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La fattispecie di reato è insieme degli elementi che distinguono ogni singolo illecito penale. Questi elementi costitutivi variano in funzione delle diverse tipologie delittuose. La fattispecie legale ha funzione di garanzia, in quanto ciò che non rientra in una fattispecie legalmente tipizzata non costituisce materia di divieto e non può integrare un illecito penale. Essa comprende elementi soggettivi o materiali del fatto, ma anche criteri di imputazione soggettiva come il dolo o la colpa e ogni altra situazione che influisce sulle conseguenze giuridiche.
La fattispecie obiettiva include elementi descrittivi e obiettivi del fatto di reato: elementi oggettivi coincidenti con requisiti relativi alla realizzazione del fatto di reato. Questi elementi sono la condotta e le note che la caratterizzano, il rapporto causale e l'elemento lesivo.
L'orientamento moderno intende il fatto tipico più ampiamente. Il fatto oggettivo materiale, pur rimanendo importante, necessita di essere integrato con componenti soggettive. La funzione degli elementi soggettivi è evidente nei casi in cui l'offesa tipica è basata sul contenuto della volontà colpevole. L'importanza dell'elemento soggettivo per la valutazione del fatto tipico risulta nel distinguere elementi strutturali tra reati dolorosi e reati colposi, sia per quanto riguarda la tipicità sia per quanto riguarda la colpevolezza. Il fattore psicologico precisa nella tipicità da differenza fra lecito e illecito, ma anche fra illeciti diversi.
Il fatto tipico comprende dunque elementi oggettivi di natura normativa ed elementi puramente soggettivi.
L'azione è la base del reato commissivo doloso. La dottrina, cercando una nozione unitaria per l'azione dolosa e l'azione colposa, ha sviluppato tre teorie: causale, finalistica, sociale. Queste teorie hanno fallito, in quanto la premessa della costruzione del reato non può basarsi sull'azione, ma sulla tipicità e antigiuridicità. La rilevanza dell'azione ai fini della pena si ha solo interpretando le varie fattispecie e considerando la conurabilità della stessa colpevolezza. Si parte dalla verifica di un evento lesivo del bene giuridico, in un secondo momento si cerca di stabilire se e come l'evento sia conseguenza comportamento umano. Il comportamento sarà penalmente rilevante se avrà forme e condizioni richieste dai parametri dell'ordinamento. Nel reato complessivo, la condotta è un'azione in senso stretto, un movimento corporeo dell'uomo; articolo 42 CO 1: nessuno può essere punito per un'azione prevista dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà. La formula coscienza e volontà introduce reato doloso e colposo. Solo il reato commissivo doloso si basa sulla partecipazione effettiva della coscienza della volontà.
Non può esserci giudizio di colpevolezza, mancando l'addebito al titolo di dolo di colpa, se l'azione criminosa è dovuta a forza maggiore costrizione fisico: articolo 45 non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore. Essa viene definita come energia esterna contro la quale il soggetto non può resistere e quindi viene costretto ad agire. Non si può parlare di forza maggiore se l'agente dispone di margine di scelta, e la costrizione è più lieve risulteranno applicabili norme sullo stato di necessità o la coazione morale. Articolo 46 non è punibile chi ha commesso il fatto per essere distratto da altri costretto, con violenza fisica, alla quale non poteva resistere può sottrarsi. Il fatto commesso dalla persona costretta è addebitato all'autore della violenza. Proprio perché colui che agisce è strumento nelle mani si violenta, l'azione non può essere considerata opera del suo autore materiale. L'articolo 45 parla di caso fortuito, questo non sempre esclude l'esistenza dell'azione che risulta dall'incrocio di un fatto naturale e una condotta umana, mentre la forza maggiore impedisce di conurare un'azione penalmente rilevante, mancando la signoria di chi agisce. In entrambi i casi dunque l'agente non può essere chiamato a rispondere dell'evento. Questo istituto è valutato come elemento soggettivo quando la circostanza rende impossibile l'osservanza della diligenza, e valutato invece nell'elemento oggettivo come fattore di esclusione del nesso causale tra condotta evento.
I presupposti dell'azione vengono valutati quando le circostanze preesistenti o concomitanti alla condotta sono parte integrante della fattispecie di reato. Queste circostanze sono estranee alla condotta illecita ma rientrano comunque nel fatto tipico come elemento costitutivo. I presupposti del fatto tipico possono riferirsi al soggetto attivo del reato, all'oggetto materiale della condotta, al contesto precedente alla condotta, al soggetto passivo. Questo istituto è pratico sul terreno del dolo: trattandosi di elementi precedenti l'azione, possono essere anche solo conosciuti dal reo.
L'oggetto materiale dell'azione è la persona con la cosa su cui agisce l'attività fisica delle reo. non sempre questo coincide con l'oggetto giuridico o il soggetto passivo del reato. L'oggetto materiale della condotta può essere unico o plurimo. La separazione di concetto tra oggetto dell'azione e oggetto della tutela penale diventa più grande nel momento in cui il bene giuridico viene spiritualizzato. l'oggetto materiale rientra nella determinazione e specificazione del fatto tipico quando, in alcune fattispecie, si ha individuazione reciproca proprio grazie alle caratteristiche dell'oggetto materiale stesso, anche in termini di determinazione del dolo.
L'evento è il risultato esteriore causalmente riconducibile all'azione umana. L'evento può essere non già la lesione, ma solo alla messa in pericolo di un bene protetto. L'evento di pericolo sia nei reati a pericolo concreto, dove spetta al giudice la verifica della situazione di pericolo come conseguenza dell'azione. La presenza dell'evento può essere requisito tipico del nesso causale, circostanza aggravante, condizione di punibilità. Non è necessario che l'evento si verifichi contestualmente all'azione ed è irrilevante il luogo in cui si realizza rispetto all'azione criminosa.
Il nesso di causalità lega l'azione all'evento, l'imputazione dell'evento stesso necessita del contributo materiale del reo al risultato dannoso. Il nesso di causalità è un punto di vista variabile, funge da criterio di imputazione soggettiva del fatto al soggetto, il nesso tra condotta ed evento prova che non sono l'azione, ma lo stesso risultato, è opera dell'agente per cui questo sarà chiamato a risponderne penalmente. Gli articoli 40 e 41 disciplinano il nesso causale pur senza definire un modello di causalità certo. Ci si è accontentati di sottolineare che l'azione del soggetto deve essere condizione necessaria dell'evento, senza chiarire i criteri di accertamento del nesso.
L'articolo 40 comma uno richiede che l'evento dannoso o pericoloso da cui dipende l'esistenza del reato sia conseguenza dell'azione del reo. secondo la teoria condizionalistica l'attitudine causale di tutti gli antecedenti necessari all'evento è sullo stesso piano, perché l'azione venga considerata 'causa' è sufficiente che rappresenti una delle condizioni per cui l'evento lesivo è considerato conseguenza dell'azione stessa. La dottrina utilizza un procedimento di l'eliminazione mentale per cui l'azione è una condizione dell'evento, se non può essere mentalmente eliminata senza che l'evento venga meno, allora una condizione è causale. Per poter stabilire che eliminando l'azione l'evento lesivo viene meno, bisogna sapere in precedenza che l'azione appartiene all'insieme delle azioni capaci di produrre effetti dannosi; l'efficacia del procedimento viene meno quando non si conoscano le leggi causali. la teoria patisce ulteriori inconvenienti in caso di causalità alternativa ipotetica e causalità addizionale, ossia quando in mancanza dell'azione del reo l'evento sarebbe stato egualmente prodotto da un'altra causa o quando l'evento sia prodotto dal concorso di più condizioni ciascuna però capace da sola di produrre il risultato.
Alla obiezione di eccessiva ampiezza degli antecedenti includibili si risponde che vengono selezionati come antecedenti causali sono le condotta rilevanti rispetto alla fattispecie incriminatrice concreta, considerati anche dolo e colpa, come fattori che circoscrivono l'ambito di rilevanza. Per quanto riguarda la causalità addizionale e alternativa ipotetica, si deve precisare che per il nesso viene considerata una catena causale tra azione e l'evento concreto, mentre sono irrilevanti circostanze che potrebbero verificarsi per effetto di altre cause nel medesimo momento. l'azione non può essere eliminata mentalmente senza che l'evento concreto venga meno.
La formula della condicio sine qua non, non sarde da sola a spiegare perché in assenza dell'azione l'evento non sarebbe verificato. Ci sono due alternative: un metodo individualizzante, che considera il rapporto di causalità tra accadimenti concreti, non importa se unici o riproducibili. Il giudice si limita così a cercare le connessioni tra gli eventi circoscritti senza dover cercare il nesso universale a cui far dipendere singoli accadimenti. Il nesso di causalità viene così trovato dallo stesso accanimento dei fatti, evitando così al giudice la ricerca di spiegazioni di perché e come l'evento sia conseguenza dell'azione. Un secondo metodo, detto di spiegazione causale generalizzante, è basato su leggi generali che individuano il rapporto di successione tra azione ed evento, considerati come accadimenti ripetibili, rispettando esigenze di garanzia dell'ordinamento. Il nesso causale non può affidare al giudice la sua determinazione ma ha bisogno di criteri certi e il più possibile controllabili.
la spiegazione del nesso causale più corretta si ha con il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche: un fatto precedente si considera condizione necessaria solo se questo rientra nell'insieme dei precedenti che. sulla base di leggi validamente scientifiche, portano ad eventi come quello verificatosi in concreto. queste leggi scientifiche vengono chiamate leggi generali di copertura, è necessario che siano accessibili al giudice. Queste leggi possono essere universali o statistiche. sono universali quelle che dimostrano che un evento è sempre accomnato dalla verificazione di un altro evento. Le leggi statistiche si limitano ad affermare che l'evento è accomnato da un altro evento in una certa percentuale di casi. non si può sempre pretendere il ricorso alle leggi universali; il fatto criminoso rimanda spesso ad una serie di numerosissima di precedenti, si utilizza così la certezza deduttiva per l'impossibilità di rinvenire tante leggi universali quante sono le condizioni dell'evento. si può concludere che in tema di causalità il giudice non è obbligato a cercare leggi universali ma è sufficiente che faccia ricorso al leggi statistiche. È comunque importante che la legge statistica abbia un grado riconferma della spiegazione valutato come alto.
La teoria della causalità adeguata cerca di correggere la teoria condizionalistica in ambito di delitti aggravati dall'evento, selezionando tra i vari antecedenti causali quelli veramente rilevanti in sede penale. la teoria viene in aiuto dei casi di decorso causale atipico, cioè quando una successione degli eventi esce dagli schemi dell'ordinaria prevedibilità; specialmente in caso di delitti aggravati dall'evento, dove questo è addossato su chi agisce su base oggettiva, a prescindere dal dolo o colpa. è giusto aumentare la pena per conseguenze di un delitto che si verificano e indipendentemente dalla prevedibilità, per il concorso di circostanze atipiche? spiegazione della causalità: sostenere che l'azione è causale solo quando è tipicamente idonea a creare l'evento, significa richiedere un'attitudine generale all'azione a cagionare eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. l'accertamento dell'attitudine causale dell'azione si basa sulla probabilità che l'evento di verifichi nella vita pratica, è naturale quindi che il diritto punisca solo le azioni che siano condizioni prevedibili dell'evento dannoso. si vede quindi correggere la teoria e costruirla in termini negativi: il rapporto di causalità esiste quando non è improbabile che l'azione produca l'evento. il giudizio di probabilità va fatto sulla base di circostanze presenti al momento dell'azione e valutabili da un osservatore avveduto con l'aggiunta di quelle eventualmente riscontrate nell'agente concreto. la teoria dell'adeguatezza non riesce a descrivere l'evento: si ritiene evento lesivo l'evento astratto oppure l'evento concreto? è necessario dividere il giudizio: verificare che sia probabile che l'azione consegua un evento contemplato dalla norma e stabilire se l'evento realizza il pericolo tipicamente connesso all'azione delittuosa. le obiezioni sono tre: l'accertamento della causalità dovrebbe basarsi su giudizi oggettivi a prescindere dalle capacità di previsione dell'agente concreto; la teoria dell'adeguatezza include nella causalità considerazioni che invece sono proprie della colpevolezza; il concetto di adeguatezza, fondato su giudizi propri della vita sociale, è oggetto di applicazioni incerte.
