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IL DIRITTO SINDACALE

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IL DIRITTO SINDACALE


ORGANIZZAZIONE SINDACALE:

Struttura complessa con più intrecci e suddivisa sia a livello orizzontale (settori) che a livello verticale (territorio) a loro volta in rapporto tra loro.


Si articola su quattro livelli:

Livello base costituito dalle rappresentanze sindacali in azienda;

Livello provinciale e comprensoriale che comprende sia strutture di tipo verticale che orizzontale;

Livello regionale, anch'esso comprende sia strutture di tipo verticale che orizzontale con maggiori poteri soprattutto visto il recente decentramento amministrativo;



Livello nazionale che comprende le strutture nazionali di categoria e la confederazione.


Si articola altresì su due piani:

Linea verticale: imperniata sul dato di appartenenza alla categoria.
Si distinguono, ad es. tra metalmeccanici, chimici, commerciali, ecc . e sono a loro volta articolate sul piano territoriale fino ad arrivare alle confederazioni di livello nazionale.

a) Compiti: condurre l'attività contrattuale e di iniziativa nei propri settori.

Linea orizzontale: imperniata sul dato territoriale.
Riguarda le confederazioni CGIL, CISL e UIL che si articolano su 3 livelli, comprensoriale, regionale e le confederazioni nazionali.

a) Compiti: fissare gli indirizzi fondamentali di politica sindacale, economica e contrattuale.


N.B.: CdF > RSA > RSU

Si iniziò nel '69 con la nomina, nelle varie aziende, su spontanea iniziativa dei lavoratori, dei delegati di fabbrica (nominati dai diversi uffici e reparti) che costituivano il Consiglio di Fabbrica. I sindacati, vista l'importanza dell'iniziativa, la fecero propria con le Rappresentanze Sindacali d'Azienda modificate con la riforma del '93 in Rappresentanze Sindacali Unitarie.


RSU: hanno competenze generali di tutela collettiva dei lavoratori in azienda, compresa la titolarità contrattuale nei limiti delle competenze loro attribuite. Sono composte per 2/3 da delegati eletti dai lavoratori secondo le liste sindacali e per il rimanente da delegati designati direttamente dai sindacati nazionali.

E' organo dell'insieme dei lavoratori, iscritti e non, e dei sindacati nell'azienda.


LIBERTA' SINDACALE

Fonti: il diritto sindacale trova le proprie fonti sia a livello costituzionale che contrattuale che europeo.

Art. 39 Cost.: l'organizzazione sindacale è libera;

Convenzione n. 87: riguarda la libertà sindacale e la protezione dei fenomeni sindacali in generale;

Convenzione n. 98: riguarda il diritto di organizzazione e negoziazione collettiva;

Statuto dei lavoratori: dà concreta attuazione e regolazione di quanto contenuto nel disposto costituzionale e nelle convenzioni europee.

Profilo individuale: concerne libertà positive come quelle di costituire un sindacato, di parteciparvi, di raccogliere contributi e di riunirsi in assemblee e libertà negative come quella di non aderirvi o recedervi.

Profilo collettivo: concerne la libertà organizzativa del sindacato (scelta del modello organizzativo e regole, obiettivi e strumenti), la facoltà di aderire a strutture complesse e di scegliere gli organi di vertice.


Definizione di "sindacale"

Profilo teleologico: la sindacalità si ravvisa nei fenomeni di autotutela di interessi (collettivi) connessi alle relazioni giuridiche inerenti all'attività lavorativa.

Profilo strumentale: gli strumenti utilizzati dal movimento sindacale servono a distinguerlo dal movimento politico-partitico. Si tratta di strumenti di autotutela diretta dei lavoratori quali sciopero, contrattazione collettiva, raccolte di firme, ecc .

Profilo soggettivo: il concetto di autotutela presente sia nel criterio teleologico sia in quello strumentale, prevede che la gestione degli interessi collettivi sia posta in essere dagli stessi lavoratori o da loro rappresentanze immediate fornite di investitura diretta.


