proprietà della costruzione separata da quella del suolo e, quindi, non è concepibile l'estinzione del diritto per non uso. Invece, fino a quando la costruzione non è stata eseguita la superficie consiste in un diritto reale su cosa altrui, che, quindi, si estingue se il titolare non costruisce per venti anni.
L'estinzione della superficie dà luogo, per il principio dell'accessione, all'acquisto della proprietà della costruzione da parte del proprietario del suolo.
Salvo diversa pattuizione, il perimento della costruzione non estingue il diritto di superficie: ciò si spiega considerando che la costruzione non è che una estrinsecazione del diritto di superficie e non si confonde con esso.
L'enfiteusi attribuisce alla persona cui favore è costituita lo stesso potere di godimento che spetta al proprietario, salvo l'obbligo di migliorare il fondo e di are al proprietario concedente un canone periodico.
Questo potere di godimento è detto dominio utile, mentre al proprietario concedente spetta il dominio diretto che, in concreto, si riduce al diritto al canone. Perciò, alcuni affermano che l'enfiteuta si dovrebbe considerare il proprietario del fondo, mentre il diritto che spetta al concedente conurerebbe come un diritto reale al canone.
Ma il diritto dell'enfiteuta si estingue con il non uso, quindi egli non può essere considerato proprietario. L'enfiteusi può essere perpetua o a tempo, ma non può mai avere durata inferiore a venti anni.
Può essere costituita mediante titolo (contratto testamento) o per usucapione; può essere regolata dal titolo anche in modo diverso dalla legge che, però, stabilisce alcune norme inderogabili: tra queste vi è la facoltà dell'enfiteuta di disporre del proprio diritto, sia per atto tra vivi, sia per ultima volontà, ed in caso di alienazione del suo diritto l'enfiteuta non è tenuto ad alcuna prestazione a favore del concedente; oppure vi è il divieto di subenfiteusi, perché potrebbe dar luogo a speculazioni.
Un principio inderogabile dell'enfiteusi è il potere di affrancazione concesso all'enfiteuta. Per effetto dell'esercizio di tale potere, l'enfiteuta diventa proprietario del fondo mediante il amento di una somma corrispondente a quindici volte il canone annuo.
Un potere inverso spetta al concedente: il diritto alla devoluzione. Per effetto della devoluzione il diritto di proprietà del concedente, che era compresso durante l'enfiteusi, riprende la sua primitiva ampiezza. Ma mentre l'affrancazione non è subordinata ad alcun presupposto, la devoluzione presuppone un'inadempienza qualificata dell'enfiteuta. Essa, infatti, può domandarsi o per la violazione dell'enfiteuta dell'obbligo di non deteriorare il fondo e di migliorarlo o per la mora nel amento di due annualità del canone.
L'azione di devoluzione è quindi simile all'azione di risoluzione per inadempimento, ma se ne distingue perché essa è concessa anche se la fonte dell'enfiteusi non è il contratto, ma il testamento o l'acquisto a titolo originario.
La legge ha disposto che la domanda di devoluzione non precluda all'enfiteuta il diritto all'affrancazione.
L'estinzione si verifica:
per decorso del termine, se l'enfiteusi è temporanea
per perimento del fondo
per affrancazione
per devoluzione
per prescrizione estintiva (non uso del diritto per venti anni)
La legge accorda all'enfiteuta il diritto di ottenere dal concedente il rimborso dell'aumento di valore conseguito dal fondo quando il fondo ritorna nella piena proprietà del concedente.
L'art. 975 cod. civ. distingue tra i miglioramenti veri e propri (trasformazioni che aumentano il reddito senza avere il carattere di opere aventi una propria individualità: es. aumentata produttività del fondo) e addizioni (opere fatte dall'enfiteuta che conservano una propria individualità: es. una casa). Rispetto a queste ultime l'enfiteuta ha diritto allo ius tollendi, se può essere esercitato senza nocumento del fondo; altrimenti l'enfiteuta ha diritto a un compenso.
Per garantirgli la riscossione, la legge concede all'enfiteuta il diritto di ritenzione, cioè di rimanere nel possesso del fondo fino a quando non sia soddisfatto del suo credito.
L'usufrutto consiste nel godere della cosa altrui con l'obbligo di rispettarne la destinazione economica.
