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SOCIETA' DI PERSONE

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SOCIETA' DI PERSONE


Per tutte le modifiche del contratto serve l'unanimità dei consensi salvo patto contrario e di regola per i problemi di amministrazione si vota a maggioranza calcolandola in base alle quote di partecipazione agli utili, questo è un criterio da adottare tutte le volte in cui la maggioranza viene calcolata per quote e non per testa perché potrebbero esserci dei soci d'opera il cui conferimento non essendo ascrivibile a capitale non sarebbero conteggiati se si rapportasse alla maggioranza le quote di conferimento e non alle quote di partecipazione agli utili.

I due poli sono dunque:

- l'unanimità per le modifiche;

- la maggioranza per il modello legale dell'amministrazione disgiuntiva.




Posto che il legislatore ha dettato delle regole dentro le quali muoverci, si pone poi un problema relativo a tutto ciò che non viene regolato, perché ci sono altre decisioni da adottare nella vita e nell'organizzazione della società diverse da quelle prese in considerazione dal nostro legislatore senza che però vi sia una soluzione nel nostro codice, come ci si muove quindi in questi casi e quali sono?:

- problema della nomina della revoca degli amministratori;

- problema dell'approvazione del bilancio, a chi competa tale approvazione e se tale decisione venga presa ad unanimità o a maggioranza.

Nel testo c'è una soluzione di base: basandosi sul fatto che le società di persone sono caratterizzate da questa stretta partecipazione del socio alla vita della società e c'è un rapporto di collaborazione stretta tanto che cadendo le basi per questa collaborazione si può parlare di un caso di scioglimento particolare del vincolo. Tutto questo fa si che si sia scelto di risolvere in chiave di unanimità tutti i tipi di decisioni non regolati dal legislatore.


Nomina e revoca degli amministratori

La regola secondo la quale ogni socio sarebbe naturalmente investito della carica di amministrare è una regola che ha carattere dispositivo perché l'atto costitutivo potrebbe invece attribuire proprio per volontà dei soci stessi la facoltà di amministrare ad alcuni soltanto di essi, quindi si potrebbe avere una dicotomia tra soci che amministrano e soci che non amministrano. Indipendentemente da questo gli amministratori possono essere nominati direttamente nel contratto sociale oppure con un atto separato. Quando la nomina viene nel contratto sociale avviene ovviamente ad unanimità ma il testo ritiene che anche la nomina con atto separato deve avvenire ad unanimità. La legge poi detta una non chiara norma in tema della revoca della facoltà di amministrare art.2259:

"La revoca dell'amministratore nominato con contratto sociale non a effetto se non ricorre una giusta causa.

L'amministratore nominato con atto separato è revocabile secondo le norme sul mandato (art.1726).

La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio".

Questo articolo parla della revoca ma non tratta il problema se questa debba avvenire a maggioranza o ad unanimità come a differenza era stato fatto parlando della nomina, bisogna quindi ricostruire il sistema.

Quando l'amministratore è nominato nel contratto sociale per averne la revoca ci vuole l'unanimità dei consensi in quanto comporta pur sempre una modifica del contratto che avviene ad unanimità ove non previsto diversamente e deve ricorrere una giusta causa quale presupposto per revocare. Il problema è nel 2° comma, l'amministratore nominato con atto separato, perché la legge apparentemente nulla dice ma in realtà dice che è revocabile secondo le norme sul mandato. Si applicano qui le norme sul tema del mandato collettivo che è il mandato conferito da più mandanti. Il legislatore ha utilizzato lo schema del mandato ma l'attività dell'amministratore non si identifica solo nel mandato perché il mandato compie uno o più atti giuridici per conto e se ha la rappresentanza in nome del mandante mentre l'amministratore compie un'attività che è un'insieme di atti giuridici coordinati e rivolti ad un unico fine, quello di produrre utili, non solo ma tutta l'attività non è nient'altro che la definizione del campo in cui possono muoversi gli amministratori, cioè possono compiere tutti gli atti rientranti nell'oggetto sociale. Importante quindi è non identificare l'amministratore con un semplice mandatario perché gli assomiglia molto ma è qualcosa in più.

In questo caso si richiama il mandato collettivo perché se per ipotesi vi sono i soci che investiscono della carica amministrativa altri soci, quindi collettivo perché l'incarico così come la revoca non proviene da un unico mandante ma da più soci. Nella norma art. 1726 in tema di mandato collettivo, dice:

"Se il mandato è stato conferito da più persone con unico atto e per un affare di interesse comune, la revoca non ha effetto qualora non sia fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa".

Quindi anche la revoca per atto separato richiede l'unanimità dei consensi, c'è però una differenza non è necessaria la giusta causa o meglio non rileva allo stesso modo può riemergere ma non è un presupposto per poter revocare.

La revoca di :

amministratore nominato con contratto sociale occorre unanimità più giusta causa;

amministratore nominato con atto separato occorre unanimità ma non giusta causa.

