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L'art. 94 Costituzione razionalizza il congegno della fiducia: il Governo si deve presentare alle Camere, davanti a ciascuna, e ottenere la fiducia da tutte e due: carattere ugualitario del nostro bicameralismo. La fiducia è accordata (o revocata) in base a un atto che s chiama MOZIONE, e che deve essere motivata. Tale mozione deve essere votata per appello nominale, cioè con voto palese, in quanto il Paese deve sapere quale è l'orientamento dei suoi rappresentanti.
La presentazione alle Camere (art. 94, terzo comma): entro 10 giorni dalla formazione del Governo.
Quid del Governo che, nominato dal Capo dello Stato si presenta alle Camere e non ne ottiene la fiducia? Il Governo dovrà dare le dimissioni; e, in difetto, il Presidente della Repubblica dovrà revocarlo; e dovrà conferire un incarico per la formazione di un altro Governo.
Una volta constatata l'impossibilità di formare un Governo in grado di ottenere la fiducia, il Presidente della Repubblica non avrà altra scelta che quella di SCIOGLIERE le Camere. In tal caso, l'ultimo Governo incaricato (ma non ancora investito della fiducia) avrà il compito di gestire le elezioni per il nuovo Parlamento: ipotesi di GOVERNO ELETTORALE.
L'art. 94, quarto e quinto comma: regola la vita del Governo che ha ottenuto la fiducia. Il semplice rifiuto da parte del Parlamento di approvare una proposta che venga dal Governo non importa obbligo di dimissioni; cioè n on significa per sé sfiducia.
Può accadere che il Governo stesso abbia posto la fiducia su un provvedimento che esso presenta al parlamento; la consuetudine lo ammette; oggi, principalmente:
a) per verificare la maggioranza.
b) per combattere l'ostruzionismo.
In tal caso, qualora il provvedimento non sia approvato, cioè non ottenga la fiducia, per il Governo insorge un obbligo si dimissioni.
LE CRISI EXTRAPARLAMENTARI:
L'art. 94 Costituzione risolve il problema se siano legittime o no le crisi extraparlamentari, cioè le crisi nate dalle dimissioni spontanee che il Governo da al Presidente della Repubblica, senza previo voto di sfiducia: dimissioni libere, non obbligate. Quando il quarto comma dell'art. 94 dice che" . . non importa obbligo di dimissioni", dice anche implicitamente, che le dimissioni possono essere date, (anche quando non sia stata votata la sfiducia). Basti pensare se il Presidente del Consiglio è colpito da una malattia, o, se, per ragioni personali, desideri lasciare il posto.
Il discorso è un altro, quando ci si chiede se queste crisi, nate come extraparlamentari (si pensi che tutte le crisi dei Governi repubblicani in Italia hanno avuto questo carattere), possano o debbano essere riportate in Parlamento: La risposta è positiva; l'obbligo relativo grava sia sul Presidente del Consiglio dimissionario, che sul Presidente della Repubblica che deve accettare le dimissioni del primo: il Presidente del Consiglio ha il dovere di esporre al Parlamento le ragioni della crisi; e il Presidente della Repubblica ha il dovere di rinviare, per questo scopo, il Presidente del Consiglio davanti al Parlamento.
La prassi, in passato, è stata tutta in senso opposto (eccezione, Governo Zoli, nel '57); nella prassi più recente (Pertini, Cossiga, Scalfaro) i Governi dimissionari sono stati invitati dal Presidente della repubblica a presentarsi alle Camere per riferire i motivi della crisi e aprire un dibattito in Parlamento.
Ultimo comma art. 94: mozione di sfiducia; un procedimento per evitare colpi di mano, cioè votazioni a sorpresa, magari nell'assenza di molti parlamentari ignari della circostanza.
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