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La Corte Costituzionale

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La Corte Costituzionale

Le origini della giustizia costituzionale

Solo nei regimi a Costituzione rigida le norme costituzionali sono poste al vertice della scala gerarchica sulla quale si collocano le diverse fonti di cui si compone il sistema normativo, sì che solo in essi si pone il problema di prevedere appositi meccanismi di reazione di fronte a possibili violazioni di tale regola gerarchica o a possibili violazioni delle regole costituzionali che disciplinano i rapporti tra i diversi poteri dello Stato. È con una famosa sentenza del 1803 del giudice Marshall che al riconoscimento della superiorità delle norme costituzionali rispetto ad ogni altra fonte normativa sub-costituzionale, e in particolare rispetto alla legge, si accomna l'affermazione dell'esigenza che tale superiorità venga garantita non solo sul piano politico, ma anche su quello giuridico. Con riferimento alla decisione delle questioni relative alla legittimità costituzionale delle leggi, opera il principio dello 'stare decisis', ossia del valore vincolante del precedente giudiziario, un principio che ha in grado di vincolatezza direttamente proporzionale al livello cui appartiene il giudice che ha avuto una decisione. Questo sistema di giustizia costituzionale, che vede chiamati in causa tutti i giudici è chiamato sistema diffuso, in contrapposizione al sistema che con un secolo di ritardo, comincerà ad essere sperimentato in Europa e che è detto sistema accentrato, giacché affida non ai singoli giudici bensì a un organo appositamente creato a questo fine, il compito di assicurare la conformità delle leggi alla Costituzione. Questo secondo sistema fu previsto dalla Costituzione austriaca del 1920. Il ritardo con cui i primi sistemi di giustizia istituzionale hanno fatto il loro ingresso negli ordinamenti europei è dovuto ad un duplice ordine di ragioni; all'assenza di un vero pluralismo politico, sociale e istituzionale o comunque di un pluralismo tale da porre l'esigenza di immaginare una sede imparziale di soluzione giuridica dei conflitti che possono nascere dalla dinamica interna del sistema. In secondo luogo, alla difficoltà, comune a tutti gli ordinamenti europei a staccarsi dal principio della 'sovranità' della legge, intesa quale atto sovrano per eccellenza. Solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale (insieme al principio di rigidità della Costituzione) è divenuto, in Europa un principio generalmente accolto.



Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti

Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida i due modelli, cui i Costituenti possono fare riferimento, sono: quello 'diffuso', proprio della tradizione americana, e quello 'accentrato' proprio dell'esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito fu l'introduzione di un modello di giustizia costituzionale che tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Del modello accentrato il Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale, con tutte le garanzie di autonomia e di indipendenza proprie di organi di questo tipo, il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello diffuso accolse il principio dell'estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni. I motivi che determinarono questa scelta furono motivi di natura tecnico- giuridica e di natura politica. Quanto ai primi, giocarono un ruolo importante non solo le esigenze legate alla struttura regionale dello Stato ma anche l'inesistenza nel nostro ordinamento di un principio analogo a quello dello 'stare decisis'. Quanto ai motivi di natura politica, vanno ricercati in un atteggiamento di diffidenza nei confronti del corpo dei magistrati. Quella che viene disegnata dal Costituente è un'alta magistratura, che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell'attività che essa è chiamata ad esercitare (giurisdizionale e politica) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle Regioni quanto i singoli cittadini, attraverso l'intermediazione del giudice.

