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Lezione
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L'ATTO AMMINISTRATIVO
Con questa lezione cominciamo la panoramica sulle modalità di operare della p.a..
In particolare, in questa sede, cominceremo a considerare l'attività di diritto pubblico delle amministrazioni, soffermandoci, precisamente, sugli atti amministrativi, in generale, e sulla loro struttura.
Gli atti amministrativi sono gli atti di diritto pubblico mediante i quali si
esprime, precipuamente, l'azione amministrativa.
La principale distinzione (approfondimento sulla classificazione degli
atti amministrativi a . 4) che li caratterizza è quella tra:
provvedimenti amministrativi = atti tipici dell'attività di amministrazione attiva. Cioè a dire, gli atti che realizzano la cura concreta dell'interesse pubblico assegnato all'amministrazione procedente.
atti non provvedimentali (strumentali) = atti tipici dell'attività di amministrazione consultiva (pareri) e di controllo. (approfondimento sugli atti non strumentali a . 6)
La struttura degli atti amministrativi è articolata in:
A. ELEMENTI ESSENZIALI. Sono gli elementi costitutivi degli atti amministrativi: indispensabili perché l'atto possa dirsi giuridicamente esistente.
Soggetto = la ura soggettiva che pone in
essere l'atto amministrativo.
È evidente che si tratta di elemento 'estraneo' alla struttura
dell'atto amministrativo, poiché si colloca all'esterno di essa.
Tuttavia, questo aspetto incide sulla identificabilità e sulla validità
dell'atto amministrativo. Per tale ragione la dottrina lo ha valorizzato come
elemento costitutivo, osservando che deve trattarsi di un soggetto
legittimamente incardinato nell'amministrazione competente all'esercizio di
quel potere di cui l'atto è espressione.
Va ricordato che questa qualifica, attualmente, è riconosciuta anche ai privati
investiti dell'esercizio di una pubblica funzione.
2. (volontà) contenuto. La dottrina più
recente, abbandonando l'impostazione privatistica, nega che la volontà possa
considerarsi elemento costitutivo dell'atto amministrativo.
La volontà, invero, non rileva come elemento psichico, ma assume un valore
procedimentale. Cioè a dire, per gli atti di pubblico potere ciò che conta è la
statuizione (= il contenuto) che non deve essere inficiata da errori di
rappresentazione, né da irragionevolezza.
E così, ad esempio, nel provvedimento amministrativo discrezionale la volontà
si traduce nel potere di effettuare la scelta della soluzione operativa più
coerente con le risultanze procedimentali e con il fine di cura dell'interesse
pubblico primario.
Ne deriva che la volontà emerge nella parte precettiva dell'atto: in ciò che si
autorizza, si dispone, si certifica.
Ed è per questo che larga parte della dottrina preferisce parlare di contenuto
volitivo (Bassi) o dipositivo (Casetta).
Generalmente, il contenuto dell'atto, che secondo la dottrina maggioritaria
deve essere lecito, possibile e determinato o determinabile, è distinto
in:
- contenuto necessario = disposizioni che identificano il tipo di atto
amministrativo;
- contenuto implicito o naturale = disposizioni che, anche se non enunciate
nell'atto, operano per forza di legge;
- contenuto eventuale o facoltativo = disposizioni aggiuntive rese necessarie
dalle caratteristiche peculiari della vicenda concreta.
oggetto = il quid su cui l'atto
amministrativo incide (fatti, comportamenti, beni).
Come il soggetto, anche questo elemento è esterno alla struttura
dell'atto.
La dottrina, tuttavia, lo considera elemento costitutivo dell'atto,
perché, al pari del soggetto, concorre alla sua identificazione.
Anche questo elemento deve presentare le caratteristiche elencate dall'art.
1346 Cod. Civ..
4. causa = la funzione socio economica
dell'atto, ovvero la meritevolezza dell'interesse perseguito.
Per l'atto amministrativo tale elemento è posto nel nulla dalla natura
funzionale dell'attività amministrativa di cui l'atto è espressione.
In astratto, ogni potere amministrativo attribuito ad un soggetto pubblico è
preordinato alla cura di un interesse pubblico, la cui meritevolezza non è
giuridicamente contestabile. Per tale aspetto, pertanto, la causa è, come già
il soggetto e l'oggetto, un elemento estraneo alla struttura dell'atto.
In concreto, se il potere amministrativo (rectius: l'atto di esercizio del
potere amministrativo) è direzionato in modo difforme dalle previsioni legali,
esso è semplicemente illegittimo. Diversamente dal diritto privato, sono sempre rilevanti i motivi
dell'agire dell'amministrazione, da intendere come le ragioni istruttorie e
procedimentali che hanno condotto l'amministrazione alla determinazione
operativa contenuta nell'atto. Per tale via, invero, risulta controllabile la
coerenza dell'azione rispetto alle acquisizioni istruttorie e, per altro verso,
la completezza delle stesse.
