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IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETÀ

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IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETÀ

L’IRES è un’imposta personale in quanto colpisce il reddito complessivo ed ha un’aliquota proporzionale del 33%.

I soggetti passivi sono classificati dalla legge in 4 categorie alle lettere a), b), c) e d) dell’art. 73 del nuovo Testo Unico. Ad ogni lettera corrisponde un diverso criterio di determinazione del reddito. Sono soggetti passivi dell’IRES:

  1. Le Società per Azioni, le Società in Accomandita per Azioni, le Società a Responsabilità Limitata, le Società Cooperative e le Società di Mutua Assicurazione queste società hanno in comune il fatto che possiedono personalità giuridica.

Sono assoggettate ad IRES purché siano residenti nel territorio dello Stato. Una società di questo tipo si può considerare residente quando, per la maggior parte del periodo d’imposta, ha nel territorio dello Stato la sede legale con ad oggetto principale lo svolgimento dell’attività della società oppure la sede dell’amministrazione dove per amministrazione si intende il luogo in cui vengono prese le decisioni. La terza condizione è che l’oggetto principale sia nel territorio dello Stato.



Non devono ricorrere tutte e tre ma è sufficiente che si presenti uno di questi parametri.

  1. Gli Enti Pubblici e Privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale. Ad esempio, un soggetto diverso da una società può essere una fondazione costituita e residente in Italia che ha ad oggetto un’attività commerciale, per ipotesi commercializza libri inerenti ad un determinato argomento. Può essere che la fondazione non svolga solo attività commerciale ma anche attività di carattere culturale. Se questa attività commerciale è prevalente la fondazione è sempre collocata nella lettera b).
  2. Gli Enti Pubblici e Privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale. Tornando all’esempio della fondazione, è collocata alla lettera c) se svolge sia un’attività commerciale che un’attività culturale ma quest’ultima è prevalente.
  3. Le Società e gli Enti di OGNI TIPO, con o senza personalità giuridica, NON residenti nel territorio dello Stato, siano società di capitali, siano società di persone, siano enti diversi dalle società. Importa che non sia residente, la forma giuridica è irrilevante.

Questa classificazione è per stabilire qual è il reddito imponibile che si determina in modi diversi a seconda che i soggetti siano collocati in una categoria o in un’altra.


Lo Stato e gli Enti Territoriali sono soggetti passivi di questa imposta? No, non ano le imposte.


L’IRES è un’imposta proporzionale che colpisce il reddito complessivo il cui periodo d’imposta può non coincidere con l’anno solare mentre per l’IRPEF si ha coincidenza.


I Soggetti Passivi Dell’IRES: le lettere a) e b)

Ma come si determina il reddito complessivo? Per l’IRPEF abbiamo visto come i redditi debbano essere classificati in sei categorie, ciascuna delle quali ha i propri criteri. Questo non è più vero per l’IRES perché i redditi conseguiti da questi tipi di soggetti si suppongono per presunzione assoluta appartenenti alla categoria dei REDDITI D’IMPRESA. Tutti i principi relativi ai redditi d’impresa dell’IRPEF si estendono ai soggetti della lettera a) e b) dell’IRES.


C’è la possibilità di compensazione delle perdite. Quando uno di questi soggetti subisce una perdita quest’ultima fa si che in quell’esercizio non si hi l’IRES dato che non c’è reddito. La perdita consente di effettuare una compensazione con gli utili che il soggetto potrà conseguire negli esercizi seguenti ma con un limite temporale di 5 esercizi successivi (è una facoltà che riguarda la singola società).

La compensazione è permessa per ragioni d’entità dato che la suddivisione della vita di un impresa in periodi d’imposta è scomoda e in sostanza, se non fosse per il fisco, non ce ne sarebbe ragione.