Struttura e funzionamento della corte

L'art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri della giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti). Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite, all'istituzione della Corte è invalsa una regola convenzionale ovvero quella di riservare la designazione di questi 5 giudici ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono. Una regola analoga ha guidato anche l'esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato. L'indubbia politicità delle nomine di origine parlamentare e presidenziale è bilanciata dalla durata in carica particolarmente lunga (9 anni), dalla non rieleggibilità e dalla previsione di precisi requisiti di professionalità. Oltre a questi requisiti positivi, sono previste numerose cause di incompatibilità, alcune dettate direttamente dalla Costituzione, altre previste dalla legge quali il divieto di ricoprire ogni altro impiego pubblico o privato, il divieto di svolgere qualunque forma di attività professionale, il divieto di svolgere funzioni di sindaco. La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio, la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti. In caso di parità risulta eletto il più anziano. Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei suoi membri eletto a maggioranza di componenti. Il Presidente dura in carica 3 anni ed è rieleggibile, entro i limiti del suo mandato novennale. Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non sono in ordine allo svolgimento della discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del calendario delle cause da decidere. Non appena eletti i giudici della corte costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Come ogni altro organo costituzionale, la corte e i suoi membri godono di particolari guarentigie volte a garantirne l'autonomia e l'indipendenza. Per ciò che attiene alle garanzie esse consistono: nel potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del processo dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale; nel potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità; nel potere di decidere la rimozione della carica dei propri membri; nell'autonomia finanziaria; nell'autonomia amministrativa, che consente alla Corte non solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione con essa a questi rapporti di impiego; nell'autonomia regolamentare, attraverso la quale la corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione; nel potere di polizia interna assegnata al Presidente della Corte. Per quanto attiene alle garanzie assicurate ai giudici costituzionali esse consistono: nella inamovibilità di impedimento per incapacità sopravvenuta o gravi mancanze nell'adempimento delle proprie funzioni; nella insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni; nella non sottoponibilità a limitazione delle libertà personali, salva l'autorizzazione della stessa Corte; nell'assegnazione di una retribuzione che la legge determina in misura non inferiore a quella del più alto magistrato della giurisdizione ordinaria. I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della pubblicità e quello della collegialità. Le sedute della Corte sono pubbliche; sentenze e ordinanze sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Il principio di collegialità stabilisce che la corte opera alla presenza di almeno 11 giudici e che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti.

Il controllo di legittimità costituzionale: l'oggetto

La prima funzione della Corte Costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi, a garanzia della rigidità della Costituzione. Oggetto di tale controllo non sono le sole leggi approvate dal Parlamento ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. Non sono stati ricompresi nella categoria degli atti sottoponibili a giudizio della corte i regolamenti, nella convinzione che essendo fonti secondarie subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione. Non rientrano tra gli atti sottoponibili del giudizio della corte neppure i regolamenti parlamentari, pur fonti primarie, in contrasto con parte della dottrina e analoga regola è da ritenersi operante anche per i regolamenti degli altri organi costituzionali. ½ rientrano sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari, anche se non direttamente, bensì per il tramite della legge di esecuzione dei Trattati istitutivi delle comunità. Sempre in ordine all'oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte ovvero anche sulle norme e se ne possono desumere. La legge 87/1953 quando disciplina il modo di porre le questioni di legittimità costituzionale alla Corte, nonché il modo in cui quest'ultima deve deciderle, allude solo alle disposizioni: così il giudice che propone la questione deve indicare il testo delle specifiche disposizioni impugnate; così la Corte in sede di decisione deve indicare quali siano le disposizioni che essa ritiene illegittime.

I vizi sindacabili e le norme parametro

Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è un controllo formale: la Corte può sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento che porta all'approvazione e all'entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di legge. Il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne la conformità o meno rispetto alla Costituzione. Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili dalla corte sono di tre ordini: violazione della Costituzione: ogni vizio di legittimità costituzionale di una legge si traduce in una violazione della Costituzione, ma qui il termine è usato in un significato più puntuale e sta ad indicare il contrasto tra una legge ed una specifica norma costituzionale; incompetenza: è il vizio che riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per Costituzione, sarebbe aspettato adottarli; eccesso di potere legislativo: si tratta di un vizio, la cui definizione si deve alla giurisprudenza della Corte costituzionale. Il parametro del controllo di costituzionalità della legge rimane sempre un parametro costituzionale, sia esso rappresentato da norme espressamente previste dalla Costituzione ovvero da principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale.

