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LA CHIESA ITALIANA DAL 1815 AD OGGI
Partiamo dalla Restaurazione del 1815, cioè dalla sconfitta delle idee napoleoniche di libertà borghese (sconfitta dovuta alla pretesa di veder affermate queste idee in tutta Europa attraverso l'uso della forza, esportando la rivoluzione).
In occasione della Restaurazione si trovano a sedere intorno allo stesso tavolo tre religioni diverse, che si concepivano e ancora oggi si concepiscono in opposizione l'una all'altra: la cattolica (Austria e Francia), la protestante (Prussia) e l'ortodossa (Russia). Questa straordinaria convergenza nasce da un comune interesse: arginare il fenomeno del liberalismo europeo, difendendo l'assolutismo dell'ancien régime, cioè tutto il passato del privilegio clerico-nobiliare.
La Santa Alleanza, in tal senso, esprime bene la volontà della politica di usare il fenomeno religioso per fini di potere e di conservazione dello status quo. Fra i princìpi della Santa Alleanza vi era quello che autorizzava ogni Stato-membro a intervenire ovunque fosse violato lo status quo pre-napoleonico.
La chiesa cattolica, in Italia, era appoggiata dall'Impero austro-ungarico, dai Borboni snoli nel Meridione e dalla Francia di Napoleone III: tutti interessati a tenere divisa la penisola.
Ormai tuttavia il liberalismo borghese non poteva più essere frenato. La Rivoluzione francese era stata un avvenimento troppo importante perché la si potesse facilmente dimenticare. E lo sviluppo industriale pareva irreversibile.
Il liberalismo borghese poteva essere vinto solo in un modo: ampliando la democrazia nella società rurale pre-capitalistica. Ma questo non avvenne in nessuna parte dell'Europa occidentale.
La stessa sinistra (prima socialista, poi comunista) non mise mai in discussione l'equivalenza tra rivoluzione industriale e sviluppo capitalistico. All'incapacità delle forze sociali rurali (e dell'ideologia religiosa in genere) di realizzare la democrazia socio-politica, permettendo altresì uno sviluppo industriale che non coincidesse tout-court col capitalismo, la sinistra laico-socialista rispose dando per scontato che l'industrializzazione avrebbe definitivamente portato l'Europa occidentale fuori dal Medioevo, verso la nascita di un tipo di civiltà -quella 'borghese industriale'- ritenuta, ingenuamente, molto più democratica di quella precedente.
I moti liberali in Italia (ma anche all'estero) avvengono a scadenze quasi decennali: '20-'21, '30-'31, '48, sino all'unificazione del 1860 e alla caduta del potere temporale dei papi nel 1870.
Dire che i cattolici non hanno partecipato a questi moti, è dire una sciocchezza. La chiesa istituzionale (appoggiata all'estero dai circoli ultramontani) non vi ha partecipato, anzi ha fatto di tutto -specie dopo il fallimento del neoguelfismo di Gioberti- per ostacolarli. (Il neoguelfismo fallì non solo perché il papato non voleva combattere la cattolica Austria, ma anche perché non voleva accettare il liberalismo, né i liberali volevano accettare l'idea di un papato a guida della nazione che stava per nascere).
E' stato invece il cattolicesimo non ufficiale, quello appunto liberale, che ha partecipato attivamente all'unificazione nazionale (si pensi p.es. al Manzoni), nonché alla fine dello Stato della Chiesa.
La chiesa (come istituzione) reagirà male all'unificazione nazionale, con due documenti del 1864, l'enciclica Quanta cura e il Sillabo di Pio IX (1846-78), che condannano praticamente tutto quanto è 'laico' e 'moderno' (p.es. il concetto di separazione tra Stato e Chiesa e tra scuola e chiesa, espressi dalla formula di Cavour 'Libera chiesa in libero Stato', la libertà di religione e di coscienza).
La breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870, sarà preceduta di pochi mesi dalla convocazione del Concilio Vaticano I, che sancisce il dogma dell'infallibilità del papa (vedi però l'opposizione dei Vecchi-Cattolici). Pio IX si autodichiarò 'prigioniero' del Vaticano, scomunicherà casa sabauda e rifiuterà anche la Legge delle Guarentigie del 1871 (rendita annuale concessa al papato dallo Stato, libertà di coscienza, no ai privilegi giurisdizionali dello Stato sulla Chiesa, extraterritorialità del Vaticano, sovranità sacra e inviolabile del papa ecc.).
