Diritto commerciale
La società per azioni
La società in accomandita per azioni
Sezione prima Caratteri generali e
costituzione
I caratteri generali della società per
azioni. - 69. La costituzione. - 70. Vicende dell'atto costitutivo.
L'iscrizione nel Registro delle Imprese. La nullità. -71. La S.p.A.
unipersonale.
caratteri generali della società per
azioni
Mentre la s.r.l. è la forma generalmente
usata per l'esercizio collettivo di imprese medio-piccole, la società per
azioni (S.p.A.) è la forma generalmente usata per le imprese medio-grandi.
Essa può essere considerata, sotto alcuni
profili, l'evoluzione delle seicentesche comnie delle Indie.
E come le comnie furono un formidabile
strumento per attrarre risparmio verso una determinata iniziativa, così la
S.p.A. è strutturalmente volta a consentire l'afflusso del risparmio privato
verso le attività di impresa. Si parla, in questo caso, di «capitale di
rischio», poiché il risparmio investito è direttamente sottoposto al rischio
di impresa. Il mercato del capitale di rischio è, difatti, costituito
dall'insieme del risparmio disponibile per investimenti diretti nelle imprese.
Nell'ambito della S.p.A. è normale,
allora, che si determini la presenza di soci con attitudini ed interessi
diversi: da un lato, i soci - imprenditori, che hanno una diretta propensione
a gestire l'impresa sociale, dall'altro, i soci risparmiatori, per i quali
l'impresa sociale è solo una occasione di investimento dei propri risparmi.
A ben vedere, larga parte della disciplina
della S.p.A. è volta proprio a trovare un punto di equilibrio tra queste due
diverse categorie di soci.
Il legislatore, peraltro, ha registrato
che anche rispetto alla S.p.A. possono verificarsi situazioni di diversa
intensità nel rapporto con il mercato del capitale di rischio:
conseguentemente, ha previsto un diverso grado di rigidità delle regole in
relazione al diverso rapporto con tale mercato: quanto più è stretto quel
rapporto, tanto maggiore sono i vincoli inderogabili, cui occorre attenersi
nella organizzazione della società. In particolare, proprio rispetto alla
graduazione dei vincoli all'autonomia organizzativa dei soci appena
richiamati, è possibile distinguere, nell'ambito della categoria «società per
azioni», tre diversi modelli:
a) la società per azioni chiusa, che si
caratterizza per uno scarso rapporto con il mercato del capitale di rischio;
b) la società per azioni, che fa ricorso
al mercato del capitale di rischio, con la conseguenza che la sue
partecipazioni sono diffuse in modo rilevante tra il pubblico (art. 2325-bis
c.c.);
c) la società per azioni il cui rapporto
con il mercato del capitale di rischio è particolarmente stretto in quanto i
suoi titoli sono negoziati in borsa e, quindi, sono idonei a costituire, per i
risparmiatori, una occasione di investimento, cui è agevole accedere.
La disciplina della società per azioni,
di conseguenza, pur essendo unitaria per molti aspetti, per altri aspetti si
articola in modo diverso in relazione ai tre modelli indicati. Di tali
articolazioni si darà conto nel corso della esposizione della disciplina.
La costituzione
II procedimento di costituzione della
società per azioni ha inizio con la stipula dell'atto costitutivo e si conclude
con l'iscrizione della società nel Registro delle Imprese (art. 2330 c.c.). Con
tale iscrizione la società acquista la personalità giuridica (art. 2331, comma
1, c.c.).
Vi sono due differenti modalità di
stipula dell'atto costitutivo, la cosiddetta stipulazione simultanea e la
cosiddetta stipulazione per pubblica sottoscrizione. Nel primo caso, i soci
fondatori provvedono alla immediata stipula dell'atto costitutivo; nel secondo
caso, viceversa, essa è preceduta dalla raccolta fra il pubblico del capitale
iniziale necessario per la costituzione della società. La raccolta avviene
mediante la pubblicazione, a cura dei soci cosiddetti «promotori», di un
programma che illustra, al pubblico degli investitori, gli elementi essenziali
della costituenda società, quali, ad esempio, l'oggetto sociale, il capitale
sociale e le principali disposizioni dell'atto costitutivo e dello statuto
(art. 2333, comma 1, c.c.).
Nella pratica, la sottoscrizione per
pubblica sottoscrizione ha un rilievo del tutto marginale.
La società per azioni può essere
costituita per contratto o per atto unilaterale (art. 2328, comma 1, c.c.). E
perciò da più soci (contratto) o da un solo socio (atto unilaterale). L'atto
costitutivo, che deve essere redatto per atto pubblico (art. 2328, comma 2,
c.c.), deve indicare:
1) le generalità dei soci e degli
eventuali promotori, nonché il numero delle azioni assegnate a ciascuno di
essi;
2) la denominazione della società. La
denominazione, pur potendo essere liberamente formata, deve contenere
l'indicazione di società per azioni (art. 2326 c.c.); il comune ove sono poste
la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
3) l'attività che costituisce l'oggetto
sociale;
4) l'ammontare del capitale sottoscritto
e versato; la società per azioni deve costituirsi con un capitale minimo di
centoventimila euro (art. 2327 e.e.), fatti salvi i casi in cui sia richiesto
un capitale sociale maggiore (come accade, ad esempio, per le società bancarie
e finanziane);
5) il numero e l'eventuale valore
nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di emissione e
circolazione;
6) il valore attribuito agli eventuali
crediti e/o beni conferiti in natura;
7) le modalità di ripartizione degli
utili;
8) i benefici eventualmente riservati ai
promotori o ai fondatori;
9) il sistema di amministrazione
adottato, il numero degli amministratori ed i loro poteri, con l'indicazione
degli amministratori cui è conferito il potere di rappresentanza della
società;
10) il numero dei componenti il collegio
sindacale;
11) la nomina dei primi amministratori e
sindaci e, quando previsto, del soggetto cui è demandato il controllo
contabile;
12) l'importo globale delle spese
sostenute per la costituzione poste a carico della società;
13) la durata della società o, laddove
essa sia a tempo indeterminato, il termine, comunque non superiore ad un anno,
decorso il quale i soci possono recedere.
All'atto costitutivo, avente la precipua
funzione di manifestare la volontà dei soci di costituire la società, è assai
spesso allegato lo statuto sociale, recante puntuali norme in merito agli aspetti
più significativi della vita dell'ente, quali, ad esempio, il funzionamento ed
i poteri degli organi sociali o le modalità di circolazione delle azioni. Lo
statuto sociale, anche se forma oggetto di atto separato, costituisce parte
integrante dell'atto costitutivo: ne deriva che anch'esso deve essere redatto
per atto pubblico. In caso di contrasto tra i due atti, prevalgono le norme contenute
nello statuto (art. 2328, ult. comma, c.c.).
È previsto, inoltre, che per la
costituzione della società per azioni debbano verificarsi le seguenti
condizioni (art. 2329 c.c.): a) il capitale sociale deve essere integralmente
sottoscritto; b) devono essere rispettate le norme in materia di conferimenti
(artt. 2342 e 2343 c.c.), le quali prescrivono di versare, presso una banca,
prima della sottoscrizione dell'atto costitutivo, il 25% dei conferimenti da
effettuarsi in danaro o, nell'ipotesi di S.p.A. unipersonale, il loro intero
ammontare; e) devono sussistere le autorizzazioni e le altre condizioni
richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società, in relazione
all'oggetto sociale (si pensi, ad es., al caso della impresa bancaria).
I versamenti effettuati dai soci prima
della stipula dell'atto costitutivo non vengono immediatamente consegnati agli
amministratori, ma restano vincolati presso la banca fino al momento
dell'iscrizione della società nel Registro delle Imprese. Qualora non si
provveda all'iscrizione entro i novanta giorni successivi alla stipula
dell'atto costitutivo, termine decorso il quale l'atto costitutivo perde
efficacia, i soci hanno diritto alla restituzione delle somme versate.
Vicende dell'atto costitutivo.
L'iscrizione nel Registro delle Imprese. La nullità
L'atto costitutivo, una volta stipulato
per atto pubblico, deve essere depositato, a cura del notaio che lo ha ricevuto
ed entro i venti giorni successivi alla stipula, presso l'ufficio del Registro
delle Imprese nella cui circoscrizione ha sede la società, unitamente ai
documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 2329
c.c. (art. 2330, comma 1, c.c.). L'inerzia del notaio o degli amministratori
legittima il socio a provvedervi direttamente a spese della società (art. 2330,
comma 2, c.c.).
È il notaio a dover verificare la
sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la costituzione della
società, e cioè la legalità formale e sostanziale della costituenda società. Al
Registro delle Imprese è demandato esclusivamente il controllo della
regolarità formale della documentazione presentata in sede di deposito
dell'atto costitutivo, all'esito del quale la società viene iscritta nel
Registro delle Imprese (art. 2330, comma 3, c.c.).
Si è già detto che la società per azioni
acquista la personalità giuridica solamente a seguito dell'iscrizione nel
Registro delle Imprese. A partire da tale momento, l'ente diviene un soggetto
giuridico autonomo rispetto alle persone dei soci, con la conseguenza, fra
l'altro, che gli atti compiuti in nome e per conto della società sono ad essa
direttamente imputati.
Ma cosa accade per gli atti compiuti in
nome della costituenda società nelle more tra la stipula dell'atto costitutivo
e l'iscrizione della società nel Registro delle Imprese? L'art. 2331, comma 2,
c.c. prevede che, in tal caso, siano illimitatamente e solidalmente
responsabili verso i terzi non solo i soggetti che hanno agito in nome della
società, ma anche il socio unico fondatore ed i soci che, nell'atto costitutivo
o in un atto separato, hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento
dell'operazione.
A seguito dell'iscrizione della società
nel Registro delle Imprese, la società diviene direttamente responsabile per le
operazioni compiute in suo nome prima dell'iscrizione e successivamente
approvate (art. 2331, comma 3, c.c.). Si tratta, tuttavia, di una
responsabilità che non sostituisce, ma si aggiunge a quella di coloro che
hanno agito, i quali hanno diritto di essere manlevati dall'ente.
I controlli effettuati prima
dell'iscrizione della società nel Registro delle Imprese non escludono la
possibile sussistenza di vizi del procedimento di costituzione o dell'atto
costitutivo.
Prima dell'iscrizione della società nel
Registro delle Imprese, non avendo ancora quest'ultima acquisito la
personalità giuridica e non essendovi, perciò, sotto questo profilo, una
esigenza di tutela dei terzi, ai fini della individuazione delle cause di
invalidità del «contratto di società» , oltre che delle relative conseguenze,
occorrerà fare riferimento alla disciplina generale in materia di contratti
(artt. 1418 e ss. c.c.).
Iscritta la società nel Registro delle
Imprese, il novero delle cause di invalidità dell'atto costitutivo è indicato
dall'art. 2332 c.c. Esse sono molto limitate, onde garantire una maggiore
certezza dei rapporti giuridici. In particolare, e l'elencazione deve ritenersi
tassativa, la nullità della società può essere dichiarata esclusivamente
allorquando: a) l'atto costitutivo non sia stato redatto per atto pubblico; b)
l'oggetto sociale sia illecito; e) manchi, nell'atto costitutivo, qualsiasi
indicazione relativa alla denominane della società, ai conferimenti,
all'ammontare del capitale sociale o all'oggetto sociale.
La sanzione della nullità opera, con
riferimento all'atto costitutivo
della S.p.A., in maniera difforme
rispetto a quanto avviene in ambito contrattuale. In quest'ultimo caso,
difatti, la dichiarazione di nullità, avendo efficacia ex tunc, colpisce tutti
gli atti precedentemente compiuti.
In materia di nullità della società,
viceversa, l'accertamento della causa di invalidità non pregiudica l'efficacia
degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel Registro delle
Imprese (art. 2332, comma 2, c.c.). Naturale conseguenza di tale principio e
che i soci non sono liberati dall'obbligo di conferimento fino a quando non
siano soddisfatti i creditori sociali. La sentenza dichiarativa della nullità,
nella quale, peraltro, sono nominati i liquidatori (art. 2332, comma 4, c.c.),
ha, quindi, efficacia ex nane, operando solo come causa di scioglimento della
società.
Similmente a quanto accade in materia di
contratti, l'azione di nullità è imprescrittibile. La nullità, che può essere
fatta valere da chiunque vi abbia interesse, è rilevabile d'ufficio dal
giudice. Un elemento che, viceversa, differenzia la disciplina della nullità
della società da quella prevista in materia di contratti, è da rinvenire nella
sanabilità della causa di invalidità: se, difatti, la nullità di un contratto è
insanabile (cfr. art. 1423 c.c.), la nullità di una società non può più essere
dichiarata allorquando la causa di invalidità sia stata eliminata, e di tale
eliminazione sia data pubblicità mediante iscrizione nel Registro delle Imprese
(art. 2332, comma 6, c.c.).
La S.p.A. unipersonale
Ai sensi dell'art. 2328, comma 1, c.c.,
la società per azioni può costituirsi, oltre che per contratto, anche per atto
unilaterale. Il socio unico fondatore è illimitatamente responsabile per le
operazioni compiute in nome della costituenda società prima dell'iscrizione di
quest'ultima nel Registro delle Imprese (art. 2331, comma 2, c.c.). In sede di
costituzione, inoltre, dovrà essere versato l'intero ammontare dei conferimenti
in denaro, e non soltanto il venticinque per cento, come previsto per le
S.p.A. con pluralità di azionisti (art. 2342, comma 2, c.c.). Laddove la
società sia costituita per iniziativa di più persone, ma nel corso della vita
dell'ente venga meno la pluralità dei soci, gli eventuali versamenti ancora
dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni (art. 2342, comma 4,
c.c.).
Onde consentire ai terzi di conoscere
l'effettiva situazione, è prescritto agli amministratori di depositare, presso
il Registro delle Imprese, una dichiarazione contenente i dati identificativi
dell'unico azionista, e ciò sia nell'ipotesi di S.p.A. costituitasi per atto
unilaterale, sia qualora venga meno la pluralità dei soci nel corso della vita
dell'ente, ovvero cambi la persona dell'unico socio. Analoga dichiarazione deve
essere depositata, sempre a cura degli amministratori, allorquando si
costituisca o si ricostituisca la pluralità dei soci (art. 2362 c.c.).
Al socio unico di S.p.A. è garantito il
beneficio della responsabilità limitata, purché siano rispettate le previsioni
di cui si è detto. Il socio, pertanto, risponde illimitatamente per le
obbligazioni sociali solo in due casi:
- quando non sia stata eseguita la
integrate liberazione dei conferimenti;
- fino a quando non sia effettuata la
pubblicità dettata per la S.p.A. unipersonale, di cui si è riferito in
precedenza.
Sezione seconda Capitale di rischio e
capitale di prestito
I conferimenti e le prestazioni
accessorie. - 73. I patrimoni destinati. - 74. Azioni e capitale sociale. -
75. Le categorie speciali di azioni. - 76. Gli strumenti finanziari
partecipativi. - 77. La circolazione delle azioni. I limiti alla loro
circolazione. Usufrutto e pegno. - 78. Le operazioni sulle proprie azioni. -
79. Le obbligazioni. - 80. Le partecipazioni rilevanti. - 81. Le offerte
pubbliche di acquisto e di scambio.
conferimenti e le prestazioni accessorie
II capitale occorrente per l'esercizio
dell'impresa sociale è costituito, in primo luogo, dai conferimenti dei soci,
che entrano a far parte del patrimonio della società e con i quali, quindi, la
società affronta il rischio di impresa (cosiddetto capitale di rischio).