Può succedere che ci siano società formalmente autonome ma che di fatto appartengono ad un gruppo. Se c’è una società che guadagna e l’altra che perde, una a le imposte ma l’altra non lo fa. Prima non era possibile fare la somma algebrica dei risultati. Il gruppo in realtà è però una sola entità quindi è possibile una gestione economica unitaria delle società appartenenti. Perciò dallo 01/01/2004 nel nostro ordinamento è presente un nuovo istituto ed è quello del consolidato fiscale il reddito imponibile di società appartenenti ad un gruppo non è determinato singolarmente in capo a ciascuna società ma è determinato con riferimento al gruppo e quindi in sostanza è la somma algebrica dei risultati delle società appartenenti al gruppo.

Questa possibilità di fare il consolidato ha una duplice conurazione cosicché si parla di consolidato nazionale e di consolidato internazionale.


Il consolidato nazionale significa che la capo gruppo è il soggetto con riferimento al quale viene determinato il reddito tassabile del gruppo; cioè i risultati delle singole società vengono imputati alla capo gruppo che procede al calcolo della sommatoria. Quindi le società controllate non devono più badare alle imposte sul reddito.

Il consolidato fiscale, che da’ rilevanza al gruppo societario, non arriva però fino al punto di attribuire la passività tributaria al gruppo che non è un’entità giuridica a sé stante. In realtà l’obbligazione tributaria sorge in capo ad una società controllante che risponde per le imposte attinenti al consolidato.

Il consolidato fiscale non è un obbligo ma è una facoltà. Se un gruppo ritiene di non aderire a questa opportunità è liberissimo di farlo.

Il gruppo può decidere di avvalersi del consolidato senza che tutte le società controllate ve ne partecipino vi sono anche delle soluzioni intermedie, cioè aderire al bilancio consolidato coinvolgendo non tutte le società del gruppo, ma lasciandone alcune al di fuori.


È possibile che un gruppo sia costituito da società residenti e non residenti nel territorio dello Stato; allora accanto al consolidato nazionale dove tutte le società appartenenti al gruppo sono residenti nel territorio dello Stato, la legge prevede il consolidato mondiale caratterizzato dal fatto che alcune delle società sono residenti al di fuori del territorio dello Stato.

Vi è però una differenza rispetto al perimetro di consolidamento perché mentre nel consolidato nazionale le società controllate possono decidere se aderire o meno al consolidamento, nel consolidato mondiale è richiesto il requisito della completezza, è cioè consentito solo se tutte le società appartenenti al gruppo accettano di partecipare al consolidato (o tutte o nessuna).


La scelta della tassazione comporta un vincolo temporale chi aderisce al consolidamento nazionale deve farlo per un periodo minimo di 3 anni. Per il consolidato mondiale il vincolo temporale è più lungo: 5 anni.

La condizione per cui una società è ammessa al consolidato è il controllo di diritto
(art. 2399 Codice Civile) che si ha quando una società possiede la maggioranza dei diritti di voto di un’altra società. Occorre, per avere il controllo rilevante ai fini del consolidamento, avere il 50% + 1 dei voti. Il Codice Civile accanto al controllo di diritto pone anche il controllo di fatto che non è invece rilevante ai fini del consolidamento (per cui vale esclusivamente il controllo di diritto).

Il controllo può essere un controllo diretto quando una società α possiede il 50% + 1 dei diritti di voto della società β. Ma ci potrebbe anche essere un controllo indiretto quando la società α controlla la società β e la società β controlla la società γ, per cui la società α controlla la società γ per il tramite della società β.  Occorre però considerare che in questa situazione il legislatore tributario ha adottato un criterio di demoltiplicazione nel senso che se la società α possiede nella società β il 70% e la società β possiede nella società γ il 70% dei diritti di voto allora la società α possiede il 70% del 70% cioè il 49% che è inferiore al 50% + 1. Quindi in questo esempio la società α non controlla la società γ. Per avere il controllo occorrerebbe ad esempio che la società α possedesse nella società β l’80% e che la società β possedesse il 70% della società γ la società α possiederebbe così il 56% e quindi c’è la possibilità del consolidamento per la società γ.


