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L'organizzazione amministrativa: profili generali

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L'organizzazione amministrativa: profili generali

Introduzione.

Ciascun ordinamento oltre a riconoscere la soggettività  e la capacità giuridica a tutte le persone fisiche, istituisce altri soggetti-persone giuridiche e questo vale anche per le persone giuridiche pubbliche.

La dottrina e la giurisprudenza riconoscono come soggetti di diritto - e dunque come centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive - anche organizzazioni che non hanno la personalità giuridica quali le associazioni non riconosciute (dette "ure soggettive"), le associazioni sindacali, i ministeri, le amministrazioni autonome e le autorità indipendenti non aventi personalità giuridica.

I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: Gli enti pubblici.

I soggetti di diritto pubblico costituiscono nel loro complesso l'amministrazione in senso soggettivo, che si articola nei vari enti pubblici. Essi sono dotati di capacità giuridica e come tali sono idonei ad essere titolari di poteri amministrativi: in questo senso possono essere definiti come centri di potere.



Accanto all'amministrazione statale, vi sono le amministrazioni regionali nonché gli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti dall'ordinamento generale in quanto portatori di interessi pubblici.

L'amministrazione statale (ma anche quella regionale e locale) si articola in una serie di enti variamente collegati alla prima, ma da questi distinti in quanto provvisti di propria personalità.

Nel corso del tempo, accanto agli enti territoriali nazionali, si sono aggiunti enti privati e soggetti che rappresentano anche espressioni spontanee che svolgono attività rilevanti per la comunità, e per tale motivo sono stati riconosciuti come enti dall'ordinamento.

Il mutamento del ruolo dello Stato, che, da soggetto chiamato ad intervenire direttamente ed in prima persona nella società e nell'economia, tende a conurarsi sempre più come soggetto regolatore, ha agevolato il fenomeno della creazione di amministrazioni indipendenti e la vicenda della privatizzazione degli enti.

Il problema dei caratteri dell'ente pubblico.

L'art.97 Cost. stabilisce il principio generale secondo cui "i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge", e l'art. 4 della Legge 70/1975 afferma che "nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge".

La norma costituzionale esprime il principio essenziale secondo cui spetta all'ordinamento generale e alle sue fonti individuare le soggettività che operano al suo interno.

Molti enti (consorzi, aziende speciali e così via) continuano comunque ad essere istituiti da altri enti pubblici con determinazioni amministrative "sulla base di legge" e non "per legge", pertanto si distingue in dottrina tra conurazione astratta e istituzione concreta dell'ente.

La questione dell'individuazione degli enti pubblici è stata risolta dalla giurisprudenza utilizzando una serie di indici "esteriori", che qualificano l'ente se valutati nel loro complesso.

Tra questi indici di pubblicità si ricordano la costituzione dell'ente ad opera di un soggetto pubblico; la nomina degli organi direttivi in tutto o in parte di competenza dello Stato o di altro ente pubblico; l'esistenza di controlli o di finanziamenti pubblici; l'attribuzione di poteri autoritativi.

La definizione di ente pubblico e le conseguenze della pubblicità.

L'elemento essenziale della pubblicità di una persona giuridica va ricercato considerando la particolare rilevanza pubblicistica dell'interesse perseguito dall'ente.

L'interesse è pubblico quando la legge l'abbia imputato ad una persona giuridica, tenuta giuridicamente a perseguirlo: di qui il riconoscimento della "pubblicità" di quella persona giuridica.

L'ente pubblico è istituito con una specifica "vocazione" allo svolgimento di una peculiare attività di rilevanza collettiva.

L'ente pubblico non può disporre della propria esistenza, a differenza dei soggetti privati, che possono decidere di ritirarsi e cioè di smettere l'attività, oppure modificare l'oggetto della stessa.

Non è sempre facile individuare l'imputazione legislativa dell'ente, ma si ritiene che possano esserci alcuni elementi rivelatori, quali il finanziamento pubblico e l'utilizzo di denaro pubblico da parte dell'ente.

Tale criterio trova conferma negli artt. 11 e 14 della Legge 59/1997 i quali prevedono la trasformazione in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato degli enti nazionali che "non svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico".

Agli enti pubblici economici non vengono riconosciuti poteri autoritativi.

La qualificazione di un ente pubblico è importante perché comporta conseguenze giuridiche di rilievo.

a)  Soltanto gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno efficacia sul piano dell'ordinamento generale alla stessa stregua dei provvedimenti dello Stato, impugnabili davanti al giudice amministrativo. L'autonomia è intesa come possibilità di effettuare da sé le proprie scelte ed è altresì riferita alla possibilità di porre in essere norme generali ed astratte che abbiano efficacia sul piano dell'ordinamento generale (c.d. autonomia normativa), si pensi agli enti territoriali, i quali possono emanare statuti e regolamenti e prefissarsi anche obbiettivi e scopi diversi da quelli statali (c.d. autonomia di indirizzo).

In particolare dispone di autonomia di indirizzo la regione, in virtù della posizione di autonomia ad essa costituzionalmente riconosciuta.

La legge può poi attribuire agli enti l'autonomia finanziaria, cioè la possibilità di decidere in ordine alle spese e di disporre di entrate autonome, l'autonomia organizzativa che consiste nella possibilità di darsi un assetto organizzativo proprio anche diverso da modelli generali, l'autonomia tributaria che consiste nella possibilità di disporre di propri tributi, e l'autonomia contabile, cioè la potestà di derogare al normale procedimento previsto per l'erogazione di spese e l'introito di entrate ed in particolare la sussistenza di un bilancio distinto da quello degli altri enti.

La possibilità di agire per il conseguimento dei propri fini mediante l'esercizio di attività amministrativa che ha la natura e gli effetti di quella della pubblica amministrazione viene comunemente ricondotta alla nozione di autarchia.

b) Soltanto agli enti pubblici è riconosciuta la potestà di autotutela; l'ordinamento attribuisce cioè a tali enti la possibilità di risolvere un conflitto attuale o potenziale di interessi e, in particolare, di sindacare la validità dei propri atti producendo effetti incidenti su di essi.

L'autotutela costituisce di norma esercizio di funzione amministrativa attiva, e manifestazione di autotutela è pure le decisioni su ricorso amministrativo.

c)  Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono assoggettate ad un particolare regime di responsabilità penale, civile e amministrativa.

d) Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alla pubblica amministrazione; alcuni loro beni sono assoggettati ad un regime speciale.

e)  L'attività che costituisce esercizio dei poteri amministrativi è di regola retta da norme peculiari, quali quelle contenute nella L.241/1990 relativa ai procedimenti amministrativi.

f)   Gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato.

g) Nell'ipotesi in cui abbiano partecipazioni in una società per azioni, l'atto costitutivo può conferire agli enti pubblici la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci (art.2458 c.c.); la legge può attribuire allo Stato o ad altri enti pubblici tale possibilità anche in mancanza di partecipazione azionaria (art. 2459 c.c.).

h) Gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni (con lo Stato, la regione, il comune, a seconda dei casi), la cui intensità (strumentalità, dipendenza, ecc . ) varia in ragione dell'autonomia dell'ente.

Dai concetti di autotutela, autarchia e autonomia devono essere distinte le nozioni di autodichia e di autogoverno.

L'autodichia consiste nella possibilità, spettante ad alcuni organi costituzionali in ragione della loro peculiare indipendenza, di sottrarsi alla giurisdizione degli organi giurisdizionali comuni, esercitando la funzione giustiziale relativamente alle controversie con i propri dipendenti.

L'autodichia è riconosciuta alla Camera, al Senato e alla Corte costituzionale.

Il termine autogoverno indica la situazione che ricorre nell'ipotesi in cui gli organi dello Stato siano designati dalla collettività di riferimento, anziché essere nominati o cooptati da parte di autorità centrali.

Il problema della classificazione degli enti pubblici.

Gli enti possono essere suddivisi in gruppi in considerazione della finalità perseguita, e si distinguono in dottrina enti con compiti di disciplina di settori di attività, enti con compiti di promozione, enti con compiti di produzione di beni e di servizi in forma imprenditoriale, enti con compiti di erogazione di servizi pubblici.

In base al tipo di poteri attribuiti, si differenziano gli enti che posseggono potestà normativa dagli enti che fruiscono di poteri amministrativi e da quelli che fanno uso della sola capacità di diritto privato.

In ordine alle modalità con le quali viene organizzata la presenza di persone negli organi dell'ente si annoverano:

a)  Enti a struttura istituzionale, nei quali la nomina degli amministratori è determinata da soggetti estranei all'ente: si tratta di enti (ad esempio l'INPS) che presuppongono la destinazione di un patrimonio alla soddisfazione di un interesse; la prevalenza dell'elemento patrimoniale spiega l'ampia gamma di controlli cui questi enti sono tradizionalmente sottoposti.

b)  Enti associativi, nei quali i soggetti facenti parte del corpo sociale sottostante determinano direttamente o a mezzo di rappresentanti eletti o delegati le decisioni fondamentali dell'ente. In essi si verifica quindi il fenomeno della autoamministrazione. Questi enti possono essere caratterizzati dalla presenta di un'assemblea avente soprattutto compiti deliberanti. (ad esempio CONI, ordini e collegi professionali, accademie di natura pubblica).

In alcuni enti, poi, detti a struttura rappresentativa, i soggetti interessati determinano la nomina della maggioranza degli amministratori non direttamente, ma attraverso le proprie organizzazioni.

La Costituzione contempla all'art. 5 gli enti autonomi (autonomie locali), e ai fini della sottoposizione al controllo della Corte dei Conti, all'art. 100 Cost, quella degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

Agli enti autonomi la Costituzione riconosce una particolare posizione di autonomia in particolare a comuni, province, città metropolitane e regioni. Tali enti sono formazioni sociali entificate cui è attribuita autonomia di indirizzo, potendo essi esprimere un indirizzo politico (nel caso della regione) o politico-amministrativo anche confliggente con quello statale.

Il principio dell'autonomia nei limiti fissati dall'ordinamento è alla base della disciplina costituzionale delle università, delle istituzioni di alta cultura e delle accademie, cioè soggetti che possono "darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato" (art. 33 Cost.).

La legge ha di recente introdotto la categoria delle autonomie funzionali (art.1 D.Lgs 112/1998) o enti locali funzionali, per indicare quegli enti - università, camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, istituzioni scolastiche - ai quali possono essere conferiti funzioni e compiti statali.

L'art. 1 comma 4 lett. d, L.59/1997, esclude il conferimento a regioni, province e comuni dei compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale non solo dalle camere di commercio, ma anche dalle università degli studi.

Gli enti pubblici economici sono disciplinati nel codice civile (art. 2201 c.c., che si riferisce agli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale, art. 2221 c.c., che esclude dal fallimento gli enti pubblici) ed in altre norme di legge (ad esempio art.409 n.4 c.p.c. e art. 37 L.300/1970).

La classificazione contenuta nella L.70/1975 è importante, poiché per gli enti statali non economici (c.d. parastatali) pone una regolamentazione omogenea attinente al rapporto di impiego, ai controlli, alla gestione contabile, alla nomina degli amministratori.

Gli enti a struttura associativa sono presi in considerazione dalla legge al fine di sottrarli all'estinzione pura e semplice, in ragione del fatto che la formazione sociale cui essi sono esponenti non può cessare di esistere.

La Costituzione riconosce come dotati di autonomia gli enti territoriali: comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato.

Il territorio consente di individuare gli enti stessi nonché le persone che vi appartengono per il solo fatto di esservi stanziate, ossia, proprio e soltanto per questo collegamento con il territorio (residenza).