5. forma (rectius: esternazione). Altro elemento estraneo
alla struttura dell'atto, ma necessario: un atto non esternato non è
percepibile nell'ordinamento giuridico, né dai terzi, quindi risulta inutile.
Nel diritto amministrativo vige il principio della libertà delle modalità di
esternazione.
Ne deriva che l'esternazione può essere:
- esplicita. Gli atti amministrativi sono esternati direttamente e d
individualmente.
In proposito bisogna distinguere:
atti informali = atti per i quali
l'ordinamento non prescrive un modo tipico di esternazione, lasciando
all'organo agente il potere di scegliere quello più idoneo;
atti formali = atti per i
quali l'ordinamento impone, espressamente od implicitamente (es. atti recettizi
-> esternazione scritta necessaria), una determinata modalità di
esternazione (es. ordini di polizia -> esternazione orale).
Generalmente il legislatore impone, per questi atti, l'esternazione scritta,
che è legata ad una forma precisa:
a. intestazione = indicazione dell'autorità che adotta l'atto;
b. preambolo = giustificazione normativa dell'esercizio del potere;
c. motivazione = esposizione dei presupposti di fatto e di diritto, nonché
delle ragioni che stanno
alla base della determinazione assunta (approfondimento sulla motivazione
dell'atto amministrativo a . 8);
d. dispositivo = statuizione;
e. data e luogo di adozione dell'atto
f. sottoscrizione da parte del titolare dell'autorità emanante.
L'esternazione scritta, non va confusa con la semplice documentazione scritta,
che può essere richiesta per ragioni di conservazione, organizzative, ecc,
per ogni atto amministrativo, indipendentemente dalle modalità di esternazione
di esso (es. determinazioni collegiali sono atti ad esternazione orale, che
devono essere documentate per iscritto attraverso la verbalizzazione)
- implicita. L'atto amministrativo (informale) può risultare da un altro
atto amministrativo oppure da un comportamento della p.a.. Fenomeno questo che
va tenuto assolutamente distinto dal silenzio amministrativo (approfondimento
sul silenzio nel diritto amministrativo a . 9).
La giurisprudenza, per evitare abusi lesivi della trasparenza dell'azione
amministrativa, ha chiarito che l'atto amministrativo implicito, non può
essere un atto formale, deve essere collegato all'atto od al comportamento da
cui risulta da un legame di presupposizione-conseguenza (l'atto implicito deve
essere il presupposto indefettibile dell'altro atto o del comportamento, che, a
loro volta, devono rappresentare la sola conseguenza possibile di esso), e
pertanto deve appartenere alla competenze della stessa autorità che adotta
l'atto od il comportamento che lo presuppongono.
B. ELEMENTI ACCIDENTALI. Tale
locuzione descrive gli elementi che possono essere inseriti
dall'amministrazione nella struttura degli atti discrezionali (approfondimento
sulla discrezionalità amministrativa a . 11), al fine di ampliarne o
restringerne il contenuto ovvero gli effetti.
Tale operazione, tuttavia, non può giungere a stravolgere la natura e la
funzione tipica dell'atto, né ad eludere od a violare le norme di legge cogenti
relative ad esso.
Tra gli elementi accidentali degli atti amministrativi si collocano con
certezza:
1. termine = momento a partire dal quale l'atto comincia ad avere efficacia
(termine iniziale) oppure quello in cui l'atto cessa di avere efficacia (temine
finale);
2. condizione = evento futuro ed incerto cui subordinare l'inizio o la
cessazione dell'efficacia dell'atto amministrativo (in genere di
amministrazione attiva o di controllo).
Discussa è invece la posizione di:
1. onere = determinazione restrittiva inserita nei provvedimenti favorevoli,
quando la norma consente l'adozione di tali atti prescrivendo l'assunzione
delle misure più idonee, o delle opportune cautele.
La dottrina, proprio per la particolare modalità di previsione, ritiene che non
si tratti di clausole accessorie poiché si tratterebbe di elementi immancabili
dell'atto amministrativo, quantunque lasciati alla libera determinazione
dell'amministrazione nel quid e nel quomodo.
2. riserve = determinazioni restrittive inserite negli atti amministrativi con
cui l'amministrazione si riserva di adottare futuri provvedimenti in relazione
all'oggetto dell'atto emanato. Per essi valgono le medesime considerazioni
fatte a proposito dell'onere.
3. modus = si ritiene non utilizzabile per gli atti amministrativi che sono
estranei alla distinzione 'atti a titolo oneroso-atti a titolo
gratuito', e, pertanto, ignorano la ura dell'atto di liberalità cui il
modus tipicamente attiene.