L'usufrutto ha durata temporanea quindi deve sempre essere costituito ad tempus: se nulla è detto nel titolo costitutivo si intende costituito per tutta la durata della vita dell'usufruttuario, ed in ogni caso, la morte di quest'ultimo determina l'estinzione dell'usufrutto.
Quando su un bene è stato costituito il diritto di usufrutto a favore di una persona la situazione del proprietario si designa con l'espressione "nuda proprietà".
Il quasi usufrutto ha per oggetto i bene consumabili, la cui proprietà passa all'usufruttuario, salvo l'obbligo di restituire non gli stessi bene ricevuti (impossibile restituire, per esempio le stesse banconote), ma la stessa quantità di beni dello stesso genere.
Dai beni consumabili si distinguono i deteriorabili, cioè beni che possono essere usati ripetutamente diminuendo, però, di valore (es. i vestiti).
Il diritto reale di godimento che cade sui beni deteriorabili rientra nel quadro dell'usufrutto: l'usufruttuario, però, ha l'obbligo di servirsene secondo l'uso al quale sono stati destinati: quindi, se si tratta di vestiti di gala, non possono essere indossati tutti i giorni.
Alla fine dell'usufrutto, l'usufruttuario è tenuto a restituirli nello stato in cui si trovano.
Modi di acquisto dell'usufrutto possono essere o la legge, o la volontà dell'uomo.
Riguardo all'usufrutto volontario, gli atti che costituiscono l'usufrutto su beni immobili devono farsi per iscritto e sono soggetti a trascrizione.
Il modo di acquisto più frequente era l'attribuzione dell'usufrutto al coniuge superstite, in sede di successione mortis causa al coniuge defunto. Ma la riforma del diritto di famiglia ha stabilito che anziché l'usufrutto il coniuge ha diritto ad una quota dell'eredità un proprietà piena. Quindi l'importanza dell'istituto è stata di molto ridotta. L'estinzione si verifica:
per la scadenza del termine fissato o per la morte dell'usufruttuario
per la prescrizione estintiva ventennale
per la consolidazione, ossia la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona.
Per il totale perimento della cosa
Per l'abuso che faccia l'usufruttuario del suo diritto, alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli perire per mancanza di ordinarie riparazioni.
La legge non vieta all'usufruttuario di eseguire miglioramenti ed il credito dell'usufruttuario per i miglioramenti consiste nella minor somma tra la spesa e l'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto del miglioramento.
Per le addizioni, l'usufruttuario ha lo ius tollendi qualora il suo esercizio non arrechi nocumento alla cosa, tranne che il proprietario non preferisca tenere le addizioni, nel qual caso egli deve la minor somma tra lo speso ed il migliorato.
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l'utilità di un altro fondo (fondo dominante) appartenente ad un diverso proprietario.
La definizione che il codice dà della servitù, come di un servizio che un fondo reca all'altro, esclude, secondo l'opinione prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza, l'ammissibilità delle cosiddette servitù irregolari o personali, in cui il servizio è prestato da un fondo a favore di una persona (es. quella che attribuisce il diritto di passare su un fondo per esercitarvi la caccia).
Questo perché, come abbiamo visto, i diritti reali su cose altrui costituiscono un numerus clausus. Naturalmente nulla vieta che il proprietario di un fondo si obblighi a consentire ad un'altra persona di esercitare la caccia sul proprio fondo, ma il negozio dà luogo ad un'obbligazione con effetti limitati al concedente ed ai suoi aventi causa, non ad un diritto reale che vale erga omnes.
Principi fondamentali in materia di servitù sono:
servitus in faciendo consistere nequit: la servitù può imporre al proprietario del fondo servente un negozio negativo di non fare
nemini res sua servit: questa regola vale solo quando un solo soggetto è proprietario sia del fondo dominante che del fondo servente
praedia vicina esse debent: i fondi devono trovarsi in una situazione topografica tale che l'uno (fondo servente) possa arrecare utilità all'altro (fondo dominante).
Nei casi in cui il proprietario del fondo servente è tenuto, in forza del titolo, ad una prestazione positiva, non si ha un unico rapporto giuridico, ma si hanno due rapporti distinti: a) il rapporto di servitù; b) un rapporto obbligatorio propter rem, congiunto con quello reale ed accessorio rispetto ad esso. Questi obblighi positivi servono solo per rendere possibile ed agevole l'esercizio o la conduzione della servitù.
