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*Note introduttive al diritto commerciale*
La nascita e l'evoluzione del diritto commerciale
Il diritto commerciale nasce nel basso Medioevo. Intorno al Mille riprendono quei traffici che si erano interrotti con la caduta dell'Impero romano. Il rifiorire delle arti e dei commerci mutò rapidamente il quadro economico e si avvertì l'esigenza di avere norme adatte a regolare l'intensa attività di scambio che si stava sviluppando. La frammentazione politica non consentiva l'emanazione di un nuovo sistema giuridico, gli stessi mercanti, riuniti nelle corporazioni di arti e mestieri, posero le regole necessarie per disciplinare i loro rapporti.
Nasce così il primo nucleo del diritto commerciale nel quale facevano la loro sa alcuni importanti istituti come le strutture contabili, la cambiale, il fallimento, le società di persone. Era un diritto speciale, destinato a regolare solo i rapporti posti in essere dai mercanti.
Con il dissolversi del sistema feudale e con l'affermarsi delle monarchie assolute, il diritto commerciale cominciò ad essere guardato in modo nuovo. Iniziava l'epoca delle grandi scoperte geografiche e le monarchie nazionali iniziarono ad avocare a sé la regolamentazione dei commerci. Il diritto mercantile diventò diritto dello Stato, pur rimanendo un diritto speciale, riservato ai mercanti e a quanti venivano con essi in rapporto d'affari.
Un tratto distintivo di queste norme era la severità delle sanzioni che le accomnavano: la bancarotta fraudolenta era un reato punito con la morte. La ragione di quanto rigore era nell'esigenza di infondere certezza negli affari. Sei si voleva indurre i capitalisti a finanziare le grandi comnie era indispensabile fugare in loro il sospetto che il mercante potesse frodarli. L'intervento dello Stato nelle cose dell'economia non si limito a dettare le regole necessarie a generare sicurezza negli affari. Il sovrano imponeva dazi, assegnava concessioni, concedeva monopoli e la borghesia imprenditoriale cominciava a sentire in modo sempre più urgente l'esigenza di liberarsi dall'invadenza statale. Avvenne in modo piuttosto traumatico, con le rivoluzioni americana e francese, che aprirono la strada al superamento delle monarchie assolute.
Assunto il potere politico, la borghesia rimodellò lo Stato in modo funzionale alle proprie esigenze di crescita. I codici furono l'espressione più evidente di questa nuova gestione del potere. Nel regno d'Italia venne emanato un codice civile, nel quale erano poste le norme destinate a regolare i rapporti tra privati cittadini e un codice di commercio nel quale erano poste le norme destinate a regolare gli atti di commercio.
Questa doppia normativa poneva i problemi di non poco conto. Il contratto di compravendita era regolato dalle norme del codice civile se veniva stipulato tra soggetti non commercianti e dalle norme del codice di commercio se era stipulato tra commercianti oppure tra un commerciante e un comune cittadino.
Tale situazione cessò in Italia nel 1942 con l'emanazione di un nuovo codice civile che assorbì anche il codice di commercio. L'operazione venne presentata come la fine dei privilegi della classe mercantile che perdeva il vantaggio di avere un diritto speciale. Furono gli istituti di diritto civile ad essere ridisegnati nel nuovo codice in modo funzionale alle esigenze della produzione. La ssa del diritto commerciale si tradusse in una commercializzazione del diritto civile, un adattamento dei suoi istituti alle esigenze dello sviluppo capitalista.
Dal commerciante all'imprenditore
Fino alla metà del Settecento il fattore propulsivo dell'economia era stato il commercio. I mercanti avevano organizzato le fiere, stimolato la produzione e rese ricche le città. Le norme che regolavano l'attività di produzione e di scambio erano indicate come diritto mercantile o diritto commerciale. La fase della produzione rimase in ombra, era affidata ai contadini e agli artigiani i quali non operavano direttamente sul mercato, ma lavoravano su commissione del mercante il quale stabiliva che cosa produrre e quanto produrre.