L'ente territoriale è politicamente rappresentativo del gruppo stanziato sul territorio e opera nell'interesse di tutto il gruppo, e ovviamente le sue funzioni sono individuabili in ragione del livello territoriale degli interessi stessi.

Soltanto gli enti territoriali possono essere titolari di beni demaniali, posti al servizio di tutta la collettività.

Gli enti pubblici non territoriali, pur esponenziali di gruppi sociali, sono accomunati in ragione del perseguimento di interessi settoriali, tanto è vero che vengono detti monofunzionali.

Il carattere atipico degli enti pubblici ha indotto ha introdurre regimi di diritto speciale, come la normativa inerente l'istituzione e la regolamentazione di una serie di enti pubblici detti "agenzie", (ad esempio l'agenzia per i servizi sanitari regionali istituita dal D.Lgs 266/1993 e avente compito di supporto alle attività regionali, l'agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni avente il compito di rappresentare l'amministrazione pubblica in sede di contrattazione collettiva nazionale; l'agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali istituita dall'art.17 c.76 L.127/1997 avente personalità di diritto pubblico e sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'Interno; l'agenzia spaziale italiana, riordinata con D.Lgs 128/2003 dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia scientifica, finanziaria, patrimoniale e contabile; l'agenzia per le erogazioni in agricoltura).

Il recente decreto di riforma dei ministeri (D.Lgs 300/1999) ha previsto l'istituzione di strutture sottoposte ad indirizzo e vigilanza ministeriale e svolgenti attività a  carattere tecnico-operativo di interesse nazionale. Tale decreto inoltre ha soppresso l'agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA) trasferendo le sue funzioni alla nuova Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici.

Relazioni e rapporti intersoggettivi e forme associative.

E' difficile individuare le relazioni intercorrenti tra i vari enti e la posizione assunta dagli uni nei confronti degli altri. ½ sono però alcune relazioni intersoggettive fondamentali che corrono tra enti territoriali e altri enti.

La situazione di strumentalità strutturale e organizzativa di un ente, stabilita dalla legge, nei confronti di un altro ente, nella quale il primo viene a rivestire una posizione simile a quella di un organo. Questa situazione implica che l'ente "principale" disponga di una serie di poteri di ingerenza, in particolare di direttiva, di indirizzo, di vigilanza, di approvazione degli atti fondamentali e di verifica nei confronti dell'ente subordinato. Un esempio di ente strumentale è costituito dalle aziende speciali che sono enti strumentali dei comuni ai sensi dell'art.114 del T.U. sugli enti locali, e gli enti dipendenti dalle regioni.

Gli enti che svolgono un'attività che si presenta come rilevante per un altro ente pubblico territoriale, in particolare per lo Stato, non si trovano generalmente in una posizione di strumentalità strutturale e organizzativa marcata.

Il maggior grado di autonomia è spesso determinato dalla loro preesistenza rispetto al riconoscimento come enti pubblici, e la dipendenza e la strumentalità hanno natura funzionale pur comportando l'assoggettamento dell'ente ad una serie di controlli e condizionamenti della loro attività. Esempi di tali enti si ritrovano nelle Camere di Commercio, nella SIAE e negli enti "parastatali".

Sono poi individuabili enti che non si pongono in relazione di strumentalità con lo Stato o con altri enti pubblici ed in questa categoria rientrano gli enti esponenziali e le formazioni sociali che godono della possibilità di determinarsi autonomamente (ad esempio gli ordini e collegi professionali, il Coni, le accademie di scienze ed arti che siano enti pubblici, gli enti locali non territoriali, ecc . ).

La vigilanza era tradizionalmente considerata una ura organizzatoria caratterizzata da poteri di ingerenza costituiti in particolare dal controllo di legittimità di un soggetto sugli atti di un altro, distinguendosi in ciò dalla tutela, che attiene ai controlli di merito. Il suo contenuto si estrinseca nell'adozione di una serie di atti, quali l'approvazione dei bilanci e delle delibere particolarmente importanti, nella nomina di commissari straordinari, nello scioglimento degli organi dell'ente, nella prefissione di indirizzi.

La direzione è caratterizzata da una situazione di sovraordinazione tra enti che implica il rispetto, da parte dell'ente sovraordinato, di un ambito di autonomia dell'ente subordinato. In particolare, la direzione si estrinseca in una serie di atti, le direttive, che determinano l'indirizzo dell'ente, lasciando allo stesso la possibilità di scegliere le modalità attraverso le quali conseguire gli obiettivi prefissati.

Dalle relazioni stabili occorre tenere distinti i rapporti che possono instaurarsi di volta in volta tra gli enti, si tratta dell'avvalimento e della sostituzione.

L'avvalimento era previsto dall'art.118 ultimo comma Cost., ma è stato cancellato dalla legge Cost. 3/2001, tuttavia esso è ancora presente perché previsto da una legge ordinaria (art.3 c.1 lett.f Legge 59/97), e consiste nell'utilizzo da parte di un ente degli uffici di un altro ente. Tali uffici svolgono attività di tipo ausiliario, ad esempi preparatoria o esecutiva, ma non costituisce deroga di competenze trattandosi di una vicenda interna di tecnica organizzativa.

Con il termine sostituzione si indica in generale l'istituto mediante il quale un soggetto (sostituto) è legittimato a far valere un diritto, un obbligo o un'attribuzione che rientrano nella sfera di competenza di un altro soggetto (sostituito) operando in nome proprio e sotto la propria responsabilità. Le modificazioni giuridiche che subiscono diritti, obblighi e attribuzioni incidono direttamente nella sfera del sostituito, in capo al quale si producono gli effetti o le conseguenze dell'attività posta in essere dal sostituto.

L'ordinamento disciplina il potere sostitutivo tra enti nei casi in cui un soggetto non ponga in essere un atto obbligatorio per legge o non eserciti le funzioni amministrative ad esso conferite, e la giurisprudenza sottolinea che il legittimo esercizio del potere di sostituzione richiede la previa diffida. Il potere sostitutivo in caso di inerzia può essere esercitato direttamente da un organo dell'ente sostituto, ovvero da un commissario nominato dall'ente sostituto.

In ordine ai poteri sostitutivi dello Stato sulla regione, la Corte costituzionale ha affermato che debba essere rispettato il principio della leale cooperazione, il quale impone allo Stato di intervenire soltanto dopo avere adottato le misure (informazioni attive e passive, sollecitazioni, ecc . ) idonee a qualificare l'intervento del sostituto come necessario a causa dell'inerzia della regione.

L'art. 5 D.Lgs 112/1998 disciplina i poteri sostitutivi dello Stato in caso di accertata inattività delle regioni e degli enti locali che comporti inadempimento agli obblighi comunitari o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali.

Ai sensi dell'art.120 c.2 Cost. infine, il Governo "può sostituirsi agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali", il comma 3 specifica che "La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione".

La delega di funzioni amministrative è ura che ricorre nei rapporti tra Stato e regioni e tra regioni e enti locali. In particolare, le regioni, secondo quanto disposto dall'art. 118 Cost (vecchia formulazione) esercitano in via normale le proprie funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni ed agli altri enti locali. Queste deleghe sono operate con legge (art. 118 c.2, art. 4 c.5 Legge 59/1997).

La recente riforma della Legge Costituzionale 3/2001 ha sostituito l'art.118 Cost, ed ha costituzionalizzato l'istituto del conferimento di funzioni amministrative ai vari livelli di governo locale sulla base dei "principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza".

Alcune forme associative, tradizionalmente distinte in federazioni e consorzi, possono essere costituite tra enti. Le federazioni di enti svolgono attività di coordinamento e di indirizzo dell'attività degli enti federati, nonché attività di rappresentanza degli stessi (ad esempio l'ACI, il CONI e le federazioni nazionali di ordini e collegi).

Alcune federazioni comprendono anche soggetti privati, ed altre possono costituire federazioni di diritto privato (come l'ANCI associazione nazionale dei comuni italiani).

I consorzi costituiscono una struttura stabile volta alla realizzazione di finalità comuni a più soggetti, spesso realizzano o gestiscono opere o servizi di interessi comuni agli enti consorziati, i quali restano comunque di regola titolari delle opere e dei servizi.

I consorzi pubblici possono essere classificati in entificati e non entificati, obbligatori e facoltativi; esistono poi consorzi formati soltanto da enti pubblici ovvero anche da privati.

I consorzi entificati sono enti di tipo associativo.

Nell'ambito delle forme associative tra enti, debbono altresì essere ricordate le unioni di comuni (art.32 T.U. enti locali), mentre caratteri simili ai consorzi hanno gli uffici comuni che gli enti locali possono costituire mediante convenzione, e che operano con personale distaccato degli enti partecipanti ai quali viene affidato l'esercizio di funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo.

La disciplina comunitaria: in particolare, gli organismi di diritto pubblico.

Il termine "amministrazione comunitaria" può essere impiegato per indicare l'insieme degli organismi e delle istituzioni dell'Unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi.

L'ordinamento comunitario riserva all'amministrazione degli Stati membri una peculiare disciplina in vista, essenzialmente, della tutela della concorrenza e dei mercati.

L'amministrazione pubblica condiziona il gioco della concorrenza sotto una duplice prospettiva: in quanto soggetto che, a mezzo di proprie imprese, presta servizi e produce beni in un regime particolare; e in quanto operatore che detiene una quota di domanda di beni e servizi.

La direttiva CEE 80/273 della Commissione, modificata dalla direttiva 85/413, definisce le "imprese pubbliche" come le imprese nei confronti delle quali i pubblici poteri possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che le disciplina.

L'amministrazione, al fine di soddisfare esigenze collettive, non avendo mezzi e organizzazioni sufficienti deve sovente ricercare contraenti sul mercato per affidare loro la realizzazione di opere o per richiedere prestazioni e beni di valore economico complessivo rilevantissimo.

Altra nozione di rilievo introdotta dal diritto comunitario è quella di organismo di diritto pubblico, ricompresa nella disciplina in materia di appalti tra le amministrazioni aggiudicatrici, ed assoggettandola alla specifica disciplina ispirata ai principi di concorrenza. Si tratta di organismi:

a)  istituiti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale;

b)  aventi personalità giuridica;

c)  la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito per più della metà da membri designati dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.

Le tre condizioni hanno carattere cumulativo.

Le ure di incerta qualificazione: in particolare, le società per azioni a partecipazione pubblica.

Le società a partecipazione pubblica sono soggette ad una disciplina particolare: l'art. 2449 c.c. prevede che, ove lo Stato (o altro ente pubblico) abbia partecipazioni azionarie, l'atto costitutivo possa ad esso conferire la facoltà di nominare amministratori o sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, nonché revocarli.

Questa eventualità è consentita dall'art.2450 c.c. anche quando l'ente non abbia partecipazione azionarie, allorché così disponga la legge o l'atto costitutivo.

E' frequente infatti il caso di società istituite direttamente ed unilateralmente dalla legge o di società a costituzione obbligatoria.

Si possono individuare almeno tre modelli:

le società a partecipazione pubblica regolate da leggi speciali e chiamate a svolgere funzioni pubbliche (ad esempio Patrimonio s.p.a., Infrastrutture s.p.a.) possono essere accostate alle società che risultano affidatarie di servizi in house senza necessità di una previa gara;

le società a partecipazione pubblica direttamente affidatarie di servizi pubblici locali; di norma la scelta del socio privato avviene a mezzo gara;

le società derivanti dal processo di privatizzazione;

Affidamento in house è il concetto delineato dalla giurisprudenza comunitaria con il quale si esclude che la disciplina sugli appalti trovi applicazione nei casi in cui tra amministrazione e imprese sussista un legame tale per cui il soggetto non possa ritenersi "distinto" dal punto di vista decisionale.

