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La nuova
dichiarazione di inizio di attività -
L'istituto della denuncia di inizio di attività di cui all'art. 19 della
L. n. 241 cambia denominazione e disciplina. L'art. 3, c. 1, del D.L. n. 35 del
2005 viene riscritto per la terza volta all'art. 19 della L. n. 241. L'attuale
riforma amplia le ipotesi di attività liberalizzate e, nel contempo,
aumenta le esclusioni, ma soprattutto modifica la procedura di applicazione. La
nuova denominazione "dichiarazione di inizio di attività" pur
mantenendo
Ambito di applicazione ed esclusioni della dichiarazione di inizio di attività - Il sistema della dichiarazione si applica in tutti i casi in cui il rilascio dell'atto di consenso dipenda dall'accertamento di requisiti e presupposti previsti da atti amministrativi a contenuto generale. Le condizioni negative cui è subordinata l'applicazione della DIA sono tre: a) l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali; b) limite o contingente complessivo per il rilascio dei provvedimenti abilitativi; c) la nuova versione dell'art. 19 aggiunge la condizione che non devono essere previsti "specifici strumenti di programmazione settoriale". L'aggiunta dell'assenza di specifichi strumenti di programmazione settoriale nell'ambito dell'attività liberalizzata, limita notevolmente l'applicazione di questo istituto. Molte sono le esclusioni che la nuova disposizione collega alla tutela dell'ampia categoria dei cosiddetti "interessi sensibili (o forti) nella fattispecie: attività contingentate o soggette a pianificazioni di settore e per interessi tutelati difesa nazionale, pubblica sicurezza, salute, ecc.
Il procedimento della dichiarazione di inizio di attività - Nel nuovo schema previsto dall' art.
19 novellato il cittadino o l'impresa deve dichiarare l'intenzione di iniziare
l'attività, attendere trenta giorni e, se l'amministrazione resta
inerte, informarla che inizia effettivamente a svolgere l'attività. Ma nel
nuovo ordinamento, il privato avvia l'attività, dopo i primi trenta
giorni dalla dichiarazione, a suo esclusivo rischio, in quanto
l'amministrazione mantiene il potere di verifica e controllo anche nei trenta
giorni successivi allo stesso inizio dell'attività. L'intervento
dell'amministrazione può consistere in un provvedimento di divieto di
prosecuzione, oppure in un provvedimento con cui impone al privato di
conformare la sua attività alla normativa vigente. In questa secondo
caso, il privato ha la possibilità o di abbandonare l'esercizio
dell'attività o di conformarsi alla legge entro il termine assegnatoli,
che non può essere inferiore a trenta giorni. In altri termini,
l'interessato può proseguire la sua attività ma deve conformarla
alle indicazioni fornite dall'amministrazione stessa entro trenta giorni. La
nuova disposizione consente, in linea con i principi generali di
semplificazione della documentazione amministrativa, di sostituire le
certificazioni e le attestazioni richieste dalla normativa con
un'autodichiarazione ed estende anche alla DIA le modalità di
semplificazione disciplinati dall'articolo 18, commi 2 e 3, della stessa legge
Il provvedimento inibitorio e il potere di autotutela della dichiarazione di inizio di attività - L'amministrazione destinataria della DIA, a conclusione dell'istruttoria di "controllo", deve effettuare, entro il termine prescritto dalla norma, una delle seguenti scelte: a) non emettere alcun provvedimento, se sussistono i requisiti, i presupposti ed i fatti legittimanti l'esercizio dell'attività dichiarata; b) emettere un provvedimento negativo, per vietare la prosecuzione dell'attività ed eliminare gli eventuali effetti prodotti, se manca qualcuno degli elementi che legittimano lo svolgimento dell'attività; c) disporre l'adeguamento dell'attività a certe prescrizioni, se mancano elementi cui è possibile però rimediare. Nel caso in cui l'attività di controllo si concluda in senso negativo, l'emanazione del provvedimento deve essere preceduta da un'apposita comunicazione in analogia a quanto previsto dall'art. 10 - bis della L. n. 241 sul preavviso