Se nell'atto costitutivo non è
diversamente disposto, i conferimenti debbono farsi in danaro (art. 2342,
comma 1, c.c.). In sede di stipulazione dell'atto costitutivo, i soci fondatori
debbono versare, presso una banca, il venticinque per cento dei conferimenti in
danaro, fatta salva l'ipotesi in cui vi sia un unico socio fondatore, nel qual
caso deve essere versato l'intero ammontare (art. 2341, comma 2, c.c.). I
versamenti residui devono essere effettuati non appena richiesti dall'organo
amministrativo.
Qualora le azioni sottoscritte non siano
interamente liberate, sul titolo azionario devono essere indicati i versamenti
ancora dovuti (art. 2354, comma 3, n. 4, c.c.). In caso di trasferimento di
azioni non interamente liberate, l'obbligo di effettuare i versamenti residui
grava, in primo luogo, sull'acquirente; m via sussidiaria e per i tre anni
successivi all'annotazione del trasferimento nel libro soci, anche
sull'alienante.
II socio, nell'ipotesi in cui non adempia
al versamento dei conferimenti residui, non può esercitare il diritto di voto
(art. 2344 c.c.). La società può, inoltre, procedere alla vendita coattiva
delle azioni del socio moroso, previa offerta delle azioni non liberate agli
altri soci m proporzione delle rispettive quote di partecipazione al capitale
sociale e per un corrispettivo non inferiore all'ammontare dei conferimenti
dovuti. Laddove la vendita coattiva, effettuata per mezzo di una banca o altro
intermediario autorizzato, non abbia esito positivo, la società può escludere
il socio moroso, trattenendo i versamenti effettuati e fatto salvo il
risarcimento del danno. Le azioni del socio moroso possono essere rimesse in
circolazione entro l'esercizio; in difetto, la società deve annullare le
azioni e procedere alla corrispondente riduzione del capitale sociale.
Lo statuto sociale può, come detto,
prevedere la possibilità di effettuare conferimenti diversi dal danaro. Tale
possibilità, tuttavia, soffre alcune limitazioni. In primo luogo, non possono
formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi (art.
2342, comma 5, c.c.), attesa la difficoltà di quantificarne l'effettivo valore
economico. Esse possono formare oggetto di prestazioni accessorie da parte dei
soci, non imputabili a capitale.
Stante il carattere personalistico che
caratterizza le prestazioni accessorie, le relative azioni devono essere
nominative e non possono essere trasferite senza il consenso degli
amministratori.
Per quanto riguarda i conferimenti dei
beni in natura e dei crediti, l'art. 2342, comma 3, c.c. dispone che le
relative azioni devono essere integralmente liberate al momento della
sottoscrizione. In altre parole, il socio conferente deve garantire alla
società, non appena essa sia costituita, la contestuale e piena disponibilità
del bene o del credito conferito. L'esigenza di assicurare alla società
l'immediata disponibilità del bene conferito preclude la possibilità di
conferire cose generiche non specificate, cose future o cose altrui.
Fatte salve tali limitazioni, pare
doversi ammettere il conferimento di qualsivoglia bene suscettibile di
valutazione economica, ivi inclusi i beni immateriali.
I conferimenti diversi dal danaro sono
soggetti ad uno specifico procedimento di valutazione indicato dal legislatore
e diretto ad individuare l'effettivo valore economico del bene o del credito
conferito.
II socio che intenda conferire un bene o
un credito deve presentare una relazione giurata di stima effettuata da un
esperto nominato dal tribunale. Tale relazione deve indicare i beni o i
crediti conferiti, l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad
essi attribuito ai fini della formazione del capitale sociale e dell'eventuale
sovrapprezzo, nonché i criteri di valutazione adottati. La relazione deve
essere allegata all'atto costitutivo (art. 2343, comma 1, c.c.).
Entro i sei mesi successivi, gli
amministratori e i sindaci devono controllare le valutazioni effettuate dal
perito ed, eventualmente, procedere ad una rivalutazione della stima (art.
2343, comma 2. c.c.).
Laddove si accerti che il valore
effettivo dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quarto a
quello attribuito in sede di costituzione o di aumento del capitale sociale,
la società è tenuta a ridurre proporzionalmente il capitale sociale. II socio
conferente può, in tal caso, decidere se versare la differenza in danaro ovvero
recedere dalla società (art. 2343, comma 3, c.c.).
Alla relazione giurata di un esperto
designato dal tribunale si ricorre anche per l'acquisto, da parte della società,
di beni o crediti dai promotori, dai fondatori, dai soci attuali o dagli
amministratori (art. 2343 -bis c.c.). Allorquando l'acquisto abbia un valore
superiore al decimo del capitale sociale ed avvenga nei due anni successivi
all'iscrizione della società nel Registro delle Imprese, l'operazione deve
essere autorizzata dall'assemblea dei soci. L'alienante deve, inoltre,
presentare una relazione giurata di stima, contenente la descrizione del bene o
del credito trasferito, i criteri di valutazione adottati e l'attestazione che
il valore effettivo dei beni o dei crediti non è inferiore al corrispettivo
pattuito (art. 2343-bis, comma 2, c.c.).
II mancato rispetto di tale procedura, la
quale non si applica agli acquisti effettuati a condizioni normali nell'ambito
delle operazioni correnti della società, non inficia la validità o l'efficacia
dell'atto, ma espone gli amministratori e l'alienante a responsabilità per i
danni causati alla società, ai soci ed ai terzi (art. 2343-fe, comma 5, c.c.).
patrimoni destinati
La regola generale è che tutto il
patrimonio della S.p.A. è destinato a far fronte alle obbligazioni sociali;
tuttavia, la S.p.A. ha la possibilità di destinare parte del proprio patrimonio
ad un singolo affare. In altre parole, ferma restando l'unicità del patrimonio
sociale, l'ente può riservare alcuni beni o rapporti giuridici al compimento di
una determinata operazione commerciale. In tal caso, la società risponderà
delle relative obbligazioni esclusivamente con il patrimonio destinato.
Si tratta, come è evidente, di uno
strumento che, consentendo di predeterminare con certezza i possibili rischi
connessi ad una specifica operazione economica, ha la funzione di incentivare
gli investimenti mediante la limitazione del rischio di impresa e senza dover
affrontare i costi della costituzione di una nuova società.
Vi sono due differenti procedimenti
mediante i quali la società può riservare parte del proprio patrimonio alla
realizzazione di un determinato investimento: il patrimonio destinato ed il
finanziamento destinato (art. 2447-bis c.c.).
Quanto al primo, l'ente ha facoltà di
costituire uno o più patrimoni, ciascuno dei quali destinati in via esclusiva
ad uno specifico affare, fatta eccezione per quelli inerenti ad attività
riservate in base alle leggi speciali. Tali patrimoni possono essere
costituiti per un valore massimo non superiore al 10% del complessivo
patrimonio netto della società (art. 2447-bis, comma 2, c.c.).
Ai fini della costituzione di un
patrimonio destinato è necessaria la deliberazione del consiglio di
amministrazione, o del consiglio di gestione, adottata a maggioranza assoluta
dei suoi componenti. Resta, in ogni caso, salva la possibilità di una
differente previsione statutaria, con la conseguenza che lo statuto potrà
riservare all'assemblea dei soci la decisione relativa alla costituzione del
patrimonio destinato (art. 2447-ter, comma 2, c.c.).
La deliberazione, verbalizzata da un
notaio e soggetta ad iscrizione nel Registro delle imprese (art. 2447-qnater,
comma 1, c.c.), deve indicare (art. 2447-ter, comma 1, c.c.):
- l'affare al quale il patrimonio è
destinato; i beni ed i rapporti giuridici compresi in tale patrimonio;
- il piano economico-finanziario da cui
risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell'affare,
le modalità e le regole relative al suo impiego, il risultato che si intende
perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi;
- gli eventuali apporti dei terzi, le
modalità di controllo sulla gestione e di partecipazione ai risultati
dell'affare;
- la possibilità di emettere strumenti
finanziari di partecipazione all'affare, con la specifica indicazione dei
diritti che attribuiscono;
- la nomina di una società di revisione
per il controllo contabile dell'andamento dell'affare;
- tale nomina è necessaria solamente
qualora la società, oltre a non essere già soggetta a controllo contabile,
emetta titoli sul patrimonio diffusi tra il pubblico in misura rilevante ed
offerti ad investitori non professionali;
- le regole di rendicontazione dello
specifico affare.
La delibera consiliare acquista efficacia
decorsi due mesi dalla prescritta iscrizione nel Registro delle Imprese. Entro
detto termine, i creditori sociali possono fare opposizione dinanzi
all'autorità giudiziaria. Di regola, l'opposizione sospende l'efficacia della
delibera, fatta salva la possibilità del tribunale di concederne la provvisoria
esecuzione dietro prestazione di idonea garanzia da parte della società (art.
2447-quater, comma 2, c.c.).
Divenuta efficace la delibera consiliare,
si realizza una, pressoché assoluta, separazione patrimoniale. I creditori
della società non possono aggredire i beni facenti parte del patrimonio
destinato, potendo rivalersi unicamente sui frutti o proventi da esso
derivanti, per la sola parte spettante alla società (art. 2447-quinquies,
comma 1, c.c.).
Analogamente, per le obbligazioni sociali
connesse all'affare per il cui compimento è stato costituito il patrimonio
destinato, la società risponde nei limiti di quest'ultimo, fatta salva la
responsabilità illimitata dell'ente per le obbligazioni nascenti da fatto
illecito (art. 2447-quinquies, comma 3, c.c.).
Laddove, nel patrimonio destinato, siano
ricompresi beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il regime
di separazione patrimoniale non opera fino a quando la deliberazione di
costituzione del patrimonio separato non sia trascritta nei relativi registri
(art. 2447-quinquies, comma 2, c.c.).
Quale ulteriore condizione affinchè operi
la separazione dei patrimoni, è previsto che gli atti compiuti in relazione al
singolo affare debbano recare l'espressa menzione del vincolo di destinazione,
in mancanza della quale, la società risponde anche con il patrimonio residuo
(art. 2447-quinquies, comma 4, c.c.).
In presenza di un patrimonio destinato,
gli amministratori (o il consiglio di gestione) devono sia tenere libri e
scritture contabili separati (art. 2447-sexies c.c.), sia evidenziare, in sede
di relazione del bilancio, i beni ed i rapporti compresi nel patrimonio destinato,
con separato rendiconto allegato al bilancio (art. 2447-septies, commi 1 e 2,
c.c.).
Se è deliberata l'emissione di strumenti
finanziari di partecipazione all'affare (art. 2447-ter, comma 1, lett. e,
c.c.), è prevista la costituzione dell'assemblea speciale dei possessori di
tali strumenti e la nomina di un loro rappresentante comune, a tutela dei
comuni interessi (art. 2447-oc-ties, c.c.).
Realizzato l'affare per il cui compimento
è costituito il patrimonio destinato, o divenuto impossibile il compimento
dell'affare stesso, gli amministratori (o il consiglio di gestione) redigono un
rendiconto finale che deve essere depositato presso il Registro delle Imprese
(ait. 2447-no-vies, c.c.). Entro tre mesi dal deposito, coloro che ancora
vantino, nei confronti dell'ente, un credito connesso allo specifico affare,
possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato. In tal caso, si
osservano le norme in materia di liquidazione della società (art. 2447-novies,
comma 2, c.c.).
II secondo strumento mediante il quale la
società può costituire un patrimonio separato è costituito dal cosiddetto
«finanziamento destinato ad un singolo affare» (art. 2447-dedes, c.c.).
La società può stipulare con un
finanziatore un contratto di finanziamento per il compimento di una specifica
operazione, convenendo che, ai fini del rimborso totale o parziale del
finanziamento, siano utilizzati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi
dell'operazione medesima.
In tal caso, il contratto di
finanziamento deve contenere le seguenti indicazioni (art. 2447-dedes, comma 2,
c.c.):
- la descrizione dell'operazione, le
modalità ed i tempi di realizzazione, i costi previsti ed i ricavi attesi;
- il piano finanziario dell'operazione; i
beni strumentali necessari al compimento dell'operazione;
- le specifiche garanzie che la società
offre in ordine all'obbligo di esecuzione del contratto e di corretta e
tempestiva realizzazione dell'operazione;
- i controlli che il finanziatore, anche
per mezzo di un delegato, può compiere sulle modalità di realizzazione
dell'operazione;
- la parte dei proventi destinati al
rimborso del finanziamento e le modalità per determinarli;
- le eventuali garanzie che la società
presta per il rimborso di parte del finanziamento;
- il tempo massimo di rimborso, decorso
il quale nulla è più dovuto il finanziatore.
Ai fini della separazione del patrimonio,
costituito dai proventi dell'affare, è necessario, tuttavia, che ricorrano due
ulteriori condizioni: da un lato, che il contratto di finanziamento sia
depositato per l'iscrizione presso il Registro delle Imprese; dall'altro, che
la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei a garantire
ed evidenziare la separazione dei patrimoni (art. 2447-dedes, comma 3, c.c.).
Realizzatasi la separazione dei
patrimoni, i creditori della società non
possono rivalersi sui proventi
dell'affare e, fino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del termine
massimo di rimborso, possono unicamente compiere azioni conservative dei
propri diritti (art. 2447-decies, comma 5, c.c.). Nei confronti del
finanziatore, la società risponderà delle proprie obbligazioni esclusivamente
con il patrimonio separato costituito dai proventi dell'affare (art.
2447-decies, comma 4, c.c.), fatta salva l'ipotesi in cui si verifichi il
fallimento della società, nel qual caso, il finanziatore ha diritto di
insinuazione nel passivo per le somme non riscosse (art. 2447-decies, comma 6,
c.c.).
Azioni e capitale sociale
Nelle società per azioni, le quote di
partecipazione dei soci al capitale sociale sono costituite da azioni. II
capitale sociale, difatti, è suddiviso in un numero predeterminato di parti
aventi identico ammontare, ciascuna delle quali è rappresentata da un'azione ed
attribuisce, di regola, identici diritti sociali ai soggetti titolari. La
conseguenza è che le azioni sono indivisibili (art. 2347 c.c.) e i relativi
diritti non possono essere attribuiti separatamente a soggetti diversi
(inscindibilità).
Le azioni possono o non essere
rappresentate da titoli, secondo quanto dispone la statuto (art. 2346, comma 1,
c.c.), che può prevedere diverse tecniche di legittimazione e di circolazione.
Nel caso di emissione di titoli
(certificati azionari), gli stessi sono vincolati nel contenuto (art. 2354
c.c.). Il tema della loro circolazione sarà affrontato in seguito.
Nel caso in cui lo statuto preveda la non
emissione dei titoli, la qualità di socio è attestata esclusivamente
dall'iscrizione nel libro soci.
Le azioni devono avere uguale valore,
ovvero devono rappresentare un'identica frazione del capitale sociale (art.
2348, comma 1, c.c.). Di regola, le azioni vengono emesse con uno specifico
valore nominale, corrispondente alla quota di capitale sociale da ciascuna di
esse rappresentata. Tale valore nominale, che deve essere indicato nello
statuto così come l'ammontare complessivo del capitale sociale ed il numero
delle azioni emesse, è invariabile nel tempo e può essere modificato solo a seguito
della modifica dello statuto. Poiché il valore nominale delle azioni è indicato
nei certificati azionari, ne consegue che, a seguito di una sua modifica,
devono essere sostituiti tutti i titoli in circolazione.
E consentita, tuttavia, l'emissione di
azioni prive di valore nominale
(art. 2348, comma 3, c.c): in tal caso,
occorre indicare, nello statuto, l'ammontare complessivo del capitale sociale
ed il numero delle azioni emesse, di talché ciascuna azione corrisponderà ad
una frazione del capitale sociale. A differenza di quanto accade in presenza
di azioni con valore nominale, nel qual caso i soci sono titolari di una quota
di partecipazione al capitale sociale espressa in danaro, in presenza di
azioni prive di valore nominale la partecipazione dei soci è espressa in una
percentuale del numero complessivo di azioni emesse. Nelle azioni prive di
valore nominale, le norme, che a quest'ultimo si riferiscono, si applicano con
riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse (art. 2346,
comma 3, c.c.).