Generalmente l'invalidità degli elementi accidentali non si ripercuote
sull'intero atto.
Classificazione degli atti amministrativi
La dottrina ordina gli atti
amministrativi facendo ricorso a diversi parametri:
A. NATURA DELL'ATTIVIT ESERCITATA
1. atti di amministrazione attiva : atti che soddisfano 'immediatamente' gli interessi assegnati alla
p.a. (provvedimenti amministrativi);
2. atti di amministrazione consultiva: atti che servono agli organi di amministrazione attiva per
chiarire degli aspetti tecnici, giuridici, economici (es. pareri);
3. atti di amministrazione di controllo: atti che esprimono un controllo, di legittimità e/o di merito,
sull'operato degli organi di
amministrazione attiva.
B. ELEMENTO PSICHISCO DI CUI SONO MANIFESTAZIONE:
1. atti che si traducono in manifestazioni di volontà;
2. atti che si traducono in manifestazioni di conoscenza;
3. atti che si traducono
in manifestazioni di giudizio.
C. DISCREZIONALITà
1. atti discrezionali;
2. atti vincolati.
D. EFFICACIA
1. atti costitutivi: atti che creano, modificano od estinguono rapporti giuridici;
2. atti dichiarativi :atti che accertano (danno certezza) una determinata situazione giuridica, senza
interferire su essa.
E. RISULTATO
1. atti ampliativi: atti che attribuiscono al destinatario nuovi poteri e nuove facoltà, ampliando la sua
sfera giuridica;
2. atti restrittivi: atti che riducono la sfera giuridica del destinatario, limitandone poteri e diritti od
addirittura estinguendoli.
F. DESTINATARI
1. atti particolari: destinati ad un solo soggetto;
2. atti con pluralità di destinatari: destinati a più soggetti e distinti in:
a. atti plurimi: atti formalmente unici, che contengono tanti provvedimenti quanti sono i
destinatari (es. decreto di nomina dei vincitori di concorsi). I singoli provvedimenti
sono tra loro indipendenti e la sorte di uno non coinvolge gli altri.
b. atti collettivi: atti con cui la p.a. manifesta la propria volontà unitariamente ed
inscindibilmente verso un solo complesso di soggetti considerati unitariamente (es.
piano regolatore);
c. atti generali: atti che si rivolgono a destinatari non determinati al momento dell'atto,
ma determinabili, sulla base di esso, al momento dell'esecuzione (es. bandi di
concorso).
Da essi vanno tenuti distinti i regolamenti, sovente definiti come 'atti amministrativi
generali a contenuto normativi'.
Tali atti, invero, sono rivolti a destinatari non determinati né determinabili, possono
essere adottati solo da soggetti dell'amministrazione investiti del potere
regolamentare, hanno efficacia erga omnes, non possono essere derogati da alcun
atto amministrativo, sono soggetti alle formalità della pubblicazione e della vacatio.
Gli atti amministrativi generali, al contrario, sono rivolti a destinatari determinabili,
(quindi) non possono avere efficacia erga omnes, sono adottati da una qualsiasi
autorità amministrativa e sono derogabili da altro atto amministrativo che si riferisca al
singolo destinatario.
G. INTERDIPENDENZA
1. atti composti: atti formati dal concorso di più manifestazioni di volontà, che sono unite a tal punto
da esser considerate un solo atto. Con la conseguenza che la mancanza di una di esse
determina un difetto dell'atto (es. atto complesso = fusione di manifestazioni di volontà, che
rispondono ad interessi non contrapposti; contratto = manifestazione di volontà che compone
interessi contrapposti);
2. atti contestuali: atti formati dalla riunione di autonome manifestazione di volontà, che restano
tali, nonostante l'unitarietà ed unicità della manifestazione esteriore (es. atti plurimi = più
manifestazioni di volontà aventi una medesima direzione; atti simultanei = unica manifestazione
a da atti aventi direzioni
diverse).
H. PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
1. atti procedimentali: atti che s'inseriscono in un procedimento amministrativo e sono coordinati e
preordinati all'adozione del provvedimento (= atto finale), l'unico atto idoneo a produrre effetti
giuridici (es. atti propulsivi, atti preparatori);
2. atti presupposti: atti che rilevano al fine della produzione dell'effetto giuridico del provvedimento
amministrativo, ma hanno rilievo autonomo all'interno del procedimento oppure sono l'atto finale
di altro procedimento amministrativo (es. dichiarazione di pubblica utilità - provvedimento di
espropriazione).
I. AGENTI
1. atri di un solo organo: atti posti in essere da un solo soggetto (individuale o collettivo - es.
organo collegiale -);
2. atti di più organi: che si distinguono, a loro volta, in:
a. atti complessi: c.d. codecisioni = atti che risultano dal concorso di volontà di più organi
dirette al medesimo fine e mosse dal medesimo interesse. Le manifestazioni di
volontà possono avere il medesimo rilievo (atti complessi uguali _ decreti
interministeriali), ovvero una di esse può avere valore preminente (atti complessi
diseguali _ decreti del Presidente della Repubblica, ove la controfirma del Ministro ha
valore di requisito di efficacia);
b. atti di concerto;
c. contratti.