Protezione della libertà sindacale:

Poteri Pubblici: la libertà sindacale è garantita anche nei confronti dei poteri pubblici ai quali sono impediti controlli o ingerenze nella sfera organizzativa dei sindacati, nella loro identità politica e governativa anche tramite condizionamenti autoritativi. Il problema si pone soprattutto per i limiti legislativi imposti alla contrattazione collettiva, che si fanno via via sempre più penetranti.

Datori di lavoro: la libertà sindacale e poi garantita anche nei confronti dei datori di lavoro, soprattutto per quanto riguarda la presenza sindacale sul luogo di lavoro. Difatti vengono garantiti al sindacato spazi all'interno delle aziende.


RAPPRESENTANZA NEI LUOGHI DI LAVORO

Diritto sindacale italiano: caratterizzato dalla mancata attuazione delle disposizioni costituzionali in tema di registrazione dei sindacati, dall'esiguità degli interventi legislativi e dall'efficacia dei contratti collettivi.

Tutto ciò ha portato a spostare il sostegno sindacale ai lavoratori in ambiti sempre più vicini ad essi, quali appunto le stesse aziende.


Sindacato maggiormente rappresentativo: è stato per lungo tempo il destinatario del sostegno legislativo alla libertà sindacale. Si identificava all'interno delle aziende perché più vicino ai lavoratori e quindi direttamente rappresentativi di essi e in possesso di un maggiore potere di controllo sugli stessi. Oggi tale definizione viene spesso alternata a quella di sindacato ativamente rappresentativo.


La maggiore rappresentatività: non essendo mai stata data una vera e propria definizione legislativa di tale rappresentatività, gli interpreti l'hanno ravvisata secondo vari criteri.

L'equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali, non essendo sufficiente la rappresentatività di un solo settore o categoria.

La diffusione su tutto il territorio nazionale.

L'esercizio continuativo dell'autotutela a diversi livelli e interlocutori quindi l'esecuzione effettiva di quelli che sono i compiti del sindacato.

La reale capacità di influenza dell'assetto economico e sociale che solo uno stabile ed effettivo interlocutore dei pubblici poteri è in grado di spiegare.

Sono state individuate quali maggiormente rappresentative la CGIL, CISL, UIL ed altre confederazioni.


Dalle RSA . : l'operazione politica che diede vita alle rappresentanze sindacali aziendali era quella di legittimare una rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro ma solo se aderente a uno dei SMR e a condizione che fosse in grado di controllare l'attivismo dei lavoratori.

. alle RSU: a seguito dell'accordo del '93 e del referendum del '95 e la debolezza del criterio della maggiore rappresentatività, si vide la nascita delle RSU al fianco delle RSA. Le RSU si identificavano non più perché aderenti a Sindacati Maggiormente Rappresentativi, ma sulla base della sottoscrizione di accordi collettivi. Si ritenne che la sottoscrizione di tali accordi fosse un criterio più diretto e oggettivo del potere e della rappresentatività di tali strutture sindacali.

Oggi pertanto in una unità produttiva possono coesistere più RSA (derivate dai SMR e che abbiano comunque sottoscritto il contratto collettivo) ed una RSU. La RSU viene eletta dalla collettività aziendale, deve avere un proprio statuto ed aderire agli accordi del '93 e subentra in tutti i poteri delle RSA.


DIRITTI SINDACALI:

Derivano dallo statuto dei lavoratori Titolo II e III.


Associazione e attività sindacale in azienda (art. 14): diritto per tutti i lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale in azienda. Tale principio ha portata individuale quanto collettiva.

a) Limite: salvaguardia dell'attività aziendale.