La giusta causa riemerge in un secondo momento qualora il mandato sia conferito anche nell'interesse del mandatario e cioè dell'amministratore.

La giusta causa riemerge ancora una volta quando la revoca può essere chiesta giudizialmente da ciascun socio indipendentemente dalle decisioni adottate ad unanimità, il socio potrebbe rivolgersi al giudice e chiedere la revoca.


Approvazione del bilancio.

Bilancio o rendiconto:

bilancio nelle società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice,

rendiconto nella società semplice.

La legge dice che i soci non amministratori (il problema sussiste nel momento in cui c'è distinzione tra soci amministratori e soci non amministratori, perché c'è una distinzione di poteri) hanno normalmente poteri di controllo quali:

- hanno diritto di avere notizie sullo svolgimento degli affari sociali, questo è un potere molto penetrante perché non può essere paralizzato da un segreto aziendale votato dagli amministratori per non dare queste notizie. Questo è un tipo di società in cui sono molto stretti i rapporti interindividuali ed in cui c'è una partecipazione individuale nella società molto rilevante è per questo motivo che il legislatore prevede questo potere di controllo;

- hanno diritto di consultare tutti i documenti relativi all'amministrazione, scritture contabili comprese;

- devono anche ottenere il rendiconto o il bilancio.

Il problema a questo punto è a chi compete l'approvazione del rendiconto o del bilancio. E' un caso non risolto dal legislatore e si pongono due problemi:

a chi compete l'approvazione di questo documento;

l'approvazione va fatta con decisione ad unanimità o basta la maggioranza.


a chi compete l'approvazione: secondo la tesi del testo essendo il rendiconto o il bilancio un atto degli amministratori rivolto a chi non amministra l'approvazione competerebbe solo ai soci non amministratori,

l'approvazione va fatta ad unanimità.

Quindi tutte le ipotesi sono risolte in chiave di unanimità ma c'è un giudizio di fondo che spiega tutto questo perché c'è anche qualcun altro che la pensa diversamente, ed è quello definito anche prima, che è quello per cui in una società di persone si presuppone una partecipazione attiva di tutti i soci quantomeno amministratori all'attività sociale e quindi l'unanimità è anche più facile da raggiungere. E' molto difficile ipotizzare la regola dell'unanimità fuori da ipotesi di società personali. Si vedranno poi regole parzialmente diverse in relazione all'accomandita con riferimento ad alcune ipotesi.

Ricordiamo che abbiamo due ipotesi tipiche: modifica del contratto sociale ed unanimità. Nella modifica del contratto rientra anche la modifica della quota in quanto comporta il subingresso di un nuovo socio nella società e questo deve essere approvato da tutti i soci, proprio per questa rilevanza della persona , per il principio di collaborazione, ecc.. . Rientra all'interno del 2252 che sancisce in linea di principio l'unanimità dei consensi, è una norma dispositiva, quindi potrebbe ammettersi così come la modifica a maggioranza anche la cessione della quota o addirittura la libera trasmissione della partecipazione.

Quindi questa regola dell'unanimità ove non derogata è stabilita per le modifiche del contratto.

La maggioranza calcolata in base alla quota di partecipazione agli utili è prevista per i problemi relativi all'amministrazione disgiuntiva, tutti gli altri casi vengono risolti sotto il principio dell'unanimità dei consensi che è quella che più è adeguata alla società di persone e alla loro struttura ed organizzazione.


Un altro dovere che incombe sui soci amministratori e sui soci non amministratori (questo solo con riferimento alle società commerciali) è quello di non concorrenza.

Per le società in nome collettivo e quelle in accomandita semplice incombe sui soci lo specifico obbligo di non esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della società ed inoltre di non partecipare come socio illimitatamente responsabile in un'altra società concorrente (art.2301). Quando si parlerà di esclusione del socio dalla società uno dei casi è quello della violazione dell'obbligo legale di non concorrenza.


Metodo collegiale e principio maggioritario, alcune conclusioni.

Il legislatore detta delle regole su come si vota nelle società di persone e ci sono delle discussioni per i casi non definiti per quanto riguarda appunto il dilemma maggioranza o unanimità, risolto dal testo verso l'unanimità di tutti i casi dubbi. La legge non ci dice però come si debba formare la volontà sociale, per la società di capitale vi è un metodo inderogabile per la formazione della volontà che è il metodo collegiale. Questo metodo si applica o non si applica alle società di persone?

Collegialità non è sinonimo di maggioranza.

La dottrina dominante e le tesi accolta dal testo è che per le società di persone non esista un'imposizione del metodo collegiale per la formazione della volontà sociale. Quindi tutto è determinato dalla informalità più assoluta. Questa affermazione va temperata nella sua portata solo se si consideri poi la necessità di avere una prova di quanto è stato discusso. Quindi c'è sempre la necessità di una pur minima formalità.