Le servitù si distinguono in:
apparenti e non apparenti
affermative e negative
le servitù affermative in continue e discontinue.
L'esercizio della servitù è regolato dal titolo; se manca, dalla legge.
Il principio fondamentale che questa stabilisce è che il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne.
Si chiama modo, l'elemento che determina come la servitù deve essere esercitata (es. servitù di passaggio; modo: a piedi). Si discute se possa usucapirsi il modo di una servitù: la dottrina stabilisce che ciò è possibile solo se la servitù è apparente e il modo non è stabilito dal titolo.
Il dubbio circa l'estensione e le modalità d'esercizio deve risolversi in base alla regola romana che la servitù deve essere esercitata civiliter, soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio per il fondo servente.
In base al principio servitus in faciendo consistere nequit, le spese necessarie per l'uso e la conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante.
Peraltro, è consentito alle parti di disporre diversamente, creando accanto alla servitù un'obbligazione propter rem a carico del proprietario del fondo servente, in virtù della quale le spese sono a carico del proprietario stesso. Questi, tuttavia, può liberarsi rinunciando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante.
Le servitù si estinguono:
per rinuncia del titolare
per confusione (quando il proprietario del fondo dominante acquista quello servente e viceversa)
per prescrizione estintiva ventennale
per stabilire da quando comincia a decorrere il termine per la prescrizione occorre distinguere le servitù in affermative e negative.
Sono affermative quando attribuiscono al proprietario il potere di fare, sono negative, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di vietare.
Se la servitù è negativa la prescrizione comincia a decorrere quando il proprietario del fondo servente viola il divieto e non vi è reazione da parte del proprietario del fondo dominante.
Le servitù affermative, invece, si distinguono a loro volta in continue e discontinue: nelle prime l'attività dell'uomo è antecedente all'esercizio della servitù (es. nella servitù di acquedotto quando si è predisposta la conduttura, l'acqua poi scorre da sé). Nelle servitù discontinue, invece, il fatto dell'uomo deve essere coincidente con l'esercizio della servitù: esercito la servitù quando passo sul fondo altrui.
Se la servitù è negativa, dunque, il proprietario non deve fare niente per ritrarre dalla servitù l'utilità voluta, quindi la prescrizione, come nella servitù negativa, comincia a decorrere quando si è verificato un fatto contrario all'esercizio della servitù (es. l'acquedotto si è ostruito).
Se invece la servitù è discontinua, la prescrizione comincia a decorrere dall'ultimo atto di esercizio (es. dall'ultima volta che sono passato sul fondo servente).
L'impossibilità di fatto di usare della servitù (es. crolla l'edificio da cui esercitavo la servitù di veduta) e la cessazione dell'utilità (es. si è inaridita la sorgente nella servitù di attingere acqua) non fanno estinguere la servitù, poiché lo stato dei luoghi può nuovamente mutare e la servitù risorgere. Si ha in questi casi la sospensione o quiescenza della servitù: l'estinzione si ha quando è decorso il termine per la prescrizione.
A tutela della servitù è preordinata l'azione confessoria, con cui il titolare della servitù chiede che sia accertata, nei confronti di chi la contesta o ne ostacola l'esercizio, l'esistenza del suo diritto e che pertanto siano fatti cessare gli eventuali impedimenti e le eventuali turbative all'esercizio della servitù.
Questa azione ha carattere petitorio ed il suo accoglimento presuppone l'accertamento del diritto alla servitù.
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone, le quali sono contitolari del medesimo diritto. Se la contitolarità cade su un diritto reale, allora si parla di comunione. Nella vera comunione (pro indiviso) il diritto di ciascuno dei partecipanti investe l'intera cosa.
La teoria tradizionale spiega il fenomeno nel seguente modo: quando una cosa appartiene in comune, per esempio a due persone, il diritto di ognuno dei partecipanti non ha per oggetto una parte fisicamente individuata della cosa, ma abbraccia questa nella sua totalità; però, questo diritto non è illimitato, ma incontra un limite nel diritto dell'altro.
La comunione è volontaria quando si costituisce per volontà delle parti, incidentale quando sorge per volontà della legge.
