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LE FORME DI MANIFESTAZIONE DEL REATO
Sezione I: IL REATO CIRCOSTANZIATO
Le circostanze sono tipiche situazioni di fatto, di carattere oggettivo e soggettivo (consistenti talvolta, queste ultime, in un mero fine, che può essere aggravante o attenuante: art.573/2), non essenziali per l'esistenza del reato a cui si aggiungono. Esse rilevano come indici della gravità del reato, desumibile dalla lesività e riprovevolezza della condotta dell'agente o come indici della capacità a delinquere del soggetto agente, comportando una modificazione, quantitativa o qualitativa della pena.
Profondamente innovatore, il codice del '30 introduce il dualistico sistema delle circostanze indefinite intraedittali (art.133) e delle circostanze non solo attenuanti ma anche aggravanti, extraedittali.
Il nostro diritto è ancorato al duplice principio a) della tassatività delle circostanze; b) dell'obbligatorietà della loro applicazione.
Accanto ad un vasto sistema di circostanze definite (artt. 61, 62), sono previste anche circostanze indefinite, tali sono le attenuanti generiche dell'art. 62bis.
In merito al principio di obbligatorietà delle circostanze, debbono considerarsi incostituzionali quelle a discrezionalità bifasica, poste in alcune disposizioni (artt. 62 bis, 114) nelle quali il legislatore usa il termine "può". Al riguardo s'intende che il potere del giudice "concerne solo la sua discrezionalità in ordine alla valutazione degli elementi d fatto sui quali fondare l'esistenza della circostanza e non l'applicazione della stessa che è obbligatoria".
L'individuazione delle circostanze.
Le circostanze possono essere individuate direttamente dalla legge (artt. 61, 62, 625, 628).
Criterio ermeneutico può essere dato dalla diversa funzione degli elementi costitutivi e degli elementi circostanzianti. I secondi non mutano il tipo di reato ma ne graduano soltanto la gravità, possono costituire circostanze solo gli elementi specializzanti di corrispondenti elementi della fattispecie incriminatrice (rapporto di species a genus fra circostanze e fattispecie semplice).
Reati autonomi, benché la legge parli di "circostanze aggravanti", sono le discusse ipotesi delle lesione gravi e gravissime (art.583), poiché sono in rapporto di esclusione reciproca con le lesione dell'art.582, come pure tra di loro. Le stesso dicasi per i reati di danno rispetto a quelli di pericolo. Questa sembra una soluzione per i reati aggravati dall'evento, nei quali si consideri l'evento ulteriore non voluto, si opti per la sua classificazione nell'ambito circostanziante ed esso sia soggetto a bilanciamento con altre circostanze attenuanti.
[errore sugli elementi specializzanti]
Classificazione delle circostanze.
[comuni e speciali (artt. 56/4, 116/2, 117/2)]
[aggravanti e attenuanti]
[c. ad efficacia comune e ad efficacia speciale]
Le prime stabiliscono la pena in modo dipendente dalla pena ordinaria del reato.
La distinzione fra c. efficacia comune e speciale risulta, tuttora, dall'art.69/4. Ma risultava anche dall'art.63/3, prima che la L.400/84 sostituisse alle circostanze determinanti "la misura della pena in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato" le circostanze ad effetto speciale, comportanti "un aumento o una diminuzione superiore ad un terzo" di tale pena.
Due punti appaiono consolidarsi: a) che sono da considerarsi a tutti gli effetti, circostanze ad efficacia speciale anche le circostanze con variazione frazionaria, superiore ad un terzo della pena del reato semplice; b) che le suddette circostanze indipendenti continuano ad essere disciplinate non solo nell'art.69/4, ma anche nell'art.63/3, soluzione imposta da esigenze di razionalità del sistema.
[oggettive e soggettive] rilevanti ai fini della comunicabilità delle circostanze ai concorrenti secondo l'originaria formulazione dell'art.118.
Art.62 bis.
Per buona parte della dottrina le a.g. andrebbero desunte dagli elementi indicati nell'art.133. Ciò viene sostenuto sul duplice presupposto che tale articolo prevede la norma chiave del sistema cui ricondurre tutte le ipotesi di discrezionalità penale ed altresì che, data la sua onnicomprensività, sarebbe pressoché impossibile ipotizzare elementi in grado di conurare a.g. che non siano già dallo stesso previsti. Si noti il duplice criterio valutativo basato sulla gravità del reato e sulla capacità a delinquere che immette nel giudizio di individualizzazione della pena una valutazione sulla personalità del soggetto.
Esso costituisce, in fondo, una integrazione dell'art.133, poiché consente al giudice di scendere anche sotto al minimo edittale della pena.
Disciplina delle circostanze.
[concorso di c. omogenee]
[concorso di c. eterogenee], [bilanciamento delle c.]
L'imputazione obiettiva delle circostanze aggravanti, deviante dal principio di personalità colpevole è stato riformulato con la modifica dell'art.59/1 e 2 ad opera della L. 19/90.
Tenendo ferma l'irrilevanza delle circostanze putative [cfr. scriminanti putative] dopo la riforma le attenuanti sono soggette ad imputazione obiettiva mentre le aggravanti devono avere una imputazione almeno colposa. [art.5 e Sent. '88]
Il D.L. n.99/74 che ha abrogato il divieto ex art.69/4 del bilanciamento nei confronti, oltre che delle circostanze inerenti alla persona del colpevole, delle circostanze ad efficacia speciale (artt.625, 577); divieto volto a sottrarre al sindacato del giudice circostanze già "autonomamente" valutate dal legislatore e la cornice edittale per esse previste.
Non vi è dubbio che nonostante la mancanza di un espresso raccordo normativo, il giudizio di bilanciamento va esteso anche alle c. ad effetto speciale di cui all'art.63 come modificato dalla L. n.400/84.
Parte della dottrina nega la qualifica di circostanze anche a quelle che il codice chiama "circostanze inerenti alla persona del colpevole" (art.70/2) e che riguardano la imputabilità e la recidiva. Trattasi di status personali, che proprio perché tali, anche se influiscono sulla misura della pena, non possono considerarsi come "accessori" del reato, assolvendo ad una funzione propria, e che solo di recente sono state illogicamente assoggettate al regime di concorso di circostanze.