Dalla seconda metà del Settecento la situazione mutò: la rivoluzione industriale pose il momento della produzione al centro del processo economico e il capitalismo commerciale si trasformò in capitalismo industriale. Anche coloro che si dedicavano alle nuove attività industriali seguitarono ad essere qualificati commercianti perché realizzano il loro profitto acquistando fattori produttivi e rivendendo beni e servizi prodotti. Coerentemente il codice di commercio del 1882 definiva atti di commercio non solo l'acquisto di merci finalizzato alla vendita ma anche la produzione industriale di beni e di servizi, le operazioni bancarie, quelle assicurative e l'attività di trasporto.
Cominciava ad apparire chiaro che il momento centrale del processo economico non era più comprare per rivendere ma organizzare materie prime, capitale e lavoro al fine di produrre beni e servizi.
Questo diverso modo di interpretare il processo produttivo venne ufficialmente recepito dal legislatore italiano nel 1942 con l'emanazione dell'attuale codice civile. La diversa interpretazione consentì di accantonare l'ingombrante ura del commerciante vissuto nell'immaginazione collettiva come lo speculatore professionale, e di sostituirla con la nuova ura dell'imprenditore, colui che crea ricchezza organizzando, a proprio rischio, i fattori della produzione.
*L'imprenditore*
Chi è imprenditore
L'articolo 2082 del cc dice che è imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
L'impresa è l'attività economica organizzata svolta professionalmente dall'imprenditore al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.
La ditta è il nome sotto cui agisce l'imprenditore.
L'attività economica
L'attività di produzione o di scambio viene definita economica se è idonea a coprire i costi con i ricavi.
L'imprenditore preleva dai ricavi quanto è necessario per acquistare nuove materie prime, dalla cui lavorazione trarrà nuovi ricavi; con una parte di questi acquisterà nuove materie prime e così via. Attuare questo processo significa produrre con criteri di economicità.
Il profitto non è un elemento indispensabile per definire imprenditoriale una certa attività. Il criterio dell'economicità si ritiene soddisfatto se l'attività è organizzata in modo da operare almeno in condizioni di pareggio di bilancio.
La ricerca del profitto è la motivazione che muove l'imprenditore privato, ma può anche non essere presente. Non hanno fine di lucro:
le imprese pubbliche, il cui scopo non è il perseguimento di un profitto ma il soddisfacimento di un interesse collettivo, come l'erogazione di servizi pubblici essenziali;
le imprese cooperative, il cui fine non è la divisione degli utili ma la ricerca di un vantaggio per i soci;
tutte le imprese non profit, che costituiscono un fenomeno in grande espansione soprattutto nel campo della produzione di servizi assistenziali, culturali e ricreativi.
Se il criterio dell'economicità si identificasse con il fine di lucro, queste realtà, non potrebbero essere considerate imprese.
Il deficit di bilancio: il requisito dell'economicità è rispettato quando l'impresa è oggettivamente o potenzialmente capace di produrre ricavi sufficienti a rigenerare il ciclo produttivo.
La beneficenza: Devolvere in beneficenza il profitto di un'attività non significa non essere più imprenditori o, come tali, soggetti a tutti gli obblighi posti dalla legge a carico di chi esercita attività di impresa.
L'erogazione gratuita: Un'attività economica può essere considerata tale solo se è capaci di alimentarsi con le proprie entrate e non se la sua sopravvivenza dipende da contribuzioni esterne.
La professionalità
Il requisito della professionalità è ritenuto presente se l'attività produttiva viene svolta in modo abituale e stabile e non in modo occasionale.
E' indispensabile perché la legge pone a carico dell'imprenditore commerciale alcune incombenze, tra cui la tenuta di libri contabili e l'iscrizione nel registro delle imprese, che hanno un senso soltanto se questi opera stabilmente sul mercato.
L'ordinamento non richiede che l'attività imprenditoriale sia l'unica esercitata dal soggetto e non richiede neanche che essa sia l'attività principale. Nulla vieta che si spossa svolgere un lavoro al mattino e un'attività imprenditoriale alla sera.
