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Idiritti reali su cose altrui costituiscono una limitazione del diritto di proprietà. Essi comprimono il diritto di godimento che spetta al proprietario. Sono la superficie, l'enfiteusi, l'usufrutto, l'uso, l'abitazione, la servitù prediale.
Tutto ciò che sta sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario del suolo medesimo.
Questi, però, può derogare a questo principio mediante attribuzione ad altri del diritto di superficie.
La superficie, perciò, consiste o nel diritto di costruire, al di sopra del suolo un'opera, di cui il superficiario, quando l'abbia realizzata, acquista la proprietà, o nel diritto di mantenere una costruzione già esistente di cui il superficiario acquista la proprietà separatamente dalla proprietà del suolo che resta al concedente.
Se la costruzione già esiste, vi è semplicemente una proprietà della costruzione separata da quella del suolo e, quindi, non è concepibile l'estinzione del diritto per non uso. Invece, fino a quando la costruzione non è stata eseguita la superficie consiste in un diritto reale su cosa altrui, che, quindi, si estingue se il titolare non costruisce per venti anni.
L'estinzione della superficie dà luogo, per il principio dell'accessione, all'acquisto della proprietà della costruzione da parte del proprietario del suolo.
Salvo diversa pattuizione, il perimento della costruzione non estingue il diritto di superficie: ciò si spiega considerando che la costruzione non è che una estrinsecazione del diritto di superficie e non si confonde con esso.
L'enfiteusi attribuisce alla persona cui favore è costituita lo stesso potere di godimento che spetta al proprietario, salvo l'obbligo di migliorare il fondo e di are al proprietario concedente un canone periodico.
Questo potere di godimento è detto dominio utile, mentre al proprietario concedente spetta il dominio diretto che, in concreto, si riduce al diritto al canone. Perciò, alcuni affermano che l'enfiteuta si dovrebbe considerare il proprietario del fondo, mentre il diritto che spetta al concedente conurerebbe come un diritto reale al canone.
Ma il diritto dell'enfiteuta si estingue con il non uso, quindi egli non può essere considerato proprietario. L'enfiteusi può essere perpetua o a tempo, ma non può mai avere durata inferiore a venti anni.
Può essere costituita mediante titolo (contratto testamento) o per usucapione; può essere regolata dal titolo anche in modo diverso dalla legge che, però, stabilisce alcune norme inderogabili: tra queste vi è la facoltà dell'enfiteuta di disporre del proprio diritto, sia per atto tra vivi, sia per ultima volontà, ed in caso di alienazione del suo diritto l'enfiteuta non è tenuto ad alcuna prestazione a favore del concedente; oppure vi è il divieto di subenfiteusi, perché potrebbe dar luogo a speculazioni.
Un principio inderogabile dell'enfiteusi è il potere di affrancazione concesso all'enfiteuta. Per effetto dell'esercizio di tale potere, l'enfiteuta diventa proprietario del fondo mediante il amento di una somma corrispondente a quindici volte il canone annuo.
Un potere inverso spetta al concedente: il diritto alla devoluzione. Per effetto della devoluzione il diritto di proprietà del concedente, che era compresso durante l'enfiteusi, riprende la sua primitiva ampiezza. Ma mentre l'affrancazione non è subordinata ad alcun presupposto, la devoluzione presuppone un'inadempienza qualificata dell'enfiteuta. Essa, infatti, può domandarsi o per la violazione dell'enfiteuta dell'obbligo di non deteriorare il fondo e di migliorarlo o per la mora nel amento di due annualità del canone.
L'azione di devoluzione è quindi simile all'azione di risoluzione per inadempimento, ma se ne distingue perché essa è concessa anche se la fonte dell'enfiteusi non è il contratto, ma il testamento o l'acquisto a titolo originario.
La legge ha disposto che la domanda di devoluzione non precluda all'enfiteuta il diritto all'affrancazione.
L'estinzione si verifica:
per decorso del termine, se l'enfiteusi è temporanea
per perimento del fondo
per affrancazione
per devoluzione
per prescrizione estintiva (non uso del diritto per venti anni)
La legge accorda all'enfiteuta il diritto di ottenere dal concedente il rimborso dell'aumento di valore conseguito dal fondo quando il fondo ritorna nella piena proprietà del concedente.