Sezione II: IL DELITTO TENTATO
Innestandosi su tutte le fattispecie che prevedono delitti perfetti, la disposizione sul tentativo raddoppia le ure criminose, affiancando ad ogni ura di delitto perfetto una ura di delitto tentato, anticipatrice di tutela. Essa ha pertanto una funzione estensiva dell'ordinamento, consentendo di punire fatti altrimenti non punibili. Tale ura autonoma di reato è definita nel nostro sistema dalle disposizioni dell'art.56 c.p.
I. Fondamento dell'incriminazione.
[D1] esposizione a pericolo dei beni giuridicamente protetti (teoria c.d. oggettivista)
[D2] Mantovani propende per la teoria mista, alla cui stregua il fondamento della punibilità del tentativo consiste tanto nella manifestazione di volontà criminosa, quanto nella esposizione a pericolo del bene protetto.
II. Struttura oggettiva del delitto tentato.
Idoneità degli atti.
Il requisito della idoneità degli atti è unanimemente considerato di natura obiettiva; sono da considerare idonei tutti gli atti adeguati alla commissione del delitto in quanto capaci, ad una valutazione prognostica, di contribuire in modo rilevante alla sua realizzazione.
La formula dell'art.56 deve essere interpretata in conformità al principio di offensività, in modo cioè che sia costantemente assicurata la necessaria pericolosità del tentativo rispetto ai beni giuridici tutelati dalla norma di parte speciale.
Secondo la dottrina dominante, l'idoneità va accertata in base al criterio della prognosi postuma, cioè secondo un giudizio ipotetico effettuato ex ante e in concreto: in altri termini il giudice, collocandosi idealmente nel momento in cui l'azione è stata compiuta, dovrà accertare se un osservatore avveduto, che si fosse trovato nella stessa situazione concreta in cui si è trovato l'agente e, in più, avesse avuto le cognizioni particolari di quest'ultimo, avrebbe giudicato verosimile che l'agente avrebbe realizzato il delitto voluto.
Direzione non equivoca degli atti.
Requisito oggetto di una duplice interpretazione. Secondo un primo orientamento, tale requisito allude ad un criterio di prova (concezione c.d. soggettiva): cioè l'univocità indicherebbe l'esigenza che, in sede processuale, sia raggiunta la prova dell'intenzione criminosa; prova peraltro desumibile non solo dall'atto in sé considerato ma anche aliunde (confessione, testimonianza, documenti). Si tratta di interpretatio abrogans rendendo necessario il solo amplissimo requisito della idoneità.
Secondo un altro orientamento, la direzione non equivoca degli atti rappresenta un criterio di essenza (concezione c.d. oggettiva): cioè l'univocità viene concepita come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che quest'ultima deve - di per sé - lasciare trasparire il fine delittuoso dell'agente.
Il criterio della univocità assoluta degli atti (in sé e per sé), oggettivamente giudicati con direzione finalistica verso il compimento dello specifico reato, finisce non per limitare ma per eliminare la ura del tentativo perché la quasi totalità degli atti, anche quelli esecutivi, spesso risultano pluridirezionali.
Seguendo il criterio di univocità relativa (in rapporto al piano criminoso) si dilata in maniera incontenibile il tentativo, in quanto al quasi totalità degli atti iniziali e preparatori di un delitto finiscono per poter apparire pressoché univoci (acquisto dell'arma per rapina, appostamento con arma per omicidio).
Secondo MANTOVANI vi sarebbe "univocità degli atti" quando, per il grado di sviluppo raggiunto, lasciano prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto. Univocità di direzione degli atti significa la loro attitudine a fondare un giudizio probabilistico sulla verosimile realizzazione del delitto perfetto e anche sulla verosimile intenzione dell'agente di portare a termine il proposito criminoso.
Il tentativo punibile si può conurare anche se il soggetto ha posto in essere atti pretipici costituenti un pericolo attuale di realizzazione del delitto, da accertarsi caso per caso in rapporto al concreto piano dell'agente. ½ sono reati di sospetto che puniscono ad es. l'introduzione clandestina in luoghi militari e il possesso di mezzi di spionaggio in tali luoghi (art.260) oppure il possesso di chiavi alterate, ecc. (art.707) per il fatto che non è stata provata l'intenzione di commettere, rispettivamente, il delitto di spionaggio oppure delitti patrimoniali od altri; i quali appunto dimostrano che altrimenti il soggetto sarebbe stato punito per il tentativo di tali delitti. Seguendo tale tesi si perviene a ritenere non limitativa in senso assoluto la funzione dell'art.115 c.p.
III. Elemento psicologico.
Il tentativo è un delitto doloso ed il dolo è di consumazione. Preferibile però appare la esclusione del dolo eventuale. Non è possibile punire il tentativo con tale forma del dolo senza violare il divieto di analogia in malam partem; l'accettazione del rischio che abbia a verificarsi un delitto è incompatibile con il compimento di atti diretti alla commissione del delitto perfetto voluto e rappresentato dal soggetto agente.
Diverso è il caso in cui il delitto costituisca il consapevole mezzo necessario o il passaggio obbligato per conseguire tale fine ultimo, presentandosi l'evento accessorio come pressoché certo. In questo caso gli atti possono dirsi volontariamente diretti, pur se in via strumentale e mediata, anche alla commissione del delitto.