di rigetto dell'istanza. Questo accorgimento deve essere adottato a prescindere dalla soluzione che si intende dare al problema sulla natura giuridica della DIA. L'esigenza di coinvolgere l'interessato, che può già avere avviato l'attività economica, è più forte in questa fattispecie che nelle altre ipotesi di rigetto. Se l'amministrazione adotta un provvedimento motivato di adeguamento, deve evidenziare le irregolarità sanabili, evidenziare le prescrizioni normative, regolamentari ed amministrative alle quali conformarsi per regolarizzare l'attività e fissare un termine non inferiore a 30 giorni per provvedere alla loro regolarizzazione.Nell'ipotesi di richiesta di conformazione, l'amministrazione dovrà porre in essere una seconda attività di controllo, finalizzata a verificare soltanto se il privato abbia effettivamente posto in essere le azioni richieste ed abbia adeguato l'esercizio della sua attività imprenditoriale alle prescrizioni imposte dall'amministrazione. In questa seconda verifica, l'amministrazione non potrebbe rilevare ulteriori elementi ostativi allo svolgimento dell'attività oltre alle irregolarità indicate con il provvedimento di conformazione.Se è accertato il mancato adeguamento nel termine fissato, la pubblica amministrazione emette il provvedimento inibitorio, che prima aveva sospeso, ma sempre solo dopo averne dato preavviso ai sensi dell'art. 10-bis della stessa L. n 241. Se l'amministrazione competente non fa seguire all'attività istruttoria alcun provvedimento di divieto dell'attività o di rimozione degli effetti, oppure di prescrizione conformativa entro i 30 giorni dalla comunicazione dell'effettivo inizio, il potere di emettere atti inibitori previsto dalla prima parte del comma 3 dell'art. 19 della L. 241/1990 si estingue (contra, TAR Veneto, Sez. III, 4760/2002). L'amministrazione, pertanto, perde il potere di agire "in termine", esercitando le potestà che l'ordinamento le assegna, allo scopo di garantire il corretto e lecito esercizio delle attività economiche. Ciò non esclude che possa inibire successivamente l'attività, ma solo nell'esercizio del potere di autotutela, che è diverso per regole e limiti. La previsione in questa fattispecie di un espresso potere di annullamento o revoca in capo alla pubblica amministrazione necessità di una precisazione. In realtà, l'amministrazione può soltanto procedere all'annullamento, se riscontra che l'attività è esercitata in carenza delle condizioni e delle modalità legittimanti. Non potrebbe, invece, revocare, nonostante la diversa previsione normativa, in quanto la revoca, basandosi su una valutazione dell'interesse pubblico, può avere ad oggetto soltanto atti discrezionali e non attività vincolate come sono quelle cui si applica l'istituto della DIA.
Gli elementi
essenziali dell'istanza di inizio di attività - Le istanze per essere idonee ad avviare la DIA (o,
più in generale, il procedimento) devono contenere alcuni elementi
essenziali. La L. n. 241, che all'art. 21, c. 1, prevede che nell'istanza
presentata ai sensi degli articoli 19 e 20, l'interessato deve dichiarare di
essere in possesso dei requisiti e presupposti prescritti dalla legge ed
è necessario che l'istanza permetta, non solo di identificare il
richiedente, ma anche di individuare l'oggetto dell'attività
liberalizzata che si intende iniziare. Riassumendo, non tutte le istanze sono
idonee ad avviare la procedura della DIA, ma soltanto quelle complete degli
elementi essenziali legiferati ai due articoli suddetti: le generalità
del richiedente, l'oggetto dell'attività da avviare e
bl'autocertificazione sul possesso dei requisiti e presupposti previsti dalla
legge o dall'atto amministrativo generale per