Sia nel caso in cui le azioni vengano
emesse con un proprio valore nominale, sia nel caso in cui tale valore non
venga indicato, il valore dei conferimenti non può essere complessivamente
inferiore all'ammontare globale del capitale sociale (art. 2346, comma 5,
c.c.). In tal modo, il legislatore ha inteso evitare che i conferimenti dei
soci siano inferiori al capitale sociale nominale della società.
È possibile, viceversa, emettere azioni
per un valore complessivo superiore al capitale sociale. Si parla, in tal
caso, di azioni con sovrapprezzo. L'emissione di azioni con sovrapprezzo
diviene obbligatoria laddove, nel caso di aumento di capitale, sia escluso o
limitato il diritto di opzione sulle azioni di nuova emissione (art. 2441,
comma 6, c.c.) ed il valore nominale delle azioni sia inferiore a quello reale.
Va, in proposito, sottolineata la
differenza intercorrente tra il valore nominale delle azioni, ossia quello per
il quale le azioni sono emesse, ed il valore di bilancio, corrispondente al
rapporto tra il patrimonio netto della società, come risultante dal bilancio di
esercizio, ed il numero delle azioni emesse. Diverso, poi, è il valore di
mercato delle azioni, ovvero il prezzo al quale le azioni delle società quotate
in mercati regolamentati sono scambiate. Tale valore può non coincidere con il
valore di bilancio, atteso che, in sede di quotazione, si tiene conto di
fattori ulteriori rispetto alla consistenza patrimoniale della società, quali
le sue prospettive di sviluppo, il momento di congiuntura del mercato o dello
specifico settore in cui la società opera, ecc.
In alcuni casi, inoltre, le azioni
possono avere un valore affatto diverso da quello nominale, così come da
quello di mercato o di scambio.
Si tratta dei casi in cui un determinato
pacchetto azionario consente di detenere il controllo di una società. In tali
ipotesi, il valore effettivo delle azioni può essere ben maggiore del loro
valore nominale o di bilancio, poiché alla mera titolarità delle azioni si
accomna, appunto, la possibilità di esercitare il controllo, o comunque
un'influenza assai rilevante, sulla strategia imprenditoriale della società e,
quindi, su tutta l'attività dell'ente.
Svolte le necessarie considerazioni in
merito al valore delle azioni, occorre soffermarsi sui diritti che esse
attribuiscono ai titolari.
Nell'ambito di tali diritti, è possibile
distinguere quelli aventi natura amministrativa e quelli aventi natura
patrimoniale.
Appartengono al primo tipo il diritto di
intervento e di voto nelle assemblee, il diritto di impugnare le deliberazioni
assembleari invalide, il diritto di accesso ai libri sociali; nell'ambito della
seconda categoria, va ricordato, tra tutti, il diritto agli utili. ½ è,
infine, una terza categoria di diritti a contenuto complesso, amministrativo e
patrimoniale insieme: è il caso, ad esempio, del diritto di opzione sulle
azioni di nuova emissione, del diritto di prelazione sulle azioni trasferende
dagli altri soci, del diritto di recesso.
È importante evidenziare, in questa sede,
che le azioni, di regola, attribuiscono uguali diritti agli azionisti (art.
2348, comma 1, c.c.). Tale circostanza costituisce attuazione del principio di
uguaglianza oggettiva degli azionisti.
Ciò non esclude, tuttavia, che possano
crearsi categorie di azioni fornite di diritti diversi (art. 2348, comma 2,
c.c.), come avviene nel caso di emissione di azioni privilegiate o di azioni di
risparmio.
Naturalmente, il principio
dell'uguaglianza oggettiva dei diritti non significa che i soci siano, in
assoluto, titolari di uguali diritti, dovendosi al riguardo tenere conto anche
del numero delle azioni detenute da ciascun socio: se è vero, difatti, che vi
sono diritti, soprattutto di natura amministrativa, rispetto ai quali è
totalmente indifferente la quota di capitale detenuta dal socio (si pensi al
diritto di intervento in assemblea), ve ne sono altri, viceversa, la cui
ampiezza è individuata con riferimento al numero delle azioni possedute (il
diritto di voto, il diritto agli utili). Si è soliti parlare, a tal proposito,
di disuguaglianza soggettiva degli azionisti.
Le categorie speciali di azioni
Le azioni speciali sono quelle che
attribuiscono al titolare diritti diversi da quelli propri delle azioni
ordinarie. La creazione di categorie speciali di azioni deve essere
specificamente autorizzata dallo statuto, con la conseguenza che, in difetto,
è necessario procedere alla modifica dello stesso.
Una delle caratteristiche peculiari delle
azioni speciali è da rinvenire nella presenza, tra gli organi sociali, di
un'assemblea speciale per ogni categoria di azioni speciali, il cui funzionamento
è disciplinato dalle norme dettate per le assemblee straordinarie. Le assemblee
speciali, come è intuitivo, hanno la funzione di tutelare gli interessi dei
soci appartenenti alla relativa categoria. A tal fine, è previsto che le
deliberazioni dell'assemblea generale, che pregiudichino i diritti dei soci
titolari di azioni speciali, devono essere approvate anche dall'assemblea
speciale dei soci della categoria interessata (art. 2376, comma 1, c.c.).
Sebbene il legislatore indichi
espressamente alcune categorie speciali di azioni, l'autonomia della società è,
in tale ambito, assai ampia, potendo essa determinare liberamente il contenuto
dei diritti delle azioni delle varie categorie, fatti salvi i limiti imposti
dalla legge (art. 2348, comma 2, e.e.), tra i quali va ricordato il divieto di
emettere azioni a voto plurimo (art. 2351, comma 4, c.c.).
Con particolare riguardo al diritto di
voto, non solo è estesa a tutte le S.p.A. la possibilità di emettere azioni
prive del diritto di voto, ma è anche riconosciuta (art. 2351, comma 1, c.c.)
la possibilità di emettere: a) azioni con diritto di voto limitato a
particolari argomenti (si pensi alle delibere di approvazione del bilancio o di
nomina dell'organo amministrativo); b) azioni con diritto di voto subordinato
al verificarsi di particolari condizioni (ad esempio, al mutamento della
comine sociale o al mancato conseguimento di utili per un determinato numero
di esercizi). L'ammontare di tali categorie di azioni non può superare la metà
del capitale sociale.
Alle società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, in aggiunta è riconosciuta (art. 2351, comma
3, c.c.) la possibilità: a) di emettere azioni con diritto di voto limitato ad
una misura massima (si pensi allo statuto che prevede che il diritto di voto
sia esercitato solo fino ad una certa percentuale del capitale sociale, ad
esempio non oltre il venti per cento); b) di introdurre il cosiddetto voto
scalare (ad esempio, fino ad una certa percentuale del capitale sociale spetterà
un voto per ogni azione, superata tale percentuale spetterà un voto ogni due
azioni).
Fuori dai casi in cui sia stato
costituito un patrimonio destinato, le società possono emettere azioni, i cui
diritti patrimoniali siano correlati ai risultati dell'attività sociale in un
determinato settore (cosiddette azioni correlate). In tal caso, tuttavia, è
necessario che lo statuto indichi, tra gli altri, i criteri di individuazione
dei costi e dei ricavi imputabili al settore interessato ed i diritti attribuiti
a tali azioni (art. 2350, comma 2, c.c.).
Tra le categorie speciali di azioni
espressamente previste dal legislatore, vi sono le azioni privilegiate e le
azioni di risparmio. Le azioni privilegiate attribuiscono ai titolari il
diritto di preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso del
capitale in sede di scioglimento della società.
Le azioni di risparmio (artt. 145-l47
d.lg. n.58 del 1998) possono essere emesse unicamente dalle società quotate in
mercati regolamentati italiani o europei. Esse sono prive del diritto di voto
nelle assemblee ordinane e straordinarie, ma sono assistite da privilegi
patrimoniali, la cui misura è liberamente determinabile dalla società. Un
elemento che caratterizza le azioni di risparmio rispetto alle altre categorie
speciali di azioni è costituito dalla possibilità che le stesse siano non solo
nominative, ma anche al portatore: la sottoscrizione delle azioni di risparmio
viene, quindi, incentivata mediante la garanzia dell' anonimato.
Quanto ai diritti amministrativi, si è
già detto che le azioni di risparmio sono prive del diritto di voto. Esse,
inoltre, non attribuiscono né il diritto di intervento in assemblea, né quello
di impugnare le delibere assembleari. Sono fatti salvi tutti gli altri diritti
amministrativi non direttamente connessi all'esercizio del diritto di voto,
come ad esempio il diritto di esaminare taluni libri sociali. Per quanto
attiene ai diritti patrimoniali, a seguito della riforma del 1998, la società
può liberamente determinare il contenuto, le condizioni, i limiti e le modalità
dei privilegi di natura patrimoniale che assistono tale categoria di azioni,
fatto salvo il divieto del cosiddetto patto leonino, con il quale uno o più
soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.
Conformemente a quanto previsto, in via
generale, per le categorie speciali di azioni, anche per le azioni di risparmio
è conurabile una organizzazione comune dei soggetti possessori,
concretantesi nella assemblea speciale e nel rappresentante comune. La prima,
conformemente a quanto previsto dall'art. 2376, comma 1, c.c., si pronuncia in
ordine alle deliberazioni dell'assemblea generale che pregiudichino i diritti
degli azionisti appartenenti alla categoria. Il secondo, che può essere anche
una persona giuridica, è nominato dall'assemblea degli azionisti di risparmio e
provvede sia all'esecuzione delle deliberazioni assembleari, sia alla tutela
degli interessi degli azionisti nei confronti della società.
Le azioni di godimento (art. 2353 c.c.)
sono attribuite ai possessori delle azioni rimborsate e concorrono nella
ripartizione degli utili, che residuano dopo il amento alle azioni non
rimborsate di un dividendo pari all'interesse legale, e, nel caso di
liquidazione, nella ripartizione del patrimonio sociale residuo, dopo il
rimborso delle altre azioni al loro valore nominale. Salvo diversa
disposizione dello statuto, non danno diritto di voto nella assemblea.
Un breve cenno merita di essere svolto
anche relativamente alle azioni a favore dei prestatori di lavoro. L'art. 2349,
comma 1, c.c. riconosce alla società la possibilità di assegnare gratuitamente,
con delibera dell'assemblea straordinaria e sempre che lo statuto lo consenta,
azioni speciali da assegnare individualmente ai prestatori di lavoro.
L'art. 2441, comma 8, c.c., in ultimo,
riconosce alla società la possibilità di escludere o limitare il diritto di
opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione, allorquando le stesse
siano offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o delle società da
questa controllate.
Gli strumenti finanziari parteciparvi
Dopo aver brevemente delineato le
caratteristiche principali delle categorie speciali di azioni, occorre
soffermarsi sugli strumenti finanziari partecipativi diretti a consentire
l'acquisizione, da parte delle S.p.A., di quegli apporti dei soci o dei
soggetti terzi che, pur incrementando il patrimonio sociale, non possono
formare oggetto di conferimento e, conseguentemente, non possono essere
imputati al capitale sociale (si pensi alle prestazioni di opera e di servizi).
Quanto alla disciplina degli strumenti
finanziari parteciparvi, il legislatore del 2003 ha statuito che la società
può emettere strumenti finanziari torniti di diritti patrimoniali o di diritti
amministrativi.
Per il resto, la disciplina codicistica
riconosce ampio spazio all'autonomia statutaria delle S.p.A. per quanto
attiene alla determinazione sia delle modalità e delle condizioni di emissione,
sia dei diritti con essi attribuiti, sia delle sanzioni, in caso di
inadempimento delle prestazioni (art. 2346, comma 6, c.c.).
Con precipuo riferimento ai rapporti tra
la società ed i propn dipendenti, è poi previsto che l'ente possa assegnare a
questi ultimi, con delibera nell'assemblea straordinaria, strumenti finanziari
diversi dalle azioni ed attributivi di diritti amministrativi e patrimoniali.
L'ente, inoltre, può prevedere norme particolari per l'esercizio dei diritti
attribuiti, nonché per quanto riguarda la possibilità di trasferimento e le
eventuali cause di decadenza e di riscatto (art. 2349, comma 2, c.c.).
Sia l'art. 2346, comma 6, c.c., sia
l'art. 2349, comma 2, c.c. escludono, espressamente, la possibilità di
attribuire ai titolari degli strumenti finanziari il diritto di voto nell'assemblea
generale degli azionisti. Il successivo art. 2351, comma 3, c.c. dispone,
tuttavia, che tali strumenti possono essere dotati del diritto di voto su
argomenti specificamente indicati, potendo in particolare essere riservata la
nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del
consiglio di sorveglianza o di un sindaco.
La circolazione delle azioni. I limiti
alla loro circolazione. Usufrutto e pegno
Nelle società non quotate, le azioni sono
incorporate, di regola, in un documento, cosiddetto titolo azionario o
certificato azionario. In tal caso, il regime di circolazione delle azioni è
disciplinato dalle norme dettate in materia di titoli di credito. Lo statuto,
tuttavia, può prevedere che non si dia luogo alla emissione dei titoli azionari
(art. 2346, comma 1, c.c.): il trasferimento delle azioni avverrà, in tal caso,
secondo le norme dettate in materia di cessione dei contratti, restando lo
status di socio indefettibilmente connesso all'iscrizione nel libro dei soci.
A far data dalla riforma del 1998, nelle
società quotate, le azioni non possono più essere incorporate in titoli. In
luogo del documento cartaceo rappresentato dal certificato azionario, oramai
soppresso, è utilizzato un sistema di circolazione delle azioni basato su
registrazioni contabili.
Alla stregua delle norme codicistiche, se
l'atto costitutivo non dispone diversamente, le azioni, oltre che nominative,
possono anche essere al portatore, a scelta dell'azionista (art. 2355, comma 1,
c.c.). Queste ultime si trasferiscono mediante la consegna del titolo (art.
2355, comma 2, c.c.).
Le azioni nominative, invece, si
trasferiscono:
- mediante girata autenticata da un
notaio o da altro soggetto, secondo quanto previsto dalle leggi speciali. In
tal caso, il giratario, che si dimostra possessore in virtù di una serie
continua di girate, ha diritto ad ottenere l'annotazione del trasferimento nel
libro dei soci, ed è, comunque, legittimato ad esercitare i diritti sociali,
fermo restando l'obbligo della società di aggiornare il libro dei soci, secondo
quanto previsto nelle leggi speciali (art. 2355, comma 3, c.c.);
- mediante doppia annotazione del nome
dell'acquirente sul titolo e nel registro della società emittente, secondo
quanto previsto dall'art. 2022 c.c. (art. 2355, comma 4, c.c.).
Occorre sottolineare che, in realtà, per
esigenze di carattere fiscale, al di là delle astratte previsioni del codice
civile, vige il principio della nominatività obbligatoria dei titoli azionari,
introdotto con il r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, con la conseguenza che
tutte le azioni devono essere nominative, ad eccezione delle azioni di
risparmio (cfr. art. 145 TUF) e di quelle emesse dalle SICAV (cfr. gli artt.
145, comma 3, e 45, comma 4, del d.lg. 58/1998).