Il legislatore tributario italiano che ha ammesso al consolidato questa condizione è stato di larghe vedute. Ha assunto cioè un atteggiamento molto più liberale rispetto a quello assunto da altri ordinamenti tributari in cui le percentuali di possesso richieste in genere sono più alte (in Danimarca e Olanda è richiesto il 100%, nel Lussemburgo il 99%, in Francia il 95%, in Norvegia e Portogallo il 90%, nel Regno Unito il 75%, in Germania il 50% + 1).


Il consolidamento fiscale fa si che l’imponibile sia determinato facendo la somma algebrica degli imponibili di ciascuna società che partecipa al consolidato. Il consolidamento non è un vero e proprio consolidato. Il reddito imponibile di ogni società viene determinato autonomamente, la capo gruppo prende questo risultato e procede alla formazione del reddito complessivo. È chiaro che il fisco però vuole tutelarsi e lo fa considerando le società responsabili solidalmente se la capogruppo non a, il fisco potrà rivolgersi alle singole società del gruppo per ottenere il amento delle imposte.


Si pone però un problema della tutela delle minoranze. Si pensi, ad esempio, ad una società controllata di cui la controllante possieda il 70%. Questa società controllata aderisce al consolidato non per il 70% del suo risultato economico (ipotizziamo una perdita di 100 €) ma per l’intero ammontare. Quindi consentirà alla società controllante che ha utile di risparmiare 100.

Però pensando alla società controllata dell’esempio se vi è una minoranza che possiede il 30% del capitale sociale. Se questa società non avesse aderito al consolidato la perdita avrebbe consentito alla controllata di risparmiare imposte per il quinquennio successivo. Però in questo modo è la società controllante che risparmia. La società controllante deve are alla società controllata il vantaggio che perde e il vantaggio che perde sono 33 € (il 33% di 100). Quindi la società controllante dovrà corrispondere 33 € alla società controllata che non avrà più la possibilità di compensazione della perdita ma che però ha ricevuto una somma corrispondente alla somma che avrebbe potuto risparmiare.

La legge finanziaria prende le distanze di fronte a questi aggiustamenti: il problema è delle società e le somme che la società controllante verserà alla società controllata sono fiscalmente neutre. Quindi non si tratta di un costo deducibile per la società controllante che la versa e né di reddito tassato per la società controllata che la percepisce.


Quando delle società appartenenti ad uno stesso gruppo decidono di aderire al consolidato fiscale i redditi delle singole società vengono determinati autonomamente secondo le regole generali dalla società controllante.

C’è una prima eccezione a questa regola generale. Quando delle società appartenenti ad un gruppo aderiscono al consolidato nasce la possibilità che avvenga un trasferimento dei beni nell’ambito del gruppo che dal punto di vista fiscale si considera avvenuto ai valori di libro anche se le parti hanno pattuito dei prezzi diversi. Supponiamo che una società controllata abbia nella propria officina un bene strumentale che ad un certo punto non è più necessario alla società controllata ma invece è utile per la società controllante. Qui c’è un trasferimento da una società controllata ad una società controllante che viene effettuato sulla base del prezzo corrente sul mercato, cioè si fa riferimento al prezzo che si potrebbe ottenere se quel bene fosse venduto a un terzo. Supponiamo che questo prezzo di mercato, sulla base del quale viene effettuata la vendita, sia più elevato del costo che la società controllata abbia sostenuto per l’acquisizione del bene. E quindi la cessione di questo bene da’ luogo al realizzo di una plusvalenza perché il prezzo di cessione è più alto del costo di acquisizione. Ai fini fiscali il trasferimento di beni strumentali nell’ambito del gruppo si considera avvenuto sulla base del valore di libro, quindi non sulla base del prezzo effettivo di cessione. Perciò la plusvalenza è civilistica ma non tassabile. Questa è una facoltà che viene riservata ai trasferimenti di beni strumentali nell’ambito dei gruppi.