Tipologia degli atti amministrativi non
provvedimentali (strumentali)
Si ritiene generalmente che in tale categoria trovino posto tutti gli atti amministrativi, che non sono
provvedimenti, ma che 'servono' i provvedimenti, poiché assolvono funzioni strumentali, accessorie od in
ogni caso secondarie.
Come tutte le categorie residuali, anche la categoria degli atti amministrativi 'strumentali' è connotata da
elementi negativi:
1. non sono dotati di autoritarietà;
2. non sono dotati di esecutorietà;
3. non sono vincolati dal principio di tipicità;
4. non sono vincolati dal principio di nominatività.
Senza alcuna pretesa di completezza, né dogmatica, gli atti amministrativi strumentali possono essere
ordinati in:
A. ATTI CONSISTENTI IN
MANIFESTAZIONI DI VOLONTA'
Tale categoria a sua volta si articola in:
ATTI PARITETICI. Atti con cui l'amministrazione determina, unilateralmente, sulla base di una mera
attività di accertamento, il contenuto di un obbligo che le è imposto dalla legge, in relazione a
determinati rapporti di diritto pubblico patrimoniale (es. rapporto d'impiego pubblico _ determinazione
dello stipendio).
ATTI PARTE DEL PROCEDIMENTO. In genere, si tratta di atti che ineriscono alla fase preparatoria del
procedimento amministrativo:
richiesta = atto d'iniziativa procedimentale pubblica eteronoma, che si atteggia talvolta a
presupposto dell'esercizio del potere;
designazione = atto, in genere obbligatorio e vincolante, con il quale sono indicati, all'autorità
competente, i nominativi dei soggetti da nominare;
accordi preliminari = accordi che l'autorità competente all'adozione di un provvedimento deve
prendere previamente con altre autorità, qualora il provvedimento debba essere adottato su
concerto od intesa;
deliberazioni preliminari = atti che determinano il contenuto del provvedimento che deve essere
adottato sul loro presupposto.
ATTI DI CONTROLLO
B. ATTI NON CONSISTENTI IN MANIFESTAZIONI DI VOLONT_
Tale categoria a sua volta
si articola in:
MANIFESTAZIONI DI SCIENZA E CONOSCENZA > ATTI RICOGNITIVI. Atti con funzione dichiarativa: tesi a dare
certezza, legale (valida erga omnes) o notiziale (non vincolante), a fatti giuridicamente rilevanti. Per
tale ragione presuppongono un'attività articolata nell'acquisizione del fatto da accertare e nella
dichiarazione all'esterno di ciò che si è acquisito.
Seguendo l'impostazione di Giannini, possiamo distinguere:
a. acclaramenti: atti che consistono in acquisizioni di scienza che
riguardano l'esistenza, la
misurazione, l'analisi tecnica o amministrativa dei fatti del mondo reale;
b. accertamenti: acclaramenti che hanno in più la caratteristica di poter attribuire qualità
giuridiche (a persone, cose, rapporti . );
c. certazioni: accertamenti che creano le qualificazioni giuridiche che attribuiscono (es.
dichiarazione di perdita della cittadinanza);
d. ispezioni: atti acquisitivi di scienza, talvolta invasivi della sfera giuridica altrui, che possono
culminare in un atto ricognitivo od esaurirsi in se stesse;
e. inchieste: ispezioni speciali, qualificate dall'oggetto dell'acquisizione, che possono essere
affidate ad uffici costituti ad hoc, siccome a soggetti estranei all'amministrazione;
f. verbalizzazioni: atti che narrano o documentano atti giuridici, operazioni, comportamenti . ;
g. certificazioni: atti esternati in un documento che ha funzione partecipativa, che hanno ad
oggetto fatti già acquisiti dall'ufficio pubblico;
h. registrazioni: atti che attestano fatti accertati dalla pubblica autorità, o risultanti da documenti
o dichiarazioni degli interessati attraverso l'inserzione in appositi registri (= strumenti atti a
ricevere e conservare atti forniti dai privati o provenienti dall'amministrazione, a fini di
esibizione);
i. notificazioni: atti che portano a conoscenza del singolo destinatario l'atto amministrativo che
a lui si riferisce, seguendo una procedura che mira a dare certezza legale all'invio ed al
ricevimento dell'atto stesso;
j. comunicazioni: atti attraverso i quali l'amministrazione informa uno o più soggetti
dell'emanazione di un atto o del verificarsi di un fatto (non sono misure collettive di
conoscenza, come, lo sono,
le affissioni agli albi, le pubblicazioni nell'albo pretorio . ).