Il legislatore italiano, la fine di evitare di "mettere a gara" l'affidamento del servizio locale, ha utilizzato lo stesso schema nel settore dei servizi pubblici.

Il T.U. sugli enti locali, modificato dall'art.35 della Legge 448/2001 e dalla Legge 326/2003, prevede per i servizi locali di rilevanza economica tre forme di gestione:

a)  società pubbliche direttamente affidatarie del servizio come le società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b) società pubbliche direttamente affidatarie del servizio come le società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano nella logica della concorrenza e del mercato;

c)  affidamento del servizio a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare.

Per la disciplina relativa alla dismissione delle partecipazioni azionarie nelle società in cui sono stati trasformati gli enti privatizzati, l'art.2 D.L. 332/1994 convertito in legge 474/1994, modificato dalla L.350/2004, accanto ai limiti al possesso azionario e al divieto della cessione della partecipazione, consente allo Stato di mantenere poteri speciali (golden share: opposizione all'assunzione di partecipazioni che rappresentano almeno la ventesima parte del capitale sociale) esercitabili soltanto in caso di pericolo per "interessi vitali" dello Stato medesimo con riferimento alle società operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ricorre ente pubblico laddove lo statuto delle società per azioni e la disciplina delle dismissioni implichino la impossibilità di uno scioglimento: infatti l'esistenza e la destinazione funzionale della società sono predeterminate con atto normativo e rese indisponibili alla volontà dei propri organi deliberativi.

Le società a partecipazione pubblica maggioritaria sono assoggettate ad una disciplina di diritto speciale. Le società per azioni a partecipazione pubblica locale sono soggetti privati nei limiti in cui possano disporre della propria esistenza e del proprio oggetto.

I concessionari di opere e gli affidatari di servizi pubblici sono categorie di soggetti privati che presentano carattere pubblicistico, i quali, collocati in sul mercato in regime di libera concorrenza, sono assoggettati a settori c.d. esclusi allorché agiscano "in virtù di diritti speciali o esclusivi".

Sono diritti speciali o esclusivi i diritti costituiti per legge, per regolamento o in virtù di una concessione o di altro provvedimento amministrativo avente l'effetto di riservare ad uno o più soggetti l'esercizio di attività.

L'art. 2461 c.c. si occupa delle società di interesse nazionale estendendo ad esse la normativa di cui agli artt. 2458 e 2459 c.c. "compatibilmente con le disposizioni delle leggi speciali che stabiliscono per tali società una particolare disciplina circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori e dei dirigenti. Tra queste società si ricorda la RAI - tv, concessionaria del servizio pubblico.

Vicende degli enti pubblici.

La costituzione degli enti pubblici può avvenire per legge o per atto amministrativo sulla base di una legge, anche se in molti casi la legge si è limitata a riconoscere come enti pubblici organizzazioni nate per iniziativa privata.

Il legislatore non è libero di rendere pubblica qualsiasi persona giuridica privata, infatti esistono limiti costituzionali che tutelano le formazioni sociali, la libertà di associazione e altre attività private.

In ordine all'estinzione degli enti pubblici, essa può aprire una vicenda di tipo successorio (a titolo universale o particolare), ma l'estinzione può essere prodotta dalla legge o da un atto amministrativo basato sulla legge.

Quanto alle modificazioni degli enti pubblici, si possono ricordare il mutamento degli scopi, le modifiche del territorio degli enti territoriali, le modificazioni delle attribuzioni, la trasformazione da ente non economico a ente pubblico economico e le variazioni della consistenza patrimoniale.

Gli enti pubblici possono inoltre essere trasformati in persone giuridiche di diritto privato.

Anche il riordino degli enti pubblici può comportare l'estinzione degli stessi o la loro trasformazione in persone giuridiche private.

Recentemente, gli artt. 11 e 14 della Legge 59/1997 hanno conferito al governo la delega a emanare decreti legislativi diretti a "riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dalla assistenza e previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni controllate dallo Stato", individuando quale criteri e principi direttivi "la fusione o soppressione di enti con finalità omologhe o complementari, la trasformazione di enti per i quali l'autonomia non sia necessaria o funzionalmente utile in ufficio dello Stato o di altra amministrazione pubblica ovvero in struttura di università, con il consenso della medesima, ovvero la liquidazione degli enti inutili".

La privatizzazione degli enti pubblici.

La scelta di privatizzare gli enti pubblici è sostenuta da molte ragioni. Quando tale vicenda comporta la trasformazione dell'ente in società per azioni, questa è in grado di reperire capitale di rischio sul mercato ed ha una snellezza d'azione maggiore.

La privatizzazione è stata introdotta anche ai fini della riduzione dell'indebitamento finanziario (art.1 c.6 Legge 474/1994).

Più in generale la privatizzazione formale oltre che sostanziale comporta che il potere pubblico rinunci ad essere imprenditore e quindi incide sul modello di intervento pubblico nell'economia.

In realtà spesso il legislatore affida la gestione di interessi pubblici alle strutture privatizzate, ossia realizza una privatizzazione meramente formale, rimanendo il capitale nella totalità o nella maggioranza in mano pubblica.

Le tappe fondamentali della privatizzazione sono le seguenti:

L'ente pubblico economico viene trasformato in società per azioni (privatizzazione c.d. "formale", ovvero, "fase fredda" della privatizzazione) con capitale interamente posseduto dallo Stato.

Si procede poi alla dismissione della quota pubblica (privatizzazione c.d. "sostanziale", o "fase calda" della privatizzazione). Quest'ultima tappa è disciplinata dal D.L.332/1994 convertito in Legge 474/1994 modificato dalla L.350/2003, che fa riferimento a procedure trasparenti e non discriminatorie.

La privatizzazione interessa soggetti che operano in tre settori principali:

nella gestione di partecipazioni azionarie (Iri, Eni);

nei servizi di pubblica utilità (Enel, telecomunicazioni, gas, ecc . );

nel settore creditizio (istituti di credito di diritto pubblico);

L'ordinamento italiano conosce anche altre forme di privatizzazione, caratterizzate dal fatto che gli enti vengono trasformati in soggetti privati non aventi scopo di lucro, come per la trasformazione obbligatoria degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato disposta dal D.Lgs 367/1996.

Il D.Lgs 509/1994, inoltre, prevede la trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza.

Con il D.Lgs 419/1999 modificato dalla L.284/2002, sono state emanate norme in materia di privatizzazione, fusione, trasformazione e soppressione di enti pubblici nazionali, ridefinendo anche i compiti della SIAE.

I principi in tema di organizzazione degli enti pubblici.

Per realizzare i propri fini, l'amministrazione ha bisogno di un insieme di strutture e di mezzi personali e reali che è il risultato di una certa attività organizzativa la quale si deve svolgere nell'osservanza della Costituzione.

L'art. 97 Cost., che si riferisce letteralmente all'organizzazione, può essere letto come norma di ripartizione della funzione di indirizzo politico tra governo e parlamento poiché l'attività di organizzazione è espressione di quella di indirizzo e si desume la sussistenza di una riserva di organizzazione in capo al Governo, che può modellare le proprie strutture in ragione delle esigenze mutevoli che deve affrontare.

Un riconoscimento espresso di tale riserva di organizzazione è operato dall'art. 17 c.1 lett. d Legge 400/1988, che prevede la ura dei regolamenti governativi disciplinanti l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni di legge; altro ancora è l'art.14 bis della stessa legge, il quale stabilisce che l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei ministeri sono determinate con regolamento governativo su proposta del ministro competente, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il ministro del tesoro.

L'art. 97 si riferisce all'amministrazione statale, l'art. 117 c.6 Cost. prevede che comuni, province e città metropolitane abbiano "potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite", ed in questo caso la riserva di organizzazione è disposta proprio dalla Costituzione.

Debbono poi essere ricordati gli atti di organizzazione non aventi carattere normativo quali gli atti di istituzione di enti, di organi o di uffici, l'assegnazione agli organi dei titolari, gli accordi tra più amministrazioni che disciplinano attività di interesse comune, o costitutivi di consorzi.

Il potere di organizzazione è oggi espressamente disciplinano dagli artt.2 e 5 del D.Lgs 165/2001.

La prima norma afferma che le amministrazioni pubbliche definiscono "secondo i principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici" e "individuano gli uffici di maggior rilevanza".

La seconda norma stabilisce che le pubbliche amministrazioni assumono ogni determinazione organizzativa "con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro": alle determinazioni operative gestionali occorre garantire "adeguati margini" e, cioè, uno spazio di discrezionalità organizzativa.

L'organo.

La personalità giuridica delle organizzazioni è riferita alle situazioni giuridiche e ai rapporti giuridici. Per poter agire le organizzazioni potevano ricorrere a due istituti:

a)  la rappresentanza, alla stessa stregua di quella necessaria disposta per le persone fisiche incapaci di agire;

b) utilizzare la ura dell'organo;

Attraverso l'organo la persona giuridica agisce e l'azione svolta dall'organo si considera posta in essere dall'ente. L'organo non è separato dall'ente, quindi, a differenza di quanto accade nella rappresentanza, la sua azione non è svolta in nome e per conto di altri, e corrisponde all'attività propria dell'ente.

La capacità giuridica spetta comunque all'ente, che è centro di imputazioni di effetti e fattispecie.

L'organo è dunque uno strumento di imputazione e, cioè, l'elemento dell'ente che consente di riferire all'ente stesso atti e attività; spesso l'organo permette all'ente di rapportarsi con altri soggetti giuridici o comunque di produrre effetti giuridici.

Più in particolare l'organo va identificato nella persona fisica o nel collegio in quanto investito della competenza attribuita dall'ordinamento (ad esempio, il contratto stipulato dal dirigente comunale si considera concluso dal Comune).

In assenza del titolare, l'ordinamento indica colui che è chiamato a svolgere le relative funzioni. Tra persona fisica preposta all'organo e ente pubblico corre un rapporto giuridico, definito "rapporto di servizio".

I poteri vengono attribuiti soltanto all'ente avente la soggettività giuridica, ed esso si avvale di più organi, ognuno di essi, pur senza esserne titolare, esercita una quota di quei poteri, detta competenza.

La competenza è ripartita secondo svariati criteri: per materia, per valore, per grado o per territorio.

La competenza va tenuta distinta dall'attribuzione, che indica la sfera di poteri che l'ordinamento generale conferisce ad ogni ente pubblico.

L'imputazione di fattispecie in capo agli enti da parte di soggetti estranei alla loro organizzazione.

Tra le attività pubbliche che vengono esercitate da soggetti privati si pensi alle funzioni certificative spettanti al notaio, alle possibilità che concessionari emanino atti amministrativi o eroghino servizi pubblici, alla potestà spettante ai cittadini di procedere all'arresto in flagranza di reato, al potere degli interessati di produrre dichiarazioni sostitutive di certificazioni, alla possibilità di affidare ai terzi la riscossione dei tributi.

Il privato può agire direttamente in base alla legge, o in forza di un atto della pubblica amministrazione. Egli riceve spesso un compenso da parte dell'ente pubblico oppure da utenti che fruiscono della sua attività. L'attività si conura nei confronti dei terzi come pubblicistica, alla stessa stregua di quella che avrebbe posto in essere l'ente pubblico sostituito.

Classificazione degli organi.

Sono esterni gli organi competenti ad emanare provvedimenti o atti aventi rilevanza esterna (i dirigenti, ad esempio, adottano gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno). Gli organi procedimentali (o organi interni) sono quelli competenti ad emanare atti aventi rilevanza endoprocedimentale.