Una seconda particolarità. Quando delle società appartenenti al gruppo aderiscono al consolidato si produce un ulteriore effetto: il conseguimento di dividendi all’interno del gruppo che darebbero luogo ad un imponibile nella misura del 5% invece no, anche questo 5% è esente.

L’adesione al consolidamento non comporta quindi sotto il profilo tributario la necessità di effettuare tutti quegli aggiustamenti che si fanno in sede civilistica (trasferimento di beni strumentali e dividendi).


Tornando al consolidamento mondiale, la società controllante deve essere una società residente. Il gruppo è costituito da società residenti e società non residenti. Le prime possono aderire facoltativamente, le seconde invece devono aderire tutte.

Il reddito tassabile nel consolidato mondiale si determina sommando algebricamente i risultati ottenuti dalle singole società residenti e non residenti. Per le società non residenti occorre però determinare l’imponibile applicando le regole italiane. Se una società non residente che partecipa al consolidato è una società residente in Uganda, le regole fiscali che ha adottato saranno sicuramente diverse da quelle italiane. Occorre che il reddito imponibile di quella società venga rideterminato applicando le regole fiscali previgenti in Italia. Quindi il consolidato mondiale non è di semplice e immediata determinazione per via della rideterminazione del reddito.

Un ulteriore condizione è l’obbligo di certificazione del bilancio da parte dello Stato in cui è domiciliata la società non residente.


Nel consolidato nazionale l’intero reddito della società controllata partecipa alla formazione del reddito consolidato, a prescindere dalla partecipazione. Per cui, se la società α possiede nella società β il 70% del capitale sociale e quest’ultima ha una perdita di 100, nel bilancio consolidato concorre alla formazione del reddito l’intero risultato fiscale quindi 100.

Nel consolidato mondiale non è così. Non partecipa alla formazione del reddito consolidato l’intero risultato fiscale della società non residente ma solo in funzione alla percentuale di capitale sociale posseduto. Quindi se la società italiana possiede il 70% della società ugandese e l’Erario ugandese ha fatto certificare il bilancio ecco che alla formazione del reddito consolidato partecipa solo il 70% del risultato fiscale di quella società. Quindi non tutto ma solo in rapporto alla percentuale di capitale sociale posseduta.


Tornando all’esempio della società ugandese Le imposte sul reddito che questa società produce saranno ate in Uganda. Poi avendo aderito al consolidamento mondiale in Italia, saranno ate delle altre imposte in Italia. Ecco che allora si ha doppia tassazione economica: ma come si fa ad evitarla? Si riconosce in Italia un credito d’imposta. Cioè se in Uganda sono state ate imposte, ad esempio, nella misura del 70%: il 70% delle imposte ate è un credito d’imposta di cui si potrà avvalere la controllante che fa consolidato mondiale nei confronti della controllata.


Si prenda ad esempio una società di cui siano soci due persone, Tizio e Caio. Questa società ad un certo punto ha necessità di disporre di capitale poiché deve fare un investimento e allora i soci potrebbero fare un versamento di 100.000 € a fronte di un aumento del capitale sociale della società stessa. Questa variazione è ininfluente sotto il profilo economico. Però i soci potrebbero decidere di fare finanziamenti ottenendo il amento di un tasso di interesse e non con un aumento di capitale sociale. Così facendo la società a interessi che sono deducibili ai fini della formazione del reddito imponibile in quanto interessi passivi. La società riceve il denaro di cui ha bisogno però lo riceve a titolo di finanziamento. Se l’avesse ricevuto con l’aumento del capitale questo versamento non avrebbe avuto nessun risvolto in conto economico. Proprio per questa vantaggiosità di ricorrere al finanziamento piuttosto che all’aumento del capitale sociale, si è verificata una situazione per cui le società italiane, soprattutto di medie/piccole dimensioni, sono sottocapitalizzate. Questa situazione di sottocapitalizzazione non piace al legislatore che vorrebbe che le nostre imprese fossero capitalizzate in modo adeguato. Quindi visto che la sottocapitalizzazione è stato il risultato di alcune situazioni di convenienza fiscale, il legislatore si è posto un obiettivo nuovo.