Al di là delle specifiche modalità di
trasferimento delle azioni, va evidenziato che le azioni sono, di regola,
liberamente trasferibili, fatti salvi i limiti derivanti dalla legge o dagli
accordi intercorsi tra i soci. Tra i limiti legali al principio di libera
circolazione delle azioni, va ricordato quello previsto in materia di
conferimenti di beni diversi dal danaro, disponendosi che, fino a quando gli
amministratori o i sindaci non abbiano controllato le valutazioni effettuate in
sede di relazione giurata dall'esperto nominato dal tribunale, le azioni
corrispondenti sono inalienabili ,art. 2343, comma 3, c.c.).
I soci possono, tuttavia, introdurre
ulteriori vincoli al trasferimento delle azioni, sia mediante specifica
clausola statutaria, sia mediante appositi accordi non inseriti in statuto, i
cosiddetti patti parasociali.
I patti parasociali con cui i soci
pongono dei limiti alla libera circolazione delle azioni prendono il nome di
«sindacati di blocco».
Sebbene le questioni connesse ai patti
parasociali troveranno più diffusa trattazione nel prosieguo, va, in questa
sede, evidenziato che i sindacati di blocco sono normalmente utilizzati per
tutelare l'interesse dei soci a mantenere una determinata comine sociale,
ovvero ad impedire l'ingresso nella società di soggetti terzi non graditi. I
patti parasociali non hanno efficacia reale, poiché non spiegano alcuna
efficacia nei confronti della società e/o dei terzi, essendo vincolanti
unicamente per le parti contraenti. Ne consegue che i negozi di trasferimento
delle azioni, posti in essere in violazione di un patto parasociale, sono
pienamente validi ed efficaci, pur esponendo l'autore all'obbligo di
risarcimento dei danni nei confronti degli altri soci contraenti.
Nel caso di limiti statutari al
trasferimento delle azioni, le relative clausole hanno, viceversa, efficacia
reale. Ne consegue, da un lato, che tali limiti vincolano tutti i soci, ivi
inclusi i soci futuri; dall'altro, che la società può opporre detti vincoli
anche ai terzi acquirenti delle azioni.
Sia nell'ipotesi in cui vengano emesse
azioni nominative, sia in quella di mancata emissione dei titoli azionari, la
società può limitare, con apposita previsione statutaria, il trasferimento
delle azioni, o addirittura escluderlo per un periodo non superiore a cinque
anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene
introdotto (art. 2355 bis, comma 1, c.c.). La delibera assembleare con cui, nel
corso della vita dell'ente, vengono introdotte o soppresse le clausole
limitative della circolazione delle azioni, deve essere approvata
dall'assemblea straordinaria. In tal caso, tuttavia, se lo statuto non dispone
diversamente, il socio che non ha concorso all'approvazione della delibera ha
diritto di recedere dalla società (art. 2437, comma 2, lett. b, c.c.).
Tra le clausole limitative della libera
circolazione, particolare rilevanza assumono le clausole di prelazione, le
clausole di gradimento e le clausole di riscatto.
Si parla di clausole di prelazione
allorquando lo statuto impone al socio che intende alienare a terzi, in tutto
o in parte, la propria partecipazione azionaria, di offrirla preventivamente
agli altri soci e di preferire questi ultimi ai terzi, a parità di condizioni.
La violazione della clausola di prelazione determina l'inefficacia del
trasferimento sia nei confronti della società, che può rifiutare l'iscrizione
nel libro dei soci del terzo acquirente, sia nei confronti degli altri soci
che hanno visto violato il proprio diritto di prelazione.
Nell'ambito delle clausole di gradimento,
occorre distinguere le clausole che; richiedono, ai fini dell'efficacia del
trasferimento, il possesso di determinati requisiti oggettivamente accettabili
in capo all'acquirente (ad es., le clausole che richiedono la cittadinanza
italiana o che conurano situazioni di incompatibilità con lo status di
socio), dalle clausole che invece subordinano l'efficacia del trasferimento al
gradimento degli organi sociali (cosiddette clausole di gradimento in senso
stretto).
Per quelle del secondo tipo, essendo
emersa l'esigenza di scongiurare il pericolo di abusi e di condotte arbitrarie
da parte degli organi sociali, è necessario che sia previsto, nell'ipotesi in
cui il gradimento non sia prestato, l'obbligo di acquisto delle azioni a
carico della società o degli altri soci, oppure il diritto di recesso del
socio alienante (art. 2355-bis, comma 2, c.c.).
Lo statuto della S.p.A. può riconoscere
alla società o ai soci la facoltà di riscattare le azioni ricorrendo
determinate condizioni (art. 2437-sexies, c.c.). In tali circostanze, il
quantum del rimborso è calcolato secondo le disposizioni dettate in materia di
diritto di recesso del socio.
Un ultimo cenno deve essere svolto in
merito alla disciplina dettata con riferimento ai casi in cui le azioni siano
costituite in usufrutto o in pegno, ovvero formino oggetto di misure cautelari
ed esecutive (ad es, pignoramento, sequestro giudiziario o conservativo).
Per ciò che attiene al diritto di voto, è
previsto che esso sia esercitato, rispettivamente, dall'usufruttuario e dal
creditore pignoratizio (ma è fatta salva l'eventuale convenzione contraria);
nel caso di sequestro, il diritto di voto è esercitato dal custode (art. 2352,
comma 1, c.c.).
Se le azioni attribuiscono un diritto di
opzione, questo è esercitato dal socio, al quale sono assegnate le relative
azioni di nuova emissione (art. 2352, comma 2, c.c.). In caso di aumento
gratuito del capitale sociale, l'usufrutto, il pegno ed il sequestro si
estendono alle azioni di nuova emissione (art. 2352, comma 3, c.c.).
Qualora vengano richiesti versamenti
sulle azioni, questi sono a carico del socio nel caso di pegno, mentre, nel
caso di usufrutto, è l'usufruttuario a dover provvedere al relativo
versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto
(art. 2352, comma 4, c.c.).
Le
operazioni sulle proprie azioni
II codice civile disciplina tre
differenti tipologie di operazioni della S.p.A. sulle proprie azioni: la
sottoscrizione, l'acquisto e «le altre operazioni».
La prudenza con cui il legislatore
affronta il tema si spiega agevolmente ove si consideri che le operazioni
sulle proprie azioni possono avere l'effetto di annacquare il capitale sociale.
L'acquisto, ad esempio, delle azioni
proprie può essere una forma per dare corso ad una restituzione dei
conferimenti, lasciando il capitale formalmente invariato.
Per quanto attiene alla prima ipotesi, va
rilevato che è vietato, alle S.p.A., sottoscrivere azioni proprie (art.
2357-quater, comma 1, c.c.). Il divieto è pressoché assoluto, essendo prevista
una sola eccezione in materia di esercizio del diritto di opzione per le
azioni proprie già di proprietà della società (art. 2357-ter, comma 2, c.c.).
Le azioni sottoscritte in violazione del
divieto si intendono sottoscritte dai promotori, dai fondatori o, nel caso di
aumento del capitale sociale, dagli amministratori che versino in colpa: su
tali soggetti, conseguentemente, grava l'obbligo di provvedere alla liberazione
(e cioè alla effettuazione del conferimento) delle azioni (art. 2357-quater,
comma 2, c.c.).
Laddove la società si sia avvalsa di un
prestanome, la sottoscrizione si intenderà effettuata da quest'ultimo per conto
proprio.
Anche in tal caso, l'obbligo di
liberazione grava sui promotori, sui fondatori o, nel caso di aumento del
capitale sociale, sugli amministratori che versino in colpa (art. 2357-quater,
comma 3, c.c.).
Certamente più permissiva è la disciplina
dell'acquisto delle proprie azioni, potendo la società compiere tale operazione
a seguito di apposita deliberazione dell'assemblea dei soci che indichi, oltre
alle modalità dell'acquisto, anche il numero massimo di azioni da acquistare,
la durata (non superiore ai diciotto mesi) per la quale è rilasciata
l'autorizzazione, il corrispettivo minimo di acquisto nonché quello massimo
(art. 2357, comma 2, c.c.). L'ente non può acquistare azioni proprie per un
importo superiore agli utili distribuibili ed alle riserve disponibili,
risultanti dall'ultimo bilancio approvato (art. 2357, comma 1, c.c.), ed, in
ogni caso, per un valore nominale non superiore alla decima parte del capitale
sociale, tenendo conto anche delle azioni di proprietà delle società
controllate (art. 2357, comma 3, c.c.). Le azioni devono essere interamente
liberate, altrimenti la società diverrebbe creditrice di se stessa.
Le operazioni compiute in violazione
della disciplina su esposta non sono invalide, ma comportano, oltre una
responsabilità penale degli amministratori (art. 2628 c.c.), l'obbligo, in capo
alla società, di alienare le azioni secondo le modalità fissate dall'assemblea,
e, comunque, non oltre un anno dall'acquisto. In difetto, le azioni proprie
devono essere annullate, con corrispondente riduzione del capitale sociale.
L'inerzia dell'assemblea obbliga gli amministratori e i sindaci a chiedere che
la riduzione sia disposta con provvedimento del tribunale (art. 2357, comma 4,
c.c.).
Sono previsti, tuttavia, dei «casi
speciali» di acquisto delle proprie azioni, ricorrendo i quali, i limiti sopra
riportati sono inapplicabili (art. 2357-bis c.c.). La società, più
precisamente, può liberamente compiere tali operazioni laddove esse avvengano:
- in esecuzione di una deliberazione
assembleare di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e
annullamento di azioni (in tal caso, l'acquisto di azioni proprie è strumentale
ad una diminuzione reale del capitale sociale);
- a titolo gratuito, sempre che si tratti
di azioni interamente liberate;
- per effetto di successione universale o
di fusione o scissione;
- in occasione di esecuzione forzata per
il soddisfacimento di un credito della società, sempre che si tratti di azioni
interamente liberate.
Per poter disporre delle azioni proprie,
di cui la società abbia fatto acquisto, gli amministratori devono ottenere
l'autorizzazione dell'assemblea, la quale indica anche le relative modalità di
disposizione (art. 2357-ter, comma 1, c.c.). Per l'esercizio dei diritti
sociali è dettata una disciplina apposita: il diritto agli utili ed il diritto
di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni (ma è previsto
che sia l'assemblea ad autorizzare l'esercizio del diritto di opzione), mentre
il diritto di voto è sospeso, sebbene debba tenersi conto delle azioni proprie
ai fini del computo dei quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea (art.
2357-ter, comma 2, c.c.).
Per quanto attiene alle «altre operazioni
sulle proprie azioni» (art. 2358 c.c.), la relativa disciplina è così
riassumibile:
- la società non può concedere prestiti o
fornire garanzie di qualsi-voglia tipo in favore di soci o di terzi per la
sottoscrizione o l'acquisto di azioni proprie;
- la società non può accettare azioni
proprie in garanzia, tanto meno mediante interposta persona o società
fiduciaria.
I contratti stipulati in violazione dei
divieti posti dal legislatore sono affetti da nullità.
Limiti analoghi a quelli sin qui
esaminati sono, poi, previsti, sempre a tutela della integrità del capitale
sociale, con riguardo alle operazioni reciproche su azioni, specie se
intervengono tra società controllante e controllata.
Le obbligazioni
Le obbligazioni sono titoli di credito
utilizzati, nelle S.p.A., per la raccolta di capitale di prestito tra il
pubblico. Esse possono essere nominative o al portatore e rappresentano
frazioni, di uguale valore nominale e con uguali diritti, di un'unitaria
operazione di finanziamento a titolo di mutuo.
Le principali differenze tra le azioni e
le obbligazioni possono così riassumersi:
- le azioni attribuiscono lo status di
socio, con conseguente partecipazione ai risultati, sia positivi sia negativi,
dell'attività d'impresa; le obbligazioni attribuiscono lo status di creditore
della società, e danno diritto alla corresponsione di una remunerazione (id
est, gli interessi) che non è, di regola, connessa ai risultati della società;
- l'azionista ha diritto alla
restituzione dei conferimenti effettuati solo in sede di liquidazione della
società, e sempre che residui un attivo patrimoniale a seguito del
soddisfacimento dei creditori sociali; l'obbligazionista ha sempre diritto
alla restituzione del valore nominale della somma prestata alla scadenza
pattuita.
Il legislatore ha previsto la possibilità
di emettere categorie speciali di obbligazioni, tra le quali è opportuno
ricordare:
- le obbligazioni partecipanti, in cui
gli interessi sono, in tutto o in parte, commisurati agli utili di bilancio
della società;
- le obbligazioni indicizzate, il cui
rendimento è ancorato ad indici di varia natura, tra i quali il rendimento
economico della società;
- le obbligazioni convertibili in azioni,
in cui all'obbligazionista è riconosciuta la facoltà di trasformare il titolo
obbligazionario in una partecipazione azionaria della società emittente o
delle altre società del gruppo;
- le obbligazioni con warrant, che si
distinguono dalle precedenti per il fatto che l'obbligazionista non trasforma i
propri titoli obbligazionari in azioni ma, fermi restando i primi, può
acquistare o sottoscrivere le azioni della società emittente o di altre società
del gruppo;
- le obbligazioni subordinate, in cui il
diritto dell'obbligazionista alla restituzione del capitale prestato ed alla
corresponsione degli interessi è subordinato al soddisfacimento degli altri
creditori sociali.
Alla stregua dell'attuale formulazione
dell'alt. 2412, comma 1, c.c., le S.p.A. possono emettere obbligazioni per un
ammontare complessivo non eccedente il doppio del capitale sociale, della
riserva legale e delle riserve disponibili, risultanti dall'ultimo bilancio
approvato. Sono, tuttavia, previste delle deroghe sia nel corpo codicistico
(art. 2412, commi 2, 3, 4 e 5, c.c.), sia nella legislazione speciale.
La società emittente obbligazioni non può
ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se, con tali
operazioni, il limite previsto dall'alt. 2412, comma 1, c.c. diviene inferiore
alle obbligazioni emesse (art. 2413, comma 1, c.c.). Se la riduzione è
obbligatoria o le riserve diminuiscono in conseguenza di perdite, si prevede,
al fine di mantenere inalterato il rapporto tra capitale sociale e riserve, da
un lato, ed obbligazioni emesse, dall'altro, che non si dia luogo alla
distribuzione degli utili, fino a quando l'ammontare dei primi non eguagli la
metà dell'ammontare delle obbligazioni in circolazione (art. 2413, comma 2,
c.c.).
La competenza ad emettere obbligazioni è,
salva diversa previsione legislativa o statutaria, degli amministratori, la
cui decisione è adottata con deliberazione risultante da verbale redatto da un
notaio ed iscritta nel Registro delle Imprese (art. 2410 c.c.).
Una speciale disciplina è dettata per le
obbligazioni convertibili in azioni, prevedendosi che:
- la decisione circa la loro emissione è
di competenza dell'assemblea straordinaria, la quale deve sia indicare il
rapporto di cambio, il periodo e le modalità di conversione, sia disporre contestualmente
l'aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente al valore
nominale delle azioni da attribuire in conversione (art. 2420-te, commi 1, 2,
c.c.);
- lo statuto (o una sua successiva
modifica) può tuttavia attribuire agli amministratori la competenza a
deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili, fino ad un ammontare
predeterminato e per il periodo massimo di cinque anni (in tal caso, la delega
comprende anche il corrispondente aumento di capitale, art. 2420-ter c.c.);
- possono essere emesse solo se il
capitale sociale sia stato interamente versato;
- devono essere offerte in opzione agli
azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili precedentemente emesse;
- non possono essere emesse per un
ammontare inferiore al loro valore nominale.
Esaminati i punti salienti della
disciplina codicistica in materia di obbligazioni, è necessario svolgere
alcuni brevi cenni in mento alla articolazione organizzativa degli
obbligazionisti.