La comunione è regolata innanzitutto dal titolo, in mancanza si applicano le seguenti regole.
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di servirsene; può disporre della sua quota alienandola o ipotecandola; deve contribuire alla spese necessarie, in proporzione della propria quota.
Mentre ciascuno ha il diritto di partecipare alle deliberazioni relative alla cosa comune, la legge attribuisce rilievo, per ciò che riguarda la conservazione e l'amministrazione della cosa, alla volontà della maggioranza, le cui deliberazioni sono vincolanti anche per coloro che sono dissenzienti. La maggioranza non è calcolata in base alle persone, ma in base al valore delle quote.
Può anche essere formato un regolamento per l'ordinaria amministrazione ed il miglior godimento della cosa comune. L'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti o anche ad un estraneo (amministratore della comunione).
Anche le innovazioni, ossia le modificazioni della destinazione della cosa, possono essere deliberate dalla maggioranza, che deve però essere qualificata (due terzi del valore complessivo della cosa), purché l'innovazione arrechi effettivamente vantaggio a tutti, senza pregiudicare il godimento di alcuno dei partecipanti e senza comportare una spesa eccessivamente gravosa.
Queste due condizioni valgono anche per tutti gli altri atti che eccedono l'ordinaria amministrazione.
Contro gli abusi della maggioranza, ciascun componente della minoranza dissenziente ha la facoltà di impugnare la deliberazione davanti al giudice.
Esulano dai poteri dalla maggioranza gli atti che non si riferiscono al godimento della cosa comune, ma investono il diritto stesso di ciascun comunista atti di alienazione della cosa comune): per essi occorre il consenso di tutti i condomini.
Il condominio negli edifici si verifica quando gli appartamenti di cui l'edificio consta, non appartengono alla stessa persona, ma a persone diverse. Ciascuno è proprietario esclusivo del proprio appartamento, ma alcune parti dell'edificio appartengono in comunione ai vari condomini. La singolarità di questa comunione è che è forzosa, perché suolo, muri maestri, scale, sono in tale dipendenza con l'unità dell'edificio che la comunione non può essere sciolta.
Il diritto di ciascun condomino e l'obbligo di partecipare alla spese per la manutenzione dele parti comuni sono stabiliti nel titolo: in mancanza, essi corrispondono al valore del piano o della porzione di piano.
Per tutto ciò che concerne l'uso e l'amministrazione delle cose comuni, sono previsti due organi, uno deliberativo (assemblea dei condomini) ed uno esecutivo (amministratore).
Si applicano nell'assemblea le regole generali che disciplinano il funzionamento degli organi collegiali:
a) presupposti per la validità della deliberazione: invito di tutti i condomini a partecipare all'assemblea e intervento di un numero di essi che rappresentano una parte del valore dell'intero edificio, determinato dalla legge (quorum)
b) principio maggioritario: la maggioranza, a seconda dei casi semplice o qualificata, vincola le minoranze; la maggioranza è calcolata in relazione non solo alle persone, ma anche al valore delle quote. Valgono i limiti posti alla maggioranza esaminati nel paragrafo precedente.
L'assemblea deve decidere le innovazioni e le opere di manutenzione straordinaria, stabilire il regolamento del condominio, approvare il preventivo delle spese.
L'amministratore deve curare l'osservanza del regolamento, la riscossione dei contributi, la manutenzione ordinaria; deve inoltre fare un rendiconto annuale della sua gestione.
Egli ha anche la rappresentanza, anche processuale, dei condomini, nei limiti delle proprie attribuzioni.
Per multiproprietà si intende l'attribuzione ad un soggetto, da parte del proprietario di un bene (di solito un complesso residenziale in località turistica), di un diritto di utilizzazione di una singola unità del complesso, limitatamente ad una o più settimane all'anno, ma in perpetuo o per parecchi anni. Non vi è ancora una disciplina legislativa per questo fenomeno.
Una cosa è avere il diritto di esercitare un potere di fatto, un'altra è esercitarlo di fatto. Possono esserci delle situazioni in cui chi, pur avendo in diritto, di fatto non lo esercita.
L'esercizio di fatto dei poteri sulle cose dà luogo alle situazioni possessorie, alle quali il legislatore attribuisce rilievo indipendentemente dalla circostanza che la situazione di fatto corrisponda a quella di diritto.