Quando si deve avere una maggioranza se non è necessaria la collegialità significa che si può arrivare ad avere la maggioranza anche se non tutti i soci sanno che si deve adottare una decisione, ad esempio 10 soci, si ha maggioranza anche se solo 6 sapevano ed erano d'accordo sulla questione.

E' anche da considerare il fatto che il legislatore dice che le società di persone potrebbero essere tacitamente prorogate, è una norma che non va sottovalutata perché implica che non è necessaria una sorta di formalità per stabilire la modifica del contratto. Anche questo è un altro motivo per ritenere che il principio di collegialità non sia imposto dalla legge.

Tutto ciò non vuol dire che i soci non adottino per loro scelta il metodo collegiale, quindi la collegialità è facoltativa e quando si sceglie si protrae fino in fondo.



SCIOGLIMENTO PARTICOLARE DEL VINCOLO.


Nelle società di persone (esclusa l'accomandita in quanto trattata separatamente) ogni socio sarebbe destinatario naturale della facoltà di amministrare ma l'atto costitutivo potrebbe prevedere che alcuni facessero gli amministratori ed altri no ma quando un socio è anche amministratore nel caso della sua revoca non si esclude contemporaneamente anche il socio. Si revoca all'amministratore la carica ma ciò non comporta l'esclusione del socio. Sono due situazioni differenti che vengono a coincidere solo nel momento in cui sussistono situazioni molto gravi che fanno venire meno a monte il rapporto reciproco di collaborazione che è alla base di ogni società personale ovviamente questo incide anche sulla permanenza del socio nella società.

Vi sono tre modi per i quali il rapporto sociale si sciolga limitatamente ad un socio:

la morte;

il recesso;

l'esclusione.

Il legislatore quando ci ha messo di fronte a tre ipotesi tipiche di scioglimento particolare del vincolo ha tenuto presente proprio ciò che è all'opposto dello scioglimento della società (disgregazione della comine sociale)e cioè il principio della continuazione dell'organismo produttivo. Quindi la conservazione della società è alla base di tutte le norme che prevedono lo scioglimento particolare del vincolo. Anche se il vincolo è essenziale non travolge se non lo vogliono gli altri soci l'intero contratto. Lo scioglimento della società è proprio il contrario della conservazione, ecco perché questi istituti sono così profondamente diversi.

Mentre lo scioglimento della società è determinato da cause che non rendono più attuabile la continuazione del rapporto sociale lo scioglimento del vincolo parte dall'opposto principio che la società possa andare avanti lo stesso e persegue l'intento della conservazione degli organismi produttivi del principio di continuità e del fatto che il legislatore abbia in un certo senso favorito il prolungarsi nel tempo della società invece che il suo disgregarsi.

Anche se ci sono soci gravemente inadempienti o addirittura soci interdetti o inabilitati la facoltà di escludere questi soci è rimessa ai soci stessi, non è il legislatore che decide, questo è in virtù della conservazione.

La disciplina generale dei contratti associativi muove da due principi fondamentali:

la valutazione del carattere essenziale della valutazione che viene meno è rimessa alla discrezionalità dei soci superstiti,

anche se rimanesse per ipotesi un solo socio, la società non si scioglie ma vige un periodo di 6 mesi per vedere se è possibile ricostituire la pluralità dei soci.


Cause di scioglimento particolare del vincolo:

- morte del socio: art 2284

"Salva contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano".

Ci sono varie possibilità quando muore un socio, l'unica cosa chiarissima è che non esiste un principio come nelle società capitalistiche come parzialmente accolto in caso di morte con riferimento alla quota dell'accomandante della trasmissibilità della quota agli eredi. Ci sono appunto diverse ipotesi: la morte del socio produce come effetto legale tipico lo scioglimento del rapporto fra il socio e la società con un obbligo conseguente per i soci superstiti di liquidare la quota del socio defunto agli eredi nel termine di 6 mesi. Quindi ciò implica che i soci superstiti non sono obbligati a vedere entrare in società gli eredi.

Le altre ipotesi alternative all'effetto legale tipico sono quella che i soci possano decidere lo scioglimento anticipato della società, scioglimento che deve essere deciso ad unanimità e che comporta la modifica del contratto in quanto va a variare l'elemento della durata. Gli eredi in questo caso non hanno più diritto alla quota della liquidazione nei termini dei 6 mesi perché lo scioglimento della società assorbe lo scioglimento particolare del vincolo e quindi diventano creditori come gli altri in concorrenza con essi e devono attendere la fine delle operazioni di liquidazione.

I soci superstiti potrebbero anche decidere di continuare la società con gli eredi stessi, in questo caso è necessario il consenso di tutti i soci superstiti all'unanimità e di tutti gli eredi anche per fatti concludenti, quindi ciascun erede diventa socio in proporzione della partecipazione accreditata alla quota ereditaria. Si potrebbe anche avere il consenso di alcuni eredi e non di altri questo perché tutti devono esprimersi ma può darsi che alcuni preferiscano avere la liquidazione della quota ed altri invece che acconsentano a continuare la società.