Si considerano causati dall'uomo solo i risultati che questo può dominare con poteri conoscitivi e di volontà, quali sono i risultati che escono dalla volontà dell'uomo e che, quindi, non possono essere da lui causati? Secondo la teoria della causalità umana è quello che veramente l'uomo non può controllare e volere è il fatto con probabilità molto bassa, il fatto eccezionale. Dire che eccezionale è il fattore con probabilità minima di verificarsi, significa ripetere il criterio dell'adeguatezza. Non si ha così nessun criterio obiettivo su cui stabilire l'eccezionalità del fatto.
La teoria dell'imputazione obiettiva dell'evento si basa sul fatto che il nesso causale è il presupposto della responsabilità, dimostrando la signoria dell'uomo, nel far sì che avvenga l'evento. Non sempre il nesso causale è indice di governo umano del decorso dell'azione. Bisogna quindi stabilire se chi ha agito poteva obiettivamente controllare l'evento o se questo è da considerarsi solo conseguenza di una coincidenza casuale. Sono stati formulati così due criteri: l'aumento del rischio, lo scopo della norma violata. Secondo il primo criterio dell'imputazione dell'evento all'agente presuppone che l'azione abbia aumentato possibilità di verificarsi dell'evento dannoso; il secondo criterio vuole che imputazione venga meno quando il fatto che si verifica è causalmente addebitabile all'autore, ma non è un'effettiva concretizzazione del rischio della norma vuole prevenire.
L'articolo 41 cita il fenomeno delle concause, più condizioni che partecipano alla produzione dello stesso evento. Esse possono essere antecedenti, concomitanti, o successive alla condotta. Perché l'azione sia causale nel senso penale, basta che questa risponda a una delle condizioni necessarie che concorrono a determinare l'evento regolato. Così l'articolo 41 stabilisce che il concorso di cause non esclude il rapporto di causalità tra azione ed evento. Ancora, si stabilisce che la causa concorrente può essere costituita anche dal fatto illecito altrui. Il secondo comma dell'articolo 41 afferma che le case sopravvenute da sole sufficienti a produrre l'evento escludono il rapporto di causalità; questa formula sì che il nesso causale sia escluso nei casi in cui l'evento non è inquadrabile in una successione normale di accadimenti.
Alla realizzazione della condotta tipica in genere si accomna il carattere antigiuridico del fatto. L'antigiuridicità però viene meno se una norma diversa da quella incriminatrice rende possibile o impone lo stesso fatto costituente il reato: queste norme si definiscono cause di esclusione dell'antigiuridicità o cause di giustificazione. Sono ricavabili dall'intero sistema giuridico, non necessariamente risalgono al diritto penale. Una casa di giustificazione rende inapplicabili tutte le sanzioni civili o amministrative.
Le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti lasciano l'integra l'antigiuridicità oggettiva del fatto facendo venir meno la sola possibilità di punire l'autore. Le cause di esenzione da pena in senso stretto, lasciano l'integra sia l'antigiuridicità sia la colpevolezza, ma fanno sì che non ci sia necessità o meritevolezza di pena, riguarda l'autore del fatto. In caso di concorso di coautori le cause di giustificazione si estendono anche ad essi mentre le cause di esclusione della colpevolezza dell'esenzione della pena si limitano semplicemente al soggetto a cui si riferiscono.
È necessario conoscere la motivazione a fondamento delle scriminanti per potere avere applicazione analogica delle stesse nei casi non espressamente previsti per legge. I modelli adottati sono due: monistico e pluralistico. Nel primo caso ogni caso di giustificazione andrà ricondotta al criterio del mezzo adeguato per il raggiungimento di uno scopo approvato dall'ordinamento per far così prevalere il vantaggio sul danno. Andrebbero però approfondite le peculiarità di contenuto che ha ogni scriminante. È più seguito il modello pluralistico secondo il quale ci sono due principi: interesse prevalente e interesse mancante, il primo è la base delle scriminanti dell'esercizio del diritto, adempimento del dovere, legittima difesa; il secondo è la base della scriminante generale del consenso dell'avente diritto e dello stato di necessità.
Le cause di giustificazione sono regolate dagli artt. 55-59 del nostro codice.
L'articolo 59 stabilisce che le circostanze che escludono la pena sono valutate a favore di chi agisce anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti. Si hanno così cause che operano sul piano oggettivo, valutate a favore dell'agente a prescindere dalla consapevolezza che egli ne ha. Non è comunque da escludere che esistano scriminanti in su base soggettiva che basano a causa di giustificazione sulla presenza di stati psicologici. L'articolo 59 aggiunge che se il soggetto ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena questo è valutato in suo favore. La norma equipara così la scriminante reale con quella putativa, però l'errore deve investire i presupposti di fatto della giustificazione stessa oppure una norma fuori dall'ordinamento penale che integra una fattispecie giustificante. È da escludere la possibilità che si intenda anche l'errore di diritto, in quanto diventerebbe inoperante il principio generale che l'ignoranza della legge non crea giustificazione, posto dall'articolo 5 del codice. In ogni caso la giurisprudenza richiede come requisito aggiuntivo che l'errore sia ragionevole e abbia una logica giustificazione, apparendo così scusabile su dati di fatto oggettivi.
Sempre l'articolo 59 stabilisce che se l'errore sulla presenza della scriminante è dovuta colpa del soggetto, la punibilità non è esclusa se il fatto è previsto come delitto colposo. Si deve comunque propendere per la tesi che include le contravvenzioni nell'ambito di questo comma.
L'articolo 55 si spedisce all'eccesso colposo, che sia quando esistono i presupposti di una casa di giustificazione, ma l'agente per colpa passa i limiti si distingue dall'errore sull'esistenza di scriminante perché in questo caso la giustificazione non esiste che nella mente di chi agisce, mentre in caso di eccesso colposo la scriminante esiste, ma l'agente supera con colpa i limiti del comportamento consentito. Si distinguono due forme di eccesso corposo: quando si ragiona un risultato volutamente valutando con errore la situazione di fatto e quando la situazione di fatto è valutata esattamente, ma per errore di esecuzione si produce l'evento più grave di quello voluto. Quello che conta è che la volontà di chi agisce sia tesa a realizzare quel fine che in concreto rende giustificato il comportamento, che per un errore minimo rispetto alla necessità dei mezzi, si realizzi un comportamento sproporzionato rispetto a quello sufficiente. Il delitto in situazione di eccesso delle ritenersi un vero delitto colposo, in quanto mancando l'esatta conoscenza della situazione concreta, manca l'elemento conoscitivo nel dolo.
Ai sensi dell'articolo 50 non è punibile chi lede o mette in pericolo un diritto con consenso della persona che può validamente disporne. Non c'è ragione dello Stato tuteli un interesse alla cui salvaguardia il titolare dimostri di rinunciare. Questa causa di giustificazione non rientra nell'ipotesi in cui il consenso costituisce un elemento che fa venir meno lo stesso fatto tipico; l'articolo 50 opere nei casi in cui il giudice azzardato un fatto tipico completo dei suoi elementi in cui il consenso dell'offeso ha parte di giustificazione o di rendere lecito il fatto che altrimenti sarebbe illecito penale.
Il consenso è sempre revocabile a meno che l'attività non possa essere interrotta se non ha avvenuto esaurimento, deve essere libero e spontaneo quindi immune da violenza, errore o dolo. È indifferente in modo in cui si manifesta. può essere desunto da un comportamento oggettivo dell'avente diritto purché sussista al momento del fatto, non è valido il consenso successivo. È valido altresì il consenso putativo purché la convinzione di operare con il consenso della persona sia ragionevole. Il soggetto consenziente deve possedere la capacità di agire intesa come maturità sufficiente a comprendere il significato del consenso prestato; in alcuni casi d'età minima fissata per legge, la maggiore età è necessaria per consentire l'adesione di diritti patrimoniali.
Citando la persona che può validamente disporre del diritto, l'articolo 50 circoscrive la sua operatività nei casi di diritti disponibili; non viene specificato però quali siano i diritti disponibili e il compito rimane così all'interprete, riferendosi all'intero ordinamento e alle consuetudini. Sono ritenuti diritti disponibili quelli che non hanno immediata utilità sociale e che lo Stato riconosce solo per garantire al singolo libero godimento. Vendono così individuati i diritti patrimoniali e gli attributi della personalità quali onore, la libertà morale, libertà sessuale e libertà di domicilio; specificando però che in questo caso le lesioni devono essere circoscritte e non contrarie alla legge, al buon costume con l'ordine pubblico. In piena di integrità fisica si usa come parametro l'articolo 5 del codice civile secondo cui i dati di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionano diminuzione permanente dell'integrità stessa o siano contrarie alla legge, all'ordine pubblico o a buon costume. Tra i beni indisponibili sono considerati di interessi dello Stato, delle enti pubblici, della famiglia; viene poi senza dubbio annoverato il bene della vita, ai sensi degli articoli 579 e 580 e puniscono l'omicidio del consenziente e l'istigazione al suicidio.
L'articolo 51 escludere la punibilità dell'esercizio di un diritto. La ragione ravvisata della prevalenza dell'interesse di chi agisce avendo un diritto rispetto a interessi in conflitto; questo anche per rispettare il principio di non contraddizione dall'ordinamento. Va inteso come diritto il potere giuridico di agire ma vengono esclusi di interessi legittimi e gli interessi sensi perché non sono suscettivi di esercizio. La fonte del diritto da esercitare o a essere una legge, un atto, un provvedimento, una consuetudine ecc. solo nei casi in cui la norma che attribuisce il diritto sia prevalente rispetto alla norma incriminatrice. Da prevalenza contratto gerarchico, cronologico, di specialità. La scriminante è valida sono se l'attività è frutto di un corretto utilizzo delle facoltà inerenti al diritto, se si abusa del diritto si esce dall'operatività dell'articolo 51.
L'articolo 51 stabilisce inoltre che l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, escludere la punibilità. Anche qui la ragione è la non contraddizione dall'ordinamento. I problemi che sorgono in questo ambito riguardano i doveri di agire che trovano la loro fonte in regolamenti si ritiene che la riserva assoluta di legge deve essere estesa alle case di giustificazione, secondo la giurisprudenza per norma giuridica si intende il senso più vasto del termine. In conformità con l'articolo 10 della costituzione da fonte può anche essere in un ordinamento straniero, purché riconosciuta dal diritto internazionale. Per quanto riguarda l'ordine dell'autorità è necessario che ci sia un rapporto di subordinazione di diritto pubblico tra chi ordina e chi esegue, occorre inoltre che l'ordine sia legittimo che per stabilire questo si distingue tra presupposti formali e presupposti sostanziali legittimità. I presupposti formali riferiscono alla competenza del superiore ad emanare l'ordine, la competenza dell'inferiore a eseguirlo, la forma richiesta. I presupposti sostanziali si riferiscono ai presupposti stabiliti dalla legge per l'emanazione dell'ordine. Il subordinato ha comunque potere di sindacare la legittimità dell'ordine in quanto l'articolo 51 esclude la punibilità dell'esecutore di ordine illegittimo se la legge non gli consente di sindacarlo. Il compito di controllare la conformità dell'ordine a i suoi confini degli apprezzamenti di merito riservati al superiore. Se il subordinato era legittimato a controllo del loro lo ha eseguito, anche lui risponde penalmente del reato commesso in esecuzione dell'ordine stesso, l'articolo 51 stabilisce infatti che risponde sempre sia dato l'ordine e altresì che l'ha eseguito. Ci sono due eccezioni: dell'esecutore è esentato se, per errore di fatto, pensava di obbedire ad un ordine legittimo oppure se la legge non gli consente di sindacare la legittimità dell'ordine. La punibilità dell'esecutore viene meno perché colui che ha vincolato all'obbedienza non ha la normale libertà di autodeterminarsi necessaria per ritenere il suo comportamento voluto e quindi conforme alla fattispecie incriminatrice. In ogni caso secondo la giurisprudenza, l'impossibilità di sindacare viene meno un caso di manifesta criminosità dell'ordine impartito.