Similmente a quanto accade per i titolari
di categorie speciali di azioni, anche per gli obbligazionisti è prevista la
costituzione di un'assemblea di categoria, le cui principali attribuzioni
riguardano la nomina e la revoca del rappresentante comune, le modificazioni
delle condizioni del prestito, la proposta di amministrazione controllata e di
concordato e, in generale, gli altri oggetti d'interesse comune degli
obbligazionisti (art. 2415 c.c.).
L'assemblea degli obbligazionisti è
convocata dagli amministratori o dal rappresentante comune quando lo ritengano
necessario, ovvero qualora ne facciano richiesta tanti obbligazionisti che
rappresentino il ven-tesimo dei titoli emessi e non estinti (art. 2415, comma
2, c.c.). Le regole di funzionamento sono quelle dell'assemblea straordinaria,
fatta salva, per le deliberazioni in materia di modifica delle condizioni del
prestito, la necessaria approvazione, anche in seconda convocazione, di tanti
obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non
estinte (art. 2415, comma 3, c.c.).
All'assemblea degli obbligazionisti
possono assistere anche gli amministratori ed i sindaci della società (art.
2415, comma 5, c.c.).
Per quanto attiene alla invalidità delle
deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti, valgono le regole generali
in tema di invalidità delle deliberazioni assembleari, con l'avvertenza che le
quote richieste ai fini dell'impugnazione vanno riferite all'ammontare del
prestito obbligazionario ed alla circostanza che le obbligazioni siano quotate
m mercati regolamentati (art. 2416, comma 1, c.c.).
Il rappresentante comune è scelto, anche
tra i non obbligazionisti (e, a determinate condizioni, anche tra le persone
giuridiche), tra i soggetti in possesso dei requisiti di eleggibilità
prescritti dalla legge. Egli è nominato dall'assemblea degli obbligazionisti
e, in mancanza, dal tribunale; la sua nomina è soggetta ad iscrizione nel
Registro delle Imprese; dura in carica per un periodo non superiore ad un
triennio, salvo rielezione (art. 2417 c.c.).
Le principali funzioni di tale organo
consistono nella esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli
obbligazionisti e nella tutela dei loro interessi nei rapporti con la società.
Ha diritto di assistere all'assemblea dei soci (art. 2418, comma 1, c.c.). Gli
è attribuita la rappresentanza processuale degli obbligazionisti nelle
procedure concorsuali (art. 2418, comma 2, c.c.).
Le partecipazioni rilevanti
L'esigenza di garantire la trasparenza
dell'informazione societaria è alla base della normativa in materia di partecipazioni
rilevanti. Assume importanza, invero, l'interesse a conoscere l'effettiva
composizione della compagine sociale, unitamente alla ripartizione del
capitale sociale tra i soci. Tale interesse è avvertito in misura maggiore per
le società quotate in borsa, poiché l'acquisto dei titoli azionari è,
indubbiamente, condizionato dalle informazioni relative ai soggetti che
detengono il controllo della società.
Per le società quotate, l'interesse ad
una informazione societaria trasparente viene perseguito mediante
l'imposizione dell'obbligo di comunicare alla Consob ed alla società
partecipata l'eventuale acquisizione di una partecipazione rilevante in una
società quotata. Gli obblighi di comunicazione gravano:
- su tutti coloro che detengono,
direttamente o indirettamente, una quota azionaria superiore al due per cento
del capitale sociale di una società quotata;
- sulle società quotate che detengono,
direttamente o indirettamente, una quota superiore al dieci per cento del
capitale sociale di una S.p.A. o S.r.l. non quotate.
La violazione degli obblighi di
comunicazione comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria, che si
accomna, per le sole partecipazioni in società quotate, alla sospensione
del diritto di voto per le azioni per le quali è stata omessa la comunicazione.
Le delibere, adottate col voto determinante del socio che ha violato l'obbligo
di comunicazione, sono annullabili. L'impugnazione può essere proposta anche
dalla Consob.
Per quanto attiene alle società non
quotate, analoghi obblighi di comunicazione sono previsti a carico dei
soggetti che acquisiscano una partecipazione ritenuta rilevante alla stregua
della normativa speciale. Gli obblighi di comunicazione, tuttavia, non
riguardano tutte le società, ma unicamente quelle operanti in settori di
particolare importanza (ad es., società bancarie, di intermediazione
mobiliare, di assicurazione).
Le offerte pubbliche di acquisto e di
scambio
II legislatore, oltre che per
regolamentare gli obblighi di comunicazione, è intervenuto anche per
disciplinare il procedimento di acquisto di una partecipazione rilevante in una
società quotata, con l'obiettivo, sotto un primo profilo, di reprimere il
fenomeno delle scalate ostili occulte, e, sotto un diverso profilo, di
assicurare il corretto svolgimento della procedura di offerta pubblica di
acquisto (OPA) delle azioni di una società quotata.
Il tema delle offerte pubbliche di
acquisto tocca due interessi fondamentali: quello ad una maggiore redditività
delle imprese e quello alla tutela dei soci di minoranza.
Con riguardo al primo aspetto, è evidente
che tanto maggiore è la redditività della società, tanto maggiore è il valore
delle azioni.
La conseguenza è che il valore delle
azioni delle società con un management inefficiente è destinato a scendere,
rendendo più facile l'acquisto del pacchetto di maggioranza da parte di nuovi
soci, in condizione di introdurre sistemi di amministrazione più efficienti.
Ecco, quindi, che il legislatore si è preoccupato di impedire che gli
amministratori della società bersaglio possano porre in essere atti che
ostacolino il successo dell'OPA, in modo che la maggiore contendibilità delle
società possa portare ad una complessiva maggiore efficienza del sistema produttivo.
Con riguardo al secondo aspetto, è
evidente che i soci di minoranza sarebbero, di regola, penalizzati ove
operasse, senza correttivi, il principio della domanda e della offerta.
Olfatti, i nuovi acquirenti sarebbero interessati a are un sovrapprezzo al
pacchetto di azioni che consente il controllo della società, escludendo i soci
di minoranza da tale beneficio.
In questa prospettiva, si è previsto,
innanzi tutto, che il lancio di un'OPA, rivolta a tutto il mercato, costituisce
passaggio obbligato per l'acquisizione del pacchetto di controllo di una
società quotata e che l'OPA, sia essa volontaria o obbligatoria, deve svolgersi
secondo determinate regole di comportamento, dirette a tutelare i destinatari
dell'offerta ed il regolare funzionamento del mercato.
Vi sono due differenti ipotesi di OPA
obbligatoria: a) l'OPA successiva totalitaria; b) l'OPA residuale.
Si parla di OPA successiva totalitaria
nei casi in cui un soggetto, che venga a detenere a seguito di acquisto a
titolo oneroso una partecipazione superiore al trenta per cento delle azioni
ordinarie di una società quotata, è tenuto a lanciare un'offerta pubblica di
acquisto della totalità delle azioni ordinarie ancora in circolazione.
L'OPA residuale è uno strumento
predisposto a tutela dei soci di minoranza di una società quotata, i quali
possono avere interesse a liberarsi delle azioni allorquando la quasi totalità
del capitale sia detenuto da un gruppo di comando. Difatti, qualora un soggetto
detenga più del novanta per cento delle azioni ordinarie di una società,
questi è obbligato a lanciare un'OPA per le azioni ordinarie residue rimaste in
circolazione, al prezzo di acquisto fissato dalla Consob, se non ripristina,
entro quattro mesi, un flottante (inteso quale insieme delle azioni diffuse
tra il pubblico) sufficiente a garantire un regolare svolgimento delle
negoziazioni. Nei casi in cui la percentuale detenuta sia superiore al
novantotto per cento, l'azionista di maggioranza ha diritto ad acquistare
coattivamente le azioni rimaste in circolazione, al prezzo di acquisto fissato
da un esperto nominato dal tribunale.
La violazione dell'obbligo di lanciare
un'OPA comporta, oltre che la comminatoria di sanzioni pecuniarie, anche la
sospensione del diritto di voto per l'intera partecipazione e l'obbligo di
alienare, entro dodici mesi, le azioni eccedenti, a seconda del tipo di OPA, le
percentuali del trenta e del novanta per cento.
Individuati i casi in cui l'OPA è
obbligatoria, è necessario soffermarsi
sulla disciplina predisposta dal
legislatore (artt. 102-l04 TUF) per garantire il regolare svolgimento
dell'offerta pubblica, sia essa di acquisto, in cui il corrispettivo per le
azioni è costituito dal denaro, sia essa di scambio (OPS), in cui il
corrispettivo è costituito da altri strumenti finanziari.
Nell'ambito di tale disciplina, la Consob
ricopre un ruolo di fondamentale importanza, essendole non solo demandato il
controllo delle operazioni, ma anche attribuito il potere di sospendere o
dichiarare decaduta l'offerta in presenza di violazioni della disciplina
legislativa o regolamentare.
Il procedimento si apre con la
predisposizione del documento di offerta da parte dei soggetti che decidono di
lanciare un'offerta pubblica (obbligatoria o volontaria). Tale documento, che
deve contenere tutte le informazioni ed i dati necessari ai destinatari per
valutare la congruità dell'offerta, è destinato alla pubblicazione previa
trasmissione alla Consob. Esso è trasmesso anche alla società bersaglio, la
quale deve predisporre un comunicato nel quale esporre la propria posizione in
merito all'offerta lanciata. Solo a seguito di tali adempimenti, ha inizio la
fase delle adesioni all'offerta.
Per quanto riguarda gli strumenti a
disposizione della società bersaglio per contrastare un'offerta pubblica
ostile, è previsto che gli amministratori di quest'ultima devono astenersi dal
compiere atti o operazioni che possano contrastare con gli obiettivi
dell'offerta. Il divieto non è, tuttavia, assoluto, potendo essere rimosso con
apposita delibera assembleare, per la quale sono previste maggioranze
particolarmente elevate (il trenta per cento del capitale sociale anche in
seconda ed in terza convocazione).
Scaduto il termine dell'offerta, se è
stato raggiunto il quantitativo minimo di titoli indicato nel documento di
offerta, quest'ultima diviene irrevocabile; se, viceversa, le adesioni
superano il quantitativo richiesto, occorrerà tenere conto di quanto previsto
nel documento di offerta, il quale deve precisare se, in tale ipotesi, si
procederà ad una riduzione proporzionale o se l'offerente si riserva il
diritto di acquistare tutti i titoli.
Sezione terza L'assemblea
. L'assemblea. Competenze. Costituzione.
Funzionamento. - 83. Il diritto di intervento ed il diritto di voto nelle
assemblee. - 84. I patti parasociali. I sindacati di voto. - 85. L'invalidità
delle deliberazioni assembleari.
L'assemblea. Competenze. Costituzione.
Funzionamento
L'assemblea è un organo collegiale
composto dalle persone dei soci. Essa delibera sulle materie di maggior rilievo
della vita dell'ente, senza intervenire, di regola, nella ordinaria gestione
della società. In via generale, può dirsi che l'assemblea forma la volontà
dell'ente nelle materie ad essa riservate dalla legge o dallo statuto.
In base all'oggetto delle deliberazioni,
l'assemblea si distingue in ordinaria e straordinaria. Tale distinzione assume
rilevanza sia con riguardo alle formalità da rispettare per il corretto
svolgimento dei lavori assembleari (ad es., nell'assemblea straordinaria il
verbale deve essere redatto da un notaio), sia per ciò che attiene
all'individuazione delle regole che presiedono alla formazione della volontà
assembleare (ad es., i quorum costitutivi e deliberativi).
Le materie di competenza dell'assemblea
ordinaria variano in relazione al sistema di amministrazione e controllo
adottato dall'ente.
Nelle società prive di consiglio di
sorveglianza (id est, qualora sia adottato il sistema tradizionale o il
sistema monistico), l'assemblea ordinaria (art. 2364, comma 1, c.c.):
- approva il bilancio;
- nomina e revoca gli amministratori;
nomina i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando è previsto,
il soggetto cui è demandato il controllo contabile;
- determina il compenso degli
amministratori e dei sindaci, se non è già indicato nello statuto;
- delibera sulla responsabilità degli
amministratori e dei sindaci;
- delibera sulle altre materie riservate
alla sua competenza dalla legge, nonché sulle autorizzazioni eventualmente
richieste dallo statuto per il compimento degli atti degli amministratori;
- approva l'eventuale regolamento dei
lavori assembleari. Nelle società in cui sia nominato un consiglio di
sorveglianza, l'assemblea ordinaria (art. 2364-te, comma 1, c.c.):
- nomina e revoca i consiglieri di
sorveglianza e determina il loro compenso;
- delibera sulla responsabilità dei
consiglieri di sorveglianza;
- delibera sulla distribuzione degli
utili;
- nomina il revisore.
Più ristrette sono le competenze
dell'assemblea straordinaria, la quale delibera (art. 2365, comma 1, c.c.): a)
sulle modificazioni dello statuto; b] sulla nomina, la sostituzione ed i poteri
dei liquidatori; e) sulle altre materie riservate dalla legge alla sua
competenza.
L'assemblea può essere, oltre che
generale, anche speciale. Qualora la società abbia emesso unicamente azioni
ordinarie, si avrà solamente l'assemblea generale; laddove siano state emesse
anche speciali categorie di azioni o altri strumenti finanziari attributivi di
diritti amministrativi, è costituita un'assemblea speciale di categoria, la
quale nomina un rappresentante comune. L'assemblea speciale, il cui
funzionamento, in mancanza di disciplina specifica, segue le regole dettate per
l'assemblea straordinaria, si pronuncia sulle deliberazioni dell'assemblea
generale che pregiudicano i diritti dei soggetti appartenenti alla categoria
interessata (art. 2376 c.c.).
L'assemblea è convocata nel comune ove la
società ha la propria sede sociale, se lo statuto non dispone diversamente
(art. 2363, comma 1, c.c.).
La convocazione è disposta dagli
amministratori o dal consiglio di gestione. ½ sono dei casi in cui la
convocazione è obbligatoria.
In primo luogo, l'assemblea ordinaria
deve essere convocata almeno una volta l'anno, entro il termine fissato dallo
statuto e comunque non oltre i centoventi giorni successivi alla chiusura
dell'esercizio sociale. Tale termine può essere differito fino a centottanta
giorni per le società tenute a redigere il bilancio consolidato, ovvero quando
vi siano particolari esigenze connesse alla struttura o all'oggetto della
società, le quali devono essere indicate dagli amministratori nella relazione
sulla gestione allegata al bilancio (art. 2364, comma 2, c.c.).
La convocazione dell'assemblea è
obbligatoria anche qualora ne facciano richiesta tanti soci che rappresentino
un decimo del capitale sociale, o la percentuale più bassa indicata in statuto,
e siano indicate anche le materie da trattare (cosiddetta convocazione su
richiesta della minoranza). Nel caso di inerzia degli amministratori (o del
consiglio di gestione) o, in loro vece, dei sindaci (o del consiglio di
sorveglianza), la convocazione è disposta con provvedimento del tribunale (art.
2367 c.c.).
L'obbligo di convocare l'assemblea grava
anche sui sindaci, e ciò non solo laddove sia necessario rimediare all'inerzia
degli amministratori, ma anche nei casi in cui i sindaci, nell'espletamento del
proprio incarico, ravvisino fatti censurabili di rilevante gravita e vi sia
urgente necessità di provvedere (art. 2406 c.c.).
Sia nei casi in cui è obbligatoria, sia
in quelli in cui avviene per iniziativa degli amministratori (o del consiglio
di gestione), la convocazione è effettuata mediante avviso contenente
l'indicazione non solo del luogo, del giorno e dell'ora della convocazione, ma
anche delle materie da trattare (cosiddetto ordine del giorno). Tale avviso
deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, o su un quotidiano indicato in
statuto, almeno quindici giorni prima della data fissata per l'assemblea
(trenta giorni se si tratta di società quotate). Per le società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio, è possibile effettuare la
convocazione dei soci mediante altri strumenti che garantiscano la prova
dell'avvenuto ricevimento almeno otto giorni prima di quello fissato per
l'assemblea (ad es., raccomandata a/r, fax, e-mail).
