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PICCOLO IMPRENDITORE
Fino ad ora abbiamo parlato di imprenditori diversificandoli in base all'oggetto dell'impresa e abbiamo l'imprenditore agricolo e l'imprenditore commerciale.
Un secondo modo di classificazione è il criterio della dimensione dell'impresa, con riferimento a questo criterio distinguo un piccolo imprenditore da un medio - grande.
I piccoli imprenditori sono sottoposti come gli imprenditori agricoli allo statuto dell'imprenditore in generale però sono esonerati:
l-anche se esercitano attività commerciale dalla tenuta delle scritture contabili e
2-dall'assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
E mentre prima al pari dell'imprenditore agricolo non era soggetto ad alcuna forma di iscrizione oggi è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese in un'apposita sezione speciale ed al pari dell'imprenditore agricolo questa forma di pubblicità ha funzione di pubblicità notizia e non di pubblicità legale.
Anche la nozione di piccolo imprenditore serve a restringere ulteriormente l'applicabilità dello statuto dell'imprenditore commerciale. Lo statuto dell'imprenditore commerciale si applica agli imprenditori che esercitano una delle attività elencate nel 2195, chi non è imprenditore agricolo e chi non è piccolo imprenditore commerciale.
Allora sono esonerati dall'applicazione dello statuto dell'imprenditore commerciale sotto il profilo dell'oggetto dell'attività esercitata gli imprenditori agricoli e sotto il profilo dimensionale i piccoli imprenditori anche se esercitano attività commerciale.
Quindi lo statuto dell'imprenditore commerciale è lo statuto dell'imprenditore commerciale non qualificabile come piccolo.
Vi sono molte leggi di agevolazione e incentivazione delle piccole e medie imprese.
Questi concetti di piccole - medie imprese che troviamo nelle leggi speciali spesso sono totalmente svincolate dalla nozione di piccola impresa intesa in senso civilistico, quindi è necessario quando studiamo le leggi speciali tenere presente che esiste una moralità di nozione. Ad esempio come esiste una moralità di nozione di impresa, l'impresa per la legge antitrust non è impresa per il 2082 perché il concetto di impresa per l'antitrust è più esteso di quello di impresa civilistica vale questo anche per il diritto tributario.
Quando parliamo di statuto dell'imprenditore e dell'imprenditore commerciale facciamo riferimento al codice civile, perché le leggi speciali che si affiancano ad esso enucleano una nozione di impresa non coincidente con quella prevista dal codice civile. Quindi la piccola impresa oggetto di agevolazioni, di incentivazioni creditizie tributarie e fiscali non è la piccola impresa del 2083,ma è la piccola impresa che ha in mente il legislatore che prevede come fine della propria incentivazione ciò che vuole tutelare, non solo, spesso il legislatore accomuna la piccola e media impresa ai fini agevolativi cosa che non fa assolutamente il codice civile.
E' importante ricordare questa pluralità di nozioni che non è solo a livello nazionale di legislazione speciale ma anche a livello comunitario.
Quando il legislatore emana una legge speciale lo fa in base a un fine. Se crea ad esempio una legge che mira ad agevolare l'agricoltura, questa vale ai fini fiscali e non già a quelli civilistici, per cui l'impresa agricola ai fini fiscali per quella legge può essere impresa non coincidente con quella del codice. Questo soprattutto vale per il concetto di piccola impresa, numerose leggi di settore emanate negli ultimi anni, non ultima la 310/93 che accomuna la piccola e media impresa ai fini delle agevolazioni che il legislatore in un piano di programmazione economica ha voluto consentire, possono delineare un concetto di piccola impresa non coincidente con quello previsto dal 2083.
Art. 2083: "Piccoli imprenditori.- Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti
del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della loro famiglia".
La norma ci elenca prima una serie di piccoli imprenditori e poi termina con: "coloro che esercitano ". Come si pone la seconda parte della norma rispetto alla prima o meglio, i piccoli imprenditori, i coltivatori diretti, gli artigiani, sono qualcosa di diverso da coloro che esercitano un'attività professionale organizzata ?
La maggioranza degli interpreti e la giurisprudenza affermano che la norma va letta come se dicesse: sono piccoli imprenditori coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della loro famiglia. La prevalenza del lavoro proprio e famigliare è il carattere distintivo di tutti i piccoli imprenditori, quindi la norma va capovolta, oltre ad altre spiegazioni vi è anche il principio costituzionale l'art. 3 della parità del trattamento.
Allora se comunque ciò che denota la piccola impresa è il lavoro prevalentemente proprio e dei famigliari questo deve essere presente anche nelle forme tipiche altrimenti ci sarebbe una disparità di trattamento nell'ambito dello stesso concetto di imprenditore. La maggioranza degli interpreti quindi lo legge come se fosse rovesciato.
Però questa è già una scelta dell'interprete, perché c'è un'opinione minoritaria in dottrina che sostiene che per le ure nominate vale un discorso e che il criterio della prevalenza si applica soltanto a coloro che non rientrano in quelle ure.
Ma questa è un'opinione del tutto minoritaria perché oramai si può dire che la lettura di questa norma avviene in base all'interpretazione di maggioranza. Quindi piccolo imprenditore per il codice civile è il soggetto che esercita attività organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e della sua famiglia.