IV. Tentativo e specie di reati.
E' ontologicamente inconcepibile:
nei [delitti colposi];
nei [delitti unisussistenti] sono reati che vengono realizzati con un solo atto, da non confondere con i reati istantanei nei quali momento perfettivo e consumativo coincidono;
E' giuridicamente inammissibile:
nelle [contravvenzioni] molte delle quali sono già forme di tutela anticipata (reati di pericolo o di ostacolo;
nei [delitti di pericolo] tale forma di tutela mal si concilierebbe con il principio di offensività; da non confondere tali reati con i reati di scopo nei quali è ben conurabile il tentativo;
nei [delitti di attentato] nei quali il minimum necessario per dar vita al tentativo è già sufficiente per la consumazione;
nei [delitti preterintenzionali] dovendo in essi mancare la volontà dell'evento;
E' ammissibile:
nei [delitti dolosi qualificati dall'evento], quando la condotta ulteriore può verificarsi senza che la condotta incriminata sia portata a termine;
nei [delitti abituali];
nei [delitti condizionati, ex art.44, tentativo di bancarotta, incesto];
nei [delitti permanenti];
nei [delitti omissivi impropri];
nei [delitti omissivi propri]
V. Desistenza volontaria e recesso attivo.
[Fondamento politico-sotanziale]
[Fondamento tecnico-formale]
Sotto il profilo oggettivo, la desistenza dall'azione consiste in un (volontario) arresto della condotta prima che questa abbia esaurito il suo iter esecutivo; il recesso attivo o pentimento operoso si conura, invece, quando il soggetto, avendo esaurito la condotta tipica, riesce ad impedire il verificasi dell'evento.
Nei reati di evento la linea di demarcazione tra i due istituti è data, dall'essersi o dal non essersi già messo in moto il processo causale, corrispondendo alle due diverse situazioni quei due diversi gradi di pericolo del bene protetto.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la desistenza va considerata volontaria, ai fini dell'impunità, anche quando non è spontanea (cioè motivata da un atto autentico di resipiscenza), purché derivi da una scelta non imposta da cause esterne, come ad es. la resistenza della vittima, l'avvicinarsi di persone, l'intervento della polizia, ecc.
Rispetto alla operatività della desistenza nell'ambito della partecipazione criminosa, la dottrina e la giurisprudenza tradizionali propendo per la soluzione più rigoristica: l'effetto liberatorio della desistenza è ammesso soltanto nel caso in cui il correo riesco ad impedire la consumazione del reato anche da parte degli altri correi.
Secondo un orientamento preferibile ai fini della esenzione da responsabilità, che il partecipe si limiti a neutralizzare il contributo personalmente recato alla realizzazione del fatto collettivo (FLORA, FIANDACA).
Al recesso attivo si attribuisce natura di circostanza attenuante. Da notare che in relazione alla natura dinamica o statica dell'azione incriminata per interrompere il processo che scaturirebbe in un evento antigiuridico. Potrebbe essere necessario un comportamento passivo qualora per la perfezione fosse necessario un ulteriore comportamento attivo (che dopo messaggio minatorio non si rechi a ritirare il denaro portato dal soggetto estorto).
Il reato impossibile.
[Principio di Offensività]
Il reato impossibile riguarda le sole ipotesi di inesistenza assoluta dell'oggetto, accertabile ex post, tenendo conto di tutte le circostanze esistenti, anche se non conosciute o non verosimili ex ante.
Il tentativo punibile riguarda le ipotesi di inesistenza relativa, sempre che al momento della condotta apparisse verosimile l'esistenza dell'oggetto sulla base di un giudizio in concreto a base parziale da effettuarsi ex ante.
Sul piano soggettivo il reato impossibile non è che una particolare ipotesi di reato putativo per errore di fatto sugli elementi costitutivi della idoneità della condotta o della esistenza dell'oggetto.
L'elemento soggettivo di tale forma di reato si distingue a seconda che si consideri il reato impossibile come:
a) doppione negativo del tentativo (ammesso solo dolo);
b) forma autonoma (dolo e colpa)
Sezione III: L'UNITA' E LA PLURALITA' DI REATI
IL REATO CONTINUATO.
1. Nozione:
Art.81/2 c.p. 'Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge'.
Comma così sostituito ad opera del D.L. 99/74 che ha introdotto la fattispecie del reato continuato eterogeneo.
2. Requisiti:
1) Medesimo disegno criminoso;
Per aversi il medesimo disegno criminoso è necessario e sufficiente la iniziale programmazione e deliberazione, generiche, di compiere una pluralità di reati, in vista del conseguimento di un unico fine prefissato sufficientemente specifico.
Poiché il concetto di colpa è antitetico a quello di disegno criminoso, non potrà aversi continuazione tra reati colposi, mentre può aversi tra contravvenzioni, se dolose. Un identico disegno criminoso è concepibile , anche nei confronti di più soggetti passivi.
2) più violazioni di legge;
la pluralità di azioni od omissioni;
3. Regime sanzionatorio:
Il reato continuato presenta affinità con il concorso materiale di reati, contenendo l'ulteriore requisito del medesimo disegno criminoso, che riconduce il reato stesso ad un regime sanzionatorio più mite, consistente nel calcolo della pena tramite il cumulo giuridico.
L'attuale incompatibilità presunta tra gli artt.81/2 e 61n.2, è stata risolta nei seguenti termini:
l'aggravante in questione non è applicabile al regime reato continuato, in quanto con la recente riforma dell'art.81/2, deve ritenersi tacitamente abrogata. Ciò implica la disapplicazione dell'aggravante in questione al regime del suddetto reato.
Riferendoci al requisito della pluralità di azioni od omissioni, consideriamo l'ipotesi in cui l'agente in esecuzione di uno stesso disegno criminoso compia più reati con una sola condotta. Il problema consiste nel considerare l'ipotesi come concorso formale di reati o come reato continuato.
Attualmente la dottrina più avveduta, seguita poi dalla giurisprudenza, ha ammesso la continuazione anche nell'ipotesi in questione, lasciando al concorso formale i casi in cui manca un identico disegno criminoso. A questo risultato non può, però arrivarsi per via di una qualsiasi interpretazione dell'art.81/2, che per via interpretativa il requisito della pluralità di azioni od omissioni è insuperabile. Bensì attraverso un'estensione analogica di tale norma, trattandosi di analogia in bonam partem, di una disciplina che nell'ambito delle ipotesi di identità del disegno criminoso è del tutto regolare.