Organi centrali sono quelli che estendono la propria competenza all'intero spettro dell'attività dell'ente; gli organi periferici, viceversa, hanno competenza limitata ad un particolare ambito di attività, di norma individuato secondo un criterio geografico.

Gli organi ordinari sono previsti nel normale disegno organizzativo dell'ente, mentre gli organi straordinari operano invece in sostituzione degli organi ordinari (in genere detti "commissari").

Gli organi permanenti sono stabili, gli organi temporanei svolgono funzioni per un limitato periodo di tempo (ad esempio le commissioni per i concorsi).

Gli organi attivi sono competenti a formare ed eseguire la volontà dell'amministrazione; gli organi consultivi rendono pareri; gli organi di controllo sindacano l'attività posta in essere dagli organi attivi.

La distinzione rispecchia quella tra attività amministrativa attiva (che ha la finalità di curare gli interessi pubblici: c.d. amministrazione attiva), attività consultiva (mediante la quale vengono espressi pareri) e attività di controllo (la cui finalità è quella di verificare l'attività amministrativa attiva alla luce di un parametro prefissato).

Gli organi rappresentativi sono quelli i cui componenti, a differenza degli organi non rappresentativi, vengono designati o eletti dalla collettività che costituisce il sostrato dell'ente. Tipico esempio di organo rappresentativo è il sindaco, mentre organo non rappresentativo è, ad esempio, il prefetto.

Vi sono poi organi con legale rappresentanza e consistono in particolari tipi di organi esterni, cioè che esprimono la volontà dell'ente nei rapporti contrattuali con i terzi e che, avendo la capacità processuale, conferisce la procura alle liti per agire o resistere in giudizio.

Per espressa volontà di legge, alcuni organi sono dotati di personalità giuridica (e sono detti organi con personalità giuridica o organi-enti), profilandosi come titolari di poteri e come strumenti di imputazione di fattispecie ad altro ente (in quanto organi di quest'ultimo), un esempio è l'ISTAT, alla dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri con compiti relativi alle indagini statistiche interessanti le amministrazioni statali.

Sono organi monocratici quelli il cui titolare è una sola persona fisica. Negli organi collegiali si ha la contitolarità di più persone fisiche considerate nel loro insieme.

Le ragioni per cui si procede all'istituzione dell'organo collegiale sono quella di riunire in un unico corpo i portatori di interessi differenti e/o far confluire nel collegio più capacità professionali e tecniche.

L'esercizio delle competenze dell'organo collegiale avviene mediante deliberazione, la cui adozione segue un procedimento che, solitamente, consta delle seguenti fasi:

convocazione del collegio, cioè l'invito contenente l'ordine del giorno, a riunirsi in un certo luogo in una certa data;

presentazione di proposte sui punti all'ordine del giorno;

discussione

votazione

Occorre distinguere tra quorum strutturale e quorum funzionale. Il primo indica il numero dei membri che devono essere presenti affinché il collegio sia legittimamente costituito (nei collegi perfetti si impone la presenza di tutti i componenti); il quorum funzionale indica il numero di membri presenti che debbono esprimersi favorevolmente sulla proposta affinché questa si trasformi in deliberazione.

Nei c.d. collegi perfetti non è ammessa l'astensione; negli altri casi l'astenuto è considerato come assente o come votante, in quest'ultimo caso, il voto di astensione non riduce il computo dei votanti in ragione del quale deve essere calcolato il quorum funzionale e, dunque, equivale a voto negativo.

La deliberazione si perfeziona con la proclamazione fatta dal Presidente: le sedute vengono documentate attraverso processi verbali redatti dal segretario e servono ad esternare la deliberazione adottata.

Relazioni interorganiche. I modelli teorici: la gerarchia, la direzione ed il coordinamento.

Tra gli organi di una persona giuridica pubblica possono istaurarsi relazioni disciplinate dal diritto.

La gerarchia esprime la relazione di sovraordinazione-subordinazione tra organi diversi.

L'omogeneità delle competenze giustifica i poteri spettanti al superiore gerarchico e il dovere di obbedienza di quello inferiore.

Più in particolare, i poteri caratteristici della relazione gerarchica sono:

a)  il potere di ordine (che consente di vincolare l'organo subordinato ad un certo comportamento nello svolgimento della propria attività) di direttiva (mediante la quale si indicano fini e obbiettivi da raggiungere, lasciando un margine di scelta in ordine alle modalità con cui conseguirli) e di sorveglianza sull'attività degli organi subordinati, i quali possono essere sottoposti a ispezioni e inchieste;

b)  potere di decidere i ricorsi gerarchici proposti avverso gli atti dell'organo subordinato;

c)  potere di annullare d'ufficio e di revocare gli atti emanati dall'organo subordinato;

d)  potere di risolvere i conflitti che insorgano tra organi subordinati;

e)   poteri in capo all'organo superiore di avocazione (per singoli affari, per motivi di interesse pubblico, indipendentemente dall'inadempimento dell'organo inferiore) e sostituzione (a seguito di inerzia dell'organo inferiore).

Il potere di delega spettante al superiore sussiste soltanto nei casi previsti dalla legge.

Il potere di emanare ordini relativamente alle funzioni ed alle mansioni dell'inferiore gerarchico esclude la possibilità di scelta di quest'ultimo, facendo sorgere il dovere di eseguirlo, salvo che l'ordine stesso non contrasti con la legge penale. Se il dipendente ritenga l'ordine palesemente illegittimo, deve farne rimostranza al superiore, dichiarandone le ragioni, ma è poi obbligato ad eseguirlo se l'ordine viene rinnovato per iscritto (sempreché non si tratta di ordine criminoso artt. 16 e segg. T.U. 3/1957).

Altro tipo di relazione interorganica è la direzione, per la quale l'organo sovraordinato ha il potere di indicare gli scopi da perseguire, ma deve lasciare alla struttura sottoordinata la facoltà di scegliere le modalità e i tempi dell'azione volta a conseguire quei risultati. Nella direzione, l'organo sovraordinato ha più in particolare il potere di emanare direttive e quello di controllare l'attività amministrativa in considerazione degli obbiettivi da raggiungere.

Rispetto alla gerarchia, la direzione comporta la sostituzione del potere di dare ordini con il potere di emanare direttive, ma che non vincolano completamente l'organo inferiore, ed il controllo non riguarda gli atti come nella gerarchia, ma si svolge in via successiva e investe l'autorità.

In dottrina si individua una ulteriore relazione interorganica, il coordinamento, riferendolo a organi in situazione di equiordinazione preposti ad attività che, pur dovendo restare distinte, sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno unitario. Contenuto di tale relazione sarebbe il potere, spettante ad un "coordinatore", di impartire disposizioni idonee a tale scopo e di vigilare sulla loro attuazione ed osservanza.

Il coordinamento è definito dalla legge (es. art. 16, 17 e 25 D.Lgs 165/2001). I compiti di coordinamento possono essere riconosciuti ad un organo ad hoc oppure ad uno degli organi interessati al coordinamento (come gli organi collegiali). La possibilità che un "segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente comunque denominato" svolga funzioni di coordinamento di uffici dirigenziali di livello generale è infine prevista dall'art. 16 D.Lgs 165/2001.

L'esigenza di coordinamento tra l'azione di più soggetti pubblici è soprattutto soddisfatta attraverso l'utilizzo della conferenza di servizi.

Il controllo.

Il controllo è una importante relazione interorganica, che consiste nell'attività di verifica, esame e revisione dell'operato altrui. Nel diritto amministrativo il controllo costituisce un'autonoma funzione svolta da organi peculiari.

Il controllo consiste in un esame, da parte di un apposito organo, di atti e attività imputabili ad un altro organo controllato. Il controllo è svolto in ogni caso nell'ambito delle relazioni gerarchiche dove l'organo gerarchicamente superiore controlla l'attività dell'organo subordinato.

Il controllo, che è sempre doveroso, deve essere svolto nelle forme previste dalla legge, e si conclude con la formulazione di un giudizio, positivo o negativo, sulla base del quale viene adottata una misura.

Il controllo si divide in interno ed esterno a seconda che esso sia esercitato da organi dell'ente o da organi di enti diversi, un esempio di controllo interno è costituito dal controllo ispettivo.

Il controllo sugli organi degli enti territoriali è previsto, per quanto riguarda le regioni, dall'art.126 Cost. e dagli artt.141 e segg. T.U. sugli enti locali in ordine agli enti territoriali diversi dalla regione.

Il controllo può essere condotto alla luce di criteri di volta in volta differenti - conformità alle norme (controllo di legittimità, denominato vigilanza), opportunità (denominato tutela), efficienza, efficacia, ecc . - ed avere oggetti diversi tra loro: organi, atti normativi, atti amministrativi di organi individuali e collegiali, contratti di diritto privato, attività.

Le misure che possono essere adottate a seguito del giudizio sono di vario tipo: repressive (annullamento dell'atto), impeditive (le quali non eliminano l'atto ma ostano a che l'atto produca efficacia, come rifiuto di approvazione o visti), sostitutive (controllo sostitutivo).

Nel controllo sugli organi la misura è la sostituzione all'organo ordinario nel compimento di alcuni atti, in altri casi la misura è lo scioglimento dell'organo. Ancora diversa è la misura che consiste nell'applicazione di sanzioni ai componenti l'organo.

Nell'ambito dei controlli sugli atti si distingue tra controlli preventivi (rispetto alla produzione degli effetti degli atti) e successivi (i quali si svolgono quando l'atto ha già prodotto i suoi effetti).

In una via di mezzo tra controlli successivi e preventivi si collocano i controlli mediante riesame i quali procrastinano l'efficacia dell'atto all'esito di una nuova deliberazione dell'autorità decidente.

In particolare, il controllo di ragioneria nell'amministrazione statale ed il controllo della Corte dei Conti.

Un particolare tipo di controllo (contabile e di legittimità) è il controllo di ragioneria esercitato dagli uffici centrali di bilancio a livello centrale e dalle ragionerie provinciali a livello di organi decentrati delle amministrazioni statali, i quali provvedono alla registrazione degli impegni di spesa risultanti dai provvedimenti assunti dalle amministrazioni statali e possono inviare osservazioni sulla legalità della spesa senza che ciò abbia effetti impeditivi sull'efficacia degli atti.

Oggi gli uffici di ragioneria svolgono il controllo interno di regolarità amministrativa e contabile.

Controllo successivo esterno e costituzionalmente garantito è quello esercitato dalla Corte dei Conti "organo al servizio dello Stato-comunità" attraverso il meccanismo della registrazione e dell'apposizione del visto.

La Corte dei conti svolge anche altre importanti funzioni di controllo potendo "richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti".

Nel quadro dei controlli spettanti alla Corte dei conti si contemo:

a)  un controllo preventivo sugli atti;

b)  un controllo preventivo sugli atti che il Presidente del Consiglio dei ministri richieda di sottoporre temporaneamente a controllo o che la Corte dei conti deliberi di assoggettare per un periodo determinato a controllo "in relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevate in sede di controllo successivo";

c)  un controllo successivo sui titoli di spesa relativi al costo del personale, sui contratti e i relativi atti di esecuzione, in materia di sistemi informativi automatizzati, stipulati dalle amministrazioni statali e sugli atti di liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei pubblici dipendenti;

d)  un controllo successivo sugli atti "di notevole rilievo finanziario individuati per categorie ed amministrazioni statali" che le sezioni unite stabiliscano di sottoporre a controllo per un periodo determinato;

e)   un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, esercitato da una speciale sezione della Corte;

f)    un controllo sulla gestione degli enti locali effettuato dalla sezione delle autonomie: il controllo, originariamente  limitato agli enti locali con popolazione superiore a ottomila abitanti e poi esteso ad altri comuni e province si conclude con un referto al Parlamento.