La cosiddetta 'Questione romana' è nata così. Essa si trascinerà sino al 1929, con la stipulazione dei Patti Lateranensi (Pio XI riconoscerà il regno d'Italia con Roma per capitale e il fascismo riconoscerà la sovranità papale sul Vaticano) e il successivo Concordato, che il fascismo pretese per la propria legittimazione nazionale, concedendo in cambio alcuni privilegi (p.es. l'ora di religione nelle scuole statali, il valore civile dei matrimoni religiosi ecc.) D'altro canto la chiesa, grazie a questi privilegi, aveva meno motivi di opporsi allo Stato 'borghese'. Tra l'altro, per la chiesa lo Stato 'fascista' rappresentava l'antitesi dello Stato 'liberale', così come lo stesso fascismo voleva far credere.
Per quale motivo ad un certo punto si fu costretti a scegliere la strada del Concordato? Per due ragioni: da un lato la borghesia non riusciva a realizzare gli ideali in virtù dei quali aveva chiesto di unificare l'Italia (maggiore libertà, giustizia sociale, uguaglianza); dall'altro la chiesa, pur continuando a rifiutare lo Stato laico (il papato impedirà per 50 anni ai cattolici di partecipare alla vita politica: vedi il non expedit di Pio IX, ovvero il principio né elettori né eletti del 1874), s'impegnava attivamente, per quanto poteva, alla soluzione delle contraddizioni socio-economiche che il capitalismo aveva generato in Italia (si pensi al Movimento cattolico: casse rurali, leghe di mestiere, cooperative, sindacati bianchi ecc.).
I cattolici intransigenti, i clericali conservatori saranno forti soprattutto nell'Opera dei Congressi e dei comitati cattolici (l'antecedente dell'Azione Cattolica) (1). L'Opera cercherà d'imboccare, con la direzione Grosoli, la via del superamento del clericalismo, ma nel 1904, dopo 30 anni di attività, verrà sciolta da Pio X: sia per impedire un suo qualunque rapporto coi modernisti, sia per fare un piacere a Giolitti, col quale si inaugura la politica clerico-moderata.
Erano dunque i cattolici democratici che sul piano sociale s'impegnavano a realizzare ciò che la borghesia non riusciva a fare, a causa della sua posizione di 'classe', contrapposta agli interessi delle masse contadine e operaie. Per ottenere un consenso democratico, in virtù del quale potesse restare al governo senza ricorrere a misure particolarmente repressive, la borghesia aveva bisogno che sul piano socio-economico le contraddizioni fossero attenuate dall'attiva partecipazione dei cattolici.
La
scelta a favore della dittatura fascista fu per la borghesia inevitabile nel
momento stesso in cui cominciò a rendersi conto che non poteva
più far leva sulle forze cattolico-contadine per arginare il pericolo
della rivoluzione socialista-operaia (vedi il Biennio rosso del
'19-'20). Non poteva più far leva su queste forze per due ragioni:
1) i cattolici democratici sapevano di poter usare la 'questione
sociale' contro lo Stato liberale, per questo miravano a una propria
rappresentanza politica (vedi la nascita del Partito popolare);
2) le contraddizioni sociali emerse dallo sviluppo capitalistico erano state
attenuate ma non risolte dall'impegno dei cattolici. Per i liberali borghesi un
nuovo nemico, ancor più pericoloso dei cattolici democratici, era salito
alla ribalta: il socialismo rivoluzionario.
Il problema che agli inizi del secolo i cattolici democratici si posero fu il seguente: per quale ragione i cattolici, che pur sono superiori alla borghesia sul piano sociale, non possono partecipare alla vita politica (secondo l'imperativo del non expedit)? La risposta a questa domanda includeva, generalmente, due diverse considerazioni sui governi allora in carica, a seconda che il cattolico fosse 'moderato' o 'democratico': per il primo l'attività politica era necessaria perché molti ideali della borghesia erano giusti; per il secondo invece tale necessità dipendeva dall'esigenza che i cattolici costituissero un'alternativa politica al liberalismo.
E' comunque sulla risposta a questa domanda che avviene lo scontro tra chiesa istituzionale e modernismo (la corrente religiosa più progressista di quel tempo).
Il modernismo nasce in Francia verso la metà dell'800 e si sviluppa in Italia verso la fine dell'800, concludendosi con l'ascesa del fascismo. Suo esponente principale in Italia fu Romolo Murri.