Lo scioglimento anticipato della società o la continuazione con gli eredi devono essere decisi dai soci superstiti nel termine di 6 mesi, termine che è lo stesso concesso per la liquidazione della quota e per la ricostituzione della pluralità dei soci quando questi si riducono ad uno.

L'art. 2284 fa salva una diversa disposizione del contratto sociale. Sovente la disciplina legale è ampiamente derogata dalla volontà delle parti che preferiscono già stabilire per contratto che cosa accadrà nel caso in cui uno dei soci venga meno per morte.


Clausole più frequenti negli statuti e nei patti sociali:

Clausola di consolidazione, i soci stabiliscono per contratto che in caso di morte di un socio la quota del socio defunto resta acquisita agli altri soci in proporzione ed agli eredi viene liquidato il valore della quota.

Ci sono delle clausole quelle di continuazione che hanno trovato in dottrina spesso degli ostacoli e sono:

Clausola di continuazione facoltativa, vincola solo i soci superstiti mentre gli eredi hanno la facoltà o meno di o rientrare in società o richiedere la liquidazione della quota. La differenza tra questa clausola e l'art.2284 sta nel fatto che per il 2284 è un accordo successivo alla morte del socio, i soci superstiti hanno ancora la facoltà di decidere tra le tre ipotesi sopra descritte mentre con questa clausola i soci hanno già stabilito in anticipo un vincolo che per loro va bene la continuazione con gli eredi, sono questi ultimi che hanno la facoltà di dire si o no. La dottrina ritiene questa clausola legittima in quanto vincola solo i soci superstiti e lascia un potere di decisione in capo all'erede.

Clausola di continuazione obbligatoria, vincola i soci superstiti e contiene l'obbligo dell'erede di subentrare con la conseguenza che se l'erede non subentrerà sarà tenuto a risarcire i danni ai soci superstiti.

Clausola di continuazione automatica, prevede l'ingresso automatico dell'erede nella società. Gli eredi solo per avere accettato l'eredità diventano automaticamente soci della società stessa.

Queste due ultime clausole sono molto contestate dalla dottrina ed in particolare quest'ultima più della precedente in quanto quella obbligatoria da la possibilità di non entrare risarcendo i danni mentre in quella automatica non è neppure ammessa questa possibilità e la differenza che troviamo nei contratti è efficacia obbligatoria o reale, quelle a efficacia automatica sono anche quelle ad efficacia reale in quanto è automatico il subingresso dell'erede in quanto per il solo fatto di avere accettato l'eredità diventa automaticamente socio. I problemi destati sono appunto perché non lasciano più alcuna opportunità di scelta in capo all'erede, il quale è costretto se non vuole diventare socio o a non accettare l'eredità oppure accettarla con beneficio di inventario in quanto entra in una comine sociale dove i soci sono illimitatamente responsabili.

La giurisprudenza invece dichiara tutte legittime queste clausole.

- recesso del socio: art. 2285

"Ogni socio può recedere dalla società quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.

Può inoltre recedere nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa.

Nei casi previsti nel primo comma il recesso deve essere comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi".

Una distinzione da fare è tra società di persone contratte a tempo determinato e società contratte a tempo indeterminato in quanto c'è una bella distinzione tra il recesso da una società contratta a tempo indeterminato ed il recesso da una società contratta a tempo determinato.

Il recesso è un atto di volontà del socio che decide di andarsene ed è una dichiarazione unilaterale recettizia cioè è una dichiarazione unilaterale che esce dalla sfera del soggetto e che viene comunicata ad altri soci.

Come si fa a recedere? Una prima distinzione è appunto quella fra società a tempo determinato e società a tempo indeterminato, si rispecchia in questo un po' il principio generale che nei contratti di durata attribuisce spesso la facoltà di recedere ad uno dei due contraenti o a tutti e due, perché, quando un contratto ha una durata che si protrae nel tempo, possono modificarsi determinati aspetti per i quali nessuno possa essere costretto ad obbligarsi per una durata indeterminata. Questa è la ratio del recesso.

Applicata al recesso considerato se ci troviamo in una società contratta a tempo indeterminato è più facile recedere perché il socio può recedere liberamente cioè non deve apporre una giusta causa per poter andarsene deve semplicemente dichiarare con dichiarazione unilaterale recettizia ossia comunicare la volontà di recedere agli altri soci. Proprio perché si può recedere liberamente la legge prescrive che ci vuole un termine di preavviso di almeno 3 mesi. Il preavviso ha una condizione di efficacia della dichiarazione ossia significa che nel momento in cui vado dai soci e dichiaro o non dichiaro il preavviso ma comunque comunico il recesso questo ha validità a decorrere dai tre mesi successivi alla comunicazione, gli altri soci lo considerano ancora socio per altri tre mesi in quanto è come se fosse sottoposto ad una condizione sospensiva.