L'ipotesi in questione presenta la stessa ratio di disciplina del reato continuato con pluralità di condotte, addirittura con più imperiosa evidenza per la sua minor riprovevolezza nei confronti della stessa continuazione con condotte plurime, dato che il soggetto si pone anche materialmente, contro la legge in un solo momento.
Il termine di prescrizione del reato ex art.158 c.p. decorre dal giorno della cessata continuazione e non della consumazione dei singoli reati.
4. Natura giuridica:
E' la stessa ratio dell'istituto che impone di considerare il reato continuato come un reato unico, a certi effetti, e come più reati, ad altri effetti. Solo in questo modo è possibile garantire ad esso sotto tutti i profili, quel trattamento privilegiato che è imposto dalla sua minor riprovevolezza complessiva. Ciò è quanto fa, espressamente, la legge a taluni fini.
Là dove tace, occorrerà disciplinare il reato continuato come un solo reato o più reati a seconda che siano più favorevoli le conseguenze derivanti dall'una o dall'altra disciplina.
5. Pena:
Il reato continuato è punito con la pena, che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata sino al triplo. Tale pena non può, comunque, superare quella che sarebbe applicabile in base al cumulo materiale (art.81/3).
L'individuazione della violazione più grave, in giurisprudenza sembra orientarsi in concreto, con riferimento quindi alla pena edittale commisurata in base agli indici dell'art.133 e alle circostanze.
L'applicabilità del cumulo giuridico ai reati continuati, puniti con pene eterogenee (pene detentive e pene pecuniarie, reclusione ed arresto), secondo la soluzione maggiormente accoglibile, consisterebbe nella determinazione della pena-base per il reato più grave, effettuando l'aumento sulla pena detentiva per i reati continuati o concorrenti, che va poi subito specificata in giorni di arresto o ragguagliata, ex art.135, alla pena pecuniaria.
6. L'attività processuale:
Secondo la giurisprudenza propensa in un primo tempo a presumere spezzato il disegno criminoso già con l'intervenuta condanna non definitiva o anche soltanto con l'arresto o la denuncia, ha poi correttamente ritenuto tali fatti non decisivi, salvo il giudicato di condanna, che interromperebbe inderogabilmente la continuazione con le violazioni successive (rif. sent. della Cass., Sez. Un., 1968).
IL REATO ABITUALE.(n.150)
Concetto
A differenza del reato continuato e permanente, entrambi di elaborazione dottrinale su basi codicistiche, il reato abituale è una categoria di creazione dottrinale, non rinvenendosi nella legge né una definizione né una disciplina di esso.
E' detto abituale il reato per l'esistenza del quale la legge richiede la reiterazione di più condotte identiche od omogenee. In luogo della ambigua denominazione di reati abituali meglio si addice quella di reati a condotta reiterata.
Il reato abituale è suddivisibile in due tipologie:
a) reato abituale proprio: consiste nella ripetizione di condotte che sono in sé non punibili, come lo sfruttamento della prostituzione, o che possono essere non punibili, come nei maltrattamenti in famiglia (art.572).
b) reato abituale improprio: consiste nella ripetizione di condotte già di per sé costituenti reato, come nella relazione incestuosa, costituendo il singolo fatto incestuoso delitto di incesto.
La dottrina suddivide il reato abituale in ulteriori due categorie:
c) reato necessariamente abituale: si concentra attorno alle due tipologie di cui sub a) e sub b)
d) reato eventualmente abituale: tipologia nella quale la reiterazione non è necessaria, potendo il reato perfezionarsi anche con una sola condotta, ma allorché si verifichi dà pur sempre luogo ad un solo reato (es.: ricorso abusivo al credito, esercizio abusivo dell'arte tipografica).
Elemento soggettivo
Non può accogliersi la tesi che, al fine di fondare anche il reato abituale su una unità ontologica, richiede un dolo unitario, costituito dalla rappresentazione e deliberazione iniziali, anticipate, del complesso di condotte da realizzare.
Deve, perciò ritenersi sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte, accomnate dalla consapevolezza che la nuova condotta si aggiunga alle precedenti, dando vita con queste ad un sistema di comportamenti offensivi (es.: nei maltrattamenti).
E' conurabile anche il reato abituale colposo, come comprovano certi delitti e certe contravvenzioni a condotta reiterata (es.: art.622).
Il reato (necessariamente) abituale si perfeziona allorché è stato realizzato il minimum di condotte e con la frequenza, necessari ad integrare quel sistema di comportamenti in cui si concreta tale reato e la cui valutazione è affidata alla discrezionalità del giudice. Si consuma allorché cessa la condotta reitarativa.
Non può escludersi il tentativo, che è conurabile allorché il soggetto ponga in essere, senza successo, atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere quei fatti che, da soli o aggiungendosi ai precedenti, avrebbero integrato la serie minima richiesta per l'esistenza del reato abituale.
Si ha concorso quando la partecipazione riguarda un numero di episodi sufficiente ad integrare la serie minima, necessaria ad integrare il reato abituale.
Disciplina
Successione di legge creatrice del reato abituale: le condotte anteriori non potranno essere considerate cumulativamente con le successive, le quali pertanto saranno punibili solo se sufficienti ad integrare il minimo necessario per aversi tale reato.
Successione di legge modificativa: si applica la nuova legge, se l'ultima condotta è stata posta in essere dopo l'entrata in vigore di essa.
Prescrizione: decorre dalla cessazione delle condotte abituali.
Provvedimenti di clemenza: la comune opinione è per l'applicabilità dell'amnistia ai soli reati abituali già esauritisi; da taluno se ne afferma la applicabilità anche soltanto alla parte (tipica) del reato abituale anteriore al provvedimento di clemenza, per cui i successivi episodi sarebbero punibili solo se sufficienti ad integrare, a loro volta, un nuovo reato abituale.
Querela e istanza: il termine per la loro proposizione decorre dalla notizia della perfezione del reato (salva la possibilità di una nuova querela per ulteriori condotte a loro volta in sé rilevanti).
IL REATO PERMANENTE.(n.126)
1.
Si distingue dal reato istantaneo, per il fatto che la legge richiede, come condizione necessaria della sua esistenza l'offesa al bene giuridico protratta nel tempo per effetto della persistente condotta volontaria del soggetto.