Il modernismo sosteneva la necessità di adeguare la chiesa al progresso dei tempi. Addirittura affermava la storicità dei dogmi. Sarà condannato nel 1907 dall'enciclica Pascendi di Pio X (1903-l4). Paradossalmente lo stesso papa, pur di combattere politicamente il laicismo, sostituirà il non expedit con la formula 'deputati cattolici no; cattolici deputati sì', con cui si sanzionò il clerico-moderatismo, arginando il pericolo interno della 'democrazia cristiana'.
Intanto, sotto il papato di Leone XIII (1878-l903), la chiesa, pressata dal modernismo, all'interno, e dal socialismo, all'esterno, si vide costretta a rinunciare all'intransigenza antiliberale e a promuovere il dialogo con la borghesia (vedi Rerum novarum del 1891).
Le condizioni che il papato impone al Movimento cattolico sono precise: democrazia sociale sì (nel senso del corporativismo e del paternalismo statale), democrazia politica no (nel senso dell'uguaglianza sociale e della partecipazione attiva dei cattolici alla vita politica). Ciò significa che il cattolico non doveva avallare politicamente le idee del liberalismo, né doveva avere un'alternativa al liberalismo che non fosse quella della gerarchia vaticana.
Murri non accetterà queste condizioni e sarà scomunicato nel 1909, e con lui molti altri modernisti (in Italia p.es. Buonaiuti). Da allora in poi l'attività del Murri si svolgerà fuori del Movimento Cattolico.
I punti fondamentali della Rerum novarum sono i seguenti: 1) l'etica è superiore all'economia; 2) difesa della proprietà privata, con destinazione universale dei beni; 3) interclassismo; 4) capitalismo vuol dire sfruttamento del lavoro salariato; 5) lo Stato deve promuovere il bene comune (corporativismo); 6) sì alle associazioni operaie.
L'enciclica ha accettato i presupposti del capitalismo, sperando di correggerli in senso cristiano. L'ideale sociale è il corporativismo para-feudale o al massimo mercantilistico. Ciò senza rendersi conto che il corporativismo medievale aveva funzionato proprio perché esisteva un'ideologia comune tra sfruttato (il servo della gleba) e sfruttatore (il feudatario).
Il fallimento della Rerum novarum lo si può già costatare con la nascita del clerico-moderatismo, a partire dalle elezioni politiche del 1904 e dallo scioglimento dell'Opera (1). Il clerico-moderatismo rappresenta la necessità, condivisa da Giolitti e da Pio X, di un appoggio reciproco tra borghesi e cattolici (appoggio ufficializzato col Patto Gentiloni per le elezioni del 1913): i cattolici votano quei liberali che s'impegnano a combattere, se eletti, qualsiasi legislazione anticlericale (circa 200 deputati liberali saranno eletti così).
Murri continuerà a lottare per avere una Lega Democratica Nazionale (non 'cristiana', come poi invece vorrà Cacciaguerra): cercava l'appoggio dei socialisti in funzione anti-liberale, ma non avrà successo, né l'avrà il Cacciaguerra col suo tentativo di conciliare una posizione di rigida ortodossia cattolica con una posizione democratica in politica.
Le cose cambiano con la prima guerra mondiale, poiché i cattolici si schierano dalla parte dello Stato italiano contro l'impero austro-ungarico. Si risolve così, di fatto (non ancora di diritto), la 'questione romana'. Nel 1919 nasce il Partito popolare di Sturzo, d'ispirazione cristiana, ma slegato (almeno ufficialmente) da una dipendenza gerarchica dal papato (come invece era l'Azione cattolica, nata nel 1905). Ovviamente sarebbe stato impossibile per un prete come Sturzo diventare segretario generale senza il consenso della curia vaticana. Infatti nel '23 abbandonerà la carica su richiesta del papato.
Il P.P. nasce spontaneamente, è aconfessionale, antiliberale e antisocialista (l'ateismo dei socialisti e il concetto di proprietà collettiva impediscono qualunque rapporto coi partiti di sinistra). Lotta per avere: sistema proporzionale, suffragio femminile, elettività del Senato, libertà delle scuole e dell'insegnamento, imposta progressiva, riforma agraria al Sud, autonomie comunali, costituzione della Regione, tutela della piccola proprietà
Nel 1919 ha 100 seggi in Parlamento (grazie al grande lavoro pre-politico condotto dal Movimento Cattolico), ma nel '22, dopo essersi opposto al ritorno al potere di Giolitti, rifiuta di assumere le redini del governo coi socialisti, anzi, preferisce entrare nel primo governo fascista di coalizione, anche se nel '23 si ritira, passando all'opposizione.