La Legge 131/2003, nel dare attuazione all'art.118 Cost., ha individuato due nuove forme di controllo:

La Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea.

Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano il perseguimento degli obbiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli degli enti controllati;

g)  un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di previdenza comunitaria.

La Corte, nell'esercizio di una funzione ritenuta giurisdizionale, pronuncia il giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato (consistente nella certificazione di parità tra i conti della Corte medesima e quelli forniti dall'amministrazione del tesoro), accomnato da specifica relazione.

La disciplina del controllo preventivo risulta dalla combinazione della L.20/1994 e del T.U. Corte conti. Ai sensi dell'art.27 L.340/2000 l'atto trasmesso alla Corte conti diviene in ogni caso esecutivo trascorsi sessanta giorni dalla sua ricezione senza che sia intervenuta una pronuncia della sezione di controllo. L'esito del procedimento di controllo è comunicato dalla sezione nelle ventiquattro ore successive alla fine dell'adunanza e le deliberazioni sono pubblicate entro trenta giorni dalla data dell'adunanza stessa.

Il t.u. della Corte dei conti contempla anche il meccanismo della registrazione con riserva, il quale consente all'atto di venire vistato e registrato. In particolare, a fronte della ricusazione del visto, il Consiglio dei ministri può adottare una deliberazione con la quale insiste nella richiesta di registrazione: la Corte è chiamata a deliberare a sezioni riunite e, ove non riconosca cessata la causa del rifiuto ne ordina la registrazione e vi appone il visto con riserva.

La registrazione con riserva impegna la responsabilità politica dell'esecutivo: per questa ragione, ogni quindici giorni, la Corte dei conti trasmette al Parlamento un elenco con tutti i provvedimenti registrati con riserva.

La registrazione può essere richiesta anche con riferimento ad una o più parti dell'atto; l'atto che il governo ritenga debba avere corso diventa esecutivo se le sezioni riunite non abbiano deliberato entro trenta giorni dalla richiesta.

L'evoluzione normativa in tema di controlli. I controlli interni.

Il sistema italiano è stato per lungo tempo caratterizzato dalla prevalenza dei controlli preventivi di legittimità sui singoli atti.

Una svolta normativa è stata operata dal D.Lgs 286/1999 che stabilisce che le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della propria autonomia, debbano istituire i controlli interni, articolati in controllo di regolarità amministrativa e contabile, controllo di gestione, valutazione e della dirigenza e valutazione e controllo strategico.

Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è volto a garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa e deve rispettare i principi generali della revisione aziendale.

Il controllo di gestione costituisce la seconda tipologia di controlli interni e mira a "verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati". Il controllo di gestione è svolto da strutture e soggetti che rispondono ai dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa interessata e supporta la funzione dirigenziale.

Esso si articola nelle seguenti fasi, espressamente identificate con riferimento a quello relativo agli enti locali: rilevazione degli obiettivi, rilevazione dei dati relativi ai costi e dei risultati, valutazione dei dati in relazione agli obiettivi prefissati.

La valutazione della dirigenza è svolta da strutture e soggetti che rispondono direttamente ai dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa interessata. Tale valutazione ha ad oggetto "le prestazioni dei dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate" tenendo particolarmente conto dei risultati dell'attività e della gestione ed è collegata alla responsabilità dirigenziale.

Il c.2 dell'art.5 dispone che la valutazione abbia periodicità annuale, ma può essere anticipato per "rischio grave di un risultato negativo".

Il procedimento di valutazione deve ispirarsi ai seguenti principi: diretta conoscenza dell'attività del valutato da parte dell'organo proponente o valutatore di prima istanza; approvazione o verifica della valutazione da parte dell'organo competente o valutatore di seconda istanza; partecipazione al procedimento del valutato.

La quarta tipologia di controllo interno è costituita dalla valutazione e controllo strategico, mirante a valutare "l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti". Mediante questa attività di valutazione si tende a verificare "in funzione dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico".

I controlli interni si differiscono dai controlli generici per il fatto che i controlli interni hanno ad oggetto l'intera attività e non soltanto i singoli atti.

I rapporti tra gli organi e l'utilizzo, da parte di un ente, degli organi di un altro ente.

I rapporti tra organi diversi possono comportare una modificazione dell'ordine delle competenze. Analoga modificazione può essere determinata dalla conferenza di servizi.

Debbono essere ricordati l'avocazione, la sostituzione e la delegazione.

Nell'avocazione un organo esercita i compiti, spettanti ad un altro organo in ordine a singoli affari, per motivi di interesse pubblico e indipendentemente dall'adempimento dell'organo istituzionalmente competente.

La sostituzione ha invece come presupposto l'inerzia dell'organo sostituito nell'emanazione di un atto cui è tenuto per legge e consiste nell'adozione, previa diffida, da parte di un organo sostituto degli atti di competenza di un altro organo. L'organo sostituto è di norma un commissario.

La sostituzione attiene all'attività di controllo sugli atti e non sugli organi i quali continuano nella loro attività tranne per quella relativa all'adozione dell'atto che essi avevano l'obbligo di emanare.

La gestione sostitutiva coattiva è la sostituzione di organi dell'ente, caratterizzata dallo scioglimento dell'organo o degli organi dell'ente e dalla nomina di altri soggetti quali organi straordinari che gestiscano l'ente per un periodo di tempo limitato.

In taluni casi la sostituzione è legata al controllo, ed in tali casi si parla di controllo sostitutivo.

La delegazione è la ura in forza alla quale un organo investito in via primaria della competenza di una data materia consente unilateralmente mediante atto formale, ad un altro organo di esercitare la stessa competenza . La delegazione richiede una espressa previsione legislativa, essa infatti altera l'ordine legale delle competenze.

La delegazione fa sorgere un rapporto nell'ambito del quale il delegante mantiene poteri di direttiva, di vigilanza, di revisione e di avocazione.

L'organo delegatario è investito del potere di agire in nome proprio, anche se per conto e nell'interesse del delegante, sicché la responsabilità per gli illeciti eventualmente commessi rimane in capo al delegatario stesso.

La delega di firma consiste nella possibilità per un delegato di sottoscrivere un atto, la cui competenza resta al delegante e sarà dunque a lui imputato.

L'organo di una persona giuridica può anche essere organo di altra persona giuridica: ad esempio il sindaco è contestualmente organo del comune ed organo dello Stato perché riveste la qualità di ufficiale di governo, e dunque, realizza una vicenda di imputazione in capo allo Stato dell'attività da esso posta in essere.

Gli uffici e il rapporto di servizio.

Oltre agli enti e agli organi esaminati fin ora vi sono gli uffici, cioè nuclei elementari dell'organizzazione che possono essere definiti a contrario rispetto agli organi, nel senso che svolgono attività non caratterizzata dal meccanismo di imputazione di fattispecie sopra descritto.

Solo gli organi hanno competenze in senso proprio, mentre agli uffici, al più, vanno riferiti compiti.

Gli uffici sono costituiti da un insieme di mezzi materiali (locali, risorse, attrezzature, ecc . ) e personali, e sono chiamati a svolgere uno specifico compito.

Tra gli uffici ricordiamo in particolare quello per le relazioni con il pubblico (URP), che ha l'importante compito di curare l'informazione dell'utenza e di garantire i diritti di partecipazione dei cittadini (art.11 D.Lgs 165/2001), anche mediante l'uso di tecnologie informatiche (artt.2 e 8 L.150/2000).

All'interno dell'ufficio, tra gli altri addetti, si distingue la ura del preposto, il quale, se in situazione di primarietà, è il titolare; l'ufficio, il cui titolare sia temporaneamente assente o impedito, viene affidato al supplente, mentre si ha reggenza nell'ipotesi di mancanza di titolare: tale soggetto dirige il lavoro dell'ufficio che si svolge nell'ufficio stesso e ne è il responsabile.

Gli addetti e i titolari che prestano il proprio servizio presso l'ente sono legati alla persona giuridica da un particolare rapporto giuridico (rapporto di servizio) che ha come contenuto il dovere di agire prestando una particolare attività, denominato dovere di ufficio, al quale si contrappone una serie di diritti.

Il dovere di ufficio ha ad oggetto comportamenti che il dipendente deve tenere sia nei confronti della pubblica amministrazione, sia nei confronti dei cittadini (ad esempio il dovere di accettare dichiarazioni sostitutive al posto dei certificati).

I soggetti legati da rapporto di servizio all'amministrazione sono di norma dipendenti. Ricorre in questi casi il "rapporto di servizio di impiego": tali soggetti svolgono il proprio lavoro a titolo professionale, in modo esclusivo e permanente. Il rapporto di servizio tuttavia può anche essere coattivo, ovvero non professionale (onorario), o infine, instaurato in via di fatto. Il contenuto del rapporto di servizio varia a seconda che il soggetto sia funzionario onorario o pubblico impiegato.

Il rapporto organico corre soltanto tra il titolare dell'organo e l'ente e viene in evidenza ai fini dell'imputazione delle fattispecie.

I titolari degli uffici (e degli organi) possono essere dipendenti (è questo il caso dei dirigenti), ovvero svolgere la propria attività a titolo non professionale. Ma debbono comunque essere investiti della titolarità dell'organo o dell'ufficio con un atto specifico.

Talora il rapporto organico si costituisce in via di mero fatto e, cioè, in assenza di investitura come nel caso in cui le funzioni siano esercitate "di fatto"  senza un atto formale che instauri il rapporto di servizio e queste siano essenziali e indifferibili. Anche il rapporto di servizio si instaura in via di fatto e l'organo di fatto viene definito funzionario di fatto.

Il rapporto di servizio a titolo professionale è caratterizzato da vicende (aspettative, congedi, comandi) e può anche estinguersi per scadenza del termine.

In passato si riteneva che i titolari potessero continuare ad esercitare i propri compiti  anche quando fosse scaduto il periodo della loro investitura, al fine di assicurare la continuità dell'esercizio della funzione amministrativa.

Tale ura, denominata prorogatio va tenuta distinta da quella della proroga degli organi, che consiste in un provvedimento con il quale si prolunga la durata del rapporto.

La legge 444/1994, che si applica agli enti pubblici e agli organi dello Stato con esclusione di regioni, province, comuni, comunità montane e organi di rilevanza costituzionale, adottata sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 208/1992, ha previsto in linea generale il divieto di prorogatio, stabilendo che gli organi possano essere prorogati di 45 giorni decorrenti dalla scadenza del termine di durata previsto per ciascuno. Allo scadere di tale termine, gli organi amministrativi decadono e gli atti emanati dagli organi decaduti sono nulli, come sono nulli gli atti emanati nel periodo di proroga che non siano di ordinaria amministrazione o urgenti o indifferibili. I titolari della competenza alla ricostituzione sono responsabili dei danni cagionati a seguito dell'intervenuta decadenza.

La disciplina attuale del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

La c.d. "privatizzazione del pubblico impiego" è stata operata dal D.Lgs 29/1993 ed è stata completata dal D.Lgs 80/1998; il contenuto di tali ultime disposizioni è stato riprodotto dal D.Lgs. 165/2001. I principi che ispirano la normativa di cui al D.Lgs 165/2001 possono così sintetizzarsi:

a)  i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione sia sul piano individuale sia su quello collettivo.