Tra le situazioni possessorie occorre distinguere tra la detenzione, il possesso vero e proprio (corpore et animo) e il possesso mediato (solo animo).
La detenzione consiste nell'avere la disponibilità di una cosa, ossia avere la possibilità di utilizzarla tutte le volte che si voglia, senza bisogno di superare ostacoli seri e duraturi, pur riconoscendo che essa è di altri, cui si deve rendere conto dell'uso del bene (detentori sono ad esempio il conduttore, il comodatario).
Se colui che ha il potere di fatto sulla cosa (detenzione) ha anche l'animus possidendi, ossia ha ricevuto od acquistato il bene con l'intenzione di esercitare su di essa qualunque potere ed escludendo ogni volontà di restituirla o di riconoscere diritto alcuno di altri nel bene, si ha il possesso vero e proprio; possessore mediato è invece colui che non ha la detenzione del bene, ma al quale il detentore riconosce di dover rendere conto dell'utilizzazione della cosa.
Le ragioni per cui l'ordinamento giuridico prende in considerazione e tutela il possesso sono varie. Anzitutto, proteggendo il fatto esteriore e facilmente accertabile del possesso, la legge assicura allo stesso proprietario, che di solito è anche il possessore, una difesa rapida ed efficace del suo interesse a conservare lo status quo. Inoltre, impedendo che in via di fatto si arrechi violenza o molestia al possessore, si conserva la pace tra i consociati. Chi contro lo stato di fatto del possesso esercitato da un altro, vuole opporre il suo diritto, deve agire in giudizio e non può farsi giustizia da sé togliendo all'altro la cosa.
La protezione del possessore, comunque è provvisoria perché è destinata a cadere allorché risulti la mancanza del diritto soggettivo nel possessore.
Ma il possesso, oltre a questa difesa, assicura al possessore anche altri vantaggi (l'acquisto per usucapione, la posizione di convenuto nell'azione di revindica . ). Questi benefici si giustificano considerando che, quand'anche per caso sia sprovvisto del diritto, il possessore ha il merito di trarre dalla cosa l'utilità di cui questa è capace, e ciò è opportuno nell'interesse generale.
Ciò premesso, si può intendere la differenza fra ius possessionis e ius possidendi: il primo designa l'insieme dei vantaggi che il possesso di per sé genera al possessore, ed il diritto alla tutela possessoria, il secondo il diritto di chi abbia effettivamente il titolo a possedere la sua cosa: il ladro ha lo ius possessionis ma non lo ius possidendi, che spetta al proprietario.
L'acquisto del possesso avviene in modo originario con l'apprensione della cosa o con l'esercizio su di essa di poteri di fatto corrispondenti a quelli che spettano al titolare del diritto reale di godimento, ma questa apprensione, questo esercizio di fatto del diritto non fanno acquistare il possesso se si verificano per mera tolleranza altrui, ossia quando chi potrebbe impedire l'acquisto, se ne astiene per spirito per spirito di amicizia, gentilezza .
Il possesso si acquista in modo derivativo con la consegna o, come anche si dice, con la tradizione. ½ sono, poi, due ure di traditio ficta, nelle quali non vi è mutamento nella relazione di fatto, la cosa resta sempre nelle mani della stessa persona; ciò che muta è l'elemento psicologico, l'animus.
La prima di queste ure è la traditio brevi manu, in cui il detentore diventa anche possessore.
La seconda, il costituto possessorio, consiste nel fatto inverso, cioè chi era possessore diventa ora solo detentore.
La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno dei due elementi del possesso, e cioè, o della signoria sulla cosa (corpus) o della volontà di tenerlo (animus).
La differenza tra i due istituti è costituita dall'elemento psicologico. È facile capire che, se è facile dimostrare l'elemento esteriore (io occupo il fondo e lo coltivo), non è altrettanto facile fornire la prova dell'elemento spirituale.
Soccorre il legislatore stabilendo che basta fornire la prova della detenzione, cioè della disponibilità materiale del bene: spetta a chi nega il possesso dimostrare che chi detiene la cosa l'ha ricevuta per un titolo che esclude l'animus sibi possidendi (es. è stato immesso nel fondo in qualità di affittuario).