Nelle società contratte a tempo determinato non è invece concesso di recedere liberamente, per recedere bisogna apporre una giusta causa, quindi non è più necessario un preavviso ma una giusta causa e se sussiste giusta causa non è necessario un preavviso.

Per giusta causa si recede sempre vale per tutte le società, la differenza sta nel fatto che per le società a tempo indeterminato si può recedere anche liberamente con un preavviso.

La giusta causa mi dimostra che non si può recedere liberamente occorre stabilire quindi che cos'è questa giusta causa. La giurisprudenza lo risolve in modo chiarissimo e dice che per giusta causa si intende la reazione contro inadempimenti di altri soci, una reazione contro un illegittimo comportamento degli altri soci tale da incrinare quel rapporto fiduciario che lega i soci gli uni con gli altri. E' quindi un concetto inteso in senso oggettivo.

Il testo però ritiene questo concetto riduttivo e rilancia dicendo che è giusta l'ipotesi ma non è giusto racchiudere nel concetto di giusta causa solo l'elemento oggettivo di una reazione ad un inadempimento altrui, quale può essere escludere il socio gravemente inadempiente ai suoi obblighi, oppure quella di andarsene direttamente perché caduta la fiducia del rapporto. Il Cottino e la dottrina non sono d'accordo. Per loro giusta causa può essere intesa anche in senso soggettivo, come il socio che si ammala o quello che viene trasferito all'estero per motivi di lavoro o famigliari.

Come dice la legge vi possono essere delle ipotesi di recesso convenzionali cioè l'atto costitutivo può stabilire che in relazione a determinati accadimenti sia consentito il recesso, questo è ammissibile pur che però l'autonomia non si spinga a negare le ipotesi di recesso laddove il legislatore le ha volute.

Nelle società di capitali il recesso è visto con sfavore laddove invece nelle società di persone è facilitato, questo perché nelle società di capitali la funzione del capitale e soprattutto l'integrità del capitale stesso è tale per cui in seguito al recesso di uno dei soci abbiamo una diminuzione del capitale sociale. La funzione del capitale è differente, nelle società di persone non è rilevante così come nelle società di capitale dove l'integrità del capitale viene tutelata da specifiche norme che non troviamo nelle società di persone. Per questo motivo nelle società di capitale il recesso è limitato a pochi casi ben delineati e tassativi quali: - quando la società si trasforma; - solo se si cambia l'oggetto della società; - o se si trasferisce la sede all'estero tranne ipotesi particolari in caso di fusione eterogenee ecc .

- esclusione del socio: art. 2286 - 2287 - 2288.

Esistono due tipi di esclusione:

Esclusione facoltativa;

Esclusione di diritto.

Il legislatore ci dice che di regola l'esclusione è sempre e solo una scelta degli altri soci poi si vede come viene adottata tale scelta ma la regola è che l'esclusione è sempre una facoltà degli altri soci.

Per ciò che riguarda l'esclusione di diritto si hanno solo due casi:

Il fallimento del socio;

Il caso in cui vi è un creditore particolare del socio, laddove l'autonomia patrimoniale è meno accentuata, può chiedere e ottenere la liquidazione della quota, nel momento in cui ha ottenuto la liquidazione della quota il socio, nei cui confronti è ottenuta la liquidazione della quota, è escluso di diritto dalla società.

Le fattispecie che legittimano un eventuale delibera dei soci rivolta ad escludere il socio che ha commesso questi fatti sono:

- Gravi inadempienze che derivano dalla violazione di obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale, per esempio se si viola l'obbligo della legge della non concorrenza, per Interdizione, per Inabilitazione del socio e per condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.

- Impossibilità sopravvenuta nella prestazione;

- Eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

Per quanto riguarda le gravi inadempienze si ha l'ipotesi per cui un contraente può escludere l'altro solo se uno dei due è gravemente inadempiente per quanto riguarda i contratti. Per ciò che riguarda l'impossibilità sopravvenuta o l'eccessiva onerosità si hanno le ipotesi già viste per i conferimenti quali: perimento della cosa che il socio si è obbligato a conferire in proprietà (perimento non per colpa del socio), perimento della cosa conferita in godimento che non dipenda da un comportamento degli amministratori, sopravvenuta inidoneità a prestare la propria opera. Tutte queste ipotesi possono legittimare l'esclusione del socio dalla società.