L'unica eccezione all'assoggettabilità alla disciplina contrattuale riguarda le categorie indicate all'art.3 (personale in regime di diritto pubblico: magistrati, avvocati dello stato, personale militare e delle forze di polizia, personale della carriera diplomatica e prefettizia);

b)  La legge prevede limiti all'autonomia contrattuale individuale o collettiva (si pensi alla disciplina legale, non derogabile mediante contratto, della parità di trattamento e dell'attribuzione delle mansioni proprie delle qualifiche superiori).

c)  Restano assoggettati alla disciplina pubblicistica gli organi, gli uffici, i principi fondamentali dell'organizzazione, i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e quelli di avviamento, i ruoli, le incompatibilità, le responsabilità, ad eccezione delle sanzioni e degli illeciti disciplinari, la determinazione delle dotazioni organiche.

d)  Le organizzazioni sindacali, al di fuori delle materie economiche, debbono essere "consultate" o informate senza che sia richiesto il loro consenso in tema di organizzazione e in tema di eccedenze di personale.

e)   La contrattazione collettiva si svolge a vari livelli (nazionale e integrativa; quest'ultima può essere attivata da ciascuna amministrazione a carico dei propri bilanci). Nella contrattazione collettiva nazionale la parte pubblica è legalmente rappresentata da un'apposita Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN : essa ha personalità di diritto pubblico ed è soggetta al potere di indirizzo esercitato dalle pubbliche amministrazioni che, a tal fine, danno vita a "comitati di settore"), della cui assistenza, comunque, le pubbliche amministrazioni possono avvalersi ai fini della contrattazione integrativa.

f)    Sotto il profilo giurisdizionale sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti e le controversie in materie di procedure concorsuali di assunzione.

g)  I dipendenti sono assoggettati ad una particolare responsabilità amministrativa (per danni cagionati all'amministrazione), penale e contabile; la responsabilità disciplinare è regolata dall'art.55, d.lgs. 165/2001, che, oltre ad imporre alcune garanzie a favore del dipendente nel corso del procedimento disciplinare, prevede la definizione ad opera dei contratti collettivi della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni; ove non siano previste dai contratti collettivi procedure di conciliazione stragiudiziali (ma esse sono state introdotte dai contratti collettivi), l'interessato può impugnare la sanzione inflittagli dinanzi al collegio arbitrale di disciplina che emette la sua decisione entro novanta giorni.

h)  Il reclutamento del personale non dirigenziale avviene tramite procedure selettive che garantiscono in misura adeguata l'accesso dall'esterno, o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo (art.35 D.Lgs.165/2001). L'art. 20 della L.488/1999 fissa in 24 mesi la durata di validità delle graduatorie dei concorsi che per gli enti locali è invece di tre anni.

i)    Viene eliminato il potere di gestione degli organi politici e affermato il principio della distinzione tra indirizzo politico (spettante agli organi politici) e gestione (spettante ai dirigenti).

La dirigenza e i suoi rapporti con gli organi politici.

La disciplina dei dirigenti è stata riordinata dalla legge 145/2002, e ad essi sono stati attribuiti poteri autonomi di gestione, con il compito di organizzare il lavoro, gli uffici e le risorse umane e finanziarie, nonché di attuare le politiche delineate dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, rispondendo del conseguimento dei risultati.

La dirigenza statale si articola in due fasce del ruolo dei dirigenti istituito presso ogni amministrazione. Sono definite apposite sezioni in modo da garantire la eventuale specificità tecnica. I dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti per un periodo di almeno cinque anni senza essere incorsi nelle misure previste dall'art.21 per la responsabilità dirigenziale.

L'accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non economici avviene mediante concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione. Norme particolare sono dettate par la dirigenza scolastica e sanitaria.

Il rapporto di lavoro si fonda su un contratto mentre nel passato si basava su un atto amministrativo unilaterale.

La disciplina del rapporto di servizio va tenuta distinta dal momento della preposizione all'organo mediante "incarico della funzione" che è sempre conferito a tempo determinato. Per il conferimento dell'incarico si tiene conto delle attitudini e delle capacità professionali di dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati.

La legge 145/2002 ha previsto che l'atto di incarico abbia natura provvedimentale.

La definizione dell'oggetto, degli obiettivi e della durata dell'incarico è contenuta nel provvedimento di conferimento dell'incarico, mentre la definizione del trattamento economico spetta al contratto individuale.

Non necessariamente tutti i dirigenti hanno la titolarità di uffici dirigenziali, ma possono svolgere funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento. Soltanto nell'ipotesi in cui siano preposti ad uffici dirigenziali, essi possono esercitare i poteri previsti dall'art.4 D.Lgs 165/2001 (adottare provvedimenti, curare la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa) e, dunque, sono organi. Negli altri casi essi sono preposti a meri uffici.

Propria dei dirigenti è poi la responsabilità dirigenziale: essa è aggiuntiva rispetto alla altre forme di responsabilità che gravano sui dipendenti pubblici, sorge allorché non siano stati raggiunti gli obiettivi o in caso di inosservanza delle direttive imputabile al dirigente (art.21 D.Lgs 165/2001).

Tale responsabilità rileva l'inidoneità all'incarico e si collega all'attività complessiva dell'ufficio cui egli è preposto; la sanzione è l'impossibilità del rinnovo dello stesso incarico.

In relazione alla gravità dei casi, "l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione . ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo", previo parere conforme di un comitato di garanti.

Gli incarichi di segretario generale, di capo dipartimento e di livello equivalente cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al governo.

Per quanto riguarda gli incarichi di vertici presso enti, società e agenzie, nonché le nomine di rappresentanti governativi in ogni organismo a qualsiasi livello, conferite dal governo o dai ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura o nel mese antecedente lo scioglimento delle camere, l'art. 6 L.145/2002 dispone che le nomine possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro sei mesi dal voto sulla fiducia al governo.

Ai sensi dell'art.14 D.Lgs 165/2001 il ministro definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione. Tale organo non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare atti di competenza dei dirigenti: la norma prevede che in caso di inerzia o ritardo il ministro possa fissare un termine per provvedere e, qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive da parte del dirigente, egli abbia il potere di nominare, salvi i casi di urgenza, previa contestazione, un commissario ad acta.

Ne discende che gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali non sono suscettibili di ricorso gerarchico.

L'eliminazione del potere di decidere i ricorsi gerarchici nonché dei poteri di revoca, riforma, avocazione e sostituzione sono sicuri sintomi del superamento della gerarchia.

L'organo politico "superiore" fissa gli obiettivi, assegna le risorse, impartisce direttive generali, si astiene dell'ingerirsi nella gestione e valuta i risultati finali. Il dirigente preposto agli uffici dirigenziali generali risponde nei confronti del politico della propria gestione; l'organo politico risponde, invece, in via immediata o mediata, all'elettorato.

Le sfere di competenza tra gli organi politici e quelli dirigenziali sono separate e differenti, significativo è infatti che il ministro non possa, neppure in caso di inerzia, sostituirsi al dirigente ma debba procedere alla nomina di un commissario: la separazione è talmente rigida che non tollera una diretta ingerenza del politico nell'attività del dirigente.

I dirigenti preposti agli uffici dirigenziali generali, nei confronti dei dirigenti definiscono obiettivi e attribuiscono le risorse, "dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti", "anche con potere sostitutivo in caso di inerzia" e "decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti"; infine, il dirigente preposto all'ufficio di più elevato livello può delegare compiti ed è "sovraordinato" al dirigente preposto all'ufficio inferiore.

L'art. 17 D.Lgs 165/2001, prevede poteri di direzione, coordinamento e controllo in capo al dirigente in relazione all'attività degli uffici che da lui dipendono e di quella dei responsabili dei procedimenti amministrativi "anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia".

L'art. 17 co.1 bis D.Lgs 165/2001 prevede che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio e per un tempo determinato, possono delegare con atto scritto e motivato alcune delle proprie competenze a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati.

L'art. 17 bis D.Lgs 165/2001 inoltre, prevede l'area della vicedirigenza, la cui istituzione è rimessa alla contrattazione collettiva di to.

La normativa favorisce inoltre la mobilità tra settore pubblico e settore privato.

I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: le formazioni sociali e gli ordinamenti autonomi.

Le organizzazioni sociali sono costituite da aggregazioni di individui sorretti da finalità etiche, religiose, ideali e che perseguono interessi, non caratterizzati dallo scopo di lucro, in parte coincidenti con quelli affidati alla cura dei soggetti pubblici.

Il terzo settore è dunque composto dalle associazioni no profit e dalle organizzazioni di volontariato, associazioni e cooperative.

Rientrano in questo ambito moltissime associazioni quali le comunità terapeutiche, le istituzioni pro-loco, le organizzazioni impegnate nei settori della ricerca, dello sport, dell'istruzione, della beneficenza, della protezione civile, dell'accoglienza e dell'adozione di stranieri, dell'assistenza, del servizio civile, della tutela dei beni culturali e così via.

Il campo di azione di numerose tra queste organizzazioni è in linea di massima quello dei c.d. servizi sociali.

La Legge 328/2000 disciplina un sistema integrato di interventi e servizi sociali, e la normativa di settore prevede che le organizzazioni che perseguono finalità di interesse generale possano ricevere finanziamenti pubblici e siano talora sottoposte a forme di controllo o vigilanza, ovvero ad un regime fiscale favorevole.

La Legge 11 agosto 1991, nr. 266 ha disciplinato le organizzazioni di volontariato, nell'ambito delle quali emerge, quale profilo caratterizzante, il fine dell'assistenza alla persona. L'art.8 del T.U. sugli enti locali affida al Comune il compito di "valorizzare" le libere forme associative e di promuovere organismi di partecipazione popolare.

Il D.Lgs 460/1997 sulla disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale ha previsto l'istituzione presso il Ministero delle Finanze di un'anagrafe unica delle ONLUS. Tali organizzazioni sono definite come le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli enti di carattere privato, con o senza persona giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, contengano espressamente una serie di indicazioni:

lo svolgimento di attività in particolari settori (assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico, tutela dell'ambiente, promozione della cultura e dell'arte, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica);

l'esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale;

il divieto di distribuire utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'organizzazione;

l'obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per realizzare delle attività istituzionali e quelle ad esse direttamente connesse.

Altre formazioni, caratterizzate da una normazione propria, possono essere conurate come ordinamenti autonomi.

Per quanto riguarda le confessioni religiose, l'art.8 Cost. stabilisce che quelle diverse dalla chiesa cattolica possano organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.

L'ordinamento sportivo è invece privo di garanzia costituzionale. Il legislatore statale potrebbe sostituire con proprie norme quelle dettate in tale ordinamento. La Legge 280/2003 stabilisce ora che "la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale" e "i rapporti tra ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo". Il CONI (Comitato olimpico nazionale italiano), ente esponenziale dell'ordinamento sportivo è, secondo il diritto italiano, un ente pubblico.

I mezzi. In particolare i beni pubblici. Nozione e classificazione codicistica.

Al fine di svolgere i propri compiti, le amministrazioni pubbliche devono utilizzare non solo risorse umane, ma anche mezzi materiali e mezzi finanziari.

Lo svolgimento di compiti amministrativi implica molto spesso l'impiego di beni.

Tra i beni che appartengono agli enti pubblici rivestono una particolare importanza i c.d. "beni pubblici", i quali sono assoggettati ad una normativa differente per ciò che riguarda i profili dell'uso, della circolazione e della tutela.

Sussistono anche beni appartenenti ad enti pubblici ma soggetti alla normativa di carattere generale sulla proprietà privata, questi costituiscono, nel loro complesso, il patrimonio disponibile (patrimonio mobiliare, fondiario ed edilizio), così chiamato per distinguerlo dal patrimonio indisponibile che va ricondotto ai beni pubblici.

Anche il denaro fa parte del patrimonio disponibile. I beni patrimoniali disponibili possono essere oggetto di contratti di alienazione (contratti c.d. attivi), di acquisti (contratti passivi) e così via.

Il complesso dei "beni pubblici" appartiene alle pubbliche amministrazioni a titolo di proprietà pubblica.