Principio di non discriminazione (artt. 15 e 16): i divieti nascono in relazione alle discriminazioni su base sindacale che potevano nascere per arginare i diritti e le libertà riconosciute ai lavoratori. In seguito si sono estesi a motivi religiosi, politici, di razza, sesso, ecc .
In relazione all'attività sindacale questi divieti impongono al datore di lavoro di non subordinare licenziamenti od assunzioni, trattamenti di favore o sfavore, all'appartenenza a determinati sindacati piuttosto che ad altri.

Sindacati di comodo (art. 17): sono vietati in quanto sono associazioni sindacali promosse dai datori di lavoro per avere un interlocutore di favore.

Diritto di assemblea (art. 20): i lavoratori hanno il diritto di riunirsi nell'unità produttiva. Tale diritto è direttamente consequenziale al diritto di partecipare all'attività sindacale. Hanno il potere di indire le assemblee la RSU e le RSA.

a) Limiti: le assemblee devono riguardare materie di interesse sindacale e del lavoro, possono svolgersi in orario di lavoro col limite di 10 ore annue per ciascun lavoratore, regolarmente retribuite. Inoltre è sempre presente il limite della salvaguardia dei beni aziendali.

Referendum (art. 21): è destinato a far emergere l'opinione dei lavoratori su determinate tematiche. Hanno il potere di indirlo la RSU e le RSA congiuntamente onde garantire una stabilità di strategie e decisioni ed impedire un proliferare di consultazioni.

a) Limiti: devono riguardare materie di interesse sindacale e del lavoro, devono tenersi in ambito aziendale ma fuori dall'orario di lavoro.

Diritto di affissione (art. 25): tale diritto è la conseguenza di molti dei diritti elencati in precedenza. Riguarda infatti il collegamento tra unità produttiva (lavoratori) e sindacato. Può essere esercitato dalla RSU e dalle RSA all'interno dell'unità produttiva dove il lavoratore ha l'obbligo di fornire appositi spazi.

Proselitismo e collette sindacali nei luoghi di lavoro (art. 26): in funzione di sostegno al sindacato è data la possibilità ai lavoratori di promuovere il proprio sindacato, anche attraverso la raccolta dei contributi, all'interno dell'azienda nel rispetto dell'attività aziendale.

Locali per RSA e RSU (dove costituite) (art. 27): l'azienda deve mettere dei locali a disposizione delle rappresentanze sindacali ove queste possono svolgere le loro attività.

a) Limiti: azienda con più di 200 dipendenti deve mettere a disposizione permanentemente un locale nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze; azienda con meno di 200 dipendenti, deve trovare di volta in volta un locale idoneo a svolgere le attività sindacali.

Permessi per i dirigenti sindacali (artt. 23, 24, 30 e 31): ai dirigenti delle RSA e della RSU sono concessi particolari permessi per svolgere le attività sindacali a loro assegnate.

a) Retribuiti: nel caso che tali attività riguardino competenze inerenti alla sfera sindacale aziendale con l'onere di darne comunicazione al datore di lavoro 24 ore prima.

b) Non retribuiti: nel caso in cui si tratti di attività sindacale extraziendale, con l'onere di darne comunicazione tre giorni prima.

Strutture sindacali esterne (provinciali, regionali e nazionali): i loro dirigenti hanno il diritto di ricevere permessi retribuiti onde garantire lo svolgimento dei loro compiti sindacale. Quelli nazionali hanno altresì la facoltà di essere messi in aspettativa non retribuita.


LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE

La protezione dei diritti sindacali sopraesposti trova la sua massima espressione nell'art 28 che sancisce uno speciale procedimento repressivo della condotta antisindacale del datore di lavoro.

L'articolo 28 vieta i comportamenti del datore di lavoro diretti a impedire o limitare l'esercizio della libertà ed attività sindacale nonché del diritto di sciopero.


Soggetto attivo: è l'unico fattore definito in modo tipico dalla norma e consiste nella condotta vietata.