L'articolo 52 stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa. La minaccia deve provenire da una condotta umana, anche di tipo omissivo, anche se l'aggressore è un soggetto immune o non imputabile, perché la condotta e considerata antigiuridica in termini oggettivi. L'aggressione deve provocare un pericolo attuale di offesa, non deve essere un pericolo corso né un pericolo. In quanto non si sarebbe più necessità di prevenire l'offesa o ci sarebbe il tempo di ricorrere alle autorità da minaccia deve dunque essere incombente in modo che la reazione sia l'unico mezzo disponibile per proteggere il bene in pericolo. La scriminante non è comunque invocabile se la situazione di pericolo volontariamente cagionata dal soggetto che reagisce, se così fosse verrebbe meno la necessità di difesa o l'ingiustizia dell'offesa. Si considera ingiusta offesa provocata contra jus, arrecata in violazione delle norme che tutelano l'interesse minacciato.
La reazione è giustificata solo in base a due requisiti: la difesa deve sembrare necessaria per proteggere il bene in pericolo, una reazione è davvero inevitabile se non è sostituibile da una meno dannosa comunque idonea alla tutela.
Secondo l'articolo 52 è necessario che tra offesa e difesa ci sia proporzione relativamente al rapporto di valore tra beni o interessi in conflitto, tenendo conto della messa in pericolo a cui questi sono esposti nella situazione concreta. Questo calcolo di disvalore incontra problemi se i beni sono eterogenei, si dovrà ricorrere a indicatori come la rilevanza costituzionale o la considerazione degli stessi all'interno dell'ordinamento sommandoli all'intensità dell'offesa minacciata e della difesa utilizzata.
L'articolo 54 stabilisce che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se è o altri dal pericolo attuale da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre tentato sia proporzionata pericolo. A differenza della legittima difesa si agisce per evitare il pericolo di un danno e l'azione difensiva cade non su un aggressore ma su un cazzo estraneo. È comunque necessario che il bene sacrificato sia di rango inferiore o equivalente a quello salvato. Lo stato di necessità differisce dalla legittima difesa anche perché l'azione giustificata non deve salvaguardare un qualsiasi diritto ma deve scongiurare un pericolo attuale di danno grave. La scriminante è esclusa in tutte le ipotesi di colpa cosciente o incosciente, in quanto si tiene conto della maggior tutela che spetta al terzo innocente. Secondo la cassazione l'articolo 54 non si applica in casi di bisogno economico in quanto a questo potrebbe far fronte della moderna organizzazione sociale dello Stato; in vero andrebbero considerate in concreto le varie situazioni anche in relazione ad una poco efficiente organizzazione sociale.
Per ' danno grave alla persona ' c'è chi intende la vita e l'integrità fisica, chi in piedi di natura personale e morale e chi comprende qualsiasi versione minacciata ad un bene giuridicamente rilevante, tutelato nell'ambito penale o in quello extra penale. La gravità può essere determinata considerando il rango del bene o tenendo conto del grado di pericolo che incombe su di esso.
In ogni caso la scriminante non si applica nei confronti delle persone che hanno il dovere di esporsi al pericolo per legge, contratto, professione, anche per salvare in donna se stessi ma terzi in pericolo.
Perchè il fatto sia punibile deve essere tipico, antigiuridico, ma anche colpevole. Si parte dal presupposto dell'uomo sia in grado di controllare gli istinti e le reazioni in base a scelte diverse, orientandosi in base ad una scala di valori. Con questo presupposto è possibile considerare il reato come opera dell'agente, e rivolgergli un rimprovero per averlo commesso. L'articolo 27, comma 1, della costituzione sancisce il principio di personalità della responsabilità penale, inteso come divieto di responsabilità per fatto altrui e di responsabilità, quindi colpevolezza, per fatto proprio; a condizione che attribuire psicologicamente il fatto di reato alla volontà del soggetto. Anche ai fini della rieducazione tramite la pena, è necessario che il fatto sia stato cagionato con colpa o con dolo, chi agisce senza di questi non mostra né ribellione verso l'ordinamento, nè sprezzo dei beni protetti, così da punizione finirebbe con l'essere qualcosa di ingiusto.
subordinare la punibilità alla colpevolezza significa eliminare ogni possibilità di responsabilità per fatti dovuti al caso. Dove il soggetto non sia in grado di determinare gli eventi, non c'è imputazione penale, quindi la colpevolezza implica l'esistenza di una possibilità di agire diversamente.
La colpevolezza riguarda solo l'esecuzione del fatto di reato, rendendo inammissibile la ura di colpa d'autore come la colpevolezza per il carattere e la colpevolezza per la condotta di vita. La prima ura punisce il non aver frenato in tempo la pulsione criminale, la seconda ura è un giudizio di disapprovazione di tutto lo stile di vita del soggetto. La colpevolezza per condotta di vita è ancora oggi base del trattamento penale per i casi di recidiva. In ogni caso la colpevolezza deve fare riferimento ad ogni singolo e concreto fatto di volta in volta considerato.
Alla colpevolezza si contrappone la pericolosità sociale, la prima è un rimprovero per la commissione di un fatto, la seconda fare riferimento alla personalità dell'autore e alla probabilità che egli continui a delinquere. La colpevolezza è presupposto dell'applicazione della pena, la pericolosità è la base dell'applicazione di una misura di sicurezza.
Vi sono diverse concezioni della colpevolezza:
la concezione psicologica mette in relazione psicologica il fatto è l'autore, così facendo viene marcata una partecipazione psicologica del soggetto alla commissione del fatto, mantenendo la possibilità di considerare dolo e colpa. Questa concezione risponde all'esistenza di considerare la colpevolezza come atto di volontà relativo al singolo reato, a prescindere da ogni valutazione sul soggetto agente e sulle motivazioni che formano la sua condotta. È stata mossa l'obiezione che questa concezione non valorizzi la possibilità di graduale la responsabilità in base alla colpevolezza.
La concezione normativa considera la colpevolezza inclusiva dei motivi e delle circostanze dell'azione, perché non con il fatto volontario merita stessa rimprovero, così come esistono fatti involontari più o meno gravi. Così la colpevolezza viene a consistere nella rimproverabilità dell'atteggiamento psicologico dell'autore. Il concetto di rimproverabilità non si basa però criteri puramente morali, ma sull'aver commesso azioni dannose socialmente.
La pena non è conseguenza diretta e obbligatoria dell'accertamento di colpevolezza: ha senso punire tanto quanto questo serva a convincere altri soggetti a non commettere reato.
Si dibatte se il giudice deve accertare la possibilità di agire diversamente del soggetto sottoposto giudizio oppure se la possibilità va relazionata al potere dell'uomo medio, a questo secondo orientamento fa capo chi teme che il riferimento all'uomo medio tolga al giudizio di colpevolezza ogni fondamento concreto.
È colpevole di soggetto imputabile che abbia realizzato con dolo colpa una fattispecie di reato, in assenza di circostanze che rendono scusabile l'azione illecita. I presupposti della colpevolezza sono quindi quattro: imputabilità, dolo o colpa, conoscibilità del divieto penale, assenza di cause di esclusione della colpevolezza.
L'imputabilità è la parte della capacità giuridica penale, presupposto dell'attribuzione di un illecito con pena. Essa sarebbe un modo di essere della persona necessario perché l'autore delle reato sia assoggettabile a pena, una causa personale di esenzione da pena. È proprio l'imputabilità, intesa come maturità psicologica del soggetto, che consente di muovere un rimprovero all'autore del reato, questo infatti ha senso se il destinatario ha la maturità per comprendere dall'esperienza tra lecito e illecito e quindi, per seguire le direttive dell'ordinamento. L'articolo 85 definisce l'imputabilità: capacità di intendere e di volere. La volontà umana può definirsi libera se il soggetto non è vittima passiva di impulsi psicologici che costringono ad agire in un determinato modo. Se la volontà è un necessario presupposto della vita pratica, se le decisioni umane non fossero determinate da cause operanti secondo leggi psicologiche, non avrebbe senso pretendere di influenzare la condotta mediante la minaccia di pena. Così anche se la pena in esecuzione deve rieducare il condannato, è necessario che questo sia psicologicamente capace di usufruire del trattamento.
Spetta al legislatore stabilire quali dei dati forniti dalle scienze possono essere considerati criteri nella valutazione della capacità di intendere di volere, che deve sussistere al momento della commissione del fatto che costituisce reato. Sono parametri legali: età, assenza di infermità mentale, altre condizioni capaci di incidere sull'autodeterminazione responsabile del soggetto. Le cause non sono trattative, la capacità di intendere che può essere esclusa anche per fattori diversi, a volte anche nella sfera dei sentimenti. l'imputabilità difetta se manca anche una sola capacità. La capacità di intendere si definisce come capacità di comprendere il significato del proprio comportamento per valutare le possibili ripercussioni sui casi. La capacità di volere è il poteva controllare di impulsi e di determinarsi secondo ragionevolezza o valori.
Spesso il legislatore riconduce la maturità psicologica a situazioni tipo o a fasce di età. L'articolo 97 dispone che non è imputabile chi al momento del fatto non aveva compiuto di 14 anni. Presunzione di incapacità assoluta, non ammessa prova contraria. L'articolo 98 dispone l'imputabilità in età compresa tra i 14 e i 18 anni, se c'è capacità di intendere e di volere, ma la pena è diminuita. La maturità del minore viene in concreto accertata dal giudice, in relazione alla natura delle reato commesso.
L'articolo 88 stabilisce che non è imputabile chi al momento del fatto che era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità. Non basta la presenza di una malattia mentale, occorre appurare se e in quale misura la malattia compromessa la capacità del soggetto, specialmente in seguito all'abolizione della presunzione legale di pericolosità del malato di mente. Per infermità si intende anche la malattia fisica, sia pure transitoria, purché produttiva di vizio di mente. Per quanto riguarda la psicopatia, questa è considerabile nell'esclusione della capacità se si ammette coerentemente che anche una anomalia della personalità risponde alla ratio dell'imputabilità. se si punta alla difesa sociale si potrò obiettare che scusando le psicopatie, i soggetti interessati potrebbero abusare della loro situazione. L'articolo 90 stabilisce che gli stati emotivi o passionali non escludono le diminuiscono l'imputabilità. La scusante degli stati emotivi è però ammessa in presenza di due condizioni: il coinvolgimento emozionale si manifesta in una personalità già debole, lo stato emotivo assume significato e valore di infermità sia pure transitoria. L'articolo 89 prevede la situazione di vizio parziale di mente, nei casi in cui la capacità di intendere e di volere è sensibilmente ridotta: il soggetto risponde delle reato commesso ma la pena è diminuita. La valutazione dell'infermità deve essere effettuato caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche del disturbo e dell'esperienza del singolo. Se il soggetto è giudicato socialmente pericoloso. Verrà applicata dal misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e custodia.
L'ubriachezza per l'articolo 91 esclude l'imputabilità solo se hai dovuta a caso fortuito o forza maggiore, se questa fa solo diminuire la capacità di intendere e di volere, la pena è diminuita. Questo istituto si chiama ubriachezza accidentale e vale anche per l'intossicazione accidentale da stupefacenti (articolo 93). Ai sensi dell'articolo 92 non è diminuita la pena, ne esclusa l'imputabilità, l'ubriachezza volontaria o qualcosa. L'obiezione è logica: l'ubriaco o a essere imputabile per ragioni repressive, ma egli si trova in una condizione psicologica che non gli consente una capacità di pensiero e autocontrollo; non si potrebbe così distinguere dolo e colpa. Questo istituto dunque inserisce nel codice una spinta imputabilità, che non si basa sull'elemento soggettivo ma diventa un'ipotesi di responsabilità oggettiva.
Si ha ai sensi dell'articolo 92 ubriachezza preordinata e quindi aumento di piena, quando era provocata al fine di commettere i reati o prepararsi una scusa.
L'ubriachezza abituale non esclude o diminuisce l'imputabilità, ma addirittura comporta aumento di piena e l'applicazione della misura di sicurezza della casa di cura o della libertà vigilata. Questo istituto regolato dall'articolo 94 è un tipico caso di colpevolezza per la condotta di vita. È invece considerata malattia mentale, dell'articolo 95, la cronica intossicazione.