La proprietà spiega l'appartenenza dei frutti all'ente titolare del bene ed il fatto che la cosa, una volta persi i caratteri di bene pubblico, resti nella "proprietà" dell'ente. E' questo il principio della elasticità della proprietà. Questi beni sono distinti dalla legge in demaniali e patrimoniali indisponibili. La proprietà pubblica è dunque l'esempio più pregnante di proprietà-finzione.

La titolarità della proprietà dei beni pubblici trova la sua fonte innanzitutto nella legge. Alcuni beni appartengono allo Stato o alla regione ex lege: si tratta di alcuni beni del demanio naturale (marittimo e idrico) e del patrimonio indisponibile (miniere), oltre ai beni di interesse artistico, storico o archeologico esistenti o ritrovati nel sottosuolo, i relitti marittimi e di aeromobili ecc .

Siffatta titolarità può derivare anche da:

a)   fatti acquisitivi: acquisto della proprietà di beni mediante l'occupazione, l'invenzione, l'accessione, la specificazione, l'unione, l'usucapione,  la successione regolata dall'art.586 cc ("in mancanza di altri successibili, l'eredità è devoluta allo Stato").;

b)   atti di diritto comune (contratti, testamento, donazione, amenti, provvedimenti giudiziari di esecuzione);

c)   fatti basati sul diritto internazionale (confisca e requisizione bellica, indennità di guerra, successione ad altro Stato) o basati sul diritto pubblico interno (successione tra enti);

d)  atti pubblicistici che comportano l'ablazione di diritti reali su beni di altri soggetti (confisca, espropriazione, requisizione in proprietà o in uso, ecc . e l'esecuzione forzata amministrativa sui beni dei debitori inadempienti).

Il regime giuridico dei beni demaniali.

La disciplina che si applica ai beni pubblici è contenuta essenzialmente negli art..822 e segg. c.c., nel R.D.Lgs 2440/1923 e nel R.D. 827/1924 (regolamento di contabilità generale dello Stato).

I beni demaniali sono tassativamente indicati dalla legge e comprendono i beni demaniali necessari e i beni demaniali accidentali.

I beni del demanio necessario sono costituiti a loro volta dal demanio marittimo, dal demanio idrico e dal demanio militare.

Ai sensi dell'art.822 cc e dall'art.28 Codice della Navigazione, fanno parte del demanio marittimo il lido del mare, le spiagge, i porti, le lagune, le rade (ove le navi possono gettare l'ancora restando riparate dal mare), le foci dei fiumi e i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. Non costituisce invece bene demaniale il mare territoriale (perché si tratta di res communis omnium) il quale si estende per dodici miglia dalla costa.

Il demanio idrico è costituito da: fiumi, torrenti, laghi ed altre acque pubbliche (le acque sorgenti sono ricomprese nel demanio idrico ad esclusione di quelle minerali e termali assoggettate al regime delle miniere), i ghiacciai. I porti lacuali e di navigazione interna appartengono al demanio regionale. Ai sensi della legge 36/1994 (c.d. Legge Galli) tutte le acque superficiali e sotterranee (acque dolci) sono considerate demaniali.

Il demanio militare comprende le opere destinate alla difesa nazionale (art.822 c.1 c.c.: fortezze, piazzeforti, linee fortificate), nonché le opere - aeroporti, strade, ferrovie, stazioni radio ecc . - destinate al servizio delle comunicazioni militari. L'ordinamento tiene distinti questi beni da altri beni quali le caserme, gli armamenti, le navi e gli aeromobili che, pur essendo destinati alla medesima finalità difensiva, fanno parte del patrimonio indisponibile.

I beni del demanio necessario non possono non appartenere allo Stato.

Il demanio necessario è costituito esclusivamente da beni immobili che, a differenza della generalità degli altri beni pubblici, sembrano caratterizzati da scarsa deperibilità.

Accanto a i beni del demanio necessario, la legge contempla i beni del demanio accidentale, composto da strada, autostrade, aerodromi non militari, acquedotti, immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico, raccolte dei musei, pinacoteche, archivi, biblioteche e dagli altri beni che sono assoggettati al regime proprio del demanio (art. 822 c.2 c.c.).

Le strade ferrate erano comprese tra i beni del demanio accidentali fino ad essere sdemanializzate dalla legge 210/1985.

Non rientrano nel demanio stradale le strade vicinali (cioè le strade private gravate da servitù di pubblico transito e le strade militari di uso pubblico (che fanno parte del demanio militare e sulle quali le autorità militari consentano il pubblico transito).

In ordine ai beni culturali quelli indicati nell'art.822 del codice civile appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni costituiscono il demanio storico, archivistico e bibliografico e sono assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.

L'art. 824 c.2 codice civile assoggetta allo stesso regime dei beni demaniali accidentali i cimiteri e i mercati comunali. Tali beni rientrano nel demanio comunale soltanto se appartengono ai comuni.

I beni del demanio accidentale possono appartenere a chiunque, ma sono tali qualora appartengano ad un ente pubblico territoriale; essi non sono costituiti esclusivamente da beni immobili, potendo consistere anche in universalità di mobili.

I beni demaniali (sia quelli facenti parte del demanio necessario sia di quello accidentale) sono caratterizzati dall'appartenenza a enti territoriali, perché essi sono preordinati alla soddisfazione di interessi imputati alla collettività stanziata sul territorio e rappresentata dagli enti territoriali.

Come si è visto esiste un demanio statale, un demanio regionale, un demanio provinciale, e uno comunale in ragione del soggetto titolare; va aggiunto che esiste pure un demanio comunitario formato da beni spettanti alla Unione europea.

Occorre distinguere i beni demaniali naturali (sono tali per natura, indipendentemente dall'opera dell'uomo, ad esempio il lido del mare) rispetto a quelli del demanio artificiale, costruiti appunto dall'uomo. Alcuni di essi preesistono rispetto alle determinazioni dell'amministrazione, mentre altri sono pubblici in quanto destinati ad una funzione pubblica dall'amministrazione (come il demanio militare. Infine, alcuni beni sono riservati necessariamente allo Stato o alla regione (demanio necessario: in queste ipotesi nessun altro soggetto ha possibilità di divenirne titolare), mentre altri possono appartenere anche a privati o a enti non territoriali.

In ogni caso tutti i beni demaniali sono assoggettati alla disciplina posta dall'art.823 codice civile: essi "sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano" (quindi è escluso anche l'usucapione).

A causa della sancita incommerciabilità dei beni demaniali, sono nulli di diritto gli eventuali atti dispositivi di essi posti in essere dalla pubblica amministrazione: i beni hanno infatti un vincolo reale che rende impossibile l'oggetto ai fini dell'art.1418 codice civile.

E' pure esclusa, almeno fino a che non ne venga pronunciata la sdemanializzazione, l'espropriabilità dei beni demaniali non solo per soddisfare le pretese creditorie di terzi, ma anche per finalità di pubblica utilità. Va inoltre esclusa la trasferibilità dei beni del demanio necessario alle regioni; mentre per altri beni del demanio è invece ipotizzabile il loro passaggio a diverso ente territoriale sempreché si tratti di beni che non siano legati in modo indissolubile al territorio dell'ente proprietario e purché permanga la loro destinazione pubblica.

Altra regola è quella contenuta nell'art.823 codice civile "spetta all'amministrazione la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso".

L'amministrazione dispone di poteri di autotutela: ciò significa che invece di utilizzare gli ordinari rimedi giurisdizionali che l'ordinamento prevede a tutela della proprietà, essa può direttamente procedere a tutelare i propri beni in via amministrativa, irrogando sanzioni ed esercitando poteri di polizia demaniale, quali l'accertamento di contravvenzioni e l'applicazione di sanzioni, o l'adozione di ordini di sgombero e all'esecuzione in via amministrativa (tipico è il caso delle rimozioni autoritative).

L'amministrazione ha la facoltà di rivolgersi comunque al giudice ordinario a tutela dei beni anche quando disponga di autotutela.

I beni del demanio naturale (lido del mare, spiaggia, fiume, torrente o lago) acquistano la demanialità per il solo fatto di possedere i requisiti previsti dalla legge.

I beni "artificiali" diventano invece demaniali nel momento in cui rientrino in uno dei tipi fissati dalla legge e, cioè, nel momento in cui l'opera sia realizzata (il che implica la sua destinazione pubblica), purché siano di proprietà dell'ente territoriale. Per alcuni di essi, come le strade, occorre altresì la destinazione pubblica e il bene è pubblico soltanto se (e fino al momento in cui) esiste tale destinazione.

La cessazione della qualità di bene demaniale deriva, oltre che dalla distruzione del bene, dal fatto della perdita dei requisiti di bene demaniale e dalla cessazione espressa o tacita, purché univoca, della destinazione (emblematico è il caso di una fortezza non più idonea a usi militari).

Vi può essere l'intervento legislativo che "sdemanializza" alcuni beni, come è accaduto per le strade ferrate, ma spesso la cessazione dei requisiti di bene è spesso attestata da uno specifico atto amministrativo.

Nell'ipotesi di beni riservati, tale sdemanializzazione ha soltanto finalità dichiarative.

Il codice civile si occupa del passaggio dei beni dal demanio (accidentale) al patrimonio indisponibile: l'art. 829 c.c. prescrive la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'atto che dichiara tale passaggio. Anche in tale caso l'atto ha mera natura dichiarativa, mentre la perdita della qualità di bene demaniale deriva sempre dal venir meno dei consueti presupposti (appartenenza ad un ente territoriale, inclusione in una delle categorie contemplate dalla legge e, nei casi previsti, effettiva destinazione ad uso pubblico).

La sdemanializzazione comporta la cessazione del diritto di uso del bene spettante a terzi e la estinzione delle eventuali limitazioni derivanti dalla natura demaniale del bene stesso.

Il regime giuridico dei beni del patrimonio indisponibile

I beni del patrimonio indisponibile sono indicati dall'art.826 codice civile commi 2 e 3 e dall'art. 830 c.2 codice civile.

Dispone l'art. 826: "fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere, quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico[1], paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra". "Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a pubblico servizio".

I beni degli enti pubblici non territoriali destinati a un pubblico servizio sono assoggettati alla disciplina dei beni patrimoniali indisponibili.

Secondo quanto dispone l'art.43 del t.u. sulle espropriazioni per pubblica utilità (d.p.r. 327/2001), gli immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico in assenza di provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, a seguito di specifico atto dell'amministrazione, che dispone tra l'altro il risarcimento dei danni a favore del proprietario, possono essere acquisiti al suo "patrimonio indisponibile".

Le cave e le torbiere (sottratte alla disponibilità del proprietario del proprietario), le acque termali e minerali e le foreste sono state trasferite al patrimonio indisponibile della regione dal d.p.r. 616/1977. In particolare, le cave e le torbiere possono essere sottratte, senza corrispettivo, alla disponibilità dei proprietari e avocate alla regione soltanto nei casi di mancato o insufficiente sfruttamento, venendo così assoggettate alla disciplina delle miniere (cave e miniere si differenziano in ragione del tipo di sostanze ricercate e coltivate).

Le miniere sono riservate allo Stato, mentre le acque termali e minerali sono riservate alle regioni. Oggi le funzioni amministrative relative alla materia delle miniere e risorse geotermiche sono ripartite tra Stato e regioni ai sensi degli artt. 32 e segg. D.Lgs 112/1998: in particolare, spettano alla regione le funzioni relative ai permessi di ricerca ed alle concessioni di coltivazione di minerali solidi e delle risorse sulla terra ferma, nonché funzioni di polizia mineraria sulla terraferma.

