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LE FONTI DEL DIRITTO E L'INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
Le fonti del diritto sono di due tipi: fonti di produzione (i modi di formazione delle norme giuridiche) e fonti di cognizione (i testi che contengono le norme giuridiche già formate).
Le fonti del diritto che interessano il nostro paese sono di due ordini: fonti del diritto nazionale (basate sulla sovranità dello Stato italiano) e fonti del diritto sovranazionale (basate sui poteri della Comunità Europea).
Le preleggi, che precedono il codice civile, risalgono al 1942, senza
tener conto della Costituzione della Repubblica (1948), della Comunità
europea (1957), dell'autonomia legislativa delle Regioni (1970). Le preleggi
indicano come fonti di diritto le leggi, i regolamenti e gli usi. Oggi il
sistema delle fonti deve essere costituiti da: il Trattato della C.E. e
regolamenti comunitari,
A questo ordine di successione corrisponde una gerarchia: le norme
contenute di grado superiore vincolano l'attività produttiva di norme
mediante norme di grado inferiore. Le leggi ordinarie non possono contrastare
Le leggi ordinarie sono quel procedimento di formazione di norme giuridiche che è regolato dagli art. 70 ss. Cost.. Sono equiparati ad atti del governo aventi forza di legge ordinata: decreti legge, che il governo emana solo in casi straordinari di necessità ed urgenza e che perdono efficacia entro 60 gg se il parlamento non li converte in legge, e decreti legislativi che il governo emana su delega del parlamento, sulla base di una legge di delegazione che dichiara anche il tempo, entro il quale, la delega deve essere esercitata.
Le leggi regionali sono il portato dell'autonomia delle Regioni (art. 117 Cost.). l'autonomia legislativa comporta una limitazione interna alla sovranità dello Stato che con una propria legge può dettare solo i "principi fondamentali", mentre è riservata alle Regioni la legislazione analitica. Le leggi regionali non possono essere in contrasto con i principi fondamentali posti con legge statale.
I regolamenti sono una fonte normativa sott'ordinata alla legge: non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge; sulla loro legittimità giudica il giudice ordinario. Vengono emanati dal Governo o da altre autorità. Si distinguono regolamenti governativi di esecuzione (regolano, nei particolari, materie già regolate dalla legge) e regolamenti governativi indipendenti (regolano materie non regolate da alcuna legge).
I regolamenti governativi hanno avuto tuttavia una forte rivalutazione
con la "delegificazione". La legge 400 del
Gli usi o consuetudini, sono una fonte non scritta e non statuale di produzione di norme giuridiche:consistono nella pratica uniforme e costante di dati comportamenti, seguita con la convinzione che quei comportamenti siano giuridicamente obbligatori.
La prassi, invece, è il consueto modo di comportarsi degli operatori di un dato settore, ad esempio, dalle banche o dalle pubbliche amministrazioni.
Ad un livello sovraordinato rispetto alle fonti di diritto interno, inclusa fra esse la stessa Costituzione, si collocano, nella gerarchia delle fonti, il Trattato istitutivo della Comunità europea e i regolamenti emanati dal Consiglio della Comunità nelle materie fissate dal Trattato.
Le leggi e i regolamenti entrano in vigore solo a seguito della loro pubblicazione e il quindicesimo giorno successivo ad essa. Vale il principio secondo il quale l'ignoranza della legge non scusa.
Le leggi cessano di avere efficacia o per espressa disposizione di una legge successiva o per sentenza di illegittimità costituzionale e in questi casi, si parla di abrogazione espressa.
Una norma può perdere efficacia anche per incompatibilità con una nuova disposizione di legge (tacitamente abrogata).
La legge non ha effetto retroattivo, ma la sua irretroattività risulta sancita solo da una norma generale di legge ordinaria.
Gli applicatori della legge devono stabilire qual è la norma entro cui può essere fatto rientrare il caso da risolvere e perciò, qual è la norma da tradurre in comando particolare e concreto e, inoltre, deve stabilire qual è il significato da attribuire alle norme.
Quest'operazione, chiamata interpretazione, deve essere condotta secondo criteri fissati dalla legge. L'art. 12 stabilisce che, nell'applicare la legge non si può attribuire altro senso se non quello fatto palese: dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (interpretazione letterale); dall'intenzione del legislatore (interpretazione teologica).
Le parole sono solo il mezzo mediante il quale si esprime l'intenzione del legislatore. L'interpretazione deve essere quella che risulti più aderente al senso letterale delle parole e, al tempo stesso, il più possibile corrispondente all'intenzione del legislatore.
L'interpretazione estensiva attribuisce alle parole della legge un significato più ampio di quello letterale, mentre l'interpretazione restrittiva, dà alle parole un significato più ristretto di quello comune.
L'ordinamento giuridico deve essere in grado di dare una soluzione di ogni possibile conflitto che si generi fra coloro che vi sono sottoposti. A colmare eventuali lacune si provvede all'applicazione analogica (casi simili o materie analoghe). Non possono essere applicate a casi simili le norme penali e le norme eccezionali (fanno eccezione alle norme generali).
Se il giudice non trova nessuna norma analoga, dovrà decidere secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato che sono principi non scritti, ricavati per induzione da una pluralità di norme.
L'interpretazione secondo il diritto comunitario è effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza.
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