L'articolo 96 stabilisce che il sordomuto, per mancanza di vitto e di parola abbia pregiudicata la capacità di autodeterminazione dell'individuo. Lo stesso articolo stabilisce però che il criterio di giudizio dell'incapacità deve essere in concreto accertata dal giudice distinguendo tra un sonno mutismo precoce fuori dalla nascita e uno tardivamente acquisito, sembra che la disposizione faccia riferimento al primo genere.
L'articolo 87 stabilisce che lo stato preordinato di capacità di intendere e di volere fa venire meno l'applicazione della stessa in ambito di giudizio. La disposizione secondo cui l'imputabilità deve sussistere al momento della commissione del reato, viene meno che il soggetto sia volutamente messo in stato di incapacità di intendere e di volere. Ai fini della punibilità occorre che il reato effettivamente posto in essere via del tipo di quello inizialmente programmato.
Secondo l'articolo 42 comma 2, nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, e non ha commesso con dolo. La colpa e la preterintenzione operano solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Il dono è un elemento costitutivo del fatto alla da volontà criminosa assume rilevanza solo quando viene realizzata. Il dono alla forma più gravi colpevoli, l'ordinamento disapprova con maggiore intensità nei confronti delle lesioni provocate intenzionalmente.
Per l'articolo 43 il delitto è doloso quando l'evento è il risultato di un'azione o una condizione che la legge prevede per l'esistenza del delitto e il soggetto l'ha previsto e voluto come conseguenza. Di elementi del dono sono quindi previsione, volontà, e dentro. Secondo la teoria della rappresentazione, volontà e rappresentazione erano fenomeni distinti, la prima aveva cominciato solo il movimento fisico dell'uomo mentre la seconda provocava modificazioni nel mondo esterno mentalmente anticipate.
La teoria della volontà privilegiava l'elemento volitivo del dolo, inserendo così nella volontà anche i risultati della condotta.
L'articolo 43 parla delle requisito dell'evento dannoso pericoloso per individuare che cosa soggetto deve volere al titolo di contenuto del dolo. Questa definizione è comunque parziale. Il dono è composto da due elementi psicologici: la rappresentazione o coscienza e la volontà. È però difficile provare in fase processuale l'elemento psicologico della volontà, così in genere il giudice ricorre a schemi di presunzione; in determinati i reati la consapevolezza del soggetto della pericolosità o del rischio dell'azione, dimostrerebbe implicitamente che egli ha deciso di compiere l'illecito e questo basterebbe a giustificare l'imputazione per dolo.
Il dolo investe gli elementi che integrano la fattispecie astratta: se il soggetto non conosce o si rappresenta per errore 1 requisito del fatto tipico, è esclusa la punibilità per dolo. Riguardo gli elementi descritti del dolo basta che il soggetto sia a conoscenza della dimensione naturalistica degli elementi stessi; invece per gli elementi normativi della fattispecie, il dolo sussiste se il soggetto si rappresenta gli aspetti che fondano la rilevanza giuridica del fatto. Per rappresentazione è intesa la previsione dei fatti futuri che si prospetta non come possibile risultato della condotta criminosa. Ai fini del dolo è sufficiente uno stato di dubbio: questo non equivale nè all'ignoranza ne all'errore a conoscenza, in quanto il soggetto si rappresenta le possibili evoluzioni del fatto; l'integrazione del dubbio è comunque esclusa se la fattispecie e richiede la piena conoscenza di uno o più elementi del reato.
Il dolo non può essere semplice rappresentazione dei fatti, ma deve essere volontà consapevole di realizzare il fatto. È una volontà intesa come movimento corporeo e elementi di fatto diversi dalla condotta. Se manca la volontà non bastano i desideri, le speranze, gli approfondimenti e le tendenze. La volontà del fatto non è il motivo o il movente dell'azione, questi sono gli impulsi che spingono il soggetto ad agire. Sono senza rilevanza il dolo antecedente e il dolo susseguente all'azione, il dolo deve esistere al momento del fatto che deve durare per tutto il tempo in cui la condotta è controllata dal soggetto; è senza rilevanza il venir meno della volontà quando l'agente non è più in grado di incidere sullo svolgimento dei fatti.
L'articolo 133 tiene conto dell'intensità del dolo, al punto da rafforzarne la gravità del reato. La volontà della sua intensità va sommata al grado di adesione psicologica del soggetto e alla complessità e alla durata della presa di decisione. Così un'azione d'impeto sarà meno grave di un dolo di proposito, fino ad arrivare all'azione criminosa più riprovevole: la premeditazione.
Se si interpreta all'articolo 43 il senso naturalistico, si arriva a ritenere che la definizione di evento porti il dolo fuori da i reati di nera condotta. Se invece si intende e dentro il senso giuridico, come lesione di un bene protratto, si può obiettare che la consapevolezza del carattere del tipo del fatto non può essere legata alla conoscenza effettiva del divieto penale. Oggetto del dolo però non è né l'evento in senso naturalistico, né l'evento in senso giuridico: è il fatto tipico. Oggetto del dolo sono tutti gli elementi obiettivi richiesti per l'integrazione della singola ura di reato.
Secondo l'articolo 47 il tono è escluso dall'errore sul fatto che costituisce reato, confermando che la rappresentazione e la volontà devono avere per appoggiato il fatto tipico. Il dolo deve investire tutte le componenti del fatto tipico: condotta, circostanze antecedenti, concomitanti all'azione tipizzate dalla norma, l'evento naturalistico.
Il dolo deve investire anche gli elementi normativi della fattispecie, la cui determinazione presuppone il rinvio ad una norma di carta da quella incriminatrice; ciò si presume dall'articolo 47 quando stabilisce che l'errore su una legge diversa dalla legge penale della punibilità, se è causa dell'errore sul fatto che costituisce il reato. In caso di illiceità speciale (quando la norma incriminatrice usa termini come abusivamente, illegittimamente, indebitamente) la soluzione è identica: il dolo si conura solo se l'agente e a conoscenza della illiceità speciale extrapenale del fatto. Ancora l'ignoranza della qualifica soggettiva, quando sia legata al fatto di reato, impedisce al soggetto di cogliere il significato criminoso del fatto (incesto), è ovviamente richiesta una conoscenza di fatto, altrimenti sarebbe richiesta una conoscenza della stessa norma incriminatrice.
Si dibatte se il dolo debba includere la coscienza dell'offesa. Offesa intesa in genere come antigiuridicità o illiceità penale del fatto, ossia la carica negativa del fatto tu interessi protetti, in ogni caso a prescindere dalla conoscenza dell'esistenza e del contenuto della norma in questione. Offesa come illiceità penale però, esula dall'oggetto del dono. Dire che la volontà consapevole presuppone la coscienza effettiva dell'illiceità del fatto, si scontra con l'articolo 5 che non esclusa l'ignoranza sulla legge penale. Dunque si può intendere l'offesa come un pregiudizio, effettivo o potenziale, ad interessi protetti dalla legge; se la premessa è quella che il fatto è legato alla lesione di un bene protratto, allora il dolo è composto da un requisito psicologico che include la percezione della idoneità del fatto a pregiudicare l'interesse tutelato. In concreto, nel nostro sistema, esistono reati in cui il fatto della lesione del bere tutelato hanno un disvalore evidente, mentre ci sono reati di pura creazione legislativa dove l'evidenza del disvalore difetta ma che comunque incorrono dello sbarramento dell'articolo 5.
Il dolo intenzionale ( primo grado ) quando il soggetto ha di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa, o la casa azione dell'evento. Il fatto illecito è il preciso obiettivo della condotta messa in atto. La volontà raggiunge l'intensità massima e di intenzione è compatibile con la previsione dell'evento vent'anni non di certezza, ma di possibilità (dubbio sull'effettiva riuscita).
Il dolo è diretto ( secondo grado ) quando l'agente si rappresenta tutti gli elementi costitutivi della fattispecie che si rende conto che la sua condotta dalla determinante. Qui la realizzazione del reato non è obiettivo finale, ma è uno strumento necessario per realizzare uno scopo perseguito. È di secondo grado anche il dolo indiretto, qualora l'evento lesivo sia una conseguenza accessoria necessaria, o molto probabile, alla realizzazione volontaria del fatto principale.
Il dolo eventuale (indiretto) a un sottile confine con la colpa con previsione (colpa cosciente) disciplinata dall'articolo 61. Si ha dolo eventuale con il presupposto che il soggetto agisca senza il fine di commettere reato, egli deve vedere il reato solo come conseguenza possibile di una condotta mirata ad altri scopi. Basta la previsione della possibilità del verificarsi dell'evento per il dolo eventuale? La teoria della possibilità sostiene che agisce già un dolo si prevede la possibilità di provocare una lesione e, nonostante questo, agisce ugualmente. La teoria della probabilità richiede che l'agente si rappresenti come probabile la verificazione dell'evento lesivo. Se si parte dal presupposto che il dolo è caratterizzato dall'elemento della volontà, le teorie predette sono insufficienti la teoria del consenso richiede l'approvazione interiore della realizzazione dell'evento possibile, ma non può assumere rilevanza decisiva il semplice atteggiamento interiore, è necessario che questo sia molto vicino ad una presa di posizione della volontà. Secondo la teoria dell'accettazione del rischio, il dolo eventuale non sovviene con la rappresentazione mentale ma è necessaria la lucida considerazione della possibilità delle rischio e la presa di posizione nell'agire. Si finisce così con l'accettare, oltre al pericolo, lo stesso evento lesivo perché il soggetto decide di agire a costo di provocare l'evento stesso. Se invece il soggetto si rappresenta la possibilità dell'evento, ma confida nella sua non verificazione, si avrà colpa cosciente.
Si ha dolo alternativo quando l'agente prevede come conseguenza certa o possibile il verificarsi di due eventi, senza sapere quali si realizzerà in concreto. È una sorta di dolo eventuale in cui ci si rappresenta più eventi tra loro incompatibili.
Si distingue tra dolo generico ed dolo specifico: il primo consiste nella coscienza e volontà di realizzare gli elementi costitutivi di un reato, il secondo consiste in uno scopo particolare e un ulteriore della gente si pone, ma che non è necessario si realizzi effettivamente perché il reato si conuri (reato come mezzo per un altro scopo).
Il dolo specifico può avere tre funzioni: restringere l'ambito della punibilità se al tono specifico si aggiunge un fatto base tra illecito, determinare la punibilità in un fatto che risulterebbe altrimenti lecito (l'associazione è consentita, l'associazione a delinquere no) e produrre un mutamento del titolo di reato (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di estorsione). Si corre comunque il rischio che a dare troppo peso al dolo specifico all'interno della fattispecie, questa assuma un eccessivo carattere soggettivo, allontanandosi dalla punizione per l'offesa al bene protetto.
Il dolo deve essere provato, ma dovendo inserire un processo psicologico in una situazione composta da fatti esterni della fattispecie di reato, la prova è difficile. Non esistono criteri prefissati, il giudice deve tener conto di tutte le circostanze che possono assumere valore ai fini dell'esistenza della volontà consapevole dell'esistenza del dono può essere ricavata dalle modalità della condotta, lo scopo perseguito dall'agente, il comportamento tenuto dal colpevole dopo la commissione del fatto. È ammesso il ricorso a massime di esperienza, ma non può essere consentita l'utilizzazione di schemi presuntivi: anche se esistono fattispecie legali soggettivamente pregnanti, in cui la volontà sembra implicita nella realizzazione del fatto, ciò non toglie che la prova vede essere ottenuta al di fuori del ricorso a comode presunzioni.
Se la volontà colpevole presuppone una conoscenza dell'elemento del fatto, la mancata o falsa rappresentazione degli stessi requisiti dell'illecito penale, avrà come fatto di escludere la punibilità. Occorre estinguere tra errore di diritto e errore di fatto. Il primo diventa ignoranza o entrò nella interpretazione di una norma, il secondo consiste in una mancata o errata percezione della realtà esterna. Così l'errore viene riparato all'ignoranza a causa dello stesso creato effetto psicologico: l'agente non si rende conto di commettere o integrare una fattispecie incriminante.