Legittimato passivo: si identifica col generico datore di lavoro, qualsiasi sia la sua qualifica.

Il comportamento: è illegittimo quando idoneo a ledere libertà e attività sindacale e diritto di sciopero. E si può realizzare sia con atti giuridici che con comportamenti materiali.

Beni protetti: sono esplicitati nella norma quali libertà e diritti sindacali e diritto di sciopero e vengono riconosciuti sia dal punto di vista collettivo (maggior riconoscimento) sia dal punto di vista individuale.

I limiti: il problema dei limiti entro i quali l'esercizio del potere sindacale è protetto sorge in quanto è nella normalità una logica di conflitto tra lavoratori e datore.

a) Interesse dell'impresa: è il primo stadio di casi controversi e pare risolto nel senso che le esigenze aziendali che possono giustificare determinati comportamenti del datore di lavoro devono essere provate e particolarmente gravi.

b) Reazioni allo sciopero: riguardano le difese del datore nei confronti degli scioperi. Si possono considerare legittime quando gli scioperi travalicano i limiti elaborati dalla giurisprudenza e legislatore.

c)  Comportamenti nelle trattative: il rifiuto di trattare, non esistendo un obbligo in tal senso, non costituisce condotta antisindacale. Si dovrà perciò fare riferimento al principio di buona fede.

d) Violazione di diritti sindacali contrattuali: la tesi principale è che tali diritti di derivazione contrattuale rientrino nell'ambito di protezione dell'art. 28, poiché la lettera della legge fa riferimento ai diritti sindacali riconosciuti dall'ordinamento e quindi anche quelli di derivazione contrattuale collettiva.

Elementi soggettivi: per identificare una condotta antisindacale non sono necessari gli elementi soggettivi del dolo o della colpa, ma è sufficiente accertare la obiettiva portata lesiva del comportamento tenuto dal datore.

Soggetti legittimati: si esclude che siano i lavoratori sia singolarmente, sia collettivamente associati. Pertanto sono legittimati soltanto gli organi locali delle associazioni sindacali nazionali.

Procedimento: ha carattere d'urgenza con una istruttoria minima e tempi brevi.
Si propone con ricorso al tribunale del luogo in cui è avvenuta la condotta ritenuta antisindacale e termina con l'emanazione di un decreto da parte del giudice che ordina l'immediata cessazione del comportamento, la rimozione degli effetti lesivi realizzati e il ripristino del libero godimento di quelle libertà o diritti.
E' ammessa opposizione entro 15 giorni davanti allo stesso tribunale, che non sospende l'efficacia del decreto e viene decisa con sentenza.
Tale sentenza è appellabile in corte d'appello secondo il rito del lavoro.

Sanzioni: la sanzione penale viene posta nel caso non si obbedisca all'ordine contenuto nel decreto del giudice e consiste nell'arresto fino a 3 mesi e in un'ammenda fino a 206 euro nonché la revoca di agevolazioni.


LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Inizialmente aveva carattere saltuario e occasionale e vedeva contrapposti i sindacati ai padronati con lo stato quale arbitro e intermediario. Col passare del tempo, il sorgere di problemi economici e l'ingresso nell'unione europea (con tutti i vincoli che ciò comporta) ha visto aumentare sempre più il ruolo attivo dello stato.


Due livelli di contrattazione collettiva: quello nazionale di categoria e quello aziendale. Tra di loro sono collegati in modo che le decisioni e gli ambiti del secondo siano predeterminati dal primo.

Durata dei contratti: è predeterminata, quattro anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale e due anni per la parte retributiva (salari).

a) Scansioni temporali: sono previste in prossimità dell'apertura delle trattative (vere e proprie clausole di tregua) per i tre mesi antecedenti e il mese successivo alla contrattazione.

Rappresentanze aziendali: è stato inoltre rafforzato il potere delle rappresentanze in azienda stabilendo che saranno sindacati ed aziende insieme a fissare le soglie di produttività cui agganciare aumenti integrativi e che le RSU hanno il potere di negoziare al secondo livello.