Dopo i delitti Matteotti e don Minzoni si schiera con la secessione parlamentare dell'Aventino. De Gasperi fu l'ultimo segretario generale. Il P.P. venne sciolto dal fascismo nel '26. La chiesa accettò lo scioglimento senza reagire, confidando più nell'obbedienza della A.C. Anche la Confederazione dei lavoratori verrà boicottata dal papato a vantaggio dei sindacati fascisti. Il P.P. risorgerà durante la Resistenza come Democrazia Cristiana.
A favore del fascismo si schierano i gesuiti e Pio XI (1922-39), che sono contrari a un'intesa tra popolari e socialisti (il papa definirà Mussolini con l'espressione 'l'uomo della provvidenza'). La curia vaticana appoggiò il fascismo perché credette di vedere in questo movimento una maggiore garanzia contro il socialismo. Lo stesso Mussolini, diversamente da tutti gli altri statisti liberali, affermava chiaramente (anche se per tattica) di voler difendere gli interessi della chiesa contro il socialismo.
Il rapporto tra chiesa e fascismo non è però così lineare. La chiesa condanna la violenza, i limiti imposti all'A.C., l'educazione fascista della gioventù, le leggi razziali, l'alleanza col nazismo Accetta il Concordato, il colonialismo in Africa, l'autarchia e il regime corporativo, la 'crociata' snola in difesa dei nazionalisti di Franco, la lotta contro le sanzioni di Ginevra, la fine delle libertà di stampa, sindacale, partitica, di sciopero
Il fascismo riconosce al Vaticano, fra le altre cose, l'Università Cattolica di Milano, aumenta le congrue parrocchiali, ripara le chiese danneggiate dalla guerra, ma in cambio vuole una religione sempre più come strumento di potere.
Pio XI pubblica nel 1937 due importanti encicliche: una contro la persecuzione religiosa nella Germania nazista (Mit brennender Sorge - Con viva ansia), l'altra contro il comunismo ateo (Divini Redemptoris). Il papato è convinto che mentre col nazismo si possa trattare (vedi p.es. il Concordato del '33), col comunismo invece ciò non sia assolutamente possibile.
Nel secondo dopoguerra i quadri direttivi dell'A.C. e dell'Università Cattolica passano a dirigere la politica economica dell'Italia, attraverso il partito della Democrazia Cristiana. Finisce l'opposizione cattolica allo Stato liberale e inizia il collateralismo della Chiesa nei confronti della D.C.
La DC offre una base di massa -quella contadina- alla borghesia capitalistica. Alle elezioni del '48 la DC sfiora la maggioranza assoluta, ma sull'onda di uno sfrenato anticomunismo, non sulla base di un programma sociale anticapitalistico. Gli USA diventano il punto di riferimento privilegiato.
L'illusione della DC è stata quella di poter garantire uno sviluppo equilibrato del capitalismo in nome dei valori cristiani. Tuttavia questo non si è verificato, anzi la progressiva laicizzazione del Paese è avvenuta proprio nel periodo in cui per la prima volta nella storia d'Italia la classe dirigente era cattolica.
L'origine di questo insuccesso sta nel concetto stesso di 'capitalismo', che la DC ha mutuato da Weber, Sombart ecc., secondo cui il capitalismo non è tanto un modo di produzione particolare legato a una particolare forma di proprietà e di sfruttamento, ma è piuttosto una civiltà, una cultura, una mentalità, cioè un fenomeno sovrastrutturale.
Le proposte migliori della DC, affrontando il problema del capitalismo solo in questi termini, non ebbero alcuno sbocco: si pensi al gruppo dossettiano, alla sinistra cristiana, ai catto-comunisti
La chiesa romana accetta di convivere pacificamente col capitalismo nel Concilio Vaticano II, ma in questo Concilio sono rimasti del tutto esclusi i motivi dello sfruttamento coloniale del Terzo Mondo (non a caso la chiesa sudamericana, poco partecipe al concilio, convocò a Medellin nel '68 la conferenza che reinterpretò il Concilio alla luce della realtà sudamericana).