Viene distinto da ciò lo stato di dubbio: se il soggetto è incerto sulla presenza con l'assenza di determinati requisiti, mancano i presupposti di una conoscenza esatta e intera tra errore: il dubbio così non può essere invocato come causa di esclusione dalla responsabilità.
Perciò che cominciarne l'errore di diritto si distingue errore sul selciato penale e errore su una norma estera penale. Il primo cade sulla norma incriminatrice che ha per oggetto di liceità penale del fatto: ai sensi dell'articolo 5, il quale non scusa all'ignoranza, l'errore sul selciato penale è irrilevante a meno che non si tratti di un errore inevitabile e quindi scusabile. Il secondo ha per oggetto una norma fuori dall'ordinamento penale, l'errore in questione è scusato se si risolve in un errore sul fatto di reato l'agente deve essere un inviato a punto tale da non rendersi conto di compiere un fatto conforme alla fattispecie criminosa. Se l'errore sulla norma estera penale porta l'agente alla convinzione che il fatto stia penalmente lecito, l'errore ricade direttamente sul selciato penale, incorrendo così nella disciplina dell'articolo 5.
L'errore di chi agisce senza rendersi conto del significato della sua condotta viene chiamato anche errore motivo. L'articolo 47 comma 1 stabilisce che l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Se l'errore è determinato da colpa, la punibilità non è esclusa per il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo. È opinione diffusa che all'errore possa essere equiparata ignoranza. L'errore deve vertere su elementi essenziali del fatto, elementi cioè tra cui mancata conoscenza impedisce che il soggetto si rappresenti un patto corrispondente al modello legale. Sono errori irrilevanti quelli relativi allo scambio tra soggetti oppure tra soggetti che rinascono una posizione equivalente sul piano della fattispecie incriminatrice. Si allo scambio riguarda persone o cose che occupano un rango di diverso l'errore può far venir meno il reato pure far scattare l'applicabilità di una diversa ura criminosa o, ancora, incidere sull'applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti.
È irrilevante l'errore sul nesso causale finché la divergenza non diventi tale da far escludere che l'evento costituisca realizzazione dello specifico rischio iniziale dell'azione.
L'errore di fatto esclude il dolo, ma non esclude necessariamente la responsabilità penale: può rimanere in piedi una responsabilità per colpa, se l'errore di percezione è intollerabile (dovuta a inosservanza di norme di condotta) e se il fatto espressamente previsto dalla legge come delitto colposo.
Si distingue, in caso di soggetto non imputabile, tra errore condizionato dall'infermità mentale e errore non condizionato. Si ritiene che le rare condizionato non l'abbia rilevanza scusante, altrimenti si avrebbe come conseguenza l'inapplicabilità della misura di sicurezza proprio in un soggetto che, a causa della sua malattia, risulta socialmente pericoloso. Ha invece e si caccia scusante l'errore incondizionato è determinato da circostanze che avrebbero tratto in inganno anche una persona capace.
Il secondo comma dell'articolo 47 stabilisce che l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso, si risponde del reato di cui siano stati posti in essere gli estremi.
Si discute sulla disciplina dell'errore che ricade su elementi degradanti del titolo di reato; se si dà rilevanza non alla mera rappresentazione, ma alla sussistenza degli estremi corrispondenti a ura criminosa di fatto realizzatasi, si propenderà per la soluzione più rigorosa; se si esclude che il dolo del reato o meno grave ingloba in essere il dolo relativo all'illecito più grave, propende per azione della fattispecie del reato meno grave. L'attuale orientamento ricorre all'applicazione analogica nella disciplina dell'errore sulle case di giustificazione, facendo prevalere l'ipotesi criminosa meno grave che riflettere meglio l'effettivo atteggiamento psicologico dell'agente.
Il comma 3 dell'articolo 47 stabilisce che l'errore sulla legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità se ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato. Se si ritiene che l'errore su legge extra penale vada considerato errore di diritto, sorge contrasto tra l'articolo 47 e l'articolo 5 secondo. un primo orientamento bisognerebbe distinguere tra donne extra penale che integrano una norma penale che finiscono quindi con incorporarsi con quest'ultima facendo sì che l'errore che le coinvolge non possa scusare; e norme extra penale di che, non integrandola norma penale, restano distinte da questa per cui l'errore può essere sposato come un qualsiasi altro errore sul fatto. La corte di cassazione ha in genere applicato questo criterio per sostenere la tesi dell'integrazione, negando così l'efficacia scusante all'errore, la stessa corte non ha ancora trovato un criterio oggettivo per selezionare i casi in cui la legge extra penale assolverebbe o meno una funzione integratrice.
La corte costituzionale, con sentenza 364/88 a attribuito rilevanza scusante ai casi di ignoranza o errore inevitabile sulla legge penale: l'impunità non è conseguenza della mancanza del dolo del fatto ma del venir meno della possibilità della legge come requisito autonomo della consapevolezza.
Secondo un altro orientamento, le norme extra penali richiamate dalla norma penale integrano sempre alla fattispecie incriminatrice, perché un errore sulle prime si traduce in un errore sulla portata e i limiti della seconda, diventando così errore vero e proprio sulla legge penale. In ogni caso l'errore predetto avrebbe efficacia scusante perché l'articolo 47 introduce una deroga estrasse al principio della donna scusabilità dell'errore sul crociato penale sancito dall'articolo 5, anche vista la natura marginale delle ipotesi di errore su legge extra penale.
Se il dolo presuppone conoscenza di tutti gli elementi della fattispecie astratta, quando questa sia integrata da norme extra penali, è normale e ovvio concludere che questi elementi devono distrarsi nella mente del soggetto del loro preciso significato di diritto. La situazione di incorrere in un errore sul fatto determinato dalla inesatta interpretazione della legge extra penale, è psicologicamente identica a quella di chi agisce sulla base di una falsa percezione di un dato reale, cambia solo la fronte dell'errore. Se così è, il terzo comma, finisce con il trattare un errore sul fatto che costituisce reato.
L'espressione legge extra penale, secondo l'opinione prevalente, include norme di natura non penale ma anche norme penali diverse da quella incriminatrice venuta in questione nel caso di specie.
Riassumendo:
- l'errore sul legge extra penale avrà sempre efficacia scusante che si combatte in errore di elementi normativi della fattispecie penale, elementi per la definizione dei quali occorre il rinvio ad una norma diversa da quella incriminatrice considerata
- la soluzione adottata per gli elementi normativi di natura giuridica deve essere estesa al trattamento dei gli elementi normativi di natura epico sociale. Questo perché l'errore su una norma epico sociale di comportamento incidere sul piano psicologico con un meccanismo perfettamente identico a quello dell'errore sulla norma giuridica extra penale.
- l'errore può escludere la responsabilità anche quando ricade su una norma extra penale integratrice di una norma penale bianco, perché l'ultimo comma dell'articolo 47 non fa distinzione sulla norma extra penale richiamata.
- l'errore può ricadere su una norma extra penale che in concreto rileva ai fini della valutazione del significato di un elemento costitutivo del fatto.
L'errore sul fatto può derivare anche dall'inganno soggetto sia tratto per opera di un'altra persona. L'articolo 48 stabilisce che in caso di reato determinato dalla cui inganno di stato commesso dalla persona ingannata viene addossato a chi la determinata a commetterlo. L'errore deve cadere sull'elemento costitutivo del reato, altrimenti questo non escluderebbe e il dolo e la responsabilità: sono privi di efficacia quindi, gli errori sui motivi, le circostanze e simili.
Per l'articolo 49 non è punibile chi commette un fatto l'onda costituente reato nella sua posizione e rosea che esso costituisca reato. È la ura dell'alleato putativo in alcuni il fatto criminoso immaginato da chi agisce in realtà non esiste. La convinzione del soggetto di commettere un patto di reato è priva di rilevanza. È vero che l'autore di un alleato putativo rivela inclinazioni soggettive a delinquere, ma la mera convinzione soggettiva di farlo risulta penalmente irrilevante in che non si materializza una effettiva aggressione. Anche in mancanza dell'articolo 49, l'esclusione della rilevanza del reato putativo sarebbe comunque derivata dall'orientamento oggettivistico del nostro sistema penale.
La differenza tra voluto e realizzato non dipende solo da un errore che incide sul momento attivo della volontà, ma può dipendere anche da un errore nell'uso dei mezzi di esecuzione o un errore dovuto ad altra causa. L'articolo 82 primo comma stabilisce che quando per errore. Dei mezzi di esecuzione o per altra causa, è cagionata o entra a persona diversa da quella alla quale non ed era diretta, il colpevole dispone comunque, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti le disposizioni dell'articolo 60. Quando a causa di un errore esecutivo indicano un oggetto materiale dell'azione e di soggetto passivo, ma l'offesa rimane normativamente identica, non muta il titolo di reato. La ura della aberratio monolesiva solleva problemi dal punto di vista dei criteri di attribuzione della responsabilità. La norma in esame sarebbe superflua in quanto conforme ai principi generali sull'elemento psicologico del reato. In concreto l'offesa è normativamente equivalente a quella voluta dal soggetto, quindi il dolo permane perché l'agente vi è rappresentato di elementi del fatto rilevante ai sensi della norma la tesi è però contestabile qualora i privilegi un ozono che esalti la concreta dimensione psicologica, dovendo qualificare come dolorosa la causazione di un determinato evento concreto. La ura in esame è caratterizzata dalla mancata congruenza tra voluto e realizzato, elemento fondante del dolo: il soggetto voleva colpire un bersaglio diverso, viene così a mancare il contenuto della volontà colpevole. È conforme al reato l'evento materiale e lo anche l'atteggiamento psicologico di per sé considerato, manca comunque la congruenza fra atteggiamento ed evento che sarebbe necessaria per considerare l'evento una concretizzazione della volontà criminosa. La corte costituzionale ha stabilito che l'elemento che incide sulla fattispecie penale deve essere soggettiva mente collegabile all'agente almeno titolo di colpa, occorre dunque che il giudice a certi che l'errore esecutivo dell'agente sia dovuto all'inosservanza di una norma cautelare, dunque a colpa.
L'articolo 82 comma 2 stabilisce che qualora oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato grave, aumentata fino a metà. È la ura della aberratio plurilesiva e fa si che il soggetto risponda per dolo dell'offesa arrecata alla vittima designata e per responsabilità oggettiva nei confronti del terzo offeso per errore. La disciplina diventa così più rigorosa che se si rispondesse di una reato doloso e uno colposo.
Sorge il problema relativo al trattamento applicabile se le persone lese per errore siano diverse. c'è chi sostiene che andrebbero applicati tanti aumenti di pena sino alla metà, quante sono le offese arrecate. Altri sostengono che le disposizioni si applicheranno all'offesa non voluta più simile a quella voluta. È preferibile dignità dell'applicazione alle porte di espressamente previste, pena la violazione del divieto di analogia, e applicare il regime del concorso formale del reato doloso con eventuali delitti colposi.
Il primo comma dell'articolo 83 stabilisce che fuori dai casi previsti dall'articolo 82, se per errore nell'uso dei mezzi o per altra causa cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde a titolo di colpa dell'evento non voluto, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo. È la ura dell'aberratio delicti. a che titolo di soggetto risponda per il reato diverso, cagionato per errore? Il dolo è escluso perché manca la volontà. Il comma 1 stabilisce un trattamento a titolo di colpa se il reato è previsto come reato colposo. In realtà la norma fonda l'imputazione su responsabilità oggettiva, punendo un evento compiuto per negligenza, imprudenza o fatto accidentale in seguito all'erronea condotta del soggetto.