Parlamento: onde evitare di esautorarlo il governo, cui spetta la gestione della concertazione, si impegna a fornire informazioni e forme di coinvolgimento in modo da far convergere la concertazione con la produzione normativa.

Tendenze: le tendenze sia dal punto di vista aziendale che dal punto di vista europeo, sembrano portare verso l'abbandono del sistema della concertazione verso il sistema del dialogo sociale. Questo vedrebbe: un minor coinvolgimento e minor potere dei sindacati che rimarrebbe confinato in ambito di pareri e raccomandazioni; uno spostamento del rapporto, da generale a specifico e settoriale. Verso tendenze di questo genere ha spinto il Patto per l'Italia del 2002 che però ha solo valenza politica e non gode dell'assenso della CGIL.


CONTRATTO COLLETTIVO NEL LAVORO PRIVATO:

Sono rinvenibili almeno quattro tipi di contratto collettivo: quello corporativo (residuale col venir meno delle corporazioni), quello di diritto comune, quello preurato dal legislatore costituente e quello recepito in decreto legislativo. Il più importante è sicuramente quello di diritto comune che è però atipico in quanto sfornito di regolamentazione legale e frutto di molte operazioni giurisprudenziali.


Contratti di diritto comune.

Ambito di efficacia: venendo meno la rappresentatività istituzionale delle proprie categorie da parte delle associazioni sindacali, la giurisprudenza per giustificare l'applicazione dei contratti da queste stipulate nei confronti di lavoratori e datori di lavoro, utilizzò la ura giuridica della rappresentanza dilatandone poi i contenuti. L'ambito diventa perciò il seguente:

a) Il contratto collettivo è perciò applicabile quando le parti vi diano anche solo implicita adesione (basta applicarlo).

b) Il datore iscritto è tenuto ad applicare il contratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti.

c)  Il datore deve applicare il contratto corrispondente alla propria attività e se sono molteplici saranno molteplici i contratti, ovvero sarà quello dell'attività principale se le altre sono complementari o accessorie.

I minimi tariffari: sono stati applicati, a partire dagli anni 50, anche ai datori e lavoratori non iscritti sulla base dell'art. 36 Cost. che garantisce ai lavoratori il diritto ad una retribuzione proporzionata per una vita dignitosa. I giudici hanno rinvenuto nei minimi dei contratti collettivi il valore della retribuzione dignitosa e proporzionata.

Contratto collettivo di livello aziendale: qui il problema si pone in relazione a quei lavoratori e datori iscritti che non intendono applicare il contratto collettivo nazionale. All'uopo si volle dare al contratto collettivo rilevanza erga omnes, relegando al contratto aziendale il solo ruolo gestionale e procedimentale.

Efficacia del contratto collettivo: problema che si pone se si relaziona il contratto collettivo al contratto individuale del singolo lavoratore.
Inizialmente si fece ricorso alla disciplina dell'art. 2077 del cc secondo il quale i contratti individuali dovevano uniformarsi alle disposizioni del contratto collettivo e le clausole eventualmente difformi sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo.
Successivamente poi si riscrisse l'art 2113 cc e l'art. 808 cpc in modo tale il legislatore assegnò al contratto collettivo l'efficacia costitutiva non soltanto di limiti obbligatori ma bensì reali, con la conseguenza che le clausole de contratti collettivi, considerate non derogabili dai contraenti, concorrono a determinare la disciplina dei contratti individuali indipendentemente dalla volontà dei contraenti.

a) Derogabilità in melius: in generale i contratti collettivi sono derogabili da quelli individuali solo in melius.

I)     Criterio del cumulo: le clausole migliorative del contratto individuale si sommano a quelle dei contratti collettivi.