Le miniere, una volta scoperte, divengono di proprietà dello Stato, ma possono essere coltivate sia direttamente da esso, sia da terzi ai quali siano date in concessione.

Le cose mobili di interesse storico, paletnologico, paleontologico, artistico, appartenenti a qualsiasi ente pubblico, sono assoggettati alla disciplina dei beni patrimoniali indisponibili salvo che siano costituite in raccolta di musei, di pinacoteche, di archivi e di biblioteche: in quest'ultimo caso si tratta di beni del demanio accidentale.

I beni del patrimonio indisponibile sono assoggettati alla disciplina posta dall'art.828 c.2 codice civile: essi "non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano".

In ogni caso (a differenza dei beni demaniali) i beni del patrimonio indisponibile non sono assolutamente incommerciabili: gli atti di disposizione, tuttavia, debbono rispettare il vincolo di destinazione. L'atto di trasferimento di tali beni che non rispetti la disciplina legislativa, di conseguenza, non è nullo perché avente ad oggetto una res fuori commercio, ma annullabile per violazione dei "modi di legge" stabiliti per sottrarli al vincolo di destinazione, anche se è sostenibile anche la tesi della nullità per contrarietà a norme imperativa.

Occorre tuttavia aggiungere che:

a)  alcuni beni del patrimonio indisponibile sono incommerciabili in via assoluta in quanto si tratta di beni riservati (ad esempio le miniere); gli altri invece sono incommerciabili e sottratti alla garanzia patrimoniale dei creditori soltanto in costanza di destinazione pubblica;

b)  altri beni sono soggetti ad un regime di inalienabilità, salvo permesso amministrativo: è il caso dei beni forestali, la cui alienazione è soggetta ad approvazione.

Ai sensi dell'art.4 t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilità, "i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici possono essere espropriati per perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione".

In ordine alla tutela dei beni del patrimonio indisponibile, per quanto l'art.823 codice civile faccia cenno ai poteri di tutela in via amministrativa soltanto con riferimento ai beni demaniali, la giurisprudenza riconosce la possibilità dell'amministrazione di disporre di analoghi poteri anche in relazione ad essi.

La privatizzazione dei beni pubblici.

La privatizzazione dei beni appartenenti a uffici pubblici è generalmente finalizzata a soddisfare esigenze di carattere finanziario e di risanamento del debito pubblico.

Tre sono le modalità di dismissione del patrimonio dello Stato:

Il ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere quote di fondi immobiliari istituiti ai sensi della L.86/1994 mediante apporto di beni immobili e di diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello Stato. I fondi sono gestiti da una o più società di gestione che procedono all'offerta al pubblico delle quote derivate dall'istituzione del fondo, generalmente rimanendo sottratte al controllo dell'amministrazione conferente.

I beni immobili appartenenti allo Stato non conferiti nei fondi immobiliari, individuati dal ministro dell'economia e delle finanze possono essere alienati.

La cartolarizzazione: la legge 410/2001 ha previsto che il ministro dell'economia e delle finanze possa costituire o promuovere la costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di più società a responsabilità limitata con capitale iniziale di 10.000 euro aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi (mediante l'emissione di titoli o l'assunzione di finanziamenti; si tratta delle c.d. scip società cartolarizzazione immobili pubblici) derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri enti pubblici. All'atto della loro costituzione, queste società c.d. "veicolo" corrispondono allo Stato un prezzo iniziale, con riserva di versare la differenza ad operazione completata.

A queste società veicolo sono ceduti gli immobili, che sono acquistati con l'unico fine di rivenderli; esse ano un prezzo iniziale all'ente e ottengono un finanziamento attraverso prestiti obbligazionari o l'emissione di titoli; i finanziatori versano una somma iniziale e, man mano che gli immobili vengono venduti, viene ad essi restituito il prezzo maggiorato da interessi (e lo Stato incassa alla fine la differenza tra la somma restituita al finanziatore e il prezzo effettivo di vendita). I beni costituiscono patrimonio "separato" rispetto a quello della società e a quello relativo ad altre operazioni e sono sottratti alle azioni di terzi diversi dai portatori dei titoli o dai finanziatori.

La possibilità di porre in essere privatizzazioni mediante operazioni di cartolarizzazione è stata estesa a Regioni, Province e Comuni dall'art.84 della Legge 289/2002.

Alla società pubblica "patrimonio s.p.a." possono essere trasferiti - con decreti del ministro dell'economia - diritti pieni o parziali sui beni immobili demaniali e patrimoniali e sugli altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato, nonché ogni altro diritto costituito per legge a favore dello Stato. In sostanza, i beni cessano di appartenere allo Stato ed entrano nella sfera di appartenenza soggettiva della società, che non è un ente territoriale.

Il regime dei beni conferiti alla Patrimonio s.p.a. è un regime speciale, in quanto risultano beni non appartenenti a enti territoriali ma assoggettati alla disciplina dei beni demaniali.

Diritti demaniali su cose altrui, diritti d'uso pubblico e usi civici.

Accanto al diritto di proprietà demaniale sui beni pubblici ricordiamo i diritti spettanti agli enti territoriali sui beni altrui "quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti (beni demaniali) o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi" (art. 825 c.c.).

Quanto ai diritti demaniali su beni altrui, si pensi al diritto di servitù gravante su fondo privato al fine della realizzazione di un acquedotto pubblico (bene per l'utilità del quale è costituito il diritto reale parziario), ovvero alla servitù di alzaia, la quale grava sui fondi laterali ai corsi d'acqua navigabili imponendo di lasciare libera una fascia di terreno al fine di consentire lo spostamento dei barconi.

Le limitazioni pubbliche della proprietà privata non creano diritti in capo all'amministrazione, ma restringono soltanto le facoltà del proprietario di alcuni beni privati - in particolare di quelli posti in prossimità di immobili demaniali o di un edificio di interesse storico, archeologico o artistico - imponendo obblighi di non facere (una "limitazione" della proprietà è costituita dal divieto di costruire in aderenza).

In ordine ai diritti gravanti su beni privati "costituiti per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni demaniali" essi spettano a favore della collettività, quindi ogni membro di questa può chiederne la tutela.

Tipici esempi di diritti d'uso pubblico gravanti su beni privati sono quelli di visita dei beni privati di interesse storico e quelli che attengono alle strade private (strade vicinali), ai vicoli e agli spiazzi aperti al pubblico traffico.

Presentano profili di analogia rispetto ai diritti d'uso pubblici gli usi civici, ma questi ultimi sono assoggettati ad una particolare disciplina e possono gravare anche sui beni pubblici.

Si tratta infatti di diritti di godimento e d'uso e anche di proprietà spettanti alla collettività su terreni di proprietà dei comuni o di terzi e che hanno ad oggetto, di volta in volta, il pascolo, la pesca, la caccia, la raccolta della legna, dei funghi, ecc .

Tali diritti spettano ai membri della collettività e non all'ente rappresentativo della comunità stessa; essi gravano su beni immobili privati, ovvero demaniali e sono inalienabili. Tuttavia la legislazione ne prevede la trasformazione in diritti dominicali su porzioni ridotte dei beni su cui essi gravano.

La legge disciplina la liquidazione degli usi che gravano su beni privati mediante, come osservato, il distacco di una quota da cedere in proprietà alla collettività, nonché la eliminazione delle promiscuità esistenti allorché degli stessi immobili beneficino più collettività. Le attribuzioni degli organi istituiti a tale scopo - i commissari per la liquidazione degli usi civici- sono ora state trasferite alle regioni, anche se ne sopravvivono le funzioni giurisdizionali attinenti alle controversie che nascono in ordine all'esistenza, natura ed estensione di tali usi.

La presenza di usi civici e di diritti d'uso pubblico comporta, per il proprietario del fondo gravato, l'obbligo di sopportare che membri della collettività godano dei suoi beni.

L'uso dei beni pubblici.

Per una prima categoria di beni pubblici è consentito essenzialmente l'uso diretto e riservato al proprietario pubblico che lo impiega per lo svolgimento dei propri compiti, garantito talora con norme che sanzionano l'uso del bene da parte di altri (ad esempio il demanio militare).

Altro esempio di uso diretto è quello dei beni del patrimonio indisponibile destinati a sedi di uffici o a servizi pubblici: il bene è strumentale all'esercizio di una certa attività posta in essere dall'amministrazione titolare del bene.

L'uso promiscuo è realizzato quando il bene è in grado di soddisfare anche altre esigenze, come le strade militari che servono sia all'interesse della difesa che all'interesse generale della circolazione.

Il riconoscimento dell'uso generale di quei beni pubblici che assolvono la loro funzione a servizio della collettività (demanio idrico, stradale, beni di interesse storico e così via) è mezzo rivolto alla rimozione degli ostacoli che "impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti" all'organizzazione politica, economica e sociale del paese (art.3 Cost.). In alcuni casi esso è subordinato al amento di una somma (es: il pedaggio), altre volte è occorre ottenere un'autorizzazione dall'ente pubblico (es: scarico nelle acque pubbliche).

Vi sono infine situazioni in cui il bene è posto al servizio di singoli soggetti (uso particolare).

Questo è il caso delle riserve di pesca, delle concessioni di beni pubblici, delle concessioni di derivazione di acque pubbliche, della situazione del frontista rispetto alla strada pubblica.

Nelle situazioni indicate il ruolo dell'amministrazione muta: nel caso dell'uso diretto deve conservare, tutelare e utilizzare direttamente il bene, nelle altre invece emerge l'aspetto della regolamentazione e dell'organizzazione dell'uso da parte dei terzi.

Occorre in ultimo accennare ad un ulteriore e sempre più rilevante uso diretto dei beni degli enti pubblici, costituito dal conferimento dei beni stessi come capitale di dotazione nelle aziende speciali ovvero in società per azioni (art. 118 t.u. enti locali): il bene dell'amministrazione proprietaria diventa in queste ipotesi elemento del ciclo produttivo posto in essere da altro soggetto giuridico pubblico.

Va ricordato, che il D.L.63/2002, convertito nella Legge 112/2002, ha previsto l'istituzione della già citata Patrimonio s.p.a. (avente compiti di valorizzazione, gestione, ed alienazione del patrimonio dello Stato; il capitale sociale, fissato in un milione di euro, è interamente detenuto dal ministero dell'economia), e di Infrastrutture s.p.a. (società finanziaria vigilata dal ministero dell'economia e avente il compito di finanziare le infrastrutture e le grandi opere pubbliche, concedere finanziamenti, garanzie e assumere partecipazioni, detenere immobili ed esercitare ogni attività strumentale connessa ai suoi compiti istituzionali).

I beni privati di interesse pubblico.

La dottrina individua una categoria più ampia di beni, comprensiva di beni appartenenti a soggetti pubblici e di beni in proprietà di privati: essa è costituita dai beni di interesse pubblico (es: strade vicinali, le autostrade costruite e gestite dai privati concessionari).

I beni culturali di proprietà privata, anche se "privato" nell'appartenenza, rivela il suo aspetto di pubblicità in quanto la sua conservazione soddisfa interessi pubblici, ovvero perché, in forza degli obblighi che gravano sul proprietario, esso è addirittura rivolto al pubblico sotto il profilo della fruizione.

La categoria del bene culturale è stata positivamente riconosciuta dall'art.148 del D.Lgs 112/1998 (secondo cui appartengono ad essa i beni che compongono il patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge) e oggi dal D.Lgs 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio).




Paletnologia: Scienza che studia le industrie e le culture di popoli o di tipi umani estinti in base a reperti archeologici.

Paleontologia: Scienza che si occupa dello studio di resti organici fossili, della loro origine, evoluzione e distribuzione sia geografica che temporale, stabilendone una classificazione.




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