Nella disciplina della colpevolezza la coscienza dell'illiceità è un elemento costitutivo autonomo: se la colpevolezza è un rimprovero per un reato commesso, questo risulterà più giustificato quanto più il soggetto sia consapevole di aver realizzato un fatto contrastante con l'ordinamento. È da escludersi che la volontà colpevole richieda la piena conoscenza dell'illiceità penale ai stessi dell'articolo 5, ma è vero anche che la grande quantità di reati di pura creazione legislativa mette spesso di cittadino in una condizione che favorisce l'ignoranza o l'erronea conoscenza della norma. Ricorrendo all'articolo 27 comma 1 della costituzione, il quale sottolinea il carattere personale della responsabilità penale, si impedisce di ritenere irrilevante la mancata percezione del disvalore penale inerente al fatto commesso. Perché diventi attuabile la funzione di educativa della pena ex articolo 27 comma tratto, la punizione deve cadere su un soggetto che sia in grado di avvertire il disvalore penale del fatto anche ai fini del rapporto di fiducia che è base della disponibilità del colpevole a sottoporsi a procedimento rieducativo.
l'art 5 viene mitigato dall'art 27, c1 Cost, che sancisce il carattere personale della responsabilità penale e impedisce di ritenere irrilevante la mancata percezione del disvalore penale.
non si può comunque pretendere l'effettiva conoscenza del carattere criminoso dell'atto, è sufficiente la possibilità di conoscenza dell'illiceità. così facendo, ai fini della colpevolezza, diventa sufficiente che l'autore sia in grado di percepire l'illiceità. la possibilità di conoscenza rende evitabile e inescusabile l'ignoranza o l'errore.
si formano così due situazione:
evitabilità - inescusabilità dell'ignoranza, con riconoscimento della colpevolezza e inevitabilità - scusabilità, con esclusione della punibilità. la stessa Consulta ha dichiarato illegittimo l'art 5, nella parte in cui non riconosce scusabile l'ignoranza inevitabile.
ma quand'è che l'ignoranza è inevitabile?
criteri soggettivi, che fanno leva sulle caratteristiche personali dell'agente quali intelligenza, cultura, contesto sociale
criteri oggettivi che considerano cause che rendono davvero impossibile la conoscenza della legge da parte di ogni consociato, quali un testo normativo assolutamente oscuro e incomprensibile
criteri misti oggettivo-soggettivi, al fine di bilanciare esigente garantistiche e di prevenzione generale.
Il rimprovero di colpevolezza presuppone l'assenza di circostanze anormali, nel compimento dell'atto, che rendano psicologicamente 'obbligatorio' il comportamento. La dottrina ha creato la ura dell'inesigibilità: l'impossibilità di pretendere un comportamento diverso da quello tenuto.
c'è chi vede come causa di giustificazione lo stato di necessità e la coazione morale, quando l'agente si trovi sotto la pressione di agenti esterni che gli impediscono di tenere un diverso comportamento, rendendo così non rimproverabile il fatto.
c'è invece chi considera l'inesigibilità una valvola per l'umanità del sistema, a titolo di canone extrapenale, utilizzabile anche in casi non espressamente previsti per legge, perchè meritevoli di considerazione.
Per analogia l'inesigibilità sarebbe conurabile in casi di conflitto di doveri e, comunque, da conflitti fra norme di condotta di sfere normative diverse, relativamente a reati commessi con motivazione morale, politica, religiosa. Questa ipotesi è da escludere in nome di interessi sociali più importanti della libertà di pensiero.
l'inesigibilità non riesce ad indicare criteri concreti: se ci si limita a dire che il comportamento non è esigibile, resta l'interrogativo sul perché non si sarebbe potuto agire diversamente. Pe r l'accertamento dell'esigibilità occorre non subordinare la colpevolezza all'interesse e alla passione del soggetto concreto, né esagerare con l'astrattezza nel tener conto delle pulsioni dell'uomo 'medio'.
Tutto ciò non significa che il giudice debba ignorare le circostanze anormali, significa che queste stesse circostanze non varranno da esclusione di colpevolezza, ma da attenuazione della stessa.
Le scusanti (esclusione di colpevolezza) si differenziano dalle cause di giustificazione perché lasciano integra l'antigiuridicità del fatto, escludendo solo la possibilità di rimprovero all'autore, quindi hanno efficacia solo sui soggetti a cui si riferiscono e non sono estensibili ad eventuali concorrenti.
Scusanti:
stato di necessità scusante e coazione morale: minaccia incombente sull'agente o un congiunto e compimento dell'azione sotto minaccia psicologica esercitata da altrui persona
ordine criminoso insindacabile della pubblica autorità: l'ordine legittimo eliderebbe l'antigiuridicità ed è causa di giustificazione, l'ordine criminoso fa invece eseguire un fatta illecito, mantenendo così l'antigiuridicità. Per esentare il subordinato che esegue l'ordine a cui non può disobbedire, si fa leva sulla situazione di pressione psicologica
ignoranza inevitabile-scusabile della legge penale (sent cost 364/88).
l'art 42 comma 4 stabilisce che nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione o omissione in coscienza, sia essa dolosa o colposa. E l'art 42 stabilisce che si distingua tra doloso e colposo sia nei delitti, sia nelle contravvenzioni. Mentre nei delitti la colpa è l'eccezione ed è attuabile solo se prevista dalla norma, nelle contravvenzioni essa è sufficienza. Lo stesso art 43, inoltre, stabilisce che il giudice debba tener conto di eventuali attenuazioni o aggravazioni del dolo e della colpa.
Ci sono elementi che incidono sul reato in senso attenuante o aggravante, sono elementi di un reato già perfetto nella sua struttura, la cui presenza determina solo una modifica della pena in termini quantitativi o qualitativi. Si parla di circostanze del reato (accidentalia delicti), che possono mancare senza che il reato venga meno.
Il legislatore ha tipizzato le attenuanti comuni, le aggravanti speciali e le aggravanti comuni con l'intento di poter meglio adeguare la pena ai singoli casi, senza affidarsi alla pure discrezionalità del giudice, ma ponendo un confine legislativo.
Si discute se l'elemento circostanziale di integrazione ad una fattispecie autonomia o se crei una nuova fattispecie complessa. Se si premette che ogni elemento che incide sulla sanzione rientra per forza nei presupposti della pena, allora rispetto alla fattispecie circostanziata, le circostanze sono elementi essenziali come gli altri.
Le circostanze si classificano secondo i punti di vista prescelti:
le aggravanti aumentano la pena per il reato base, ma a volte modificano qualitativamente la sanzione. Le attenuanti diminuiscono la pena oppure la modificano a vantaggio del reo
sono comuni le circostanze previste nella parte generale del codice e speciali quelle relative a specifiche ure di reato
ex art 70 sono oggettive le circostanze che concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e le modalità dell'azione, la gravità del danno, del pericolo o le condizioni dell'offeso. Sono soggettive quelle che investono l'intensità di dolo e colpa, le condizioni del reo, il rapporto fra reo e offeso, le condizioni dell'offeso. Questa divisione è importante nel concorso di persone, per la loro estensibilità a tutti i correi
circostanze tipiche o generiche, a seconda le grado di definitezza raggiunto dal legislatore.
Per tracciare la differenza fra circostanze e elementi costitutivi non ci si può basare sulla funzione che le prima assolvono, visto che non condizionano l'esistenza del reato, ma solo la consistenza della pena. In mancanza di indici legislativi, la dottrina sostiene che debba esserci un rapporto di specialità fra ipotesi circostanziata e semplice: la prima deve essere in relazione di specialità a genere verso la seconda, in quanto deve includere tutti gli elementi e in più uno (o più) specializzanti.
La specializzazione è però necessaria per qualificare l'elemento come circostanziale: si ricorre così a indici diversi quali nomen juris, precedenti storici, rubrica legislativa.
Fino al 90 le circostanza operavano per pura esistenza, senza che fosse necessaria la rappresentazione del reo e se questo la rappresenta per errore, non veniva valutata. Con la 19/90 le aggravanti vengono sottoposte ad imputazione soggettiva, quindi solo se il reo le conosceva o le ignorava per colpa o errore colposo, estendendo così l'art 5. A favore del reo è rimasta l'imputazione obiettiva delle attenuanti.
L'aggravante, per essere attribuibile, deve essere conosciuta solo in caso di dolo, se si tratta di colpa è sufficiente che il reo la ignori per colpa. A ben vedere, però, il nuovo articolo 59 sembra ammettere l'imputazione dell'aggravante per ignoranza colpevole anche in caso di reato base doloso.
Ex art 60, in caso di errore sull persona offesa non sono a carico le aggravanti sulle condizioni dell'offeso o i rapporti con il reo. Sono invece valutate le attenuanti erroneamente supposte sulle condizioni o il rapporto predetti. Dunque imputazione soggettiva delle aggravanti e oggettiva delle attenuanti, questi in deroga al principio generale.
Le circostanze ad efficacia comune sono caratterizzate dal fatto che la modifica della pena dipende dalla pena ordinaria, nel senso che opera una variazione frazionaria della pena per il reato semplice. Sono ad efficacia speciale (art 63) quelle che modificano la pena per un valore superiore ad un terzo, variazione sulla pena stabilita per la circostanza speciale.
Se vi è concorso omogeneo fra circostanze (stessa specie) si differenzia a seconda che si tratti di efficacia comune o speciale.
Se è efficacia comune, l'aumento o la diminuzione si calcola sulla pena restante dall'aumento (o diminuzione) precedente, salvi i limiti dell'art 66: la pena non può superare il triplo del massimo e comunque non può superare i 30 anni di reclusione o 5 di arresto; in diminuzione non può essere inferiore a 10 anni se si parte dall'ergastolo, negli altri casi inferiore ad un quarto.
Se si ha efficacia speciale, in aumento si applica la pena per la circostanza più grave e in diminuzione la pena per l'attenuante meno grave. Se il concorso omogeneo è fra comuni e speciali, la modifica opera sulla pena per la circostanza speciale.
Se si ha concorso eterogeneo (attenuanti e aggravanti insieme) si ricorre al principio del bilanciamento, che demanda la valutazione al giudice, applicando le circostanze ritenute prevalenti o annullarle fra loro e applicare così la pena senza nessuna circostanza. Secondo l'orientamento prevalente i criteri di azione vanno dedotti dal 133, che disciplina il potere discrezionale del giudice, il quale però non fissa nessuna gerarchia. Sarebbe così da preferire l'opinione per la quale andrebbero valutate le circostanze in concreto, nella loro specifica intensità.
Aggravanti comuni (art 61):
agire con motivi futili e abietti: motivo distinto dallo scopo, è la molla che spinge psicologicamente ad agire. È abbietto il motivo turpe, ignobile, perverso, da destare ripugnanza alla media moralità. È futile il motivo se c'è sproporzione tra movente e azione. Aggravante soggettiva
reato commesso per eseguirne o occultarne un altro, per ottenere prezzo, profitto o impunità per un altro reato: il reato mezzo è aggravato anche quando il reato fine è solo tentato o non eseguito. Questa aggravante si giustifica in base alla maggiore pericolosità di cui non si fa problemi a compiere un reato mezzo. L'aggravante sopravvive nonostante la riforma del 74, che introduce il reato continuato anche per reati diversi ma uniti dallo stesso disegno criminoso.
l'aver, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento
sevizie o crudeltà verso le persone offese: inflizione di violenze fisiche non necessarie al reato e crudeltà morale oltre i limiti del normale sentimento di umanità. È controverso se si riferisca alle modalità di azione (aggr. ogg) o alla persona del reo (aggr sogg)
approfittare di circostanze di tempo, di luogo, di persona per ostacolare la pubblica o privata difesa: l'agente è consapevole della vulnerabilità del soggetto passivo. È circostanza oggettiva, perché riguarda le modalità dell'azione
commissione del reato mentre ci si è sottratti volontariamente all'esecuzione di un mandato di arresto, cattura o carcerazione per precedenti reati: ci si riferisce al latitante, non all'evaso, al quale la circostanza non è applicabile. Circostanza soggettiva
nei delitti contro il patrimonio, o delitti determinati da lucro, aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità: per la giurisprudenza la rilevanza del danno deve essere considerata in senso oggettivo, a prescindere dalla condizione economica dell'offeso, e viene considerato anche il lucro cessante. Circostanza oggettiva
l'aver aggravato o tentanto di aggravare le conseguenze del delitto: la condotta è successiva a quella del reato e deve essere intenzionale. Se si considera il proposito criminoso, la circostanza è soggettiva, se invece si valorizza la gravità del danno, è oggettiva
aver commesso il fatto con abuso di poteri, violazioni di doveri inerenti la pubblica funzione o come ministro di culto: l'aggravante è inapplicabile quando l'abuso è elemento integrante del reato base. Non basa il possesso della qualifica, è necessario che questa abbia agevolato l'esecuzione del reato. È inapplicabile anche quando l'abuso non è doloso. Ha qualità soggettiva
aver commesso il fatto contro pubblico ufficiale o ministro di culto, agente diplomatico, nell'atto o a causa dell'adempimento della funzione o del servizio: circostanza a tutela di determinati soggetti, senza necessaria omogeneità fra reato e funzioni. Aggravante di tipo oggettivo
atto commesso con abuso di autorità, relazioni domestiche, relazioni di ufficio, prestazioni d'opera, coabitazione o ospitalità: la ratio riguarda l'abuso di fiducia che l'offeso ripone sul reo. Fiducia presunta. Ha carattere soggettivo.