Prima della riforma tributaria entrata in vigore lo 01/01/2004, lo strumento usato per incentivare la capitalizzazione delle società era quello della DUAL INCOME TAX che prevedeva in sostanza la ripartizione del reddito imponibile delle società in due parti, una soggetta all’aliquota ordinaria che allora era del 35% e l’altra soggetta a un’aliquota ridotta del 19%. La parte dell’imponibile da assoggettare all’aliquota agevolata si otteneva determinando il capitale proprio che si ritiene produttivo di un reddito di una certa percentuale che ruotava normalmente attorno al 7%. Applicando questa percentuale si otteneva una quota di reddito da assoggettare al 19%. La restante parte del reddito della società era da assoggettare al 35%. In questo modo il contribuente veniva incentivato ad aumentare il patrimonio. Quindi vi era un meccanismo che dava vantaggi fiscali, controbilanciando fino ad annullare l’opposta ipotesi di finanziamento attraverso un mutuo oneroso.


Dallo 01/01/2004 la DUAL INCOME TAX non c’è più ed è stato introdotto al suo posto un meccanismo tale per cui gli interessi passivi che la società a sul finanziamento dei soci non sono più totalmente deducibili, per una parte diventano indeducibili ai fini fiscali. Questo meccanismo diverso non da’ un vantaggio in termini di aliquota ma si introduce una penalizzazione. Considerando il rapporto del singolo socio nei confronti della società, fino a quando egli effettua finanziamenti onerosi, finanziamenti inferiori a 4 volte la propria quota del patrimonio netto della società, gli interessi passivi non hanno bisogno di subire alcuna decurtazione. La restrizione invece si verifica quando i finanziamenti concessi dal singolo socio sono superiori a questo rapporto di 4 volte la quota del patrimonio di appartenenza del singolo socio. C’è una soglia al di sopra della quale sono indeducibili gli interessi passivi. Quando un socio fa un finanziamento alla società e l’ammontare di questo finanziamento è inferiore a 4 volte la quota del patrimonio netto che compete al socio, gli interessi passivi sono totalmente deducibili.

Supponiamo che un socio abbia fatto un finanziamento alla propria società per 50.000 €. Questo soggetto possiede il 10% del capitale sociale della società finanziata il cui patrimonio netto è 100.000 €. La quota di patrimonio netto di pertinenza del nostro socio è 10.000 € (10% di 100.000 €) 10.000 € per 4 è il coefficiente che mi da’ il legislatore. Il finanziamento fatto è di 50.000 € che è superiore a 40.000 €. Gli interessi passivi relativi al supero, cioè 10.000 €, sono indeducibili.

Se invece il finanziamento fosse stato di 30.000 €, tutti gli interessi passivi continuerebbero ad essere deducibili secondo le regole generali.


Il corrente discorso deve essere effettuato in rapporto ai finanziamenti onerosi che ciascun socio effettua a favore della società. Il socio deve però essere qualificato cioè deve possedere una quota di capitale pari o superiore al 10%. Se finanzia un socio non qualificato, questo conteggio non deve essere effettuato e tutti gli interessi passivi restano deducibili totalmente.

Questo meccanismo si chiama THIN CAPITALISATION (capitalizzazione sottile) ed è stato studiato per combattere la decapitalisation. Le società italiane sono poco capitalizzate, hanno poco capitale proprio.