Due ne sono i requisiti: a) l'offesa derivante dalla condotta del reo abbia carattere continuativo; b) che il protrarsi dell'offesa sia dovuto ad una persistente condotta volontaria del soggetto, per cui egli è in grado di porre fine a tale situazione offensiva.
I reati permanenti presuppongono, dei beni indistruttibili ma comprimibili, cioè capaci di ritornare integri al cessare dell'offesa. Tali beni possono essere sia immateriali (es.: libertà personale) che materiali (es.: proprietà).
Il reato permanente è reato unico. Si perfeziona non nel momento in cui si instaura la situazione offensiva, ma nel momento in cui si realizza il minimum di mantenimento di essa, necessario per la sussistenza di tale reato. Prima di tale momento si avrà al più tentativo. Ad es., si ha sequestro di persona solo se la vittima è stata privata della libertà per un tempo apprezzabile. Si consuma nel momento in cui cessa la condotta volontaria del mantenimento.
La permanenza cessa non solo nel caso in cui l'agente compia l'azione che pone fine alla situazione offensiva (es.: liberazione della persona sequestrata), ma anche per la sopravvenuta impossibilità di compiere la stessa (es.: fuga del sequestrato).
2. Disciplina
La distinzione fra reati istantanei e permanenti rileva a vari fini.
a) Prescrizione(art.158 c.p.), flagranza(art.382 c.p.p.), amnistia. La legge fa riferimento al momento della cessazione della permanenza (cioè della consumazione), poiché qui il momento della commissione è quello in cui cessa la condotta di mantenimento.
b) Reati omissivi propri. Per evitare che essi vengano considerati per ciò solo permanenti, la dottrina considera:
Istantanei quelli nei quali è istantanea la condotta attiva doverosa, in quanto essa consiste in una attività dinamica, modificatrice della realtà e che se perdurante mutilerebbe la libertà del soggetto, non potendo egli, per tutto il tempo, non fare altro che adempiere al precetto (omissione di soccorso e omessa denuncia dei redditi).
Permanenti quelli nei quali è permanente la condotta attiva doverosa, in quanto essa consiste in una condotta statica, non comportante una vera e propria modificazione della realtà e che se perdurante, non preclude al soggetto la possibilità di svolgere altre attività (es.: reato di omesso soggiorno nel comune d'obbligo).
Sezione IV: IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO
Gli artt. 110 ss. assolvono alla funzione di rendere punibili condotte atipiche rispetto alle singole fattispecie incriminatrici, onde si attribuisce loro una funzione integrativa: le norme sul concorso integrano le varie disposizioni di parte speciale, costruite sull'autore individuale, e così contribuiscono alla tutela dei medesimi beni da esse protetti colpendo le attività lesive che sfuggono, per difetto di tipicità, alla norma primaria; sotto altro profilo, gli art. 110 ss. Svolgono anche una funzione di disciplina delle condotte concorsuali.
Il legislatore italiano ha adottato, per la regolamentazione del concorso di persone nel reato, un modello unitario di disciplina fondato sulla formula dell'art.110 e sull'equiparazione sanzionatoria delle condotte di partecipazione, così attribuendo pari rilevanza a tutte le attività causalmente rilevanti nei confronti dell'evento lesivo: "in materia di concorso di persone nel reato, il codice vigente, discostandosi dal codice Zanardelli che operava distinzioni fra correi primari e secondari e dalle varie distinzioni di complicitià, pone sullo stesso piano l'autore materiale e l'ausiliatore, il concorrente morale che partecipa alla decisione e alla preparazione del reato rafforzando o suscitando l'idea criminosa, senza partecipare alla fase esecutiva, e i coadiutori o chiunque si attiva per la riuscita dell'impresa".
Il fondamento politico-sostanziale della punibilià del concorso va ricercato nel principio per cui debbono considerarsi dell'uomo non solo i risultati della sua condotta, ma anche quelli prodotti col concorso di forze esterne, umane o naturali, da lui calcolate e tenute in conto. (Consapevolmente dirette ad un unico risultato ed integrantisi a vicenda, le azioni dei concorrenti perdono la loro individualità per diventare parte di un tutto unitario, di un fatto unico e comune. Ma il principio suddetto vale anche per le forme più attenuate di concorso, non strettamente associative, ma pure giuridicamente conurate, in cui manca il legame psicologico fra tutti i concorrenti, ma esiste pur sempre una coordinazione finalistica delle forze da almeno un concorrente [concorso unilaterale]).
Il fondamento tecnico-formale consiste nell'adeguare l'ordinamento a legalità formale per criminalizzare condotte atipiche, esplicando una funzione estensiva dell'ordinamento penale, analoga a quella del tentativo.
Tre sono le teorie formulate per spiegare tecnicamente la punibilità del concorso:
Teoria causale. Fonda il concorso sulla equivalenza causale delle condizioni concorrenti accogliendo l'inaccettabile teoria estensiva dell'autore; senza contemplare il fatto che il mero contributo causale è atipico rispetto alla fattispecie di parte speciale, richiedendo anche questa l'elemento soggettivo (dolo o colpa).
Teoria della accessorietà. La norma sul concorso estenderebbe la tipicità della condotta principale alle condotte accessorie dei tecipi (cioè in sé atipiche). Pertanto, non vi può essere tecipazione criminosa senza condotta principale, senza cioè che un soggetto abbia posto in essere una condotta in sé capace di integrare gli estremi di un reato.
Espressione prima della istanza garantista di legalità, la teoria della accessorietà ha il merito di avere evidenziato che per incriminare tutte le forme di partecipazione al reato non basta la cooperazione causale, ma occorre integrare la norma di parte speciale con la norma generale sul concorso.
Suo vizio sta nell'esigere per la punibilità dei tecipi, una condotta principale, tipica, non riscontrabile in tutti i casi di reati ad esecuzione frazionata nei quali i tecipi si sono divisi i compiti nella realizzazione di condotte che singolarmente considerate non sono sussumibili nella fattispecie di un reato monosoggettivo. Come pure non si giustifica la punibilità dei concorrenti nel reato proprio, allorché la condotta materiale sia stata realizzata dall'extraneus.
Teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale. Dalla combinazione della norma sul concorso con la norma incriminatrice di parte speciale nasce una nuova fattispecie necessariamente plurisoggettiva, autonoma e diversa da quella monosoggettiva e che ad essa si affianca, con una sua nuova tipicità: la fattispecie del concorso di persone nel reato.
Il requisito della tipicità viene sganciato da raffronto con le fattispecie del reato monosoggettivo.
[teoria monistica]
A sostegno della teoria pluralistica, per la quale nel concorso si avrebbe una pluralità di reati, vi sono disposizioni che prevedono circostanze o esclusioni della pena per taluno soltanto dei concorrenti o addirittura la previsione l'imputazione di reati diversi ai partecipi; come pure il fatto che ogni condotta deve essere sorretta da un autonomo elemento soggettivo.
Il principio di pari responsabilità non implica una meccanica eguaglianza del quantum della pena per tutti i concorrenti; è indispensabile una graduazione in concreto della stessa in rapporto al reale contributo, apportato da ciascun concorrente.
Il nostro sistema accoglie ambedue le finalità retributivo-repressiva e preventiva. La prima gradua la sanzione per i concorrenti in funzione della gravità del reato e della intensità del dolo di ciascun concorrente; la seconda, misura la sanzione in relazione alla pericolosità oggettiva del concorso e della pericolosità soggettiva dei concorrenti.
Il sistema del codice gradua la responsabilità tramite il riconoscimento di specifiche aggravanti ed attenuanti (artt.113/2 e 114 per la "cooperazione colposa"), sia in virtù dell'art.133, che vale anche per la commisurazione della pena per i singoli concorrenti.(pg.518)
[recidiva], [circostanze]
L'elemento oggettivo del concorso di persone è composto da:
a) pluralità di agenti;
b) fatto tipico ai sensi di una fattispecie monosoggettiva;
c) contributo oggettivo di ciascun concorrente alla realizzazione del fatto tipico.
a) pluralità di agenti.
L'art.111 include ogni persona fisica che coopera materialmente alla commissione di un reato può assumere la veste del concorrente ed il concorso sussiste anche tra persone non tutte punibili o anche tutte non punibili (perché non imputabili, immuni o agenti senza dolo né colpa).
Il nostro sistema penale nei casi espressamente previsti di autore mediato sancisce che, mentre l'esecutore materiale in quanto mero strumento non è punibile, del reato risponde, giustamente, chi si è servito di lui.
Ipotesi espressamente previste sono quelle:
a) di chi determina al reato persona non imputabile o non punibile a cagione di una condizione o qualità personale (art.111); b) di chi produce in altri uno stato di incapacità di intendere o di volere al fine di fargli commettere un reato, poi commesso (art.86); c) di chi costringe con violenza fisica o psichica altri a commettere un reato (artt. 46, 54/3); d) di chi inganna altri per fargli commettere un reato, poi realizzato (art.48); e) del pubblico ufficiale che impone al subordinato, mediante un ordine insindacabile, di tenere un comportamento costituente reato (art. 51/2-4).
Nel caso di concorso di imputabili e non imputabili, il nostro codice abbraccia tutte le forme di concorso ulteriori a quelle tradizionali, comprendendo l'ipotesi di reità mediata; il quale non è altro che un'ipotesi speciale di partecipazione mediante comportamenti atipici rispetto alla fattispecie monosoggettiva ma non a quella plurisoggettiva ex art.110.
Ne è riprova il fatto che l'ipotesi dell'art.111 è collocata nel capo sul concorso; come pure l'art.112/4 da cui si ricava che anche il soggetto no imputabile e non punibile può concorrere nel reato; nonché l'art.119 da cui si desume che sono concorrenti anche le persone non punibile per mancanza di dolo oltre che di imputabilità.
b) fatto tipico ai sensi di una fattispecie monosoggettiva.
La norma dell'art.115 significa che il puro accordo e la semplice istigazione a commettere un reato, sono, qualcosa di meno del tentativo punibile, qualora non sia espressamente stabilito dalla legge (es.artt.302, 304, 322, 327, 414).
Quali indici di pericolosità sociale, i due comportamenti sono significativi al fine dell'adozione della misura di sicurezza della libertà vigilata, sempre che si tratti di accordo o di istigazione a commettere un delitto.
[materialità], [offensività], [reati di attentato 304 ss.]
c) contributo oggettivo di ciascun concorrente alla realizzazione del fatto tipico.
Il contributo concorsuale (atipico) si distingue dunque in materiale e morale, a seconda che rispettivamente esso attenga all'esecuzione della fattispecie oggettiva di un reato ovvero alla volontà di chi lo commette. Entrambe le forme di partecipazione in tanto rilevano penalmente in quanto si presentino direttamente o indirettamente collegate, su un piano eziologico, alla verificazione dell'evento. In linea generale, la Suprema Corte (talvolta richiamando espressamente i principi della materialità del fatto e della responsabilità personale [resp. per fatto altrui occulta]) riconosce la necessità, sul piano oggettivo, che ogni concorrente apporti un contributo alla realizzazione dell'azione tipica o almeno agevoli l'attività esecutiva altrui, così inserendosi con efficacia causale nel determinismo produttivo dell'evento o realizzando un'attività che si riveli causalmente efficiente.
· In tema di concorso materiale, la più recente dottrina aderisce alla teoria della causalità cd. agevolatrice o di rinforzo, [cfr. teoria della causalità condizionalistica] sulla cui base diventa penalmente rilevante non solo il contributo necessario "in senso stretto" (che non può essere mentalmente eliminato senza che il reato venga meno); ma anche quello che si limita a facilitare il perseguimento dell'obiettivo finale. La punibilità andrebbe estesa fino a comprendere quelle condotte che -sebbene rivelatesi inutili o dannose per il compimento del reato (fornitura di strumenti atti allo scasso nel caso in cui la cassaforte sia lasciata aperta dal gioielliere ovvero del complice maldestro che attira su di se l'attenzione costringendo alla momentanea interruzione del furto i tecipi)- alla luce di un giudizio prognostico ex ante risultano idonee ad accrescere le probabilità di verificazione del reato.