Attenuanti comuni (art 62):
azione spunta da motivi di particolare valore morale o sociale: il movente deve essere apprezzabile secondo gli atteggiamenti etico sociali prevalenti. Bisogna distinguere tra meritevolezza del motivo e de,lla condotta: questa resta comunque illecita. La circostanza ha natura oggettiva e concorre con la premeditazione
aver reagito in stato d'ira determinato da fatto ingiusto altrui: attenuante della provocazione. Caratterizzata da due momenti: uno soggettivo (l'ira) e uno oggettivo (fatto ingiusto), quest'ultimo deve essersi verificato, quindi non ha valore il convincimento della provocazione. Circostanza soggettiva
azione per suggestione di una folla in tumulto, quando non siano riunioni vietate, se il reo non è delinquente abituale o per professione: è presupposta la folla in stato di intensa tensione emotiva, e che l'agente vi si trovi coinvolto e stimolato. Natura soggettiva
l'aver, nei delitti contro il patrimonio, cagionato all'offeso un danno di speciale tenuità, quando anche l'evento sia di speciale tenuità: la valutazione del danno va fatta in relazione al valore della cosa. Natura oggettiva
concorso nell'evento del fatto doloso dell'offeso: necessario l'evento materiale dell'inserimento dell'offeso fra le cause e l'evento psichico della volontà dell'offeso nella produzione dell'evento stesso. Circostanza oggettiva
aver, prima del giudizio, riparato il danno con risarcimento e restituzione o essersi adoperato spontaneamente per elidere le conseguenze dannose del reato: la ratio sta nel ravvedimento dimostrato dal reo e, proprio per questo, non sono ammesse riparazioni da parte dei terzi. Natura soggettiva.
L'art 62 bis introduce le attenuanti generiche e stabilisce che il giudice può stabilire di diminuire la pena per la sussistenza di circostanze diverse da quelle dell'art 62. Possono concorrere con l'art 62 e sono considerate come una sola circostanza. Il 62 bis è applicabile anche in caso di pena superiore al minimo, fatto grave o precedenti penali.
l'art 99 prevede, in caso di ricaduta nel reato, una disciplina per la recidiva: un aumento di pena in nome della maggiore capacità a delinquere del soggetto.
Tre forme di recidiva:
semplice: commissione del reato dopo la condanna definitiva per un altro, indipendentemente dalla natura del secondo reato, del tempo trascorso dalla condanna. L'aumento è fino a 1/6 della pena per il nuovo reato. Non si considerano reati se si sono estinti gli effetti penali degli stessi
aggravata: se il reato è della stessa indole (r. specifica) o è commesso entro 5 anni (r. infraquinquennale), o se è stato realizzato durante o dopo l'esecuzione della pena. L'aumento è fino a 1/3, che diventa ½ in caso di concorso fra le circostanze descritte. Per l'art 101 sono reati della stessa indole 'quelli che violano una stessa disposizione di legge o presentano caratteri fondamentali in comune
reiterata: qualora il reato venga commesso da ci è già recidivo. L'aumento dipende dalla recidiva precedente: ½ per r. semplice, 2/3 per r. specifica o infraquinquennale, da 1/3 a 2/3 se la precedente si riferisce ad un reato commesso durante l'esecuzione della pena o in sottrazione della stessa. In ogni caso gli aumenti non possono far superare il cumulo delle condanne precedenti (art 99).
Il concetto di consumazione esprime la compiuta realizzazione degli elementi costitutivi di una fattispecie. Nei reati di mera condotta la consumazione coinciderà con il compimento della condotta vietata. Nei reati di evento è necessaria, oltre all'azione, la produzione dell'evento.
La determinazione della consumazione del reato rileva:
nell'individuazione della norma da applicare in caso di successione di norme
rispetto alla decorrenza della prescrizione
ai fini di amnistia e indulto
ai fini della competenza territoriale
per l'applicazione della legge italiana rispetto a quella straniera.
La consumazione è riferimento per la urare del tentativo di reato. Non è comunque rilevante la differenza fra programmato e realizzato. Il delitto tentato si ha qualora non sia stato portato a compimento il delitto, ma gli atti parzialmente realizzati mostrino l'intenzione criminosa; diversamente si avrebbe solo intenzione delittuosa. Il tentativo presenta tutti gli elementi del reato: fatto tipico, l'antigiuridicità e la colpevolezza, viene punito integrando due norme: la norma di parte speciale sul delitto compiuto e l'art 56 che disciplina i requisiti del tentativo punibile.
È problematico stabilire l'inizio dell'attività punibile, normalmente è considerato nella messa in pericolo del bene protetto. Il codice Zanardelli identificava il tentativo con l'inizio dell'esecuzione del reato programmato ed erano irrilevanti gli atti preparatori, rendendo così ancora più labile il confine utile. L'attuale art 56 considera nel tentato reato gli "atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere delitto". Gli atti devono essere dunque idonei e univoci.
Art 56 c. 1: si ha tentativo se l'azione non si compie o se l'evento non si verifica.
L'idoneità è oggettiva. In passato si intendeva come efficienza causale: gli atti commessi dovrebbero essere in grafo di cagionare l'evento; se così fosse il giudizio di idoneità dovrebbe compiersi ex post, ma allora non vi sarebbe tentativo punibile proprio perchè il mancato evento dimostrerebbe che gli atti non erano idonei a compierlo.
Oggi si considerano i parametri di idoneità in un giudizio ex ante e in concreto: il giudice deve porsi idealmente all'inizio dell'azione e accertare se gli atti erano in grado in concreto di cagionare l'evento.
Per quanto riguarda il grado di idoneità si discute se debbano essere atti che rendano possibile l'evento, che sia necessario una ragionevole possibilità che l'azione debba essere adeguata all'evento voluto. Richiamando l'esigenza di punibilità del tentativo, coerenza vuole che la giusta interpretazione veda la necessità di una rilevante attitudine a conseguire l'obbiettivo.
Univocità degli atti intesa come effettiva criminosità degli stessi: esistono atti idonei a compiere reati che, commessi in sé per sé, sono lenti.
Quando un atto è 'diretto in modo equivoco' a commettere reato?
concezione soggettiva: univocità indica l'esigenza che sia raggiunta la prova del proposto criminoso
concezione oggettiva: l'univocità è una caratteristica oggettiva della condotta, gli atti stessi devono mostrare, nel loro contesto, un proposito criminoso perseguito.
In realtà l'univocità come caratteristica dell'azione non esclude la prova del fine con ogni canone dell'elemento soggettivo del reato. L'importante è la seconda e successiva verifica: accertare se gli atti riflettono in maniera congrua il fine criminoso.
Il tentativo è punibile solo se commesso con dolo: non è punibile il tentativo colposo. L'orientamento prevalente sostiene che non sia conurabile il dolo eventuale, nel tentativo: se la non equivocità è provata dall'intenzione criminosa, allora è richiesta una volontà intenzionale che escluda il dolo eventuale.
In definitiva, per conurare il tentativo è necessaria sia la volontà psicologica sia quella materiale: non sono sufficienti solo considerati singolarmente.
Il tentativo non è ammesso:
nelle contravvenzioni, in quanto l'art 56 cita espressamente i soli delitti
nel delitto preterintenzionale, mancando la volontà di perseguire quel determinato fine
nei reati unisussistenti, in quanto l'atto criminoso è unico ed esaurisce in sé l'evento
nei delitti di attentato o consumazione anticipata, in quanti il tentativo è già consumazione del reato
nei reati di pericolo, punire il tentativo di pericolo sarebbe a dire punire il pericolo del pericolo, anticipando troppo la soglia della punibilità.
Alcuni distinguono tra tentativo circostanziato di delitto e tentativo di delitto circostanziato: nel primo caso le circostanze si realizzano nel contesto dell'azione tentata, nel secondo il delitto, se fosse stato consumato, sarebbe stato qualificato dalla presenza di una o più circostanze. In realtà non c'è nessun dubbio sulla compatibilità tra tentativo e circostanze realizzatesi prima della consumazione del reato (es parentela nel delitto tentato). Il rispetto del principio di legalità impone che le circostanze vengano applicate solo in presenza di presupposti previsti per legge: così le circostanze relative all'evento consumativo del reato risultano compatibili con la effettiva realizzazione dell'illecito penale.
l'art 56, commi 3 e 4 prevedono la mutazione del proposito dell'agente, che desiste dall'azione criminosa già iniziata, stabilendo una pena solo per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano di per sé un reato diverso e che, se volontariamente l'agente impedisce 'l'evento, soggiace alla pena stabilita per il tentato delitto, diminuita da un terzo alla metà. Queste situazioni sono la desistenza volontaria e il recesso attivo.
Secondo la dottrina l'ordinamento farebbe affidamento sulla promessa di impunità come spinta psicologica contro quella di agire (cd ponte d'oro). Si obietta però che la funzione di incentivo non può essere conosciuta da tutti i rei. Si pensa dunque che la giustificazione di questa norma sia di prevenzione generale e speciale: chi torna sui propri passi mostra di non possedere volontà criminose tali da giustificare il ricorso ad una pena rieducativa.
Si distingue tra desistenza e recesso in base alla differenza fra tentativo incompiuto e tentativo compiuto, così si ha desistenza volontaria quando l'agente recede da un'azione che non ha ancora completato e recesso attivo quando l'azione criminosa è compiutamente realizzata, ma l'agente riesce ad impedire il verificarsi dell'evento lesivo. Entrambi devono verificarsi volontariamente per poter accedere allo sconto di pena, l'accertamento della volontà prescinde dalla meritevolezza del motivo del cambio di proposito, è sufficiente che la scelta non sia influenzata da circostanze esterne.
I delitti di attentato si caratterizzano perché è considerato reato perfetto il compimento di atti diretto a offendere un bene, in genere nel settore dei delitti contro la personalità dello stato. Ci si chiede se abbiano rilevanza i soli tentativi o anche gli atti preparatori: il codice Zanardelli solo gli atti esecutivi potevano conurare sia il tentativo, sia l'attentato; il codice Rocco ha invece retrocesso la soglia della punibilità, equiparando l'attività preparatoria sia nel tentativo che nell'attentato, anche se poi la giurisprudenza del tentativo ha sempre richiesto atti esecutivi. Ad oggi si ritiene che, per la punibilità dell'attentato, sia richiesta attività idonea a ledere il bene protetto, escludendo cosi le attività preparatorie.
l'art 49 comma 2 esclude la punibilità quando per inidoneità dell'azione o inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento danno o pericoloso, ma l'ultimo comma permette al giudice di ordinare al prosciolto una misura di sicurezza. C'è chi ritiene superfluo questo articolo e chi ne desume il criterio generale che non c'è reato se non c'è una lesione o una messa in pericolo effettiva del bene protetto. In realtà, di fronte a condotte formalmente conformi a una fattispecie criminosa, ma di fatto innocue, il ricorso a questo articolo legittimerebbe la valutazione realistica che porta ad escludere l'esistenza del reato e quindi la punibilità del fatto.
Il concorso di persone nel reato si ha nei casi in cui più persone concorrono alla realizzazione di un medesimo reato. L'orientamento prevalente distingue il concorso dall'associazione a delinquere in base al vincolo stabile e al programma criminoso fra i soggetti che quest'ultima prevede, mentre il concorso è un vincolo occasionale circoscritto alla realizzazione di uno o più reati determinati. Si distingue inoltre tra concorso eventuale e concorso necessario: questo ricorre quando è la stessa fattispecie a richiedere l'azione di più persone (rissa).