È da tenere conto anche un’altra modalità di finanziamento, a volte i soci si rivolgevano alla banca, depositavano i capitali che avevano in possesso presso la banca, e quest’ultima concedeva i finanziamenti su garanzia dei soci.



[ . ] I Soggetti Passivi Dell’IRES: le lettere a) e b)

Un’altra novità entrata in vigore lo 01/01/2004 è la TASSAZIONE PER TRASPARENZA. È un concetto di cui abbiamo parlato a proposito delle società di persone (SNC, SAS, società di fatto) cioè di società commerciali che non hanno personalità giuridica e perciò non hanno la soggettività passiva ne per l’IRES ne per l’IRPEF. Questo non significa che il reddito conseguito da questa società non sia soggetto all’imposta personale ma cambia la metodologia nel senso che il reddito viene determinato con riferimento alla società e viene imputato ai soci anche se non distribuito quindi il reddito viene ripartito tra i soci con un meccanismo di valenza tributaria, non di valenza civilistica. Questo reddito viene imputato ai soci in rapporto alla rispettiva quota di diritto alla partecipazione alla distribuzione degli utili. Ciascuno dei soci riceve per imputazione una quota di reddito che entra a comporre il suo reddito complessivo. Il socio, che ha redditi di varia natura, a questi redditi somma l’ulteriore quota di reddito rappresentata dal REDDITO D’IMPRESA che gli viene imputato. Ecco allora che il reddito complessivo è comprensivo anche della quota del reddito della società imputato a ciascun socio.

Viene messa in evidenza l’irrilevanza tributaria della società.


Questo criterio è stato esteso dalla riforma del 2004 anche ad altre situazioni.

  una società di capitali ha dei soci, tutti questi soci sono a loro volta società di capitali. Se questa situazione si verifica e se tutte le società lo vogliono (perché è una facoltà e non un obbligo), la tassazione della società partecipata non avviene in capo alla società stessa ando il 33% dell’imposta sul reddito ma il suo reddito viene imputato a ciascuna società socia in rapporto alla percentuale di partecipazione al capitale sociale.

Quali sono i vantaggi per cui queste società potrebbero optare per la tassazione per trasparenza? Innanzitutto si evita la tassazione sul 5% dei dividendi percepiti. Se non si optasse per questa novità, la società partecipata sul suo utile herebbe il 33% e in più sull’utile distribuito ci sarebbe un’ulteriore tassazione del 5% (dato che il 95% esente e il 5% soggetto a tassazione). Quindi anche se la tassazione per trasparenza consente di non effettuare la tassazione in capo alla società partecipata, il 33% è dovuto comunque, cambiano i soggetti che lo versano.

L’altro vantaggio è che la tassazione per trasparenza non ha ad oggetto soltanto l’utile ma l’oggetto riguarda anche le perdite che possono essere assorbite dagli utili delle società socie.

Ci sono delle condizioni per cui la società partecipata e le società socie possano adottare la tassazione per trasparenza. Occorre che tutte le società siano società di capitali. La seconda condizione è che le società partecipanti debbano possedere diritti di voto in assemblea ordinaria non inferiori al 10% e non superiori al 50%. Quindi la partecipazione che le società socie devono avere deve essere una partecipazione significativa ma non troppo elevata.

Avendo optato per la tassazione per trasparenza le perdite della società partecipata vengono imputate alle società socie ma con un limite: questa imputazione deve avvenire nei limiti della quota del patrimonio netto di spettanza a ciascuna società partecipante. Se una società socia ha il 20% della società partecipante allora gli utili e le perdite della società partecipata sono imputate a ciascuna delle società partecipanti. La nostra società ha il 20% e quindi la perdita le viene imputata per il 20%. Supponiamo che la perdita della società partecipante sia di 200. Quindi la perdita imputabile, il 20% di 200, è 40 però qui subentra il limite della quota del patrimonio netto contabile di spettanza della società partecipata. Se, per ipotesi, la società partecipata avesse un patrimonio netto contabile di 100, allora la quota di patrimonio netto spettante alla nostra società è 20. Ecco quindi che non tutto il 40 può essere imputato alla nostra società perché c’è il vincolo rappresentato da quel 20. Inoltre l’opzione vincola per un certo periodo di tempo cioè vincola per un termine di tre anni.