L'osservanza di tali formalità non è però
necessaria allorquando siano presenti tutti i soci, nonché la maggioranza dei
componenti degli organi amministrativi e di controllo (cosiddetta assemblea
totalitaria). In tale ipotesi, l'assemblea si considera regolarmente
costituita, anche se ciascuno dei partecipanti può opporsi alla discussione
degli argomenti sui quali si dichiari non sufficientemente informato (art.
2366, comma 2, c.c.).
Costituitasi regolarmente l'assemblea,
essa è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, in mancanza, da
quella eletta con il voto della maggioranza dei presenti. Il presidente
dell'assemblea ha il compito di accertare la regolarità della costituzione,
l'identità e la legittimazione dei presenti, regolare lo svolgimento
dell'assemblea ed accertare i risultati delle votazioni (art. 2371 c.c.).
Espletati dal presidente i suddetti
controlli preliminari, si passa alla fase della discussione ed alla successiva
deliberazione, fatta salva l'ipotesi in cui i soci intervenuti, che
rappresentino un terzo del capitale, non chiedano un rinvio dell'assemblea di
non oltre cinque giorni, dichiarando di non essere sufficientemente informati
sui punti posti all'ordine del giorno (art. 2374 c.c.).
Le deliberazioni dell'assemblea devono
risultare da un verbale, sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal
notaio. Nel caso di assemblea straordinaria, il verbale deve essere redatto da
un notaio. Il verbale deve indicare, oltre che la data dell'assemblea,
l'identità dei partecipanti ed il capitale da ciascuno di essi rappresentato,
anche le modalità ed il risultato delle votazioni, e deve consentire
l'identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti (art. 2375,
comma 1, c.c.). I verbali devono essere trascritti nel libro delle adunanze e
delle deliberazioni dell'assemblea.
Ai fini della regolare costituzione
dell'assemblea, nonché ai fini della validità delle relative deliberazioni, è
necessaria, rispettivamente, la presenza ed il voto favorevole di un numero di
soci rappresentativi di una determinata quota di capitale sociale (cosiddetto
quorum). Nel primo caso, si parla di quorum costitutivo; nel secondo di quorum
deliberativo.
Se, alla data prevista, non è presente la
parte di capitale richiesta ai fini della regolare costituzione dell'adunanza,
può disporsi una seconda convocazione dell'assemblea (art. 2369, comma 1,
c.c.). La data fissata per la seconda adunanza, che, comunque, non può tenersi
nello stesso giorno fissato per la prima convocazione, può essere indicata
nell'avviso relativo a quest'ultima (art. 2369, comma 2, c.c.).
L'art. 2368 c.c. prevede, quale quorum
costitutivo dell'assemblea ordinaria in prima convocazione, la presenza di
tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale sociale, escluse le
azioni prive del diritto di voto (ad es., azioni di risparmio). Lo statuto
può, tuttavia, richiedere una maggioranza più elevata. Il quorum deliberativo
dell'assemblea ordinaria in prima convocazione coincide con il voto favorevole
della maggioranza assoluta dei votanti (ovvero la metà più uno).
Più rigida si presenta la disciplina
dettata con riferimento all'assemblea straordinaria. In prima convocazione,
difatti, pur non essendo espressamente richiesto un particolare quorum
costitutivo, si prevede che la delibera debba essere approvata con il voto
favorevole di tanti soci che rappresentino più della metà del capitale sociale,
fatta salva un'eventuale maggioranza più elevata richiesta dallo statuto (art.
2368, comma 2, c.c.).
Sia in sede di assemblea ordinaria, sia
in sede di assemblea straordinaria, si tiene conto, quanto meno ai fini del
computo del quorum costitutivo, delle azioni per le quali il diritto di voto
non può essere esercitato (ad es., le azioni del socio in conflitto di
interessi), fatta salva una diversa previsione di legge. Ai fini del quorum
deliberativo, viceversa, tali azioni non sono calcolate, così come non sono
calcolate quelle per le quali il diritto di voto non sia stato in concreto
esercitato a seguito della dichiarazione di astensione del socio per conflitto
di interessi (art. 2368. comma 3, c.c.).
Passando ad esaminare i quorum richiesti
in seconda convocazione, va rilevato che l'assemblea ordinaria è regolarmente
costituita e delibera qualunque sia la parte di capitale rappresentata. Per
l'assemblea straordinaria, invece, è espressamente introdotto un quorum
costitutivo rappresentato dalla partecipazione di oltre un terzo del capitale
sociale. La delibera si considera approvata quando ottiene il voto favorevole
di tanti soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale presente in assemblea
(art. 2369, comma 3, c.c.).
In ogni caso, è fatta salva la
possibilità di richiedere con lo statuto maggioranze più elevate, tranne che
per l'approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche
sociali (art. 2369, comma 4, c.c.).
Lo statuto può, inoltre, prevedere
ulteriori convocazioni dell'assemblea, sia ordinaria sia straordinaria, alle
quali si applica la disciplina prevista per la seconda convocazione (art.
2369, comma 6, c.c.).
Parzialmente diversa è la disciplina
dettata per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
In tal caso, ai fini della regolare
costituzione dell'assemblea straordinaria di prima convocazione è necessaria
la presenza di almeno la metà del capitale sociale (sempre fatta salva
un'eventuale maggioranza più elevata prevista dallo statuto); il quorum
deliberativo coincide con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale
rappresentato in assemblea (art. 2368, comma 2, c.c.).
In seconda convocazione, per alcune
deliberazioni di particolare importanza (cambiamento dell'oggetto sociale,
trasformazione della società, scioglimento anticipato o proroga, revoca dello
stato di liquidazione, trasferimento della sede sociale all'estero, emissione
di azioni privilegiate), non si applicano i normali quorum (ovvero
partecipazione di almeno un terzo del capitale sociale e voto favorevole dei
due terzi del capitale rappresentato in assemblea), ma è richiesto il voto
favorevole di tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale
(art. 2369, comma 5, c.c.
diritto di intervento ed il diritto di
voto nelle assemblee
All'assemblea possono intervenire solo
gli azionisti che siano titolari del diritto di voto (art. 2370, comma 1,
c.c.). Ad essi vanno aggiunti i soggetti che, pur non essendo azionisti, sono
titolari del diritto di voto in virtù di particolari vincoli gravanti sulle
azioni (ad es., l'usufruttuario o il creditore pignoratizio). Non possono, invece,
intervenire i soggetti che detengono azioni che non attribuiscono il diritto di
voto (ad es., azioni di risparmio).
Salvo una specifica previsione
statutaria, il previo deposito presso la sede sociale delle azioni non è
obbligatorio (art. 2370, comma 2, c.c.).
E possibile consentire l'intervento m
assemblea «a distanza», ovvero mediante l'utilizzo di adeguati mezzi di
telecomunicazione (ad es., in videoconferenza) o l'espressione del voto per
corrispondenza (art. 2370, comma 4, c.c.). ½ è, nel primo caso, la necessità
di utilizzare dei sistemi di telecomunicazione che consentano sia la verifica
della identità e della legittimazione dei presenti da parte del presidente, sia
il contestuale dibattito fra i soci, sia la possibilità per tutti i soci di votare
simultaneamente.
Salvo disposizione contraria dello
statuto, i soci non sono obbligati a partecipare personalmente all'assemblea,
potendo farsi rappresentare da soggetti terzi (art. 2372, comma 1, c.c.). Il
fenomeno della rappresentanza in assemblea è diversamente disciplinato a
seconda che la società per azioni sia o meno quotata in borsa.
In via generale, la rappresentanza deve
essere conferita per iscritto, ed i relativi documenti devono essere conservati
dalla società (art. 2372, comma 1, c.c.).
Per le società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, la delega può essere rilasciata solo per
singole assemblee, con validità anche per le eventuali successive
convocazioni, a meno che non si tratti di procura generale o di procura conferita
da una società (o altro ente collettivo, associazione, fondazione o
istituzione) ad un proprio dipendente art. 2372, comma 2, c.c.).
In ogni caso, è esclusa la validità della
delega cosiddetta in bianco, nella quale, cioè, non è indicato il nome del rappresentante.
La delega, inoltre, è sempre revocabile, nonostante ogni patto contrario (art.
2372, comma 3, c.c.).
Sono, altresì, prescritti limiti, sia
soggettivi che quantitativi, al conferimento della rappresentanza. Sotto il
primo profilo, si prevede che se la rappresentanza è conferita ad una società
(o altro ente collettivo, asso-ciazione, fondazione o istituzione), questa può
rilasciare delega unicamente ad un proprio dipendente o collaboratore (art.
2372, comma 4, c.c.). È fatto divieto, inoltre, di conferire la rappresentanza
ai membri degli organi amministrativi o di controllo della società, così come
ai dipendenti della stessa, alle società controllate o ai membri degli organi
amministrativi o di controllo o ai dipendenti delle stesse (art. 2372, comma 5,
c.c.).
Per quanto riguarda i limiti
quantitativi, l'art. 2372, comma 6, c.c. dispone che una stessa persona non
può rappresentare in assemblea più di venti soci. Tale limite è elevato fino a
cinquanta soci per le società quotate aventi un capitale sociale da cinque a
venticinque milioni di euro, e fino a duecento soci per le società quotate
aventi un capitale sociale superiore a venticinque milioni di euro.
Con precipuo riferimento alle società
quotate, vanno segnalati gli istituti della sollecitazione e della raccolta di
deleghe (artt. 136-l44 TUF). Si parla di sollecitazione allorquando vi sia una
richiesta di attribuzione della rappresentanza rivolta a tutti gli azionisti da
parte di uno o più soggetti, i committenti, i quali indicano ai soci le
specifiche proposte di voto sulla base delle quali richiedono l'adesione. A
differenza di quanto accade normalmente in materia di rappresentanza, il
committente non può essere un soggetto esterno alla società, essendo richiesta
la titolarità, da un minimo di sei mesi, di almeno l'uno per cento delle azioni
con diritto di voto. Sebbene l'iniziativa parta dal committente, la sollecitazione
è materialmente effettuata da un intermediario professionale, il quale è tenuto
a trasmettere a tutti gli azionisti un prospetto ed un modulo di delega, il cui
contenuto è fissato dalla Consob.
La raccolta delle deleghe, viceversa,
presuppone la previa costituzione di un'associazione degli azionisti a tutela
dei propri interessi. Più precisamente, l'associazione richiede l'attribuzione
della rappresentanza (unicamente) ai propri associati, i quali possono, da un
lato, decidere di non aderire alla richiesta e, dall'altro, indicare nel modulo
di conferimento della rappresentanza le proprie determinazioni di voto, che
divengono vincolanti per l'associazione.
Esaminate le questioni connesse
all'intervento dei soci all'assemblea, è opportuno svolgere alcune
considerazioni in merito all'esercizio del diritto di voto da parte
dell'azionista.
Se è vero che l'azionista deve
perseguire, mediante l'esercizio del diritto di voto, il proprio interesse, è
altrettanto vero che egli non deve arrecare danno alla società. Tale esigenza
trova riscontro nella disciplina dettata in materia di conflitto di interessi
del socio nelle deliberazioni dell'assemblea (art. 2373 c.c.).
Può accadere, difatti, che, in una
determinata deliberazione, il socio abbia, per conto proprio o di terzi, un
interesse personale confliggente con quello della società. È quanto accade, per
esempio, allorquando la società deve deliberare in merito all'acquisto di un
immobile di proprietà del socio. In tali casi, è avvertita l'esigenza di
tutelare la posizione dell'ente, rispetto alle determinazioni di voto adottate
dal socio portatore di un interesse contrastante con quello sociale.
Qualora la deliberazione assembleare sia
adottata con il voto determinante del socio in conflitto d'interessi, la
deliberazione medesima può essere impugnata ai sensi dell'alt. 2377 c.c.,
nell'ipotesi in cui possa recare danno alla società.
Pur intendendo il legislatore
disciplinare tutte le ipotesi in cui vi sia un interesse personale del socio in
conflitto con quello della società, sono stati espressamente indicati due casi
tipici di conflitto di interessi, ovvero quello del socio amministratore, nelle
deliberazioni riguardanti la propria responsabilità, e quello dei soci
componenti del consiglio di gestione, nelle deliberazioni riguardanti la
nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza (art.
2373, comma 2, c.c.).
I patti parasociali. I sindacati di voto
I sindacati di voto sono patti
parasociali mediante i quali i soci partecipanti (soci sindacati) si obbligano
a concordare, prima ed al di fuori dell'assemblea, il voto che verrà da essi
successivamente esercitato.
Rispetto ai sindacati di blocco, aventi
la funzione di stabilizzare la comine sociale ponendo dei vincoli al
trasferimento delle azioni, i sindacati di voto sono utilizzati, di regola, al
fine di dare un indirizzo unitario alla strategia d'impresa della società.
Nella maggior parte dei casi, difatti, tali patti parasociali vengono stipulati
dal gruppo di comando dell'ente, con l'obiettivo di esprimere un voto unitario
in assemblea e, conseguentemente, di imporre costantemente la condotta della società.
Anche i soci di minoranza possono
decidere di ricorrere ai sindacati di voto, nella misura in cui tali strumenti
sono idonei a garantire una più adeguata tutela dei comuni interessi in seno
all'assemblea.
Non si deve, tuttavia, ritenere che il
ricorso ai sindacati di voto non
presenti delle controindicazioni. È
evidente, difatti, che nel momento in cui tutte le determinazioni relative
all'esercizio del diritto di voto vengono adottate al di fuori dell'assemblea,
questa viene sostanzialmente svuotata della propria funzione di centro
decisionale dei soci.
La disciplina codicistica dei patti
parasociali è contenuta negli artt. 2341 -bis e 2341-ter c.c. Tali norme non
riguardano i soli sindacati di voto, ma in generale tutti quei patti
parasociali che, diretti a stabilizzare gli assetti societari o il governo
della società:
a) abbiano per oggetto l'esercizio del
diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano;
b) pongano limiti al trasferimento delle
relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano;
e) abbiano per oggetto o per effetto
l'esercizio, anche congiunto, di un'influenza dominante su tali società.
Sono, viceversa, esclusi dall'ambito di
operatività della norma i patti strumentali ad accordi di collaborazione nella
produzione o nello scambio di beni o servizi, e relativi a società interamente
posseduta dai partecipanti all'accordo (art. 2341-te, comma 3, c.c.).
L'art. 2341 -bis c.c. distingue i patti
parasociali stipulati a tempo determinato, da quelli per i quali, viceversa,
non è fissato alcun termine di durata. Per i primi è posto, quale limite
temporale massimo, il termine di cinque anni (tre anni per le società quotate,
art. 123 TUF), ferma restando la possibilità per le parti di concordarne la
rinnovazione alla scadenza (art. 2341-te, comma 1, c.c.). Con riferimento ai
patti parasociali stipulati a tempo indeterminato, per non rendere
eccessivamente gravosa la posizione dei soci vincolati, è riconosciuto a
ciascuno di essi il diritto di recedere dal patto parasociale con un preavviso
di sei mesi (art. 2341-te, comma 2, c.c.).
Alcuni rilievi meritano di essere svolti
con riguardo al regime di pubblicità cui sono soggetti i patti parasociali.
Occorre distinguere tre differenti situazioni: a) quella delle società non
quotate, che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio; b) quella
delle società che, pur non essendo quotate, fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio; e) quella delle società quotate.