MANIFESTAZIONI DI GIUDIZIO -> ATTI VALUTATIVI. Atti che, previo procedimento di apprendimento e
conoscenza, tendono all'enunciazione di un giudizio.
Appartengono a tale categoria:
a. giudizi sull'idoneità di candidati
b. relazioni delle commissioni d'inchiesta
c. proposte
d. pareri. Atti infraprocedimenatli, condizionati da una richiesta, tipici dell'attività di
amministrazione consultiva e privi, pertanto, di autonomia funzionale (e, conseguentemente,
impugnabili solo insieme al provvedimento finale, salvo che si tratti di parere vincolante
negativo).
Generalmente sono distinti
in:
facoltativi: sono i pareri che gli organi di amministrazione attiva possono
discrezionalmente chiedere o no;
obbligatori, sono i pareri che gli organi di amministrazione attiva devono chiedere
perché espressa disposizione di legge lo impone (con la conseguenza che la
mancata acquisizione comporta l'invalidità del provvedimento adottato).
A loro volta, con riferimento alla forza del vincolo per l'amministrazione
procedente, si distinguono
in:
1. non vincolanti = l'organo di amministrazione attiva è obbligato
esclusivamente e chiedere il parere: è libero di non attenersi ad esso
nell'adozione del
provvedimento, purché fornisca congrua motivazione;
2. parzialmente vincolanti = l'organo di amministrazione attiva è obbligato a
chiedere il parere e può adottare un provvedimento difforme soltanto
seguendo un dato procedimento (es. Presidente della Repubblica, rispetto
al parere del Consiglio di Stato, nel ricorso straordinario), ovvero dotandolo
di un certo contenuto;
3. vincolanti = l'organo di amministrazione attiva è obbligato a chieder il parere
ed ad uniformarsi ad esso
nell'adozione del provvedimento;
4. conformi = parere obbligatorio inserito in un procedimento ad istanza
rispetto alla quale la p.a. ha il potere discrezionale di provvedere o no.
Qualora decida di provvedere, però, il parere è vincolante.
In genere, i pareri sono di competenza di organi collegiali, quindi sono resi previo
svolgimento di un sub-procedimento.
Per essi, tuttavia, il legislatore non dispone alcuna specifica forma di esternazione
(atti informali), ferma la loro verbalizzazione, dalla quale deve risultare la
motivazione.
INTIMAZIONI. Atti di formale avvertimento (es. diffide, contestazioni . ) rivolti a soggetti tenuti, per legge
od ordine, all'osservanza di determinati obblighi, che tendono a stimolare l'ottemperanza dell'obbligo
stesso (tanto che GIANNINI li considera atti propulsivi per l'adempimento di obblighi - categoria che
affianca a quella degli atti propulsivi dell'esercizio dei poteri: richiesta, proposta -).
La motivazione dell'atto amministrativo
La motivazione è lo strumento che rende conoscibili le ragioni che hanno indotto l'amministrazione ad
emanare un dato provvedimento.
Ne deriva che essa dovrà essere sufficientemente completa e coerente rispetto alle acquisizioni
procedimentali precedenti, con un grado di analiticità variabile a seconda del tipo di provvedimento.
Ne deriva, per altro verso, che, come sottolinea la giurisprudenza (che non trova sempre concorde la
dottrina), non sarà possibile integrare la stessa con argomenti addotti dopo che l'atto amministrativo è stato
impugnato.
Tuttavia, con riferimento all'attività vincolata non si può considerare integrazione ex post della motivazione lo
svolgimento di argomenti che esplicitano i presupposti dell'agire non indicati nel provvedimento, ma
facilmente identificabili in base alla norma che disciplina l'esercizio del potere.
Il contenuto della
motivazione si articola in:
1. giustificazione:
esposizione dei presupposti di fatto e di diritto;
2. motivazione in senso stretto: esposizione delle ragioni che stanno alla base della determinazione
assunta.
Secondo la dottrina maggioritaria, la motivazione, così articolata, assolve ad almeno tre funzioni:
1. agevolare
l'interpretazione dell'atto amministrativo;
2. garantire la trasparenza
dell'azione amministrativa;
3. facilitare e potenziare il controllo sociale e quindi giurisdizionale sull'azione amministrativa.
Per tali ragioni particolarmente rilevante è stata la generalizzazione dell'obbligo di motivare gli atti
amministrativi operata dall'art. 3 l.n.
241/90.
La giurisprudenza, prima dell'emanazione della legge sul procedimento amministrativo, aveva sottolineato
che la motivazione era obbligatoria, oltre che nei casi in cui espressa disposizione di legge la imponeva, in
tutti i casi di esercizio di attività discrezionale da parte della p.a..