Si può scegliere la tassazione per trasparenza, sempre su base facoltativa, se TUTTE le società partecipanti esprimono un giudizio in questo senso. Se anche una sola di queste non aderisce ecco che cade la possibilità di seguire questa opzione.


  Dallo 01/01/2004 la tassazione per trasparenza è prevista anche in capo alle Società a Responsabilità Limitata a ristretta base proprietaria. La società partecipata deve essere una società di capitali ma deve avere la particolare forma di SRL. Un’ulteriore condizione è che la comine sociale sia composta esclusivamente da persone fisiche. Se la società di capitali attraverso i suoi organi sociali (le singole persone che rivestono la posizione di socio) esprime una volontà concorde allora la tassazione della SRL può avvenire per trasparenza.

Il reddito della SRL non viene tassato in capo alla società ma viene imputato ai singoli soci in rapporto all’entità della partecipazione da ciascuno posseduta. Anche qui c’è la possibilità di evitare la tassazione sull’utile che non è più del 5% ma dipende dal fatto che la partecipazione sia qualificata (12,50%) o meno (il 40% del dividendo concorre a formazione del reddito complessivo).

Le persone fisiche che formano la comine sociale non possono essere più di 10. La legge stranamente non entra nella ripartizione perché è possibile che su 10 soci  uno possieda l’80% del capitale e gli altri 9 possiedano delle parti infinitesime.

Questa tassazione per trasparenza, in capo alla SRL, la legge l’ha pensata soprattutto come criterio agevolativo messo a disposizione ad attività imprenditoriali di dimensioni limitate: quindi non ha voluto che questo tipo di tassazione per trasparenza fosse riferito ad imprese con centinaia di milioni di euro di volume d’affari. Infatti quest’ultimo non può essere superiore ai vecchi 10 miliardi di £  (5.164.569 €).

Gli effetti per la SRL che aderisce alla tassazione per trasparenza sono che il reddito viene ripartito in tante quote in funzione dell’entità della partecipazione e questo reddito va a far parte del reddito complessivo di ciascun socio. Ecco quindi che la tassazione avviene con l’IRPEF che ciascuna persona a sul suo reddito complessivo. Inoltre se non avesse aderito alla tassazione per trasparenza, nel momento in cui il proprio reddito sarebbe stato distribuito ci sarebbe stata un’ulteriore tassazione in capo ai soci.

Un’ultima condizione necessaria per la quale si possa aderire alla tassazione per trasparenza e che i soci siano persone fisiche residenti nel territorio dello Stato.


I Soggetti Passivi Dell’IRES: la lettera c)

Nella lettera c) ci sono gli enti non commerciali, soggetti diversi dalle società commerciali, residenti nel territorio dello Stato che o non svolgono affatto attività commerciale oppure se la svolgono lo fanno in modo marginale rispetto all’attività complessiva esercitata. Questi enti sono soggetti all’IRES con l’aliquota del 33%.

Il problema da affrontare è quello relativo alle modalità di determinazione del reddito complessivo che sono del tutto analoghe a quelle viste a proposito delle persone fisiche, in relazione alle 6 categorie reddituali. La modalità di determinazione del reddito complessivo in rapporto agli enti non commerciali è la stessa; cioè occorre determinare il reddito netto di ciascuna categoria, dopodiché è necessario procedere alla sommatoria per determinare il reddito complessivo sul quale bisogna calcolare il 33%. Un ente non commerciale, diverso dalle persone fisiche, per sua natura non conseguirà redditi di lavoro dipendente o redditi di lavoro autonomo. Relativamente al reddito d’impresa si può dire che l’ente non commerciale, ad esempio la fondazione, ha una sua contabilità complessiva che riguarda la gestione della fondazione che non ha scopo di lucro. Questo soggetto può anche svolgere un’attività commerciale (ad esempio, ha una libreria) che deve essere gestita con contabilità autonoma e separata. Si parla quindi di una contabilità speciale riferita specificatamente all’attività commerciale; deve essere una contabilità che si inserisce nella contabilità generale dell’ente con la propria autonomia e la propria evidenza.