Nel primo caso, non è dettata alcuna
forma di pubblicità dei patti parasociali, i quali, pertanto, possono anche non
essere portati a conoscenza degli altri soci e dei terzi.
Nel secondo caso, i patti parasociali
devono essere comunicati alla società e dichiarati all'inizio di ogni
assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale, il quale deve
successivamente essere depositato presso il Registro delle Imprese (art.
2341-ìer, comma 1, c.c.).
Il mancato rispetto dell'obbligo
comporta, da un lato, la sospensione del diritto di voto per le azioni
sindacate e, dall'altro, l'impugnabilità delle deliberazioni assembleari, a
norma dell'art. 2377 c.c., qualora siano adottate con il loro voto determinante
(art. 2341 -ter, comma 2, c.c.).
Diverso è il regime di pubblicità dei
patti parasociali nelle società quotate. In tale ultimo caso, essi devono
essere comunicati alla Consob, pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana
e depositati presso il Registro delle Imprese del luogo in cui la società ha la
propria sede sociale (art. 122 TUF). Il mancato rispetto di tali formalità
comporta la nullità dei patti e la sospensione del diritto di voto per le
azioni sindacate.
Analogamente a quanto statuito per le
società non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, è
prevista l'impugnabilità delle deliberazioni assembleari a norma dell'art. 2377
c.c., qualora, in assenza della pubblicità prevista, siano adottate con il voto
determinante delle azioni sindacate.
Per quanto attiene alla efficacia dei
patti parasociali, occorre evidenziare che essi sono efficaci unicamente tra le
parti contraenti, ovvero tra i soci sindacati. Nessuna efficacia può essere
riconosciuta a tali accordi nei confronti della società. Ne consegue che
l'eventuale violazione del patto (ad esempio, perché i soci sindacati hanno
votato in maniera difforme da quanto convenuto in sede di sindacato) non
inficia la validità o l'efficacia della delibera, esponendo unicamente
l'azionista inadempiente all'obbligo di risarcire i danni arrecati agli altri
soci sindacati (il cui ammontare è spesso predeterminato nel patto parasociale
mediante apposita clausola penale).
L'invalidità delle deliberazioni
assembleari
Le deliberazioni assembleari possono
presentare vizi riguardanti sia il procedimento di formazione, sia il contenuto
della deliberazione. La relativa disciplina manifesta l'intenzione del
legislatore di ricondurre tutti i possibili vizi della deliberazione
assembleare nell'alveo delle categorie della nullità e dell'annullabilità,
senza lasciare spazio alla categoria, di elaborazione giurisprudenziale, della
inesistenza.
Per quanto riguarda i casi di
annullabilità della delibera, è ribadito il principio secondo cui possono
essere impugnate tutte le deliberazioni che <<non sono prese in
conformità della legge o dello statuto» (art. 2377, comma 1, c.c.). In altre
parole, al di fuori dei casi tassativi di nullità indicati nel successivo art.
2379 c.c., la sanzione prevista per tutti gli eventuali vizi della
deliberazione è l'annullabilità. Inoltre, anche al fine di fugare qualsiasi
dubbio circa il tipo di sanzione da comminare, si precisa (art. 2377, comma 4,
c.c.) che sono soggette ad annullabilità le deliberazioni in cui si riscontri:
- la partecipazione all'assemblea di
soggetti non legittimati, qualora tale partecipazione sia stata determinante ai
fini del raggiungimento del quorum costitutivo previsto per legge o per
statuto; laddove manchi la cosiddetta prova di resistenza, la deliberazione non
è, quindi, soggetta ad alcuna impugnazione;
- l'invalidità o l'errato conteggio di
singoli voti, ma, anche in questo caso, solo laddove i voti invalidi o
erroneamente conteggiati siano stati determinanti ai fini del raggiungimento
del quorum deliberativo; in caso contrario, analogamente a quanto previsto
nell'ipotesi precedente, la deliberazione non è soggetta ad alcuna
impugnazione;
- l'incompletezza o l'inesattezza del
verbale tali da impedire l'accertamento del contenuto, degli effetti e della
validità della deliberazione.
L'impugnazione può essere proposta dai
soci assenti, dissenzienti o astenuti, nonché dagli amministratori, dal
consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale. Legittimati
all'impugnazione sono altresì il rappresentante comune degli azionisti di
risparmio e, in alcuni casi tassativamente previsti, la Consob, la Banca
d'Italia e Plsvap.
Sono previste delle soglie di
partecipazione azionaria, al di sotto delle quali non è riconosciuto il diritto
di impugnazione, ma unicamente il diritto al risarcimento dei danni subiti a
causa della non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto. Tali
soglie coincidono:
- nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, con la titolarità di tante azioni con diritto
di voto nell'ambito della deliberazione, che rappresentino l'uno per mille del
capitale sociale;
- nelle altre società, con la titolarità
di tante azioni con diritto di voto nell'ambito della deliberazione, che
rappresentino il cinque per cento del capitale sociale.
E fatta salva, tuttavia, la possibilità
per lo statuto di ridurre o escludere tale requisito (art. 2377, comma 2,
c.c.).
Il termine per proporre impugnazione (o
per chiedere il risarcimento dei danni) è di novanta giorni dalla data della
deliberazione, ovvero, se essa è soggetta ad iscrizione o a deposito nel
Registro delle Imprese, di novanta giorni dalla iscrizione o dal deposito (art.
2377, comma 5, c.c.).
L'impugnazione si propone dinanzi al
tribunale del luogo dove ha sede la società (art. 2378, comma 1, c.c.). Il
socio impugnante deve dimostrare il possesso del numero delle azioni richieste
al momento dell'impugnazione. Se il numero delle azioni viene meno nel corso
del processo, il giudice non può più pronunciare l'annullamento della delibera
ma provvede, ove richiesto, sul risarcimento del danno (art. 2378, comma 2,
c.c.). Laddove, con la proposizione dell'impugnazione, sia richiesta la
sospensione dell'efficacia della delibera, il giudice deve pronunciarsi solo
dopo avere valutato ativamente i pregiudizi che le parti (ovvero la società
ed il socio che ha proposto impugnazione) subirebbero, rispettivamente, dalla
sospensione e dalla esecuzione della deliberazione. In ogni caso, può disporre
che i soci opponenti prestino idonea garanzia (art. 2378, comma 4, c.c.).
L'annullamento della deliberazione spiega
la propria efficacia nei confronti di tutti i soci, ed obbliga gli
amministratori, i componenti del consiglio di sorveglianza e del consiglio di
gestione ad adottare tutti i conseguenti provvedimenti sotto la propria
responsabilità. Sono fatti, comunque, salvi i diritti acquistati dai terzi in
buona fede in esecuzione della deliberazione successivamente annullata (art.
2377, comma 6, c.c.).
In ultimo, occorre evidenziare che
l'assemblea ha facoltà di sanare i vizi della deliberazione impugnata
adottandone altra in conformità alla legge o allo statuto. Si parla, in tal
caso, di sostituzione della delibera (art. 2377, comma 7, c.c.).
Esaminate le questioni connesse alla
annullabilità, occorre analizzare le ipotesi di nullità della deliberazione
assembleare.
L'art. 2379 c.c. commina la sanzione
della nullità, e l'elencazione è da ritenersi tassativa, per le sole
deliberazioni in cui si riscontri:
- la mancata convocazione dell'assemblea;
la convocazione, tuttavia, non si considera mancante qualora provenga da un
membro dell'organo amministrativo o di controllo della società e sia idonea a
consentire a coloro che hanno diritto di intervenire, di essere
tempestivamente avvertiti della convocazione e della data dell'assemblea (art.
2379, comma 3, c.c.);
- la mancanza del verbale; il verbale,
tuttavia, non si considera mancante, qualora contenga la data della
deliberazione ed il suo oggetto, e sia sottoscritto dal presidente
dell'assemblea (o dal presidente del consiglio di amministrazione o del
consiglio di sorveglianza) e dal segretario o dal notaio (art. 2379, comma 3,
c.c.);
- l'impossibilità o l'illiceità
dell'oggetto della deliberazione per essere contrario a norme imperative,
all'ordine pubblico o al buon costume.
Analogamente a quanto previsto in materia
di nullità negoziale, l'impugnazione può essere proposta non soltanto dai soci
assenti, dissenzienti ed astenuti e/o dai membri degli organi amministrativi e
di controllo, ma anche da chiunque vi abbia interesse (art. 2379, comma 1,
c.c.).
La normativa dettata in materia
societaria diverge, viceversa, da quella generale per ciò che attiene al
termine per far valere la nullità: si prevede, difatti, che l'impugnazione
debba essere proposta entro tre anni (la regola generale vuole che la nullità
non sia soggetta a termini di prescrizione o decadenza), decorrenti dalla
iscrizione o dal deposito della deliberazione nel Registro delle Imprese,
ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell'assemblea, laddove
non soggetta né ad iscrizione, né a deposito (art. 2379, comma 1, c.c.).
Nessun limite temporale, tuttavia, è dettato con riguardo alla impugnazione
delle deliberazioni che modificano l'oggetto sociale prevedendo attività
illecite o impossibili.
Per quanto riguarda gli effetti verso i
terzi in buona fede della sentenza dichiarativa della nullità, è richiamata la
disciplina dettata per l'annullabilità. Anche in materia di nullità, è
possibile sostituire la deliberazione impugnata con altra presa in conformità
alla legge o allo statuto (art. 2379, comma 3, c.c. che richiama l'art. 2377,
commi 6 e 7, c.c.).
Sono previste, inoltre, due ulteriori
ipotesi di sanatoria della nullità (art. 2379-fe c.c.).
Si prevede, difatti, che l'impugnazione
per mancata convocazione non possa essere esercitata dal soggetto che, anche
successivamente, abbia prestato il suo consenso allo svolgimento
dell'assemblea.
L'impugnazione per mancanza del verbale,
a sua volta, può essere sanata mediante successiva verbalizzazione, purché
eseguita prima dell'assemblea successiva. In tal caso, la deliberazione ha
efficacia dalla data in cui è stata adottata, fatti salvi i diritti dei terzi
che, in buona fede, ignoravano la deliberazione.
Una disciplina specifica è dettata con
riferimento alla nullità di particolari tipi di deliberazioni.
Per le deliberazioni di aumento o di
riduzione del capitale sociale e di emissione delle obbligazioni, i termini per
impugnare sono di centot-tanta giorni dall'iscrizione della delibera nel
Registro delle Imprese (o, nel caso di mancata convocazione, di novanta giorni
dall'approvazione del bilancio nel corso del quale la delibera è stata anche
parzialmente eseguita; art. 2379-ter, comma 1, c.c.).
Nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, la nullità della deliberazione di aumento del
capitale sociale non può più essere pronunciata dopo che, a norma dell'alt.
2444 c.c., sia stata iscritta, nel Registro delle Imprese, l'attestazione che
l'aumento è stato anche parzialmente eseguito. Le deliberazioni di riduzione
del capitale sociale e di emissione delle obbligazioni non possono essere
dichiarate mille qualora siano state, anche parzialmente, eseguite (art.
2379-ter, comma 2, c.c.).
In entrambi i casi, tuttavia, è fatto
salvo il risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci ed ai terzi
(art. 2379-ter, comma 3, c.c.).
Le ultime notazioni vanno svolte con
riferimento alla invalidità delle deliberazioni di approvazione del bilancio e
di trasformazione, prevedendosi al riguardo che:
- nel primo caso, le azioni di nullità ed
annullamento non possono essere proposte, laddove sia già avvenuta
l'approvazione relativa all'esercizio successivo;
- nel secondo caso, l'invalidità
dell'atto di trasformazione non può più essere pronunciata dopo che siano state
eseguite le formalità prescritte per tale tipo di operazione. È fatto salvo,
tuttavia, il risarcimento del danno eventualmente spettante ai partecipanti
all'ente trasformato ed ai terzi danneggiati dalla trasformazione (art. 2500-tó
c.c.).
È evidente che la disciplina richiamata è
volta ad assicurare stabilità alla vita della società.
Sezione quarta L'amministrazione e il
controllo
Il sistema tradizionale di
amministrazione e controllo. L'organo amministrativo. - 87. L'amministratore
unico. Il consiglio di amministrazione. - 88. Amministratori delegati e
comitato esecutivo. Direttore generale. - 89. La responsabilità degli
amministratori. - 90. Il collegio sindacale. - 91. Le funzioni del collegio
sindacale. La responsabilità dei sindaci. - 92. Il controllo contabile. - 93.
I sistemi alternativi di amministrazione e di controllo. Il sistema dualistico.
- 94. Il sistema monistico. - 95. I controlli esterni.
II sistema tradizionale di
amministrazione e controllo. L'organo amministrativo
La vigente disciplina riconosce alla
S.p.A. la possibilità di optare tra tre sistemi differenti di amministrazione e
di controllo:
- il sistema cosiddetto tradizionale;
- il sistema cosiddetto dualistico, che
prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza, di nomina assembleare, e
di un consiglio di gestione, nominato dal primo;
- il sistema cosiddetto monistico, che
prevede la presenza di un consiglio di amministrazione, di nomina assembleare,
e di un comitato per il controllo sulla gestione, organo costituito all'interno
del primo e composto da alcuni suoi membri dotati di particolari competenze
professionali.
In mancanza di diversa previsione
statutaria, trova applicazione il sistema tradizionale (art. 2380, comma 1,
c.c.). L'adozione del sistema dualistico e di quello monistico, laddove non
effettuata in sede di costituzione della società, necessita di specifica
modifica statutaria.
A prescindere dal sistema concretamente
adottato, tuttavia, il controllo contabile non è di spettanza dell'organo
interno di controllo, ma deve essere affidato ad un soggetto esterno alla
società, e cioè ad un revisore contabile o ad una società di revisione.
Nel sistema tradizionale, l'organo
amministrativo può avere natura collegiate o unipersonale: nel primo caso, si
ha il consiglio di amministrazione; nel secondo, l'amministratore unico.
Indipendentemente dalla natura collegiale
o unipersonale dell'organo amministrativo, ad esso è affidata, in via
esclusiva, la gestione dell'impresa, con facoltà di compiere tutte le
operazioni necessarie per il raggiungimento dell'oggetto sociale (art.
2380-te, comma 1, c.c.).
L'organo amministrativo può, perciò,
deliberare su tutte le materie attinenti alla gestione della società, che non
siano riservate per legge all'assemblea.
All'organo amministrativo, o ad alcuni
suoi componenti, spetta anche il potere generale di rappresentanza della
società (art. 2384, comma 1, c.c.), in virtù del quale è riconosciuto il
potere-dovere di manifestare ai soggetti terzi (ad es., altre imprese,
pubbliche amministrazioni, ecc.) la volontà sociale creatasi all'interno
dell'ente. In sede di costituzione della S.p.A., l'atto costitutivo deve
indicare a quali amministratori è attribuita la rappresentanza dell'ente.
Successivamente, essa è attribuita agli amministratori dallo statuto o dalla
deliberazione di nomina (art. 2384, comma 1, c.c.).
Ai sensi dell'art. 2383, comma 4, c.c.,
se la rappresentanza è conferita a più amministratori, occorre specificare se
essi agiscono con firma disgiunta (nel qual caso, ciascuno di essi potrà
autonomamente impegnare la società nei confronti di soggetti terzi) o con firma
congiunta (nel qual caso, è necessaria la firma di tutti i soggetti dotati del
potere di rappresentanza).
Il potere di rappresentanza della società
è generale, ed è comprensivo della rappresentanza sostanziale e di quella
processuale, attiva e passiva, dell'ente.
In materia di rappresentanza sociale,
assume rilevanza l'esigenza di tutelare l'affidamento dei terzi.