E così, la dottrina, dopo l'entrata in vigore del menzionato articolo, ha ritenuto che l'obbligo di motivare gli atti
amministrativi non incontrasse più alcun limite e che, quindi, ogni atto dovesse esser provvisto di
motivazione.
La giurisprudenza, tuttavia, non ha abbandonato le sue posizioni. E così:
1. esclude dall'obbligo di motivazione:
gli atti vincolati;
1. gli atti espressione della c.d. discrezionalità negativa = atti con cui l'amministrazione si limita ad
accertare l'assenza di fatti ostativi, poiché l'interesse pubblico primario è omogeneo a quello
dell'interessato (es.
abilitazione al trasporto in autobus).
2. ritiene necessaria la motivazione per gli atti generali, che sono idonei ad incidere direttamente sulle sfere
giuridiche individuali (es. piano regolatore generale che sacrifichi posizioni consolidate), nonostante la
norma li esoneri.
L'art. 3 della legge sul procedimento amministrativo dispone che la motivazione possa risultare anche da
fonte diversa dal testo dell'atto amministrativo cui si riferisce. Cioè a dire da altri atti che hanno preceduto
l'adozione dell'atto medesimo e che, di norma, fanno parte dello stesso procedimento amministrativo che ha
portato all'adozione di questo.
Legittima, cioè, gli istituti della
Motivazione per/ob relationem: la motivazione risulta da un altro atto della serie procedimentale
ed è espressamente richiamata dall'atto amministrativo;
Motivazione implicita: la motivazione risulta da altro atto della serie procedimentale, ma l'atto
amministrativo che 'ne è privo' non la richiama espressamente.
Il silenzio nel diritto amministrativo
Il comportamento dell'ordinamento di fronte al 'silenzio' ed 'all'inerzia' della p.a. non è uniforme.
In alcuni casi, il legislatore ha qualificato i comportamenti omissivi della p.a.: ha attribuito loro un significato
tipico, ed ha predisposto opportuni rimedi (es. potere sostitutivo, sanzioni . ).
In altri casi, al contrario, il legislatore ha omesso ogni forma di qualificazione lasciando aperto il problema del
valore giuridico dell'inerzia della p.a., e, conseguentemente, della tutela del privtao avverso tale
comportamento.
Ne deriva che si può
distinguere:
A. SILENZIO QUALIFICATO = Silenzio
significativo = Silenzio tipico.
Silenzio con valore legale tipico di un atto amministrativo
Tale locuzione indica le ipotesi nelle quali il silenzio è considerato dall'ordinamento (fictio iuris)
come un atto amministrativo esplicito.
a. silenzio-assenso = silenzio provvedimentale: il legislatore attribuisce al silenzio il
valore di provvedimento di accoglimento di un'istanza (generalmente diretta ad
ottenere un'autorizzazione). Ed infatti, l'art. 20 l.n. 241/90 (che ha realizzato
l'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'istituto - cfr. lezione 7, allegato 'Istituti di
semplificazione del procedimento amministrativo' -) dispone espressamente che
'l'atto di assenso' formato possa essere annullato.
b. silenzio-rigetto = silenzio provvedimentale: il legislatore attribuisce al silenzio il valore
di provvedimento di diniego di accoglimento di un'istanza (es. art. 25, comma 4, l.n.
241/90, in tema di accesso ai documenti amministrativi) o di un ricorso (es. art. 6,
d.p.r. n. 1199/71, in tema di ricorso gerarchico).
c. silenzio-approvazione = particolare ipotesi di silenzio assenso, che GUARINO
distingue, poiché attiene ai rapporti interorganici. Invero, in caso di controllo
amministrativo, la legge dispone che il controllo si considera esercitato con esito
positivo, se, entro il termine tassativo di esercizio del relativo potere, l'autorità
controllante non adotta il
diniego di approvazione (es. art. 29 l.n. 70/75).
Silenzio a carattere procedimentale
Tale locuzione si riferisce ai casi in cui il comportamento inerte delle amministrazioni è tenuto
nel corso del procedimento amministrativo. Cioè a dire ha ad oggetto attività 'interne' suscettibili
di ripercuotersi negativamente sull'esito del procedimento e, conseguentemente, sul destinatario
del provvedimento finale e sulla economicità, sull'efficacia e sull'efficienza dell'azione
amministrativa.