E' necessario stabilire cosa si intende per concetto di prevalenza, perché bisogna che l'imprenditore eserciti il lavoro di questa impresa e poi bisogna che il lavoro dell'imprenditore e dei famigliari prevalga rispetto al lavoro altrui e al capitale utilizzato nell'impresa. Se ad esempio nella mia attività impiego capitale di miliardi e poi non ho alcun collaboratore perché tutta la mia attività è automatizzata comunque non parlo di piccola impresa, in quanto il mio lavoro non prevale sul capitale impiegato. Quindi il concetto di prevalenza va rapportato al capitale investito e al lavoro altrui, se non si hanno collaboratori e si investe un capitale molto rilevante si è imprenditori commerciali e non piccoli imprenditori.
Si è poi studiato in dottrina cosa si intende per prevalenza si è detto è un concetto matematico quantitativo o è qualitativo funzionale. Perché si parla di concetto qualitativo e non di un concetto quantitativo? Perché ci vuole proprio un lavoro preminente dell'imprenditore nell'impresa dando un apporto e un rilievo incisivo sul prodotto finito. Ecco perché si parla di prevalenza in senso qualitativo funzionale, in funzione dei beni e dei servizi prodotti. Esempi: il piccolo sarto su misura, il piccolo commerciante.
Questo è quello che ci dice il codice civile interpretato secondo l'opinione dominante a complicare le cose c'è la legge fallimentare che è quasi contemporanea del codice sono entrambe del 1942.
L'art 1) della legge fallimentare da una nozione autonoma di impresa non soggetta al fallimento e quindi di piccola impresa e cita:
"Sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attività commerciale i quali sono stati riconosciuti in sede di accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile i titolari di un reddito non inferiore a un minimo imponibile quando è mancato l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attività commerciale nella cui azienda risulta essere investito un capitale non superiore a lire 900000.
In nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali"
La legge fallimentare è una legge che ha efficacia anche ai sensi civilistici non è una legge speciale, quindi è un criterio autonomo che però non è solo autonomo ma è anche completamente diverso dal 2083 per l'enucleazione del piccolo imprenditore.
Quindi ci si chiede che fine fa l'art 1) sopra citato. Si sa che l'imposta di ricchezza mobile è stata abolita nel 73 con l'irpef. Allora tutta la parte relativa all'imposta viene annullata è una sorta di approvazione implicita perché una legge sopprime quel tipo di imposta, a questo punto l'altro criterio citato: "quando è mancato l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile sono considerati picccoli imprenditori gli imprenditori esercenti attività commerciale nel cui nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a lire 900000" è fonte di dibattiti.
Ci sono diverse interpretazioni. Da una parte stanno coloro che dicono che la legge prevedeva il criterio delle 900000 in mancanza di accertamento del criterio relativo all'imposta di ricchezza mobile, quindi senza tutto il primo criterio, essendo il secondo un criterio accessorio al primo, cade tutta la norma. Questa è l'interpretazione data dal professor Cottino, opinione che è minoritaria, perché da sempre l'opinione prevalente in dottrina accolta da tutti i giudici fallimentari è stata: è vero che stata abolita la ricchezza mobile ma noi teniamo in vita la seconda parte della norma, come criterio di valutazione. Quindi in questo modo sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore alle 900000.
Di conseguenza si ha avuto fino al 1989 l'applicazione del criterio delle 900000, se il capitale investito nell'azienda superava le 900000 si era considerati imprenditori medi grandi e quindi soggetti al fallimento se invece il capitale investito non superava le 900000 si era piccoli imprenditori.
Solo nel 1989 data l'irrisorietà della somma è insorta la Corte di Cassazione che solleva la questione di costituzionalità della norma in relazione all'art. 3 principio di uguaglianza, che dice che bisogna applicare conseguenze identiche a chi si trova nelle stesse condizioni. Perché si è arrivati fino al 1989? Perché il criterio enunciato dal codice civile è molto elastico e quindi per un giudice risultava molto più semplice applicare il criterio delle 900000, essendo un criterio automatico.
A questo punto le possibilità erano due: accettare la prima interpretazione e quindi cade tutta la norma e si ritorna al 2083 al criterio della prevalenza elastica o aggiornare la somma delle 900000.
Interviene la Corte Costituzionale dicendo che l'art. 1) è incostituzionale perché non c'è più distinzione data l'irrisorietà della somma tra chi è imprenditore commerciale e deve fallire e chi è piccolo imprenditore e quindi non è soggetto al fallimento, viene quindi accolta l'incostituzionalità della norma con sentenza di accoglimento che vale erga omnes e quindi il primo e secondo comma della legge fallimentare tutt'oggi non ci sono più. Rimane della legge fallimentare solo l'ultima parte secondo comma che dice: "In nessun caso possono essere considerati piccoli imprenditori le società commerciali", e come se il legislatore avesse detto badate bene che il 2083 quando fa riferimento al concetto di prevalenza vale solo per l'impresa individuale perché le società non possono essere mai considerate piccoli imprenditori. Questa è l'unica parte della legge fallimentare che sopravvive al cammino travagliato che ha visto riforme fiscali e giudici della consulta intervenire rispetto a un criterio applicato fino all'89 ma dichiarato incostituzionale.
In conclusione oggi per sapere se si è o meno piccoli imprenditori si deve solo guardare al 2083, perché non c'è più questa differenza di connotazione data da due leggi contemporanee. Quindi oggi è ancora più importante enucleare bene i contorni della nozione di prevalenza.
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