L'accesso alla corte in via incidentale

La Costituzione non detta a una disciplina circa i modi di accesso alla Corte Costituzionale. È alla legge cost. 1/1984 che è necessario fare riferimento per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell'organo di giustizia costituzionale. Tali regole danno vita a due distinti procedimenti: un procedimento in via incidentale e un procedimento in via principale. Il procedimento in via incidentale nasce da un'iniziativa di un giudice comune la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel giudice si trovi a dover decidere. Uno degli aspetti procedurali sui quali la corte ha dovuto intervenire con numerose pronunce ha riguardato l'esatta definizione della nozione di giudice 'a quo', del soggetto cioè abilitato a promuovere una questione di legittimità costituzionale. Nel corso del giudizio può avvenire che il giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per quel processo, sia di dubbia legittimità costituzionale. Convinzione alla quale il giudice può intervenire per iniziativa propria o perché indotto da un'istanza di una delle parti in causa, ovvero dal pubblico ministero. In questo caso, il giudice sospende il processo creando così un incidente nel corso del medesimo (procedimento in via incidentale) e solleva la questione di legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla corte, l'unica abilitata a deciderla. L'atto che sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti all'organo di giustizia costituzionale è un'ordinanza motivata di rinvio, la quale deve contenere: l'indicazione della disposizione legislativa della cui legittimità costituzionale si dubita; l'indicazione delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere la questione di legittimità costituzionale sottoposta alla corte rilevante ai fini della decisione del processo che pende davanti a lui (giudizio di rilevanza); i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che la questione di legittimità costituzionale non sia manifestamente infondata. Le ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale sono soggette ad un regime di pubblicità: sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale al duplice scopo di consentire a chiunque di conoscere i profili di dubbia costituzionalità e di consentire ad altri giudici che si trovino nella stessa situazione di espandere la loro decisione.

L'accesso in via principale (o diretta)

L'unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte per un giudizio sulla legittimità costituzionale o meno di una legge, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, una legge regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione o in contrasto con i criteri costituzionali fissati per il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti alla Corte. In seguito all'approvazione delle leggi costituzionali 1/1999 e 2/2001, l'impugnazione da parte dello Stato può riguardare la legge di approvazione degli statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria o la legge delle Regioni ad autonomia speciale: tali leggi possono essere impugnate dal Governo davanti alla Corte, entro 30 giorni dalla loro pubblicazione notiziale. I motivi che possono determinare l'impugnazione delle leggi regionali davanti alla corte da parte del governo sono legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni. Oltre che da parte dello Stato una legge regionale può essere impugnata anche da parte di un altra Regione. Sul versante regionale, legittimato a promuovere l'impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un'apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro 30 giorni dalla pubblicazione della legge.

L'esame della questione da parte della Corte

Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la costituzione delle parti ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte. Sempre con ordinanza, la Corte rinvia gli atti al giudice 'a quo', nel caso in cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata (ordinanza di manifesta infondatezza). In genere, tutte le decisioni di carattere processuale della Corte rivestono la forma dell'ordinanza non, là dove assumono la forma della sentenza le decisioni che investono il merito della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Le modalità di conclusione del processo costituzionale

a) La conclusione del processo in via incidentale

Le sentenze si compongono di tre parti: nella prima ('in fatto') vengono riassunti i termini della questione così come proposti nell'ordinanza di rinvio, ed esposte le posizioni espresse dalle parti che si sono costituite; nella seconda ('in diritto') la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione proposta, sia in ordine della sua fondatezza o meno; nella terza ('dispositivo') la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione. Sia le sentenze, che le ordinanze sono depositate presso la cancelleria della stessa Corte. Le sentenze di accoglimento producono l'annullamento della norme di legge dichiarate incostituzionali. Un altro limite alla retroattività delle sentenze di accoglimento è divenuto affermandosi in quella giurisprudenza della Corte nella quale essa ha deciso di disporre in ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo il momento da cui essi dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). Con le sentenze di rigetto precario ovvero di costituzionalità provvisoria, la Corte accerta l'incostituzionalità della legge ma rinvia ad un momento successivo la declatoria di incostituzionalità della medesima. A differenza di effetti delle sentenze di accoglimento, quelli delle sentenze di rigetto si riverberano nei confronti del processo 'a quo': il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondati i dubbi di legittimità costituzionale avanzati nell'ordinanza di rinvio. Sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte costituzionale. Un primo arricchimento degli strumenti decisori della Corte si è avuto con l'introduzione delle sentenze interpretative. Se la corte giudica incostituzionale la norma desunta in via di interpretazione dalla disposizione impugnata (sentenza interpretativa di accoglimento), la disposizione rimarrà nell'ordinamento senza che si determini alcuna lacuna, ma essa non potrà trovare applicazione nell'interpretazione sulla base della quale la Corte ne ha dichiarata l'incostituzionalità. Un secondo tipo di sentenze è rappresentato dalle sentenze additive, da quelle ablative e da quelle sostitutive. Si tratta in tutti e tre i casi di sentenze di accoglimento. Il ricorso a questo secondo tipo di sentenze è stato soggetto a critiche soprattutto per i problemi che esso pone in relazione alla definizione dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore. Per superare le critiche la corte ha messo a punto una nuova tecnica decisoria rappresentata dalle sentenze additive- di principio: il giudice costituzionale si astiene dal formulare la norma 'mancante' ma si limita ad enunciare i principi, applicando i quali tale lacuna va colmata o ad opera del giudice comune o ad opera del legislatore.