Al fine di evitare tali conseguenze, il legislatore ha generalizzato, con la legge sul procedimento
amministrativo, l'operare di 'meccanismi di aggiramento-prevenzione':
a. silenzio facoltativo = quando, nel corso del procedimento amministrativo, l'esercizio
di determinate competenze da parte di alcune autorità è 'meramente facoltativo',
l'autorità procedente, decorso inutilmente il termine per il loro esercizio, ha la facoltà di
procedere al compimento delle attività successive, senza pregiudizio per gli effetti
finali del procedimento (cfr., per tutti, art. 16 l.n. 241/90).
b. silenzio devolutivo = quando, nel corso del procedimento amministrativo, l'esercizio
di determinate competenze da parte di alcune autorità è 'indispensabile', ma queste
non vi provvedano nei termini prefissati, l'amministrazione procedente può 'attribuire'
l'esercizio di quelle competenze ad altre autorità che abbiano competenze
equipollenti, rivolgendosi loro per ottenere ciò di cui ha bisogno (cfr., per tutti, art. 17
l.n. 241/90).
c. silenzio illecito = in tutti i casi in cui all'esercizio di un potere è apposto un termine
nell'interesse del destinatario del provvedimento, l'inutile decorso del termine causa
una lesione di un diritto soggettivo legittimando il destinatario alla richiesta di
risarcimento danni.
Silenzio-rinuncia = silenzio-estinzione: l'amministrazione che non esercita un determinato potere
entro un certo termine causa
l'estinzione del potere medesimo (cfr., art.7 l.n. 865/71).
B. SILENZIO NON QUALIFICATO = Silenzio non significativo = silenzio non tipico.
In questa categoria si collocano le ipotesi di c.d. silenzio-inadempimento (ovvero, silenzio-rifiuto). Cioè a
dire i casi d'inerzia della p.a. (anche nell'esercizio dell'attività di diritto privato) di fronte ad una richiesta di
provvedere formulata da un privato, che non sono qualificati dalla norma giuridica.
Per effetto dell'art. 2 l.n. 241/90 sull'amministrazione che inizia od è sollecitata ad iniziare un procedimento
amministrativo incombe, sempre, l'obbligo giuridico di concludere il procedimento con l'esternazione del
provvedimento nel termine prefissato.
Ne deriva, come ha sottolineato la giurisprudenza, che il comportamento omissivo dell'autorità procedente
può avere sempre valore giuridico di silenzio-rifiuto, con esclusione dei soli casi in cui l'iniziativa
procedimentale sia
manifestamente infondata o generica.
Il silenzio-inadempimento, tuttavia, nonostante il diverso parere espresso da una parte della dottrina dopo
l'entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo, non opera automaticamente.
La maggior parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono ancora necessaria l'attivazione del
procedimento di formazione, che, per costante insegnamento del Consiglio di Stato (cfr., per tutte,
sentenza n. 10/78), è modellato analogicamente sul procedimento disciplinato dall'art. 25 t.u. imp.civ. (cfr.,
nello stesso senso,
circolare del Ministro della funzione pubblica n. 60397-7/463 dell'8-l-l991).
Cioè a dire:
1. inerzia di almeno 60gg dell'amministrazione rispetto all'istanza del privato;
2. notifica a mezzo di ufficiale giudiziario di una formale diffida ad adempiere;
3. inerzia dell'amministrazione di almeno 30gg. dopo la notifica.
Per questa via, forma(lizza)tosi il silenzio-inadempimento, il privato può ottenere la tutela giurisdizionale
dal giudice amministrativo, che, però, in principio si limitava ad accertare l'esistenza o no dell'obbligo, ed a
rinviare, in caso affermativo, alla stessa amministrazione affinché provvedesse.
Dalla sentenza del 1978, tuttavia, si è andato consolidando l'orientamento, oggi dominante, per il quale il
giudice amministrativo può andare oltre il mero accertamento dell'illegittimità del comportamento: in caso di
attività vincolata od a discrezionalità non elevata, l'autorità giudiziaria può valutare anche la fondatezza della
domanda del privato.
Tale soluzione interpretativa non sembra necessitare di revisione neppure dopo la riforma processuale
realizzata dall'art. 2 l.n. 205/00, che ha introdotto l'art. 21bis nella legge TAR, che detta norme di disciplina
dei ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione.
Ed infatti, l'art. 21bis, nel dettare la disciplina camerale per il nuovo rito accelerato, si limita a disporre
genericamente che, accertata l'illegittimità del comportamento dell'amministrazione, il giudice ordina di
provvedere. Qualora l'autorità amministrativa perseveri nel proprio comportamento omissivo, nomina un
commissario ad acta, che provvede in sostituzione dell'autorità procedente.
Ciò che non contrasta con l'interpretazione giurisprudenziale, che, nei casi di ricorso avverso il silenzio
dell'amministrazione, limita il sindacato sulla pretesa sostanziale del privato alle ipotesi di comportamento
omissivo in attività vincolata od a non elevato tasso di discrezionalità.