L'organizzazione
Il requisito dell'organizzazione consiste nel coordinamento dei fattori produttivi, che sono:
il lavoro altrui. L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
Il capitale, costituito dall'azienda, cioè la struttura necessaria per svolgere attività produttiva.
L'organizzazione è il requisito giuridicamente meno rilevante per definire la ura di imprenditore perché altrimenti saremmo costretti a non considerare imprenditori:
coloro che organizzano rilevanti capitali senza avvalersi del lavoro altrui (gioiellere)
coloro che si avvalgono del lavoro di molto personale ma utilizzano pochi beni (le imprese che provvedono all'espletamento di pratiche burocratiche)
coloro che svolgono la propria attività senza organizzare il lavoro altrui né utilizzare beni di qualche importanza (artigiani).
Il requisito dell'organizzazione non postula necessariamente un complesso ordinato di mezzi e di persone essendo sufficiente anche una rudimentale e limitata predisposizione di mezzi, soprattutto quando l'attività è incentrata su una sola persona.
Il fine della produzione o dello scambio
L'attività economica organizzata svolta professionalmente dall'imprenditore deve essere diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi, quindi è imprenditore solo chi produce per scambiare, cioè per il mercato e non chi produce soltanto per il soddisfacimento dei bisogni personali o familiari.
La titolarità dell'impresa
La qualifica di imprenditore spetta a colui nel cui nome l'impresa viene esercitata.
E' l'imprenditore a dover rispondere delle obbligazioni assunte per lo svolgimento dell'attività d'impresa.
L'imprenditore occulto
Talvolta l'attività imprenditoriale viene esercitata da un prestanome cosicché rimane occulto colui che realmente dirige l'impresa. Le ragioni che inducono a nascondere la vera titolarità dell'impresa sono:
il soggetto non può esercitare l'attività imprenditoriale in prima persona perché, ad esempio, è un dipendente pubblico e come tale non può svolgere attività commerciali;
il soggetto non vuole rischiare tutto il proprio patrimonio nell'impresa e si serve di un prestanome nullatenente.
Non è corretto servirsi di un prestanome corrente ma non è neanche illecito. Il prestanome non pone in essere alcun raggiro, si presenta sul mercato con il proprio nome e il creditore che entra in rapporto d'affari con lui lo fa sulla base delle garanzie che questi offre e non certo fidando sulla garanzia patrimoniale di un imprenditore occulto del quale non può supporre l'esistenza. Se i creditori scoprissero l'esistenza dell'imprenditore occulto non cambierebbe la situazione in quanto il rapporto tra imprenditore occulto e prestanome si conura come un regolare mandato senza rappresentanza. Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra. Nel mandato senza rappresentanza, il mandatario agisce in nome proprio e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi. L'imprenditore occulto non risponde dei debiti d'impresa.
Tipi di imprese
Il codice civile distingue le imprese tra imprenditore commerciale, agricolo e piccolo imprenditore.
L'imprenditore commerciale è:
obbligato ad iscriversi nel registro delle imprese al fine di rendere noti ai terzi alcune notizie relative alla sua attività;
obbligato a tenere le scritture contabili indicate dalla legge affinché, in caso di insolvenza, il giudice possa ricostituire i movimenti finanziari dell'impresa;
soggetto al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
L'imprenditore agricolo e il piccolo imprenditore non:
sono obbligati a tenere le scritture contabili, ad eccezioni di quelle richieste per i controlli fiscali;
sono soggetti al fallimento né alle altre procedure concorsuali.
Ci sono anche:
Le imprese individuali che sono quelle esercitate da una singola persona fisica che assume su di sé i diritti e gli obblighi derivanti dall'attività imprenditoriale.
Le imprese collettive che sono quelle esercitate da una società.
Le imprese private che sono quelle di cui è titolare un soggetto privato, una persona fisica o una società.
Le imprese pubbliche che sono quelle di cui il titolare è lo Stato o un altro ente pubblico e possono assumere la forma di:
enti pubblici economici (economici perché hanno per oggetto esclusivo lo svolgimento di un'attività imprenditoriale)
enti politici
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