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Una distinzione tradizionale è quella tra diritto pubblico e diritto privato. Il diritto privato, è innanzitutto diritto, cioè parte dell'ordinamento, e quindi il complesso di norme dettate cercando di avere presenti gli interessi di tutta la società. Il diritto pubblico disciplina l'organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro azione, interna e di fronte ai privati, e dispone a questi ultimi il comportamento cui sono tenuti. Il diritto privato, invece, si limita a disciplinare le relazioni interindividuali, sia dei singoli sia degli enti privati. La linea di demarcazione tra diritto pubblico e diritto privato è variabile.
Le norme di diritto privato si distinguono in derogabili (o dispositive) e cogenti (o inderogabili); si dicono cogenti quelle norme la cui applicazione è imposta dall'ordinamento prescindendo dalla volontà dei singoli; derogabili le norme la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo degli interessati. Vi sono inoltre le norme suppletive, le quali sono destinate a trovare applicazione solo quando i soggetti privati non abbiano provveduto a disciplinare un determinato aspetto della fattispecie. Le norme di diritto pubblico sono quasi sempre cogenti e le norme di diritto privato sono per la maggior parte derogabili.
Per 'fonti' legali di 'produzione' delle norme giuridiche si intendono gli atti e i fatti che producono o sono idonei a produrre diritto. Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di 'cognizione', ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo. Le fonti si possono distinguere in materiali (atti o fatti produttivi di norme generali ed astratte) e formali (atti o fatti che producono diritto). Rispetto a ciascuna fonte, quando si tratta di un atto si può distinguere:
Nel nostro paese la gerarchia delle fonti viene così ricostruita:
a) alla sommità della scala si collocano principi definiti 'supremi' o 'fondamentali', da cui discendono i diritti 'inviolabili';
b) seguono le disposizioni della carta costituzionale italiana;
c) le leggi statali ordinarie.
Le leggi statali ordinarie sono approvate dal parlamento con una particolare procedura disciplinata dalla carta costituzionale. Una legge ordinaria non può né modificare la costituzione o altra legge di rango costituzionale, né contenere disposizioni in contrasto con norme costituzionali. A presidio di questa rigidità della nostra carta costituzionale, è stato istituito un apposito organo, la corte costituzionale, cui è affidato il compito di controllare se le disposizioni di una legge ordinaria siano in conflitto con norme costituzionali. La legge ordinaria può modificare o abrogare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre non può essere modificata o abrogata se non da una legge successiva. Ha valore prevalente rispetto alle stesse leggi ordinarie statali tutta la normativa comunitaria (ossia quella che si chiamava comunità economica europea e che è diventata Unione europea). Subordinate alle leggi si possono avere altre fonti di diritto: i 'regolamenti', le 'norme corporative' e gli 'usi' (o consuetudini).
Tra tutte le leggi ordinarie, speciale rilievo hanno quelle leggi che vengono definite 'codici' (abbiamo il codice civile, il codice penale, il codice di procedura civile, il codice di procedura penale, il codice della navigazione). Il termine codice ha molteplici significati: nel linguaggio giuridico indica una raccolta di materiali informativi. Oggi il codice non è più la 'raccolta di leggi', bensì una legge del tutto nuova, che si caratterizza per le note dell'organicità (un intero settore dell'esperienza giuridica), della sistematicità (coordinamento logico della disciplina adottata), della semplicità e chiarezza, dell'abrogazione di tutto il diritto precedente, dell'accentramento delle soluzioni nell'intero territorio contemplato, della facilità nella consultazione. Il codice civile nei paesi di 'diritto privato' riveste un ruolo di centralità: regolano i soggetti (sia le persone fisiche sia quelle giuridiche), i beni (la proprietà), l'attività, nonché i principi sulla responsabilità civile. Il primo grande codice di diritto privato è stato il 'codice civile dei francesi' emanato nel 1804 che favorì la diffusione dei principi dell'uguaglianza tra i cittadini e della libertà di iniziativa economica dei privati. Nel nostro paese, dopo l'unificazione del regno d'Italia, fu emanato il codice civile del 1865, ispirato a quello francese. Anche i codici, venendo approvati con leggi ordinarie, possono essere sempre modificati o abrogati con leggi ordinarie successive.
Il diritto consuetudinario riceve scarsissima attenzione. Questo atteggiamento è giustificato dall'importanza del tutto secondaria che la consuetudine riveste. Si ritiene che una consuetudine (uso) sussista ricorrendo:
Per intendere adeguatamente la nozione di consuetudine occorre cogliere il punto di equilibrio, di bilanciamento, fra usus e opinio. Sussiste una consuetudine se:
la ripetizione generale e costante di un certo tipo di comportamento produce la convinzione che esso costituisca uno standard vincolante di condotta;
In dottrina si usa distinguere tre tipi di consuetudini:
La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla costituzione. Essa costituisce fonte del diritto in virtù di una disposizione di rango legislativo; la consuetudine è fonte subordinata alla legge, e può operare solo nei limiti in cui la legge lo consente.
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