Questa esclusione si vota in modo diverso da quelle viste precedentemente. Si vota a maggioranza ma a maggioranza calcolata per teste. Non si calcola in questa maggioranza il socio da escludere. E' stato previsto questo tipo di maggioranza diverso da quello previsto in base alle quote di utili in quanto prevale in questo caso un aspetto personalistico, conta il rapporto interpersonale. Questa maggioranza per teste comunque deve essere motivata in relazione alle cause che la legge ha motivato e ha effetto solo quando sono passati 30 giorni dalla comunicazione di questa al socio, c'è questo termine perché il socio può fare opposizione. E' a quest'ultimo riguardo che sorge un primo problema: quando un giudice mette il naso negli affari della società non si deve sostituire agli amministratori o ai soci ma deve fare un controllo non di merito o di opportunità ma fa un controllo di legittimità seppur si chiama legittimità sostanziale cioè non un controllo di legittimità veramente formale dove c'è la motivazione e basta ma sostanziale perché la motivazione adotta è veramente coerente quindi mi preura veramente la possibilità di escludere il socio o no, però il giudice non può valutare se sia opportuno escludere quel socio questa decisione è rimessa solamente alla discrezionalità dei soci. Questa è una regola che vale per tutto il diritto delle società, laddove un sindacato giurisdizionale ci sia, quindi un sindacato da parte di un organo esterno alla comine sociale, questo sindacato non può mai toccare il merito delle scelte che competono, se si tratta di società di capitali, ad uno specifico organo, in questo caso ai soci o agli amministratori.

Se la società è composta solo da due soci l'unica forma per escludere è quella di andare dal giudice altrimenti non si potrebbe farlo.

Le questioni relative all'esclusione dei soci oppure alla giusta causa del recesso ecc sono devoluti ad arbitri cioè si trova una clausola arbitrale alla fine degli atti costitutivi che implica la scelta anticipata dei soci di non andare davanti all'autorità giudiziaria ma di risolvere i loro problemi davanti ad arbitri nominati secondo le regole ritrovate nell'atto costitutivo.


Per ciò che riguarda la liquidazione degli eredi, questi hanno diritto a una somma di denaro che rappresenti il valore della quota salvo che non sia diversamente stabilito. Questo valore si determina guardando il valore patrimoniale della società nei giorni in cui si verifica lo scioglimento del rapporto che però deve tenere conto anche delle operazioni in corso e bisogna attribuire ai beni un valore effettivo. Quindi si considera la situazione reale del bene e il valore di avviamento dell'azienda. Diversamente dalle società di capitali dove non si considera il valore di avviamento dell'azienda a meno che per questo non sia stato ato un prezzo. La quota deve essere liquidata entro 6 mesi ed entro 3 nel caso in cui sia un liquidatore particolare a chiedere la liquidazione della quota (esclusione di diritto del socio).



SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ art. 2272


"Cause di scioglimento della società. La società si scioglie:

per decorso del termine;

per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;

per la volontà di tutti i soci;

quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di 6 mesi questa non è ricostituita;

per le altre cause previste dal contratto sociale".

Art. 2273:

"Proroga tacita. La società è tacitamente prorogata a tempo indeterminato quando, decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compiere le operazioni sociali".

Questa è la norma che chiarisce il principio di informalità assoluta che regna nella adozione delle decisione delle società di persone in quanto è una modifica dell'atto costitutivo nel quale è prevista la scadenza e viene addirittura adottata tacitamente.


Spiegazione delle cause di scioglimento:

- scadenza del termine: quando è decorso il termine la società si scioglie;

- conseguimento dell'oggetto sociale e sopravvenuta impossibilità nel conseguirlo: i maggiori problemi li pone il secondo aspetto in quanto per ciò che riguarda il conseguimento dell'oggetto sociale si è esaurito il motivo per cui è sorta la società quindi è più facile da stabilire. Invece per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo ad esempio la revoca della licenza su cui si basava l'attività della società.

C'è una differenza con l'impossibilità originaria di conseguire l'oggetto sociale che è un motivo di nullità, se nel momento in cui si costituisce la società l'oggetto è impossibile, è un motivo di nullità della società stessa. Invalidità originaria.

In questo caso l'oggetto è possibile e lecito ma per causa sopravvenuta è impossibile da raggiungere.

A questo riguardo la causa che ha dato luogo a più casi giudiziari sotto il profilo dell'art. 2272 e sotto il profilo dell'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale è quello che viene chiamato il dissidio insanabile fra i soci. Le società di persone sono a volte teatro di lotte furibonde fra i soci, con manovre ostruzionistiche, quando queste diventano tali da paralizzare il raggiungimento dell'oggetto sociale e quindi paralizzano l'attività della società vengono considerate motivo di impossibilità di raggiungimento dell'oggetto sociale.

Questa è una delle cause più frequenti dello scioglimento delle società di persone.

La giurisprudenza ha però sempre detto che per il dissidio insanabile prevale l'esclusione del socio e non lo scioglimento della società quando è chiaro che la colpa è imputabile al comportamento di un socio ad una sua grave inadempienza.

- volontà di tutti i soci: c'è un problema di coordinamento con la legge che prevede che se la società ha un termine, scioglierla, implica la modifica del contratto sociale con l'unanimità dei consensi, questa norma è anche derogabile, quindi è possibile trovare un atto costitutivo che prevede anche solo la modifica a maggioranza. Questa norma invece pare volere la volontà di tutti i soci, come si risolve? Prevale l'art. 2272 oppure si potrebbe avere una modifica a maggioranza? Il testo afferma che dovrebbe prevalere l'art. 2272 in quanto la regola è chiaramente espressa, ci sono altri che sostengono l'altra possibilità, il dibattito è ancora aperto.

