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PUBBLICO MINISTERO DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

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PUBBLICO MINISTERO DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

Il p.m., anche se è nato per promuovere l'azione penale, è vissuto anche per partecipare al processo civile. Il p.m. era sotto la direzione del Ministero di Grazia e Giustizia e la sua presenza nel processo civile, storicamente, trova ragione nel controllo cui si voleva sottoporre i giudici ed in tutta una serie di norme, di stampo fascista, che prevedono la partecipazione del p.m. nel processo civile. Attualmente, con l'ordinamento garantista, l'esecutivo non dovrebbe avere la volontà di incidere sull'attività dei giudici. Dobbiamo innanzitutto premettere che l'ufficio del p.m. è impersonale per cui il suo intervento è di ufficio e non come persona. Ai sensi dell'art.69 c.p.c. il p.m. esercita l'azione civile nei casi stabiliti dalla legge che sono quelli nei quali potrebbe ravvisarsi un pubblico interesse (si tratta di cause riguardanti i diritti della persona, ossia diritti indisponibili). Secondo l'art.70 c.p.c. il p.m. deve intervenire, a pena di nullità dell'atto di ufficio, nelle cause che egli stesso dovrebbe proporre (intervento necessario), quali: quelle matrimoniali comprese quelle di separazione, quelle riguardanti lo stato e la capacità delle persone e le altre cause previste dalla legge (questa è una norma di chiusura perché lascia al legislatore la possibilità di ampliare i casi in cui è previsto l'intervento necessario del p.m.). Il p.m. potrà anche intervenire arbitrariamente in tutte quelle cause in cui egli ravvisa un pubblico interesse (intervento facoltativo). I due tipi di intervento del p.m. richiedono: nel caso di intervento necessario, che il p.m. venga avvertito della pendenza di una causa in cui è richiesto il suo intervento a pena di nullità; mentre nel caso di intervento facoltativo, che il p.m. giri per le aule in cerca delle cause in cui ritiene di aver interesse ad intervenire. Secondo l'art.72 c.p.c. il p.m. quando agisce si comporta a tutti gli effetti come una parte; i poteri del p.m. sono gli stessi delle parti (dedurre prove, impugnare la sentenza) ma vengono limitati dal comportamento delle parti stesse; questo nel senso che il p.m. non può fare nulla che non sia stato fatto dalle parti e quindi la sua attività sostanzialmente è quella seguire le parti. Il p.m. è l'unico soggetto che agisce nel giudizio civile senza mettere quasi mai piede in udienza (intervento spirituale). Il p.m. può essere considerato una "parte atipica" perché pur essendo magistrato non svolge funzioni di giudice, non svolge funzioni inquirenti (proprie del penale), dovrebbe comportarsi come una parte ma non lo fa; quindi la sua presenza nel processo civile appare alquanto inutile. Inoltre la cassazione ha affermato che il p.m. qualora propone l'appello e poi non e in udienza non provoca l'improcedibilità della causa; questo principio affermato dalla cassazione costituisce un'eccezione all'art.348 c.p.c. che stabilisce che quando si propone l'appello il giudice può dichiarare improcedibile la causa se l'appellante non e mai in udienza. La Corte costituzionale ha affermato l'illegittimità dell'art.710 c.p.c. nella parte in cui non prevede l'obbligatoria presenza del p.m. in giudizi per la modifica dei provvedimenti adottati in sede di separazione riguardanti la prole.




La legge di istituzione del giudice unico ha confermato che il tribunale decide in sede collegiale nei casi in cui interviene il p.m.; di regola però il tribunale decide collegialmente le cause particolarmente importanti (quelle previste dall'art.50-bis c.p.c.), quindi se decide collegialmente anche nei casi in cui interviene il p.m. ne consegue che si avrà il collegio anche per cause semplici e questo è uno spreco di energie. Da tutte queste disposizioni si evince la alta considerazione che il legislatore e la Corte costituzionale hanno del p.m. Inoltre la partecipazione del p.m. non solo è sanzionata a pena di nullità nelle cause in cui il suo intervento è obbligatorio a norma dell'art.70 c.p.c., ma l'art.397 c.p.c. stabilisce anche che le sentenze di cui agli artt.395 e 396 c.p.c. possono essere impugnate dal p.m. per revocazione: quando la sentenza è stata pronunciata senza che egli sia stato sentito oppure quando la sentenza è l'effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge. L'art.158 c.p.c. stabilisce poi che la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all'intervento del pubblico ministero è insanabile e deve essere rilevata d'ufficio, salva la disposizione dell'art.161 c.p.c. La nullità in questione è insanabile è quindi può essere eccepita dalle parti. L'art.161 c.p.c. al 1° comma ("la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione") riguarda il principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame, per cui anche le nullità insanabili si sanano con il passaggio in giudicato della sentenza; mentre al 2° comma ("questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice") parla dell'inesistenza della sentenza che è l'unica ipotesi in cui il passaggio in giudicato non va a sanare la nullità di questa sentenza. Quindi poiché il richiamo dell'art.158 c.p.c. fa riferimento solo al 2° comma, cioè solo alla mancanza della sottoscrizione del giudice, ormai si è portati ad affermare che anche la mancata partecipazione del p.m. rientra senz'altro nella nullità insanabile che può essere sanata con il passaggio in giudicato della sentenza. In conclusione possiamo dire che mentre in un sistema come quello precedente c'era l'esigenza del governo (dell'esecutivo) di tenere sotto controllo sia il giudice che le parti, oggi in funzione del venir meno di queste esigenze non dovrebbe persistere più una "blocca manus" dell'esecutivo in ogni processo. Oggi in sostanza, poiché ci sono istituti come l'astensione, la ricusazione e la responsabilità civile dei magistrati, non c'è più motivo di dubitare dell'imparzialità e della terzietà del giudice e quindi non è più necessario sottoporlo ad un certo controllo attraverso il p.m. che diventa una ura inutile. Per quanto riguarda il p.m. anch'esso è un magistrato e a norma dell'art.73 c.p.c. qualora intervenga nel processo civile gli si applica l'istituto dell'astensione, ma non quello della ricusazione. Inoltre al p.m. si applicano anche le norme relative alla responsabilità civile in quanto la legge n. 117/1988 si riferisce a tutti i magistrati civili e penali.





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