II)    Le clausole peggiorative invece sono sostituite con quelle previste dalla disciplina legale e non trovano compensazione in quelle migliorative.

III)  Criterio del conglobamento: se le clausole difformi costituiscono un istituto intero (come individuato dalla stessa contrattazione collettiva) allora i miglioramenti si compensano con i peggioramenti e si applica la disciplina globalmente più favorevole.

Legge e autonomia collettiva: il contratto collettivo deve ritenersi subordinato alla legge. L'opinione prevalente ritiene però che alla legge sia stato affidato il compito di garantire la tutela minima del lavoratore, perciò si ritiene che la legge sia inderogabile dai contratti collettivi in peggio, ma sia derogabile in meglio. Un'eccezioni in merito è sempre sta la legislazione sul costo del lavoro che ha un tetto massimo legislativo e non minimo. Inoltre la corte costituzionale ha stabilito che al legislatore deve essere riconosciuta la potestà di tracciare linee guida entro le quali le parti sociali devono essere lasciate libere.

Efficacia nel tempo: il protocollo del '93 prevede una durata di quattro anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale e due anni per la parte retributiva (salari).

a) Scansioni temporali: sono previste in prossimità dell'apertura delle trattative (vere e proprie clausole di tregua) per i tre mesi antecedenti e il mese successivo alla contrattazione.

b) Ultrattività: non di rado capita che la contrattazione superi il periodo stabilito, sono state all'uopo previste indennità finalizzate a disincentivare i ritardi e a proteggere i lavoratori.

c)  Retroattività: la giurisprudenza ritiene che i contratti collettivi possano stabilire per la loro efficacia una data precedente a quella della pubblicazione sia per i benefici sia a danno del lavoratore con il solo limite dei diritti quesiti, ossia quelli già entrati a far parte del patrimonio individuale del lavoratore.

Interpretazione: sancita la sua operatività verso i contratti individuali alla pari della legge bisogna però distinguerne la sua interpretazione.

a) Va interpretato alla stregua di un contratto e non di una norma di legge, cercando quindi di ricostruire la volontà delle parti.

b) Non è possibile il ricorso in cassazione per falsa applicazione o interpretazione del contratto collettivo.

c)  Deve essere prodotto in giudizio dalla parte che lo invoca poiché il giudice è tenuto a conoscere solo della legge.

d) Le clausole del contratto collettivo non sono applicabili in via analogica.

e) Non è altresì applicabile il principio di uguaglianza nei rapporti tra privati.

f)    Deve ritenersi vigente il principio generale della libertà di forma.


Sistema corporativo: con l'abolizione delle corporazioni vennero meno anche i contratti corporativi, si fecero salve le loro disposizioni se non modificate dalla disciplina vigente. Successivamente per facilitare l'eliminazione di tali contratti venne modificata tale regola nel senso che si consideravano abrogate le stipulazioni dei contratti corporativi se modificate anche in peggio dalla disciplina vigente.


Contratti recepiti in decreto: fu un'operazione che ebbe inizio nel '59 quando il legislatore diede al governo il compito di emanare decreti contenenti i minimi di trattamento economico e normativo riferendosi ai contratti collettivi stipulati anteriormente all'entrata in vigore di tale delega. La motivazione di tale delega fu la costante ed irrealizzabile attuazione dell'art. 39 cost.. Inizialmente avvallato dalla corte costituzionale in quanto avente carattere eccezionale e transitorio, tale procedimento venne meno quando il governo cominciò ad usufruire di una serie di reiterazioni e proroghe che fecero cessare quel carattere di provvisorietà e specialità che lo rendeva attuabile.

Per cui la corte dichiarò che rientra nei compiti del giudice individuare i confini della categoria cui la legge delega si riferisce; la giurisprudenza e la corte hanno poi dato prevalenza al dato sostanziale del contenuto (contratto) rispetto al dato formale dell'involucro (decreto) stabilendo che non vale come diretta legiferazione;









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