Un'ulteriore agevolazione, sempre sul terreno probatorio, è attribuita al possessore con la presunzione di possesso intermedio, per cui basta che il possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in tempo più remoto a far presumere che abbia posseduto anche nel periodo intermedio. Spetta a chi sostiene il contrario dimostrare che il possesso fu interrotto.
Si supponga che io abbia dato in prestito un bene; non potrebbe chi lo ha ricevuto dire che lo ha sì ricevuto in prestito, ma poi ha cambiato intenzione ed ha voluto fare da vero e proprio padrone, ed invocare contro di me i commoda possessionis?
Questo mutamento di intenzione non può avere valore se resta nella sfera di valore del detentore, ma, per assumere rilievo deve essere manifestato in modo che non sussista nessun dubbio ed eventualmente il titolare possa correre ai ripari avvalendosi dei rimedi che la legge appresta.
Il mutamento da detenzione a possesso, quindi, può avvenire solo per effetto di una delle seguenti ragioni:
causa proveniente da un terzo, il quali affermi di essere il proprietario della cosa o titolare di un diritto reale e trasferisca il diritto di proprietà o il diritto reale al detentore.
Opposizione al detentore, che consiste nel rendere nota al proprietario in qualunque modo l'intenzione di continuare a tenere la cosa non più come detentore, ma per conto ad in nome proprio.
Lo stesso discorso si applica al mutamento di possesso a titolo di usufrutto, enfiteusi . a possesso a titolo di proprietà (interversione del possesso).
L'ordinamento giuridico non può trattare allo stesso modo il ladro e chi si è immesso nel possesso della cosa credendo di essere proprietario per averla acquistata con un negozio che poi si scopre essere nullo o si è impossessato della cosa senza violenza o clandestinità in modo da dare al proprietario la possibilità di recuperarla.
Si hanno, pertanto, accanto alla ura generale del possesso del non proprietario, due tipi particolari: il possesso di buona fede ed il possesso non vizioso, non viziato cioè da violenza o clandestinità.
Si ritiene "in buona fede" in senso soggettivo (la buona fede in senso oggettivo richiama invece regole di comportamento) chi ritiene di comportarsi correttamente, di possedere in base ad un diritto che gli spetta. Il titolare è sempre possessore di buona fede; chi invece possiede una cosa senza avere un corrispondente diritto, è possessore di buona fede solo se ignora il difetto del suo diritto d'acquisto, purché la suo ignoranza non derivi da colpa grave.
Pertanto, in caso di errore inescusabile, il possessore non può essere considerato di buona fede.
In definitiva, la qualifica di possessore di buona fede dipende dalle circostanze in cui avviene il possesso. La buona fede, in materia di possesso, si presume: grava su chi la contesta l'onere di provare la malafede del possessore.
Non occorre che la buona fede perduri per tutta la durata del possesso, è sufficiente che vi sia al momento dell'acquisto.
Il possesso fa parte del patrimonio del possessore: perciò, alla sua morte, esso continua ipso iure nel suo successore a titolo universale (erede), con quei precisi medesimi caratteri (buona o mala fede, viziosità o meno) che aveva rispetto al defunto, e ciò anche in mancanza di una materiale apprensione del bene e perfino se questi ignora l'esistenza del bene o che questo faceva parte dell'eredità.
Diversa, invece, è l'accessione del possesso, applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo particolare (compratore, legatario . ), e purché acquisti egli stesso il possesso (laddove per l'erede, l'acquisto del possesso avviene ipso iure, e quindi pure in assenza della materiale apprensione della cosa). Il successore a titolo particolare può sommare al periodo in cui egli stesso ha posseduto il periodo durante il quale hanno posseduto i suoi aventi causa: ciò può risultare utile ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso.
Peraltro l'acquirente a titolo particolare acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa, e pertanto può essere in buona fede benché il suo dante causa fosse in malafede.
Come sappiamo il proprietario può agire con l'azione di revindica per far riconoscere il suo diritto ed ottenere la restituzione della cosa.
Il possessore di buona fede non è tenuto a restituire i frutti che abbia percepito. I diritti del possessore di buona fede cessano al momento della domanda dell'azione di revindica perché gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda. La ragione è ovvia: il tempo occorrente per la svolgimento del processo e la pronunzia della sentenza non deve andare a danno di chi vince la causa. Perciò i frutti percepiti durante la lite spettano al proprietario; non solo, ma spettano al proprietario anche quei frutti che il possessore avrebbe potuto percepire usando la diligenza media.