I Soggetti Passivi Dell’IRES: la lettera d)

Si parla ora degli enti non residenti per i quali la legge non ci obbliga all’individuazione della loro natura esatta ma ci impegna solo a verificare se si tratta di una persona fisica o meno perché se si tratta di una persona fisica non residente quest’ultima sarà soggetta ad IRPEF, se invece si tratta di un ente diverso da persona fisica qualunque sia la sua natura giuridica si ricade nell’IRES.

Gli enti non residenti sono soggetti ad IRES esclusivamente con riferimento ai redditi prodotti nel territorio dello Stato.

Bisogna fare una distinzione a seconda che l’ente non residente sia o meno una società perché se l’ente non residente è una società bisogna verificare se i redditi prodotti nel territorio dello Stato comprendono o meno il reddito d’impresa. Un soggetto non residente si considera come titolare di un reddito d’impresa in Italia se svolge un’attività nel territorio dello Stato attraverso una stabile organizzazione.

Supponendo che non ci sia reddito d’impresa, il reddito complessivo si forma determinando i redditi netti di ciascuna categoria e facendone la sommatoria.

Se al contrario tra i redditi prodotti nel territorio dello Stato vi è anche reddito d’impresa assistiamo alla dilatazione di quest’ultimo nel senso che si allarga fino a comprendere in sé anche le altre categorie di reddito, per cui questa società darebbe luogo solo a reddito d’impresa. Ad esempio, una società di diritto congolese possiede in Italia degli appartamenti che producono redditi di fabbricati e possiede anche dei redditi di capitale che fanno si che ci siano interessi che defluiscono dall’Italia verso il Congo. Bisogna applicare le regole proprie dei redditi di fabbricati e dei redditi di capitale per determinare i redditi netti conseguiti per ogni categoria, dopodiché si fa la somma e si ottiene il reddito complessivo.

Se questa società congolese oltre a possedere appartamenti e oltre a possedere dei redditi di capitale, ha anche una stabile organizzazione perché a Torino ha una direzione generale con i propri uffici e i propri dipendenti attraverso la quale produce un determinato ammontare di reddito d’impresa, quest’ultimo si dilata fino a comprendere nel reddito d’impresa anche il reddito di fabbricati e il reddito di capitale facendo sì che questi ultimi perdano la loro autonomia e diventino componenti del reddito d’impresa.

Supponiamo ora che il soggetto non residente sia un ente non commerciale, sia cioè una fondazione che possiede nel territorio dello Stato italiano degli immobili con un canone di affitto, che percepisce degli interessi e che gestisce una libreria a Torino (attività di carattere imprenditoriale). In questo caso poiché il soggetto di riferimento non è un ente commerciale, non si verifica dilatazione del reddito d’impresa che resta circoscritto nel proprio ambito. Quindi per determinare il reddito complessivo bisogna determinare singolarmente i redditi d’impresa, singolarmente i redditi di fabbricati e singolarmente i redditi di capitali. Una volta determinati i redditi netti di ciascuna delle tre categorie si fa la somma per ottenere il reddito complessivo.

La differenza fra le due situazioni sta nel fatto che laddove vi sia lo svolgimento di un’attività d’impresa attraverso una stabile organizzazione vi è dilatazione del reddito d’impresa se il soggetto non residente è una società commerciale, non vi è dilatazione del reddito d’impresa se il soggetto non residente non è una società commerciale.





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