Le fattispecie oggigiorno sono modellate sulla ura dell'autore individuale: non sono dunque direttamente applicabili ai concorrenti che apportano un contributo al fatto, ma con atti da soli non sufficienti a integrare la ura di reato; occorrerà dunque una norma che integri la norma speciale della fattispecie. Il legislatore potrebbe dunque decidere fra la tipizzazione delle forme di partecipazione, distinguendole e fra un modello unitario di tipizzazione causale, così che tutte le condotte efficaci nei confronti della lesione siano inserite nel concorso a prescindere dal ruolo svolto. Nel codice Rocco è adottato proprio questo secondo modello, che si basa sull'efficienza causala della condotta, senza distinguere i ruoli, ma comminando la stessa pena a chiunque apporti un contributo causalmente riconducibile al reato. Nonostante ciò, l'art 114 smorza i toni stabilendo che il giudice che ritenga che la partecipazione di taluni sia stata di minima importanza, possa diminuirne la pena.
I requisiti strutturali per il concorso sono:
pluralità di agenti
realizzazione della fattispecie
contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato
elemento soggettivo
si parla di concorso se il reato è commesso da più soggetti, indipendentemente dalla non punibilità di taluno, per ragioni inerenti alla sua persona (art 112 e 119).
Riconducono al concorso:
costringimento fisico o psichico a commettere il reato
reato commesso per errore determinato dall'altrui inganno
determinazione in altri dello tato di incapacità per far commettere il reato
determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile.
Anche la fattispecie concorsuale ha elemento oggettivo e elemento soggettivo. I contributi dei concorrenti devono puntare alla comune realizzazione del reato, indipendentemente dal ruolo rivestito. È ammesso il concorso in delitto tentato, qualora vi sia comune realizzazione di atti idonei a commettere il reato. Ex art 115 nessuno è punibile per essersi accordato, se all'accordo non segue la messa in atto del reato, non è punibile nemmeno chi ha istigato altri se il reato non è stato commesso; lo stesso articolo però, in nome della manifesta pericolosità sociale, permette al giudice l'attribuzione della libertà vigilata.
Si distingue fra concorso materiale e concorso morale: il primo prevede l'intervento personale negli atti e il secondo l'impulso psicologico alla realizzazione del reato stesso. Nel concorso materiale si distingue fra l'autore del reato, che compie gli atti esecutivi (e il coautore) e l'ausiliario (o complice), che apporta aiuto materiale nella preparazione o esecuzione del reato.
Si discute sul fondamento della punibilità del complice e l'orientamento tradizionale esige che l'azione del complice sia fondamentale all'esecuzione del fatto punibile, ma questo criterio restringerebbe troppo l'area del concorso: ci sono forme di complicità meritevoli di punizione anche se non indispensabili all'esecuzione. Altra parte della dottrina sostiene che sia punibile anche la causalità di agevolazione o di rinforzo, per allargare l'area di punibilità o, ancora c'è chi sostiene che basta che l'azione appaia ex ante idonea a facilitare la commissione del reato. Entrambe queste teorie sono passibili di obiezioni insuperabili. Assume rilevanza penale la condotta di partecipazione, ma anche quella che si limita a facilitare o agevolare la realizzazione del reato, è fondamentale però la catena causale tra antecedente e evento concreto, mentre è irrilevante la circostanza che un evento analogo avrebbe potuto verificarsi come conseguenza di fattori ipotetici rimasti inoperanti.
Per quanto riguarda il concorso morale si distingue tra determinatore, definito come il tecipe che fa sorgere il proposito criminoso, e istigatore, che si limita a rafforzare o eccitare in altri un proposito già esistente. Chi fa nascere l'intento criminoso è, verso la lesione del bene, in un ruolo più decisivo rispetto a chi si limita ad eccitare chi un proposito lo ha già. La punibilità si desume in negativo dall'art 115, comma 3, dove stabilisce la non punibilità dell'istigazione rimasta nel vuoto.
Per il concorso è necessario anche l'elemento soggettivo: la coscienza e la volontà del fatto (dolo) e la volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un reato. Si esclude che la volontà di pluralità presupponga un previo accordo o la reciproca consapevolezza dell'altrui concorso, è sufficiente la coscienza unilaterale del contributo. Però se tutti i soggetti operano all'insaputa l'uno dell'altro, si avranno distinti e autonomi reati monosoggettivi.
Si discute sull'ammissibilità della partecipazione dolosa a delitto colposo e della partecipazione colposa a delitto doloso. Nel primo caso, se venisse negata, ci sarebbero ingiuste impunità, sennonché un argomento risponde diversamente: l'art 110 stabilisce che il concorso si riferisce allora stesso reato, escludendo così la conurazione di un reato doloso e uno colposo nello stesso concorso (salve esplicite disposizioni di legge). Nel secondo caso si richiama il principio per cui la responsabilità colposa presuppone una espressa previsione legislativa (art 113 ammette espressamente solo la cooperazione nel delitto colposo).
Il concorso è ammesso nelle contravvenzioni dolose, in quanto l'art 110 parla di reati, ma è problematico l'ambito delle contravvenzioni colpose in quanto l'art 113 parla esplicitamente di delitti. Secondo l'orientamento prevalente l'art 110 comprende anche le contravvenzioni colpose, a sostegno di ciò si osserva che la genericità di 'reato' richiama i criteri soggettivi di imputazione delle contravvenzioni dell'art 42, l'art 113 menzionerebbe solo i delitti per estendere a questi la disciplina del concorso colposo già implicito per le contravvenzioni nell'art 110. Si obietta però che, così facendo, si attribuisce una troppo vasta portata ad una norma implicita.
l'applicazione delle aggravanti è obbligatoria:
l'art 112 aggrava la pena per l'ipotesi di cinque o più correi. Il calcolo prescindere dalla colpevolezza, punibilità o imputabilità dei singoli
per chi ha promosso, organizzato e diretto la partecipazione, per colpire maggiormente chi ricopre una posizione di comando. È promotore chi ha ideato, organizzatore chi ha predisposto il progetto, direttore chi guida e amministra l'evento
per chi, con la sua autorità, direzione o vigilanza, ha spinto a compiere un reato, per punire l'abuso di supremazia psicologica
per chi ha spinto a commettere reato un minore di anni 18 p un infermo di mente o si è avvalso di questi per la commissione di un delitto per cui è previsto l'arresto in flagranza. La pena è aumentata fino alla metà (2/3 se è il genitore).
L'applicazione delle attenuanti è facoltativa, il giudice può diminuire la pena se l'azione prestata ha avuto minima importanza o se il soggetto è stato costretto a compiere il reato perché in stato di coercizione psicologica o di minorità o semi infermità mentale.
l'art 116 disciplina il caso in cui il reato commesso sia diverso (inteso come diversità di nomen juris) da quello voluto da taluno dei correi: anche questi ne risponde, se è conseguenza della sua azione o omissione e se il reato è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi voleva il reato meno grave. Si conura così responsabilità oggettiva, rigorosa ai fini di disincentivare il concorso. Per mitigare il principio, la giurisprudenza minoritaria subordinava la punibilità all'ulteriore requisito della previsione dell'evento diverso. La consulta, però, ha sostenuto che la responsabilità ex art 116 poggia su un rapporto materiale, ma anche psicologico e il reato diverso più grave deve rappresentarsi nella psiche dell'agente come conseguenza logica, rendendo così presente un coefficiente di colpevolezza.
È riconosciuto che un soggetto privo della qualità personale, possa concorrere alla commissione di un reato proprio realizzato da un soggetto qualificato. L'estraneo contribuisce con comportamento partecipe alla lesione del bene protetto, è però necessaria la consapevolezza di concorrere ad un reato proprio, con la conoscenza della qualifica dell'intraneus. Se la qualifica di uno dei correi non è determinante ai fini dell'esistenza del reato, ma comporta solo la diversa qualificazione giuridica dello stesso, e l'estraneus è a conoscenza della stessa qualifica: si conura comunque concorso in reato proprio.
E se l'estraneus ignora questa qualifica? Per l'art 117 il giudice può diminuire la pena pur nel considerarli colpevoli dello stesso reato dell'intraneus e di chi sapeva. In ogni caso parte della dottrina pretende la conoscenza della qualifica dell'intraneus. Ci si chiede se, per la modifica del titolo di reato, sia necessario che l'intraneus sia l'esecutore o se invece questo possa anche essere l'estraneus: secondo la correte prevalente il ruolo tenuto dall'intraneus è indifferente.
Il vecchio articolo 118 prevedeva una disciplina diversa a seconda del carattere oggettivo o soggettivo delle circostanze: le prime erano valutate per tutti i correi anche se non conosciute, le seconde si applicavano solo al soggetto a cui si riferivano (a meno che si trattasse di una aggravante che agevolava la consumazione del reato).
Il nuovo 118 si limita a valutare le circostanze legate a motivi a delinquere, intensità del dolo, grado della colpa, imputabilità e recidiva solo riguardo alla persona a cui si riferiscono. Le altre circostanze, a tenore dell'art 59, seguono la regola della rilevanza oggettiva delle attenuanti (estendibili a tutti i tecipi) e della conoscenza e conoscibilità delle aggravanti.
A tutto sono estese le circostanze oggettive di esclusione della pena quali le cause di giustificazione e le scriminanti, che elidono l'antigiuridicità del fatto: se la causa di giustificazione fa venir meno il contrasto tra fatto e ordinamento, non possono essere illecite le condotte che concorrono allo stesso fatto. Non si comunicano le cause soggettive di esclusione della pena: se queste lasciano sussistere l'illiceità del fatto, facendo venir meno la punibilità per ragioni concernenti la persona del reo, sarebbe ingiustificato estendere gli effetti agli altri soggetti.
Per aversi desistenza volontaria, il concorrente che desiste può limitarsi a neutralizzare il suo contributo o deve impedire la consumazione del reato anche da parte degli altri rei? La desistenza ha modalità diverse, a seconda del ruolo rivestito. L'esecutore che desiste impedisce al reato di consumarsi, ma problematica è la posizione del semplice complice: se il contributo all'azione è già esaurito egli dovrà attivarsi per neutralizzare le conseguenze della collaborazione prestata. La desistenza è una causa personale di esclusione della pena, valida solo per i soggetti a cui di riferisce. Il pentimento operoso presuppone che l'azione collettiva sia giunta ad esaurimento e che uno dei concorrenti riesca ad impedire il verificarsi dell'evento lesivo.
Si ha concorso necessario quando è la disposizione incriminatrice che richiede la presenza di più soggetti; i reati sono distinguibili tra plurisoggettivi propri e impropri: i primi assoggettano a pena tutti i coagente, i secondi per norma puniscono solo uno o alcuni dei partecipanti.
Nei plurisoggettivi impropri si discute se il concorrente necessario esentato dalla norma possa essere responsabile per concorso eventuale: per il principio dell'art 5, la corrente tradizionale ritiene che non sia punibile a nessun titolo, il correo escluso.
Per quanto riguarda disciplina del concorso e reati di associazione bisogna evitare il rischio di attribuire una responsabilità di posizione ai capi per reati compiuti da altri associati, a titolo di concorso morale, occorre accertare in concreto alcuni requisiti minimi di effettiva istigazione: non basta che l'atto rientri nel programma criminale, è necessario che le disposizioni generali predeterminino almeno i tratti dei singoli comportamenti, una sorta di dolo.
La conurabilità di concorso esterno in reato associativo è controversa:non è concorso materiale, in quanto una condotta materiale dell'esterno pone gli estremi per rendere interna la partecipazione al fatto. Non si può partecipare dall'esterno e non far parte dell'associazione. Ai fini della conurabilità di una partecipazione interna punibile è decisivo lo spessore del contributo materiale fornito dal soggetto: saranno punibili come associati anche soggetti esterni, purché autori di comportamenti che avvantaggiano l'associazione e purché sia presente l'elemento soggettivo di partecipazione.
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