Per quanto riguarda le spese, esse si dividono in necessarie, utili e voluttuarie: spese necessarie sono innanzitutto quelle che servono per la produzione dei frutti; se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, ha diritto al rimborso delle spese.
Le altre spese necessarie si dividono in ordinarie e straordinarie: le prime sono quelle che servono per le riparazioni ordinarie; esse non sono rimborsabili se non quando il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti.
Le spese straordinarie, in quanto superano il limite della conservazione della cosa e delle sue utilità, devono essere rimborsate sia al possessore di buona fede che a quello in malafede.
Per quanto riguarda le spese utili (che hanno aumentato il valore della cosa), il rimborso è dovuto, purché i miglioramenti sussistano al tempo della restituzione, sia al possessore in buona fede che a quello in malafede.
Tuttavia, per quanto riguarda l'importo del rimborso, bisogna distinguere se il possessore era qualificato da buona fede o malafede: al possessore di buona fede l'indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti; a quello di malafede, nella minor somma tra lo speso e il migliorato.
Per le addizioni si applicano le regole già applicate in tema di accessione (§178).
Come all'enfiteuta, al possessore di buona fede è riconosciuto il diritto di ritenzione, ossia la facoltà di non restituire la cosa fino a che non gli siano corrisposte le indennità dovutegli.
Altro effetto importante, ricollegabile alla tutela del possesso di buona fede, è l'acquisto della proprietà di una cosa mobile, in forza di un titolo d'acquisto proveniente a non domino, cioè da chi non sia il proprietario del bene alienato.
In base al principio nemo plus iuris potest quam ipse habet, nel caso di alienazione a non domino, l'acquirente non dovrebbe acquistare la proprietà e dovrebbe restare soggetto al rischio di restituire il bene al vero proprietario. Ma siffatte rigorose conseguenze costituirebbero un grave ostacolo alla circolazione dalla ricchezza, nell'ambito dei beni mobili; essendo impossibile per i beni mobili l'istituzione di pubblici registri, il legislatore accorda eccezionalmente tutela pure ad alienazione a non domino. Sono però necessarie talune condizioni (altrimenti risulterebbe tutelato persino il ricettatore, che acquista la refurtiva dal ladro con piena consapevolezza della provenienza del bene), e precisamente:
a) che l'acquirente abbia stipulato, benché con chi non è proprietario del bene, un valido atto d'acquisto, cioè possa vantare "un titolo idoneo al trasferimento della proprietà"
b) che l'acquirente non abbia soltanto stipulato l'atto d'acquisto, ma abbia pure già acquistato il possesso del bene
c) che l'acquirente sia in buona fede al momento dell'acquisto: ossia se ignori che l'alienante non abbia diritto di disporre della cosa, ma tale ignoranza non dipenda da sua colpa, che sussisterebbe se le circostanze in cui ha avuto luogo l'acquisto avrebbero indotto in sospetto l'uomo medio.
È chiaro che se il possesso di buona fede costituisce un titolo di acquisto della proprietà, a maggior ragione deve produrre l'effetto di porre nel nulla i diritti sulla cosa che siano ignorati. Quindi se acquisto un bene in buona fede e chi me lo vende non mi dice che su di esso è costituito un pegno, non soltanto divento proprietario del bene, ma contro di me non può neppure essere fatto valere il diritto di pegno dal creditore pignoratizio.
La buona fede è esclusa se l'acquirente conosca l'illegittima provenienza della cosa, e ciò anche quando ritenga erroneamente che colui da cui l'ha acquistata sia diventato nel frattempo proprietario (es. supponga che si sia verificata l'usucapione, mentre ciò non risponde al vero).
Può avvenire che una persona che aliena la stessa cosa a più persone, o costituisce la stesso diritto a favore di più persone o cerca di trasferire a persone diverse diritti tra loro incompatibili (es. vendo a Primus la proprietà di un bene ed a Secundus l'usufrutto dello stesso bene).