Esproprio - Con l'entrata in vigore, il 30 giugno 2003, del Testo Unico sulle espropriazioni è possibile regolarizzare con procedimento amministrativo l'utilizzazione di beni privati oggetto di accessione invertita o occupazione acquisitiva. Trattasi della fattispecie secondo la quale la quale, nell'ipotesi di occupazione senza titolo di un fondo privato ad opera della pubblica amministrazione, nel momento in cui sul bene occupato è realizzata un'opera pubblica il suolo perde la sua connotazione originaria e riceve la stessa qualificazione di 'pubblico' che caratterizza l'opera nella sua unità. Le condizioni, da rilevare, per ricorrere al richiamato procedimento sono: a) accertamento di beni privati utilizzati senza titolo dalla pubblica amministrazione che non possono essere restituiti al privato in quanto trasformati irreversibilmente dall'opera pubblica realizzata ed ormai sottoposti alla disciplina dei beni demaniali o patrimoniali indisponibili; b) individuazione del periodo in cui si è concretizzato il fenomeno acquisitivo definendo in particolare se, in assenza di un regolare decreto di esproprio, si possa assumere la scadenza del periodo di occupazione legittima, se nel frattempo l'opera è stata realizzata, oppure il momento della trasformazione conseguente al completamento dei lavori qualora l'occupazione della proprietà privata abbia avuto in origine carattere abusivo (senza periodo di occupazione legittima) o se essa abbia acquistato tale carattere perché la trasformazione medesima è avvenuta dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima; c) individuazione dell'atto amministrativo (approvazione del progetto, piano urbanistico, ecc) che attesta la destinazione pubblicistica del bene per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità o in assenza, attestazione dell'utilizzo del bene per scopi di pubblico interesse; d) accertamento della posizione soggettiva dei proprietari dei beni occupati tenendo presente che il diritto del privato al risarcimento del danno, che la perdita del bene ha causato al suo patrimonio, nasce dal momento acquisitivo come individuato al punto b) e che dalla medesima data decorre il termine prescrizionale di cinque anni, entro il quale il privato medesimo deve agire o chiedere la condanna dell'ente; e) determinazione del danno tenendo presente che lo stesso deve essere liquidato con riferimento alla condizione del bene occupato al momento individuato al punto b) in cui, con la costruzione dell'opera pubblica, si è verificata la sostanziale perdita del bene da parte del proprietario e si è esaurita l'attività illecita dell'ente pubblico. Il risarcimento deve essere determinato, ai sensi di quanto disposto dal Testo Unico sulle espropriazioni, applicando le seguenti disposizioni: 1) per le occupazioni acquisitive anteriori al 30 settembre 1996, si applicano i criteri di cui all'art. 55 del medesimo testo unico; 2) per le occupazioni acquisitive posteriori al 30 settembre 1996 si applicano i criteri di cui all'art. 43, comma 6, del medesimo testo unico. Il richiamato art. 43 del Testo Unico prevede che, accertati i presupposti, l'amministrazione pubblica che utilizza il bene, disponga l'acquisizione del bene stesso al suo patrimonio indisponibile con un provvedimento amministrativo. Tenuto presente che i proprietari possono impugnare il provvedimento richiamato, anche esercitando un'azione volta alle restituzione del bene (proponibile qualora trattasi di occupazione usurpativa in mancanza di una regolare dichiarazione di pubblica utilità), è consigliabile comunicare ai medesimi l'avvio del procedimento affinché gli stessi prendano visione delle risultanze degli accertamenti eseguiti dall'ufficio la notifica è in particolare opportuna in presenza di contenzioso in corso o casi di prescrizione di diritti (come per esempio la decorrenza del termine quinquennale, in quanto la prescrizione non è rilevabile d'ufficio anche se deve essere opposta dalla parte che vi ha interesse (art. 2938 Cc), cioè dall'ente occupante, sul quale ricade l'onere di provare i fatti su cui l'eccezione si fonda (art. 2697, comma 2, Cc). La prescrizione può essere interrotta con un semplice atto che valga a costituire in mora il debitore (art. 2943 Cc). Accertata la situazione di fatto e di diritto, anche in contraddittorio con il proprietario a seguito della notifica di avvio del procedimento, può essere emesso l'atto d'acquisizione con i contenuti e le modalità di cui al secondo comma del medesimo art. 43.