Obiezioni alla teoria: da un lato, dinanzi ad un reato effettivamente verificatosi, il giudizio prognostico è privo di senso; dall'altro lato, il nostro ordinamento esclude con l'art.115 la punibilità del tentativo di partecipazione, che verrebbe invece ammessa (e addirittura in assenza della diminuzione di pena disposta dall'art.56) dalla tesi qui contrastata.
· Nel caso di concorso morale il giudice deve indicare il rapporto di causalità efficiente tra l'attività incentivante del concorrente morale e quella posta in essere dall'autore materiale del reato. Il concorrente deve aver influenzato la commissione del reato, provocando o rafforzando il proposito criminoso (istigazione) ovvero facilitandone la preparazione o l'attuazione (agevolazione).
MANTOVANI - Un accettabile contemperamento tra certezza giuridica, responsabilità personale e difesa sociale è quello che fa coincidere la partecipazione punibile con le due tipologie ontologiche di condotta che si identificano nel contributo necessario (es.: preparazione del piano, messa a disposizione dei mezzi, esecuzione della condotta tipica) e nel contributo agevolatore (es.: passante che dà una mano ai ladri a caricar la merce o il complice che offre la chiave allo scassinatore, che avrebbe portato altrimentia termine il suo lavoro in più lungo tempo), secondo un giudizio ex post della condotta tenuta dall'agente nella fase ideativa, preparatoria od esecutiva del reato.
Per aversi concorso punibile è sufficiente che la condotta dell'agente, concepita come partecipazione materiale, dia luogo almeno ad una partecipazione morale, se ed in quanto sia provata tramite un giudizio ex ante in concreto la sua efficacia determinatrice o rafforzatrice dell'altrui proposito criminoso. In tal modo divengono punibili i casi della condotta, ex ante necessaria o agevolatrice, ma rivelatasi ex post inutile o dannosa, che nondimeno possa dar luogo ad una partecipazione morale. (es.: a) caso del custode che non dia l'allarme ovvero che non innesti il meccanismo d'allarme, d'accordo coi ladri comunque intenzionati a consumare il furto, anche sparando all'occorrenza. b) caso del custode che, richiesto dai ladri, non innesti il meccanismo d'allarme, il quale al momento del furto non avrebbe comunque funzionato per accidentale sospensione dell'erogazione dell'energia elettrica).
I supporti normativi risiedono negli artt.40, 114/1, 116 (dimostra che la responsabilità risiede anche in condotte concorsuali non necessarie alla verificazione del fatto di reato).
Rientra parimenti nel concorso come forma di partecipazione psichica la promessa di aiuto da prestarsi dopo la commissione del reato, allorché abbia determinato o rafforzato l'altrui proposito criminoso (es.. A uccide una persona o commette un furto dopo che B gli ha assicurato che occulterà il cadavere o ricetterà la refurtiva). Viceversa non può costituire concorso "nel reato" l'aiuto prestato dopo la commissione del reato, il quale potrà dare luogo a responsabilità per altro reato (favoreggiamento, ricettazione). Il nostro ordinamento non riconosce a differenza di quelli di common law, la complicità successiva (es.: per ratifica).
· Il concorso mediante omissione nel reato commissivo è subordinato a due requisiti.
Il primo, comune a tutte le forme di partecipazione, consiste nella rilevanza causale dell'omissione rispetto alla verificazione dell'evento; il secondo, peculiare alla responsabilità di tipo omissivo, concerne il ruolo di garante dell'impedimento dell'evento in capo al soggetto attivo, cioè la presenza di un obbligo giuridico (cfr. connivenza) alla cui violazione è subordinata l'operatività dell'art.40/2 (in tal caso viene ricompreso nel termine "evento" anche il reato altrui, di qualunque natura esso sia).
L'elemento soggettivo del concorso è costituito da due elementi:
a) la coscienza e volontà del fatto criminoso, la quale implica da un lato l'intenzione di contribuire alla realizzazione collettiva del reato, dall'altro la consapevolezza "della circostanza che si stava preparando il delitto";
b) la volontà di concorrere al reato comune, che comprende la consapevolezza delle condotte che gli altri concorrenti hanno posto o porranno in essere, così da realizzarsi una coincidenza di volontà dei singoli concorrenti e una finalizzazione dei loro comportamenti all'evento, cioè una precisa scienza del reato che si intende commettere;
Si concorda nell'escludere che la volontà di concorrere è subordinata ad una comunanza di intenti fra l'esecutore e gli altri concorrenti o ad una reciproca consapevolezza in tutti i partecipi degli altrui contributi, potendosi integrare un reato concorsuale anche quando di esso sia consapevole uno solo tra i correi.
E' sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, "l'accordo non rientra nella struttura del dolo del reato concorsuale ma, colorando l'intensità dello stesso, serve solo - in concorso eventualmente con le circostanze aggravanti di carattere soggettivo previste dall'art.112- per graduare, aggravandole, le responsabilità dei singoli.
Il concorso unilaterale rende possibile l'estensione della disciplina del concorso anche all'autore mediato che si serva di altri come strumenti inconsapevoli, tramite l'applicazione delle aggravanti di cui all'art.112, nonché della noma dell'art.116.
A fortiori rende possibile conurare il c.d. concorso doloso nel reato colposo, che si ha quando con una condotta atipica il soggetto concorre dolosamente nell'altrui fatto colposo: strumentalizza cioè l'altrui condotta colposa (es.: chi istiga taluno, che versa in errore inescusabile sulla natura tossica di una sostanza, ad immetterla in acque o sostanze destinate alla alimentazione; al qual proposito nessuno dubita che l'istigatore risponda del delitto doloso dell'art.439 e l'esecutore di quello colposo dell'art.452).[cfr. concezione monistica del reato concorsuale].