b) La conclusione del processo in via principale

Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l'effetto sarà quello di determinare l'annullamento della legge statale impugnata ovvero quello di impedire la promulgazione della delibera legislativa regionale o provinciale. Nei casi in cui la Corte adotti una sentenza di rigetto, l'effetto sarà quello di consentire l'ulteriore applicazione della legge statale impugnata ovvero la promulgazione, e la successiva entrata in vigore della legge regionale o provinciale.

Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato

La seconda funzione che l'art. 134 Cost. attribuisce alla Corte costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni, e tra Regione e Regione. L'art. 37 della legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra gli 'organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono' ed hanno ad oggetto 'la delimitazione della sfera di attribuzione determinata per i vari poteri da norme costituzionali'. Innanzitutto, quello dell'esatta individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. L'art. 134 Cost. e l'art 37 della legge 87/1953 escludono che il conflitto sollevabile davanti alla Corte possa essere quello che nasce tra organi appartenenti allo stesso potere. Un ulteriore ordine di problemi ha riguardato la definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva. La corte, prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato decidere con ordinanza circa l'ammissibilità del medesimo. Solo successivamente alla dichiarazione di ammissibilità del ricorso, la Corte procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice effetto: determina a quale dei poteri confliggenti spettino le attribuzioni in contestazione; in secondo luogo, può determinare l'annullamento dell'atto adottato in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze, così come interpretati, in relazione alla specifica fattispecie, della stessa Corte. Nel caso di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi, la pronuncia della Corte comporterà l'accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di azione all'organo interessato.

Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regione e tra Regioni

L'interpretazione estensiva accolta dalla Corte in ordine alla definizione della nozione di conflitto ha interessato anche la sfera dei conflitti tra enti. Analogamente a quanto avviene per i conflitti tra poteri dello Stato, la pronuncia della Corte vale a sciogliere i dubbi circa l'appartenenza allo Stato o alla Regione della competenza contestata e a determinare l'annullamento dell'atto illegittimamente adottato o il mutamento del comportamento omissivo illegittimo. Una particolarità di questo procedimento è rappresentata dalla possibilità per la parte interessata di chiedere alla corte la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, in attesa che questa si pronunci sul merito del conflitto.

Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica

Terza funzione attribuita alla Corte è quella di giudicare sulle accuse promosse dal Parlamento nei confronti del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Quanto al procedimento che si svolge davanti alla corte nella composizione integrata dai 16 giudici aggregati, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase dibattimentale diretta alla contestazione delle accuse, si conclude con una decisione presa in camera di consiglio, alla presenza dei giudici che hanno partecipato a tutte le udienze. La sentenza che conclude il giudizio d'accusa, anch'essa soggetta alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è irrevocabile; tuttavia può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte nell'ipotesi in cui emergano fatti o elementi nuovi. La revisione può essere chiesta dal comitato parlamentare per le accuse.

Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo

L' attribuzione alla Corte costituzionale della funzione relativa al giudizio sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo non deriva da un'espressa previsione costituzionale. Si tratta dell'unica ipotesi in cui la corte decide in assenza di parti. La Corte decide in camera di consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica, nell'ipotesi di giudizio negativo, la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto.





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