- viene a mancare la pluralità dei soci, se nei termini di 6 mesi la società non viene ricostituita. La riduzione della società ad un socio non comporta lo scioglimento automatico della società ma decorre un termine di 6 mesi in cui la società sopravvive ed ha la possibilità di trovare un altro socio con il quale continuare la società. Se il socio unico decorsi i 6 mesi non procede alla liquidazione della società ma continua a svolgere le operazioni sociali ci si trova davanti ad una sorta di trasformazione anomala che dalla società si passa ad una impresa individuale.

- cause previste dal contratto sociale: sono sempre rimesse all'autonomia privata, possono essere inserite delle cause di scioglimento. Altre cause riguardano le società con oggetto commerciale, una di queste può essere il fallimento della società per la quale però si instaura una procedura specifica diversa da quella prevista per lo scioglimento.


Si arriva all'estinzione delle società attraverso un procedimento a formazione progressiva, ciò vuol dire che non si arriva allo scioglimento della società istantaneamente ma c'è tutto un procedimento da seguire:

- verificarsi di una causa di scioglimento della società. Tutte le cause di scioglimento agiscono di diritto o operano automaticamente ossia ogni accertamento che si faccia da amministratori o da un socio sono accertamenti di qualcosa che si è già verificato. Quindi l'accertamento ha valore dichiarativo e la causa di scioglimento determina l'entrare nella fase di liquidazione della società.

- la società entra automaticamente in liquidazione, questo significa che si cambia lo scopo sociale che non è più quello di dividere gli utili ma quello di are i creditorie sperare che vi sia poi un residuo attivo da distribuire tra i soci.

Già dal verificarsi della causa di scioglimento emergono degli effetti molto importanti perché ci sono delle forti limitazioni ai poteri degli amministratori art.2274:

"I poteri degli amministratori sono limitati al compimento degli affari urgenti"

se gli amministratori compiono atti che non sono urgenti e proseguono l'attività sociale sono ritenuti come dei rappresentanti senza poteri. Possono quindi compiere solo gli affari urgenti come i liquidatori una volta nominati non possono a loro volta intraprendere nuove operazioni che sono poi quelle destinate alla creazione di nuovi utili

Resta fermo a carico dei soci l'obbligo di eseguire, se i fondi risultano insufficienti a are i creditori sociali, i versamenti ancora dovuti.

Col solo verificarsi della causa di scioglimento cambia anche la posizione dei creditori personali dei soci in alcuni casi questi potrebbero ottenere la liquidazione della quota, se però la società è entrata nella fase di scioglimento questi creditori particolari devono attendere la chiusura della liquidazione non possono pretendere di essere favoriti ed avere subito la liquidazione della quota.

Il verificarsi quindi della causa di scioglimento incide non sulla capacità della società ma sui poteri di determinati soggetti che poi sono determinati organi per la società di capitali.

E' importante che la società conservi una piena capacità giuridica perché la società potrebbe sempre ramificare un'operazione di un amministratore che non sia urgente come potrebbe ramificare l'operato dei liquidatori che compiono le operazioni.

Il legislatore anche in questo caso è propenso versa la tendenza a voler conservare il più possibile l'organismo produttivo, una volta avviata la procedura di liquidazione i soci potrebbero sempre ad unanimità decidere di, anche con fatti concludenti, proseguire l'attività sociale revocando la liquidazione, revoca della liquidazione. Mentre dubbi ci sono sulle società di capitali se questa debba essere fatta a maggioranza o ad unanimità, nelle società di persone sono tutti d'accordo che ci vuole l'unanimità. La proroga tacita della società dopo la scadenza ne è un esempio anche se c'è che distingue tra questa e la revoca della liquidazione, proroga tacita quando non c'è proprio soluzione di continuità, basta uno stacco netto tra i due passaggi che si è già in una revoca, spessissimo una proroga tacita potrebbe anche essere una revoca della liquidazione.

Il procedimento di liquidazione art. 2275:

"Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale.

I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci".

Per le società personali a differenza delle società di capitali si ritiene che, mentre un procedimento di liquidazione bene o male ci debba essere, sia lasciato nella facoltà dei soci di determinare le modalità attraverso le quali debba avvenire la liquidazione. quindi i soci potrebbero procedere essi stessi allo smantellamento del patrimonio sociale, are i creditori e dividersi l'attivo senza nominare i liquidatori.