A rigore, se A ha alienato un bene il 1s novembre a Primus ed il 15 novembre a Secundus, questa seconda alienazione non dovrebbe avere effetti, perché fatta a non domino. Ma se Secundus ignora la prima alienazione, quindi è in buona fede, non può non essere applicato il principio "possesso di buona fede vale titolo". Secundus, quindi, acquista la proprietà della cosa e Primus non può rivendicarla, ma può chiedere ad A il risarcimento dei danni.
Perciò l'art. 1155 stabilisce che, se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, tra esse quella che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
Per capire questo articolo, però, bisogna tenere presente che, per il trasferimento della proprietà di un diritto reale non occorre la consegna della cosa: basta, tra le parti, che l'alienante e l'acquirente abbiano raggiunto l'accordo e si sia formato il consenso affinché il contratto sia di per se stesso sufficiente a produrre il trasferimento.
Le azioni possessorie si contrappongono alle azioni petitorie(rivendicazione, azione negatoria, azione possessoria) che possono essere fatte valere solo dal proprietario del bene, indipendentemente dal fatto che ne sia anche il possessore.
Le azioni possessorie assicurano una tutela solo di carattere provvisorio perché, chi soccombe nel giudizio possessorio può vincere nel giudizio petitorio dove, peraltro, ha l'onere di dare la prova del diritto di cui si pretende titolare.
Tuttavia è precluso il c. d. "cumulo" del giudizio petitorio col possessorio: il primo può essere intentato solo concluso il secondo, a meno che non vi sia il rischio per il proprietario, di un danno irreparabile.
L'usucapione è il mezzo in virtù del quale, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e, talora , di altri requisiti, si produce l'acquisto della proprietà e dei diritti reali di godimento.
Essa costituisce un modo d'acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali di godimento.
È agevole distinguere l'usucapione dalla prescrizione estintiva: in entrambi gli istituti hanno importanza il fattore tempo e l'inerzia del titolare del diritto, ma nella prescrizione questi elementi danno luogo all'estinzione, nell'usucapione all'acquisto di un diritto.
Inoltre, la prescrizione ha una portata generale, in quanto si riferisce a tutti i diritti tranne poche eccezioni (la più importante è la proprietà); l'usucapione, invece, riguarda solo la proprietà ed i diritti reali di godimento.
Requisiti dell'usucapione sono il possesso ed il tempo. Il possesso non deve essere vizioso, cioè non deve essere stato acquistato in modo violento e clandestino. Cessata la violenza o la clandestinità, chi è stato spogliato del possesso può bene agire per ottenere il recupero: se non lo fa significa che tollera che altri possieda la cosa. Perciò l'art. 1163 stabilisce che il possesso, benché acquistato in modo violento o clandestino; giova per l'usucapione dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata.
Il possesso, inoltre, non deve subire interruzioni.
In relazione al tempo per cui deve durare, si distingue l'usucapione ordinaria da quella abbreviata.
L'usucapione ordinaria si compie, per i beni immobili, in venti anni.
L'usucapione abbreviata richiede per gli immobili dieci anni e per i mobili registrati tre anni.
Per l'usucapione abbreviata, oltre al possesso non vizioso e senza interruzioni occorrono:
a) la buona fede
b) un titolo idoneo in astratto a trasferire la proprietà o il diritto reale di godimento ma inefficiente in concreto per non essere l'alienante proprietario o titolare del diritto reale.
c) Trascrizione del titolo. I dieci anni decorrono dalla data della trascrizione.
L'usucapione in materia di beni mobili acquista importanza soltanto quando manchi il titolo o la buona fede, altrimenti l'acquisto della proprietà si verifica istantaneamente.
Essa, quando manchi un titolo idoneo ma non la buona fede, si compie in dieci anni; se manca la buona fede, invece, occorrono venti anni.
Alle universalità di mobili si applica un regime analogo a quello degli immobili.
Con legge 10 maggio 1976 è stato inserito nel codice civile un nuovo art. 1159-bis, con il quale il termine normale di usucapione di beni immobili è stato ridotto a quindici anni per i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni che per legge siano classificati come "montani", oppure per i fondi rustici con annessi fabbricati anche se non situati in comuni montani, purché abbiano reddito dominicale iscritto in catasto non superiore a complessive lire cinquemila.La stessa fissa in 5 anni il termine per gli stessi beni, qualora sussistano le condizioni per l'usucapione abbreviata.
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