Il concorso colposo nel reato doloso (es.: chi partecipa alla organizzazione di un gioco estremamente pericoloso, che altro comno ha intenzionalmente ideato per provocare la morte, poi verificatasi, di un rivale in amore), precluso ai sostenitori della teoria monistica, permette di punire condotte concorrenti atipiche che si possono verificare per la presenza di reati colposi a forma vincolata, di pura condotta o propri.
Sulla base del nostro diritto positivo non è conurabile il concorso colposo rispetto al delitto doloso in virtù del combinato disposto degli artt.42/2 (non punibilità a titolo di colpa senza espressa previsione) e art.113; bensì, è conurabile rispetto alla contravvenzione dolosa, perché l'art.113 è norma non di sbarramento, stante la regola dell'art.42/4, basta l'art.110, che parla genericamente di concorso nel "reato".
[elemento soggettivo nelle contravvenzioni]
Agente provocatore
Art.113 Cooperazione nel delitto colposo.
a) Il requisito strutturale dell'atto di partecipazione atipico colposo è la consapevolezza di aderire con la propria azione od omissione ad un comportamento altrui.
b) La cooperazione di cui all'art.113 riguarda soltanto le condotte esteriori e la loro confluenza coordinata e consapevole e non investe in alcun modo l'evento, giacché l'essenza di questa di questa ura giuridica è proprio il risultato non voluto.
MANTOVANI - richiede l'ulteriore consapevolezza del carattere colposo della condotta altrui-
c) L'orientamento oggi dominante subordina la conurabilità dell'atto atipico di partecipazione alla violazione di doveri di natura cautelare: è dunque necessario che il partecipe, agevolando o determinando la condotta colposa dell'esecutore principale, abbia agito nonostante la rappresentabilità di tale condotta, che la regola violata tendeva a prevenire imponendo l'adozione di determinate cautele.
Art.116 Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti.
Sul piano costituzionale, assumendo che la norma prevede una particolare ipotesi di aberratio delicti, appositamente disciplinata in considerazione del suo frequente verificarsi in regime di concorso, la prevalente dottrina ha ritenuto di ravvisare nell'art.116 - che sembra imputare al concorrente l'evento diverso sulla base della semplice presenza di un rapporto di causalità materiale - un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in contrasto con i principio della personalità della responsabilità penale ex art.27/1.
Orientamenti interpretativi correttivi del rigore normativo:
[teoria della causalità umana]
[teoria della prevedibilità in astratto] (il reato più grave commesso dal concorrente deve potersi rappresentare nella psiche degli altri, nell'ordinato e concatenato svolgersi dei comportamenti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto).
La punibilità per l'evento diverso è subordinata alla sua prevedibilità intesa in concreto, accertata mediante una valutazione ex post, condotta attraverso l'esame "delle modalità effettive di esecuzione e di tutte le altre circostanze di fatto rilevanti.
Attraverso questa reinterpretazione correttiva la responsabilità ex art.116 perde i suoi connotati rigidamente oggettivo-causali e tende ad orientarsi verso un modello di imputazione parzialmente colposa (non si richiede la prova della violazione di un dovere di diligenza), ove all'agente - il quale ha previsto e ritenuto sicuramente evitabile il reato diverso - si rimprovera di essersi affidato ad un'altrui attività , come tale non più finalisticamente controllabile.
Si può ravvisare in tale fattispecie una responsabilità anomala, secondo cui si risponde a titolo doloso di un atteggiamento colposo.
La Suprema Corte ha giudicato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.116, in relazione all'art.3 Cost., per la diversità di trattamento rispetto all'ipotesi prevista dall'art.83 (nel senso che, mentre in tal caso del reato diverso, commesso dallo stesso autore, questi risponde a titolo di colpa, col primo si risponde a titolo di dolo per un reato voluto e commesso da un concorrente) e all'omicidio colposo con previsione dell'evento.
L'art.116 può operare solo in presenza di un reato "diverso" da quello voluto, avente cioè un differente titolo criminoso e caratterizzato da un diverso evento. La norma non è conurabile in caso di omicidio preterintenzionale.
[art.116/2 circostanza attenuante speciale]
[art.118 e regime di imputazione delle circostanze]
Art.117 Mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti
[reato proprio]
Anche un soggetto privo della qualità personale può partecipare alla commissione di un reato proprio, cioè di un reato per cui è richiesta la presenza di una particolare qualifica nel suo autore. La disciplina sul concorso dell'art.110 poiché, pur non in possesso della specifica qualità personale, l'estraneo contribuisce alla lesione del bene protetto.
La conurabilità dell'art.117 presuppone che il fatto costituisca comunque reato per l'estraneo e che rispetto ad esso si verifichi solo un mutamento del titolo. (Per i reati di falso giuramento, incesto ecc., che sono reati propri esclusivi - in cui l'azione del concorrente non qualificato è di per sé lecita - può trovare applicazione solo la norma generale dell'art.110).
Operando un ulteriore effetto estensivo del concorso nel reato proprio, l'art.117 statuisce che in caso di mutamento del titolo di reato l'estraneo risponde del reato proprio, anche se non ha conoscenza della qualifica dell'intraneo.
Vengono punite - ipotesi anche questa di responsabilità anomala - i concorrenti nel reato proprio (che senza la qualifica dell'agente sarebbe reato comune), ove l'ignoranza della qualifica esclude il dolo di tale specifico reato, lasciando sussistere invece il dolo del reato comune (es.: chi incita una persona ad appropriasi di cose pubbliche o a distruggere cose sequestrate, qualora ignori che si tratti, rispettivamente, di un pubblico ufficiale o del custode, ha la coscienza del disvalore generico dell'appropriazione e del danneggiamento, ma non quello specifico dei reti degli artt.314 e 334).
De jure condendo, la duplice anomalia dell'art.117 si elimina abrogando tale norma e riconducendo il reato proprio ai suddetti principi sul dolo.
Circa i controversi rapporti tra artt.116 e 117, preferibile appare la soluzione della diversità naturalistica, nell'art.116, e soltanto giuridica(per titolo), nell'art.117, del fatto.
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