SILENZIO - ASSENSO - In base alla L. 241/90 come novellata dalla L.15/05, la PA aveva l'obbligo di concludere ogni procedimento, avviato obbligatoriamente su istanza di parte o d'ufficio, con un provvedimento espresso, sancendo in tal modo un diritto del privato alla conclusione del procedimento. I casi in cui si poteva derogare all'emissione di un atto formale conclusivo del procedimento e in cui le funzioni di quest'ultimo venivano legittimamente integrate da un comportamento inerte della PA erano tassativamente previste dalla legge e prendevano il nome di silenzio-assenso e silenzio-rigetto, species del genus 'silenzio significativo'. In tali casi, perciò, il comportamento omissivo della PA aveva un valore legale tipico ed era in grado di ben surrogare un provvedimento formale conclusivo dell'iter procedimentale sia in funzione di accoglimento dell'istanza (silenzio assenso), sia in funzione di rigetto della stessa (silenzio rigetto). Al di fuori di questi casi specifici l'inerzia della PA era del tutto illegittima giacchè priva di alcun fondamento normativo che gli desse un valore legale tipico. Tali situazioni prendono il nome di silenzio rifiuto o silenzio inadempimento. Perciò, una volta scaduti i termini di conclusione del procedimento, se la PA non aveva ancora provveduto il suo silenzio poteva considerarsi legittimo in casi espressamente previsti dalla legge o illegittimo nelle restanti ipotesi, aprendo in tale ultimo caso la via del ricorso al TAR secondo le forme dettate in proposito, in specie per ultimo, dalla L. 15/05. Con il decreto sulla competitività DL 35/05, invece, si ribaltano drasticamente i termini della questione, giacchè, con un meccanismo simile a quello usato dalla riforma del Titolo V Parte II della Costituzione che ha ribaltato la potestà legislativa tra Stato e Regioni (infatti quella del primo è diventata residuale mentre quella delle seconde è diventata di carattere generale riguardando tutte le materie non riservate allo Stato), il silenzio assenso diviene regola generale laddove il silenzio rifiuto viene previsto in ipotesi tassativamente previste quali l'ambiente, la sicurezza, l'immigrazione, il patrimonio culturale e paesaggistico, la salute, la pubblica incolumità, per le quali si richiede invece l'adozione di un formale provvedimento amministrativo pena l'integrazione del silenzio inadempimento. Al riguardo, è ampliato il termine di conclusione del procedimento che è passato da trenta a novanta giorni; si dà alla PA, in caso si debbano sentire altri soggetti pubblici, la possibilità di convocare la conferenza di servizi con interruzione dei termini per maturare il silenzio assenso. Inoltre, si prevede la possibilità di sospendere il decorso del tempo procedimentale, per non più di novanta giorni, per acquisire valutazioni tecniche da altre PA. Dal carattere generale del silenzio assenso, perciò, emerge quello residuale del silenzio inadempimento, che si integrerà solo quando la PA, investita di un'istanza concernente una delle materie escluse dalla sfera del silenzio assenso, ometta di provvedere. In tal caso il suo comportamento sarà inadempiente e si aprirà la procedura giurisdizionale. Ciò su cui il decreto competitività ha veramente innovato è stato un punto estremamente dibattuto in giurisprudenza: i poteri cognitori del giudice investito del ricorso avverso un silenzio-inadempimento della PA, o meglio la possibilità per lo stesso di sindacare il merito della domanda la sua fondatezza e non limitarsi solamente all'accertamento dell'illegittimità del comportamento del soggetto pubblico investito dell'istanza da parte del privato. Con il decreto sulla competitività DL 35/05 si è sancita la norma relativa al giudice amministrativo dando a questi la possibilità di conoscere della fondatezza dell'istanza, di usare perciò un sindacato che investa anche il merito. In tal modo i numerosi dubbi che aveva suscitato in un dibattito giuridico la decisione dell'Adunanza Plenaria, dubbi che investivano, anzittutto, l'oggetto del giudizio vengono sciolti.
Come comportarsi nei casi in cui si riscontrasse un diritto soggettivo a fronte dell'attività vincolata della PA? Il problema da affrontare è di giurisdizione, giacchè i diritti soggettivi richiedono forme di tutela e di cognizione diverse rispetto agli interessi legittimi. Con il dl 35/05, si pone ad ogni dubbio. Infatti, oggi, il GA, investito di un ricorso avverso il silenzio inadempimento della PA, non si limiterà più ad accertare la sussistenza dell'inadempimento, ossia il superamento del termine fissato per la conclusione del procedimento senza l'emanazione di alcun provvedimento, ma punterà gli occhi anche sulla bontà dell'istanza del privato per verificare se essa meriti o meno accoglimento. Se l'esito sarà positivo il giudice imporrà alla PA di adottare un provvedimento di accoglimento. Se la PA risulti inadempiente alla pronuncia il giudice nominerà, su istanza di parte un commissario ad acta perché provveda in luogo dell'amministrazione; tale commissario, verificato l'inadempimento adotterà il provvedimento in luogo della PA.
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