Con la fine del comunismo (caduta del muro di Berlino, implosione dell'Urss, ecc.) e quindi dell'anticomunismo, la DC si è trovata ad aver perso anche l'ultima possibilità di tenere unite forze sociali tra loro opposte. Di qui la sua scissione in due correnti fondamentali: una di centro-destra, ancora fortemente anticomunista; l'altra di centro-sinistra, aperta al dialogo con le forze della sinistra riformista.
Oggi le nuove forze che vogliono governare (laiche o religiose, di destra o di sinistra) sono convinte che il cristianesimo non sia più in grado di modificare qualitativamente le leggi del capitalismo. L'Occidente è diventato sempre più secolarizzato e consumista e il crollo del comunismo ha dato a tutti la convinzione che le leggi del capitalismo siano assolutamente immutabili. Per correggere le sue storture tutti ritengono sia sufficiente un governo forte, razionale, efficiente, che sappia combinare le esigenze politiche di uno Stato centralizzato con quelle organizzative delle autonomie locali (in primo luogo regionali). Quest'ultime, in particolare, si pretende diventino parte 'organica' dello Stato e non più un territorio da tenere, con sospetto, sotto controllo.
Con la fine dell'intesa religione/capitalismo, dobbiamo dunque aspettarci un futuro caratterizzato da meno ideali e più autoritarismo (non solo nazionale ma anche locale), oppure l'alternativa è quella di lottare per nuovi ideali democratici, nel senso della partecipazione diretta, non delegata, del popolo alla vita politica? Ciò di cui le forze popolari progressiste devono convincersi è che il capitalismo è del tutto incompatibile con la democrazia, oppure esistono ancora dei margini d'intesa?
(1) L'OPERA DEI CONGRESSI
L'Opera Dei Congressi promosse periodici congressi in cui furono dibattuti i problemi relativi alla presenza dei cattolici nella vita civile e politica del paese. In tali dibattiti si delinea una corrente di intellettuali che vedevano nell'instaurazione di un ordine sociale democratico-cristiano l'unica alternativa al socialismo. Furono creati sindacati bianchi in contrapposizione alle organizzazioni rosse dei socialisti. Le ure più autorevoli di questa corrente furono Giuseppe Toniolo, professore a Pisa, e il sacerdote Romolo Murri che cercarono di dar vita ad un partito cattolico indipendente dalla Santa Sede e con un programma di democrazia politica e di riforme sociali.
Il Pontefice Pio X, interpretando i timori dei cattolici più conservatori che vedevano nell'attività dei gruppi un contributo all'attività del socialismo, provvide a sciogliere l'Opera Dei Congressi (1904) e a condannare nel 1905 la Lega democratica nazionale fondata da Murri.
Durante l'età giolittiana le agitazioni operaie e contadine e la rappresentanza dei deputati socialisti in parlamento si erano irrobustite, inducendo i liberali a chiedere l'apporto dell'elettorato cattolico. Già in occasione delle elezioni del 1904 il Pontefice Pio X aveva autorizzato i cattolici a votare per i candidati moderati e anche ad avanzare proprie candidature, ma con la riserva, se eletti, di entrare alla camera a titolo personale e non come esponenti di un partito politico autonomo: "cattolici deputati sì, ma deputati cattolici no".
Quando nel 1912 la direzione del partito socialista passò all'ala rivoluzionaria, i liberali giolittiani e le forze cattoliche si allearono per imprimere una svolta conservativa alla politica interna. In quell'anno Giolitti aveva varato una riforma elettorale introducente il suffragio universale maschile: è da sottolineare però che l'estensione del diritto di voto ad un elettorato di massa politicamente sprovveduta estendeva la possibilità di pressioni e manipolazioni per volgere i suffragi popolari a favore dei candidati governativi: che fosse questo l'obbiettivo del governo Giolitti fu confermato dal Patto Gentiloni, stabilito con l'unione elettorale cattolica presieduto dal conte Vincenzo Gentiloni: in base a tale patto l'unione avrebbe sollecitato i cittadini cattolici a far confluire i loro suffragi su candidati liberali, mentre questi si impegnavano a non proporre i disegni di legge in contrasto con le posizioni della Chiesa soprattutto sulle questioni del divorzio, dell'insegnamento religioso e della scuola privata. Nelle elezioni del 1913, svoltesi con il nuovo sistema elettorale, entravano alla camera più di 200 deputati ministeriali (di Giolitti) eletti col voto determinante dei cattolici.
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