Alcuni ritengono che questo sia possibile solo nella società semplice, mentre tutta la giurisprudenza lo ritiene invece possibile per tutte le società di persone commerciali e non. La nomina dei liquidatori va fatta dai soci ad unanimità e in caso di disaccordo dal presidente del tribunale. Il termine disaccordo crea alcune difficoltà, se il disaccordo è sulla persona che si deve nominare liquidatore si risolve la questione andando dal presidente del tribunale, ma spesso c'è controversia riguardo all'esistenza di una causa di scioglimento della società, una parte dei soci sostengono che esiste un dissidio che porta allo scioglimento altri sostengono di no. Il presidente del tribunale a questo riguardo prima di nominare i liquidatori deve accertare che si sia verificata una causa di scioglimento oppure no? A questo riguardo si discute perché in realtà il provvedimento del tribunale del giudice è in camera di consiglio non è procedimento contenzioso in cui si fanno valere le parti. La giurisprudenza si sta orientando visto che la controversia attiene a diritti soggettivi verso il fatto che il giudice deve nominare i liquidatori solo quando è incontrastato, non c'è un disaccordo sul fatto che si sia verificata una causa di scioglimento, altrimenti bisognerebbe attendere gli esiti di un giudizio vero e proprio.

I liquidatori possono essere revocati da tutti i soci oppure dal tribunale.

I poteri dei liquidatori sono legati al fatto che devono definire i rapporti pendenti che si ricollegano all'attività sociale, spesso convertono in denaro i beni, potrebbero vendere in blocco tutti i beni sociali solo attraverso una disposizione, devono are i creditori e ripartire fra i soci un eventuale residuo attivo.

Per procedere al amento dei creditori della società i liquidatori in primis possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti però solo se i fondi non sono sufficienti per are i creditori sociali, inoltre possono sempre chiedere ai soci secondo la proporzione in cui ciascun socio subisce le perdite somme ulteriormente necessarie per are i creditori sociali. Non possono sicuramente intraprendere nuove operazioni che sono vietate altrimenti vengono a rispondere personalmente nei confronti dei terzi delle operazioni compiute e non possono ripartire fra i soci neanche parzialmente i beni sociali fin che i creditori sociali non siano stati ati o non siano state accantonate le somme necessarie a titolo di garanzia per arli. Per ciò che riguarda gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono modellate su quelle degli amministratori .

Se la liquidazione si protrae per più di un anno i liquidatori sono tenuti a redigere un rendiconto se si tratta di società semplice o un bilancio alla fine di ogni anno e poi una volta estinti i debiti sociali procedono alla definizione dei rapporti fra i soci stessi.

Distinzione fra conferimenti in godimento ed in proprietà, perché per quelli in godimento devono essere restituiti al socio nello stato in cui si trovano se questi beni fossero deteriorati o periti per una causa imputabile agli amministratori il socio ha anche diritto al risarcimento del danno. I conferimenti in proprietà sono passati in proprietà alla società quindi non creano problemi.

La ripartizione dell'eventuale residuo patrimoniale avviene in denaro a meno che una clausola apposita dell'atto costitutivo non stabilisca che i soci preferiscano avere i beni in natura, in questo caso si applicano le norme sulla divisione delle cose in comune.

Da questa ripartizione sono esclusi coloro che hanno conferito i beni in godimento e il socio d'opera, perché non è capitalizzabile ciò che loro conferiscono. Questi soggetti partecipano solo alla divisione delle eccedenze in proporzione a quanto ciascuno a conferito.

Il saldo attivo di liquidazione viene fatto per il rimborso al conferimento per il valore nominale e quindi si determina secondo il valore stabilito in contratto o il valore che aveva il conferimento nel momento in cui è stato effettuato. A questo valore va distribuito il saldo attivo.

Nella società semplice il procedimento di liquidazione della società si chiude nella maniera più informale, nelle società in nome collettivo i liquidatori devono redigere un bilancio finale di liquidazione è un piano di riparto ossia modalità di distribuzione tra i soci.

Ultima fase dello scioglimento della società è la sua estinzione. Nella società semplice ed in quella in nome collettivo irregolare la chiusura di fatti del procedimento di liquidazione segna la fine della morte della società. In quella in nome collettivo si applica l'art. 2312:

"Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato amento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi.

Le scritture contabili e i documenti che non spettano ai singoli soci sono depositati presso la persona designata dalla maggioranza.

Le scritture contabili e i documenti devono essere conservati per 10 anni a decorrere dalla cancellazione della società dal registro delle imprese".

l'ultimo anello di questo procedimento a formazione progressiva per le società registrate è la cancellazione. Sorgono dei problemi interpretativi perché la norma pare risolvere il problema delle sopravvenienze passive ossia il caso in cui spunta un creditore dopo che la società è stata cancellata. Il 2° comma dice che i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci (perché non esiste più la società), e se il mancato amento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi. La giurisprudenza che vuole tutelare in ogni modo i creditori da un'interpretazione di questa norma antiletterale e la supera dicendo che la cancellazione dal registro delle imprese che è un atto formale è una condizione certo necessaria per l'estinzione ma non sufficiente, perché fin che si fa vivo anche un solo creditore che pretende di essere ato, la giurisprudenza continua a mantenere in vita la società. Sopravvivenza della società fintanto che c'è un solo creditore sociale noto.

C'è poi un ulteriore corollario che si arriva in alcuni casi a far fallire la società.







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