La discrezionalità amministrativa
L'attività amministrativa rispetto al principio di legalità è solitamente distinta in:
a. Attività vincolata
b. Attività discrezionale
L'ATTIVITÀ VINCOLATA è caratterizzata da ciò che il legislatore ha disciplinato integralmente (sia dal punto di
vista procedimentale che sostanziale) l'agire amministrativo. Con la conseguenza che anche la soluzione
concreta che corrisponde al soddisfacimento dell'interesse pubblico, per la cura del quale è stato attribuito
un potere amministrativo (c.d. fattispecie astrattamente delineata), è predeterminata dalla legge.
Ne deriva che esiste una sola determinazione che corrisponde al legittimo esercizio del potere (es.
nell'attività di amministrazione di controllo, ravvisata l'illegittimità dell'atto controllato, l'autorità amministrativa
può soltanto adottare la
misura repressiva prevista).
L'ATTIVITÀ DISCREZIONALE, al contrario, è 'libera' nel momento della scelta: il legislatore non ha
predeterminato a monte la soluzione concreta che soddisfa meglio l'interesse pubblico che è alla base
dell'attribuzione del potere. Quindi, è l'amministrazione che deve operare una scelta tra tutte le soluzioni
astrattamente compatibili con la fattispecie delineata.
La 'libertà' dell'agire amministrativo discrezionale, tuttavia, non è assoluta, bensì è condizionata da alcuni
vincoli (c.d. criteri che regolano l'esercizio dell'attività discrezionale):
1. la natura funzionale dell'attività amministrativa. La scelta discrezionale dell'amministrazione deve essere
una scelta funzionalizzata al perseguimento dell'interesse pubblico;
2. l'esclusività dell'interesse pubblico che è alla base dell'attribuzione di ogni potere amministrativo. La
scelta discrezionale dell'amministrazione deve essere una scelta funzionalizzata al soddisfacimento
dell'interesse pubblico per il quale è stato attribuito quel particolare e determinato potere (c.d. interesse
pubblico primario);
3. la realtà sulla quale la scelta viene ad incidere. In ogni vicenda concreta sono coinvolti una pluralità
d'interessi pubblici (c.d. secondari) che devono esser tenuti in considerazione dall'autorità agente,
siccome gli interessi privati, atteso che il loro sacrificio è ammissibile qualora ciò sia necessario per il
soddisfacimento di un interesse della collettività.
Ne deriva che, la scelta discrezionale si traduce in una scelta ponderativa che impone la completa
acquisizione e azione di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti dall'azione
amministrativa con l'interesse pubblico primario secondo il canone della ragionevolezza
E così risulta evidente che la discrezionalità amministrativa è concetto diverso e non abile con quello
di 'DISCREZIONALITÀ TECNICA
La 'discrezionalità tecnica', infatti, è un concetto utilizzato per descrivere le ipotesi in cui l'amministrazione
adotta le sue determinazioni sulla base di cognizioni tecniche e scientifiche di carattere specialistico (es.
'sostanze tossiche', 'malattie infettive' . ).
Tale attività si esaurisce in un momento conoscitivo che ha lo scopo di chiarire il significato e la portata di
alcune locuzioni (c.d. apprezzamento tecnico) e che può dare esiti più o meno certi (es. la determinazione
della gradazione alcolica di un liquido non lascia margini di opinabilità, come, al contrario, li può lasciare
l'attribuzione di 'rilevante pregio artistico' ad un immobile).
Tale ultima circostanza, però, non consente di confondere dal punto di vista logico la discrezionalità tecnica
e quella amministrativa: ai risultati cui l'amministrazione perviene applicando le regole del sapere
specialistico può seguire un'attività vincolata ovvero discrezionale (né in tal caso è opportuno ricorrere
all'enucleazione del tertium genus della 'discrezionalità mista', privo, secondo la più autorevole dottrina, di
fondamento giuridico e di
utilità pratica).
Al (rectius: oltre il) confine della discrezionalità si pone il MERITO dell'attività amministrativa, che identifica
l'ambito delle libere scelte dell'amministrazione: osservati tutti i limiti ed i criteri che presiedono all'esercizio
dell'attività, anche discrezionale, della p.a., se residua un novero di soluzioni tutte astrattamente praticabili,
la scelta dell'una o dell'altra è una 'questione di merito'.
Si tratta, cioè, del profilo che attiene all'adeguatezza concreta del provvedimento rispetto al risultato:
l'opportunità dell'atto amministrativo adottato rispetto alla situazione concreta, ovvero la sua capacità di
soddisfare adeguatamente l'interesse pubblico primario.
Tale aspetto dell'agire amministrativo è retto dalle regole non giuridiche di buona amministrazione, ed è
sottratto, salvo casi particolari (es. ricorsi gerarchico, giurisdizione amministrativa esclusiva), a qualunque
sindacato.
Ne deriva che la distinzione tra discrezionalità e merito dell'azione amministrativa segna il confine tra ambito
sindacabile ed ambito non sindacabile dell'agire amministrativo.
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