L'art. 975 cod. civ. distingue tra i miglioramenti veri e propri (trasformazioni che aumentano il reddito senza avere il carattere di opere aventi una propria individualità: es. aumentata produttività del fondo) e addizioni (opere fatte dall'enfiteuta che conservano una propria individualità: es. una casa). Rispetto a queste ultime l'enfiteuta ha diritto allo ius tollendi, se può essere esercitato senza nocumento del fondo; altrimenti l'enfiteuta ha diritto a un compenso.
Per garantirgli la riscossione, la legge concede all'enfiteuta il diritto di ritenzione, cioè di rimanere nel possesso del fondo fino a quando non sia soddisfatto del suo credito.
L'usufrutto consiste nel godere della cosa altrui con l'obbligo di rispettarne la destinazione economica.
L'usufrutto ha durata temporanea quindi deve sempre essere costituito ad tempus: se nulla è detto nel titolo costitutivo si intende costituito per tutta la durata della vita dell'usufruttuario, ed in ogni caso, la morte di quest'ultimo determina l'estinzione dell'usufrutto.
Quando su un bene è stato costituito il diritto di usufrutto a favore di una persona la situazione del proprietario si designa con l'espressione "nuda proprietà".
Il quasi usufrutto ha per oggetto i bene consumabili, la cui proprietà passa all'usufruttuario, salvo l'obbligo di restituire non gli stessi bene ricevuti (impossibile restituire, per esempio le stesse banconote), ma la stessa quantità di beni dello stesso genere.
Dai beni consumabili si distinguono i deteriorabili, cioè beni che possono essere usati ripetutamente diminuendo, però, di valore (es. i vestiti).
Il diritto reale di godimento che cade sui beni deteriorabili rientra nel quadro dell'usufrutto: l'usufruttuario, però, ha l'obbligo di servirsene secondo l'uso al quale sono stati destinati: quindi, se si tratta di vestiti di gala, non possono essere indossati tutti i giorni.
Alla fine dell'usufrutto, l'usufruttuario è tenuto a restituirli nello stato in cui si trovano.
Modi di acquisto dell'usufrutto possono essere o la legge, o la volontà dell'uomo.
Riguardo all'usufrutto volontario, gli atti che costituiscono l'usufrutto su beni immobili devono farsi per iscritto e sono soggetti a trascrizione.
Il modo di acquisto più frequente era l'attribuzione dell'usufrutto al coniuge superstite, in sede di successione mortis causa al coniuge defunto. Ma la riforma del diritto di famiglia ha stabilito che anziché l'usufrutto il coniuge ha diritto ad una quota dell'eredità un proprietà piena. Quindi l'importanza dell'istituto è stata di molto ridotta. L'estinzione si verifica:
per la scadenza del termine fissato o per la morte dell'usufruttuario
per la prescrizione estintiva ventennale
per la consolidazione, ossia la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona.
Per il totale perimento della cosa
Per l'abuso che faccia l'usufruttuario del suo diritto, alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli perire per mancanza di ordinarie riparazioni.
La legge non vieta all'usufruttuario di eseguire miglioramenti ed il credito dell'usufruttuario per i miglioramenti consiste nella minor somma tra la spesa e l'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto del miglioramento.
Per le addizioni, l'usufruttuario ha lo ius tollendi qualora il suo esercizio non arrechi nocumento alla cosa, tranne che il proprietario non preferisca tenere le addizioni, nel qual caso egli deve la minor somma tra lo speso ed il migliorato.
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l'utilità di un altro fondo (fondo dominante) appartenente ad un diverso proprietario.
La definizione che il codice dà della servitù, come di un servizio che un fondo reca all'altro, esclude, secondo l'opinione prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza, l'ammissibilità delle cosiddette servitù irregolari o personali, in cui il servizio è prestato da un fondo a favore di una persona (es. quella che attribuisce il diritto di passare su un fondo per esercitarvi la caccia).
Questo perché, come abbiamo visto, i diritti reali su cose altrui costituiscono un numerus clausus. Naturalmente nulla vieta che il proprietario di un fondo si obblighi a consentire ad un'altra persona di esercitare la caccia sul proprio fondo, ma il negozio dà luogo ad un'obbligazione con effetti limitati al concedente ed ai suoi aventi causa, non ad un diritto reale che vale erga omnes.
Principi fondamentali in materia di servitù sono:
servitus in faciendo consistere nequit: la servitù può imporre al proprietario del fondo servente un negozio negativo di non fare
nemini res sua servit: questa regola vale solo quando un solo soggetto è proprietario sia del fondo dominante che del fondo servente
praedia vicina esse debent: i fondi devono trovarsi in una situazione topografica tale che l'uno (fondo servente) possa arrecare utilità all'altro (fondo dominante).
Nei casi in cui il proprietario del fondo servente è tenuto, in forza del titolo, ad una prestazione positiva, non si ha un unico rapporto giuridico, ma si hanno due rapporti distinti: a) il rapporto di servitù; b) un rapporto obbligatorio propter rem, congiunto con quello reale ed accessorio rispetto ad esso. Questi obblighi positivi servono solo per rendere possibile ed agevole l'esercizio o la conduzione della servitù.
Le servitù si distinguono in:
apparenti e non apparenti
affermative e negative
le servitù affermative in continue e discontinue.
L'esercizio della servitù è regolato dal titolo; se manca, dalla legge.
Il principio fondamentale che questa stabilisce è che il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne.
Si chiama modo, l'elemento che determina come la servitù deve essere esercitata (es. servitù di passaggio; modo: a piedi). Si discute se possa usucapirsi il modo di una servitù: la dottrina stabilisce che ciò è possibile solo se la servitù è apparente e il modo non è stabilito dal titolo.
Il dubbio circa l'estensione e le modalità d'esercizio deve risolversi in base alla regola romana che la servitù deve essere esercitata civiliter, soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio per il fondo servente.
In base al principio servitus in faciendo consistere nequit, le spese necessarie per l'uso e la conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante.
Peraltro, è consentito alle parti di disporre diversamente, creando accanto alla servitù un'obbligazione propter rem a carico del proprietario del fondo servente, in virtù della quale le spese sono a carico del proprietario stesso. Questi, tuttavia, può liberarsi rinunciando alla proprietà del fondo servente a favore del proprietario del fondo dominante.
Le servitù si estinguono:
per rinuncia del titolare
per confusione (quando il proprietario del fondo dominante acquista quello servente e viceversa)
per prescrizione estintiva ventennale
per stabilire da quando comincia a decorrere il termine per la prescrizione occorre distinguere le servitù in affermative e negative.
Sono affermative quando attribuiscono al proprietario il potere di fare, sono negative, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di vietare.
Se la servitù è negativa la prescrizione comincia a decorrere quando il proprietario del fondo servente viola il divieto e non vi è reazione da parte del proprietario del fondo dominante.
Le servitù affermative, invece, si distinguono a loro volta in continue e discontinue: nelle prime l'attività dell'uomo è antecedente all'esercizio della servitù (es. nella servitù di acquedotto quando si è predisposta la conduttura, l'acqua poi scorre da sé). Nelle servitù discontinue, invece, il fatto dell'uomo deve essere coincidente con l'esercizio della servitù: esercito la servitù quando passo sul fondo altrui.
Se la servitù è negativa, dunque, il proprietario non deve fare niente per ritrarre dalla servitù l'utilità voluta, quindi la prescrizione, come nella servitù negativa, comincia a decorrere quando si è verificato un fatto contrario all'esercizio della servitù (es. l'acquedotto si è ostruito).
Se invece la servitù è discontinua, la prescrizione comincia a decorrere dall'ultimo atto di esercizio (es. dall'ultima volta che sono passato sul fondo servente).
L'impossibilità di fatto di usare della servitù (es. crolla l'edificio da cui esercitavo la servitù di veduta) e la cessazione dell'utilità (es. si è inaridita la sorgente nella servitù di attingere acqua) non fanno estinguere la servitù, poiché lo stato dei luoghi può nuovamente mutare e la servitù risorgere. Si ha in questi casi la sospensione o quiescenza della servitù: l'estinzione si ha quando è decorso il termine per la prescrizione.
A tutela della servitù è preordinata l'azione confessoria, con cui il titolare della servitù chiede che sia accertata, nei confronti di chi la contesta o ne ostacola l'esercizio, l'esistenza del suo diritto e che pertanto siano fatti cessare gli eventuali impedimenti e le eventuali turbative all'esercizio della servitù.
Questa azione ha carattere petitorio ed il suo accoglimento presuppone l'accertamento del diritto alla servitù.
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