Adempiute, difatti, le formalità
prescritte in materia di pubblicità dell'atto di attribuzione della
rappresentanza, l'eventuale invalidità dell'atto di nomina non può essere
opposto ai terzi in buona fede, a meno che non si provi che essi ne erano a
conoscenza (art. 2383, comma 5, c.c.). In altre parole, la società resta
vincolata, nei confronti dei terzi in buona fede, dagli atti compiuti dagli
amministratori invalidamente nominati.
Nell'ipotesi in cui, pur essendo l'atto
di nomina valido, gli amministratori abbiano violato i limiti alla rappresentanza
fissati dallo statuto ; da una decisione degli organi competenti (ad es., nel
caso in cui la rappresentanza sia attribuita con esclusivo riferimento al
compimento di atti non eccedenti un determinato valore), la società non può
opporre ai terzi i limiti posti ai poteri di rappresentanza, anche se
pubblicati, ma rimane vincolata dagli atti posti in essere dai propri
amministratori.
In questo caso, peraltro, la società non
può liberarsi neanche dimostrando che i terzi erano a conoscenza dei limiti
posti alla rappresentanza degli amministratori, potendo legittimamente
contestare le pretese dei terzi solo fornendo la prova che questi ultimi hanno
intenzionalmente agire in danno della società (art. 2384, comma 2, c.c.).
Il potere gestorio ed il potere di
rappresentanza della società costituiscono, indubbiamente, gli elementi che
caratterizzano con maggiore evidenza il ruolo svolto dall'organo
amministrativo. Non vanno trascurate, tuttavia, le altre funzioni di cui esso
è titolare per legge, tra le quali vanno richiamate:
- la funzione di impulso dell'attività
dell'assemblea (convocazione e fissazione dell'ordine del giorno) e quella di
attuazione delle sue deliberazioni;
- il potere-dovere di impugnare le
deliberazioni assembleari invalide;
- la tenuta dei libri contabili e la
predisposizione del progetto di bilancio sottoposto all'approvazione
dell'organo assembleare;
- l'obbligo di impedire il compimento di
atti pregiudizievoli per la società, o comunque di eliminarne o attenuarne le
conseguenze dannose.
Il mancato adempimento di tali doveri
espone l'organo amministrativo a conseguenze di natura sia civilistica, sia
penalistica.
Richiamate brevemente le principali
funzioni dell'organo amministrativo, occorre esaminare le questioni relative
alla nomina, alla revoca ed al compenso spettante a tale organo.
Gli amministratori sono nominati
dall'assemblea, ad eccezione dei primi amministratori che sono nominati
nell'atto costitutivo. Lo statuto può, tuttavia, riservare allo Stato o ad
enti pubblici il potere di nominare uno o più amministratori, anche in mancanza
di partecipazione azionaria (art. 2383, comma 1, c.c.). Gli amministratori
devono, entro trenta giorni dalla loro nomina, chiederne l'iscrizione nel Registro
delle Imprese, indicando, oltre ai propri dati anagrafici, anche a quali, tra
di essi, è affidata la rappresentanza della società (art. 2383, comma 4, c.c.).
L'amministrazione può essere affidata
anche a non soci (art. 2380-fe, comma 2, c.c.), ma non tutti i soggetti possono
ricoprire tale incarico.
Sono previste, difatti, alcune cause di
ineleggibilità e di incompatibilità alla carica di amministratore. Nel primo
caso (ad es., persona interdetta o inabilitata o fallita), la delibera di
nomina è invalida.
Nel secondo caso, la delibera è valida,
ma è necessario optare tra l'uno e l'altro degli incarichi ricoperti.
Il numero dei componenti dell'organo
amministrativo è fissato dallo statuto. Ben può accadere, tuttavia, che questo
si limiti ad indicare il numero minimo ed il numero massimo dei membri: in tal
caso, la determinazione ultima spetta all'assemblea dei soci (art. 2380-&«,
comma 4, c.c.).
Nelle S.p.A., la durata dell'incarico
dell'organo amministrativo non può essere a tempo indeterminato, potendo gli
amministratori rimanere in carica per un periodo non superiore a tre esercizi,
salvo rielezione. Essi scadono alla data dell'assemblea convocata per
l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica
(art. 2383, comma 2, c.c.).^
Al fine di scongiurare il pericolo di
paralisi dell'organo amministrativo, si prevede che la cessazione dalla carica
per scadenza del termine abbia efficacia solamente a far data dalla
acccttazione della nomina da parte dei nuovi amministratori, o del nuovo
amministratore unico (prorogatio).
Può accadere, tuttavia, che gli
amministratori cessino dalla carica prima della scadenza del termine. Ciò può
avvenire per revoca da parte dell'assemblea, decadenza dall'ufficio per
sopravvenuta ineleggibilità, dimissioni, morte.
Quanto alla revoca, gli amministratori
sono revocabili in qualsiasi tempo e per qualsiasi motivo (anche ad nuturrì)
da parte dell'assemblea, fermo restando il loro diritto al risarcimento dei
danni, qualora la revoca avvenga senza giusta causa (art. 2383, comma 3,
c.c.).
Una specifica disciplina è prevista con
riferimento all'ipotesi in cui, nel corso dell'incarico, vengano a mancare uno
o più amministratori (art. 2386 c.c.).
Se viene meno la minoranza degli
amministratori, quelli rimasti in carica provvedono a sostituirli (cooptazione)
con delibera approvata dal collegio sindacale. I componenti così nominati
rimangono in carica fino alla successiva assemblea, allorquando possono essere
confermati o sostituiti.
Se, viceversa, viene meno la maggioranza
degli amministratori, non si
da luogo alla cooptazione da parte dei
componenti rimasti in carica, dovendo questi ultimi convocare l'assemblea
affinchè provveda alla sostituzione.
Gli amministratori così nominati
dall'assemblea scadono contestualmente a quelli in carica al momento della
loro nomina.
Laddove si verifichi la cessazione dalla
carica dell'amministratore unico o di tutti i membri del consiglio di
amministrazione, la convocazione dell'assemblea è effettuata dal collegio
sindacale, il quale, nel frattempo, può compiere tutti gli atti di ordinaria
amministrazione.
È riconosciuta la validità delle clausole
statutarie che prevedono la cessazione dell'intero consiglio di amministrazione
in presenza della cessazione dalla carica di uno o più amministratori
(cosiddetta clausola simul stahunt simul cadent). In tal caso gli
amministratori rimasti in carica provvedono alla convocazione d'urgenza
dell'assemblea.
Analogamente a quanto avviene per la
nomina, anche la cessazione dell'incarico deve essere iscritta nel Registro
delle Imprese.
Un'ultima considerazione deve essere
svolta con riguardo al compenso a cui hanno diritto gli amministratori per la
loro attività (art. 2389 c.c.) ed al divieto di concorrenza su di essi
gravante.
Sotto il primo profilo, va detto che il
compenso, se non determinato nell'atto costitutivo, va fissato dall'assemblea.
Tuttavia il compenso di coloro che rivestono particolari cariche (presidente e
amministratore delegato) può essere fissato dallo stesso consiglio, sentito il
Collegio sindacale. Nelle imprese di media e grande dimensione, si è affermata
la prassi di corrispondere all'organo amministrativo un «compenso» che si sostanzia,
in tutto o in parte, nella partecipazione agli utili della società e/o nel
diritto di sottoscrivere, ad un prezzo predeterminato, le azioni sociali di
futura emissione (cosiddette stock options).
Sotto il secondo profilo, va rilevato
che, stante l'esigenza di evitare un potenziale conflitto tra gli interessi
personali dell'amministratore e gli interessi della società, a carico di
quest'ultimo è prevista una serie di divieti, alla stregua dei quali egli non
può:
- assumere la qualità di socio a
responsabilità illimitata di società concorrenti;
- esercitare un'attività concorrente per
conto proprio o altrui;
- essere amministratore o direttore
generate in società concorrenti.
Tali vincoli possono essere rimossi solo
mediante apposita delibera autorizzativa dell'assemblea. La violazione del
divieto di concorrenza espone l'amministratore alla revoca dall'ufficio ed al
risarcimento dei danni (art. 2390 c.c.).
L'amministratore unico. Il consiglio di
amministrazione
Si è già detto che l'organo
amministrativo delle S.p.A. può avere natura unipersonale (amministratore
unico) o collegiale (consiglio di amministrazione).
Laddove sia nominato un amministratore
unico, su di esso saranno convogliati tutti i poteri e tutte le funzioni
spettanti all'organo amministrativo e già in precedenza esaminate.
Più articolata si presenta la disciplina
dettata con riferimento al consiglio di amministrazione.
Innanzitutto, è necessario sottolineare
che tale organo ha natura collegiale: i poteri gestori non spettano
singolarmente a ciascun membro (fatta salva l'ipotesi dell'amministratore
delegato), ma al consiglio di amministrazione nella sua collegialità. Questo è
il motivo per cui le decisioni in materia gestoria non vengono adottate
autonomamente dai singoli consiglieri, ma in occasione di apposite riunioni
consiliari, alle quali, peraltro, partecipa anche il collegio sindacale.
Il consiglio di amministrazione sceglie,
tra i suoi membri, il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea (art.
2380-£>zs, comma 5, c.c.).
Tra le funzioni del presidente rientrano
quelle di convocare il consiglio, fissarne l'ordine del giorno, coordinarne i
lavori e provvedere affinchè vengano fornite ai consiglieri le necessarie
notizie in merito agli argomenti da trattare (art. 2381, comma 1, c.c.).
Come per l'assemblea dei soci, il
legislatore ha dettato una specifica disciplina sia in materia di funzionamento
del consiglio di amministrazione, sia in materia di invalidità delle delibere
consiliari.
Sotto il primo profilo, anche per le
adunanze del consiglio di amministrazione sono previsti quorum costitutivi e
deliberativi. Più precisamente, il consiglio può ritenersi validamente
costituito solo ove sia presente la maggioranza degli amministratori in carica.
Lo statuto, oltre che richiedere un maggior numero di presenti, può consentire
la partecipazione alle riunioni anche mediante mezzi di telecomunicazione (art.
2388, comma 1, c.c.).
Ai fini della validità delle
deliberazioni, è richiesto il voto favorevole della maggioranza assoluta dei
presenti, fatta salva diversa previsione dello statuto (art. 2388, comma 2,
c.c.). Non è ammesso il voto per rappresentanza (art. 2388, comma 3, c.c.). Le
deliberazioni adottate devono essere iscritte in un apposito libro delle
adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione.
Per quanto attiene alla invalidità delle
deliberazioni consiliari, è possibile l'impugnazione (art. 2388, comma 3,
c.c.):
1) in tutti i casi in cui la delibera non
sia adottata in conformità alla legge o allo statuto;
2) qualora la delibera risulti lesiva di
un diritto soggettivo dei soci. Si tratta, in entrambi i casi, di deliberazioni
annullabili.
Nel primo caso, legittimati
all'impugnazione sono sia i consiglieri assenti o dissenzienti, sia i
componenti del collegio sindacale. Il termine per impugnare è di novanta giorni
dalla data della deliberazione. Si applica, in quanto compatibile, la
normativa relativa al procedimento di impugnazione previsto per le
deliberazioni assembleari.
Nel secondo caso, legittimati
all'impugnazione sono esclusivamente i soci che vedano menomato o violato un
proprio diritto soggettivo. Si applica, in quanto compatibile, l'intera
normativa dettata in materia di annullabilità delle deliberazioni assembleari
(artt. 2377 e 2378 c.c., richiamati dall'ari. 2388, comma 4, c.c.).
Sono fatti, comunque, salvi i diritti
acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle
deliberazioni (art. 2388, comma 5, c.c.).
Una ulteriore ipotesi di impugnabilità
delle deliberazioni consiliari è prevista in materia di conflitto di interessi
dell'amministratore (art. 2391 c.c.).
Si dispone, difatti, che l'amministratore
deve dare notizia sia agli altri componenti dell'organo amministrativo, sia ai
membri del collegio sindacale, di ogni interesse (non necessariamente in
conflitto con quello dell'ente) che, per conto proprio o di terzi, abbia in una
determinata operazione della società, precisandone anche la natura, i termini,
l'origine e la portata.
Se si tratta di amministratore delegato,
questi deve anche astenersi dal compiere l'operazione, rimettendo qualsiasi
decisione all'organo collegiate.
In entrambi i casi, è fatto obbligo al
consiglio di amministrazione di motivare adeguatamente le ragioni e la
convenienza dell'operazione.
In tale contesto, le deliberazioni
consiliari possono essere impugnate sia nell'ipotesi in cui non venga
rispettata la disciplina sopra richiamata, sia qualora esse siano state
adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato. Occorre, in
ogni caso, che le deliberazioni siano idonee a recare danno alla società.
Legittimati all'impugnazione sono gli
amministratori ed i membri del collegio sindacale. Il termine per impugnare è
di novanta giorni dalla data delle deliberazioni. L'impugnazione non può essere
proposta da coloro che abbiano consentito, con il proprio voto, alla
deliberazione, qualora siano stati adempiuti gli obblighi di informazione
prescritti.
Anche in tale circostanza, sono fatti
salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in
esecuzione della deliberazione. L'amministratore, dal canto suo, risponde dei
danni derivanti alla società dalla sua azione o omissione.
Amministratori delegati e comitato esecutivo.
Direttore generale
II consiglio di amministrazione può
delegare le sue funzioni a favore di uno o più dei suoi componenti. Se la
delega è a favore di singoli amministratori, si ha la ura
dell'amministratore delegato. Se è a favore congiuntamente di più
amministratori, si ha il comitato esecutivo.
Quest'ultimo, dunque, è un organo
collegiale, le cui modalità di funzionamento, in materia di adunanze,
collegialità delle deliberazioni ed obbligatoria presenza del collegio
sindacale, sono analoghe a quelle dettate per il consiglio di amministrazione.
Gli amministratori delegati, viceversa,
sono organi unipersonali e rimangono tali anche qualora le deleghe siano conferite
a più soggetti.
La costituzione di organi delegati è
possibile solo laddove l'assemblea o lo statuto lo consentano. In tal caso, la
determinazione relativa al conferimento delle deleghe rientra nella esclusiva
competenza del consiglio di amministrazione (art. 2381, comma 2, c.c.). Ne
consegue che l'assemblea dei soci può pronunciarsi esclusivamente sull'in
della delega, essendole preclusa la possibilità sia di nominare direttamente
gli organi delegati, sia di determinare l'ambito della delega.
Quanto all'ambito della delega, nell'atto
di conferimento il consiglio di amministrazione deve indicare «il contenuto, i
limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega». Sono delegabili
tutte le competenze proprie del consiglio di amministrazione, ad eccezione di
quelle espressamente escluse dal legislatore, ovvero:
- la redazione del bilancio di esercizio;
- la facoltà di aumentare il capitale
sociale e di emettere obbligazioni convertibili;
- gli adempimenti posti a carico degli
amministratori in caso di riduzione obbligatoria del capitale sociale per
perdite;
- la redazione del progetto di fusione o
di scissione.
II conferimento della delega non spoglia
il consiglio di amministrazione della relativa funzione: esso determina una
competenza concorrente dell'organo collegiale e dell'organo delegato. Si
prevede, infatti, che il consiglio di amministrazione non solo possa sempre
impartire direttive agli organi delegati, ma possa anche avocare a sé
operazioni rientranti nella delega. Rientrano, inoltre, tra i compiti del
consiglio di amministrazione (art. 2381, comma 3, c.c.):
- la valutazione, sulla base delle
informazioni ricevute, dell'adeguatezza dell'assetto organizzativo,
amministrativo e contabile dell'ente;
- l'esame dei piani strategici, industriali
e finanziari della società, laddove elaborati;
- la valutazione del generale andamento
della gestione, sulla base della relazione degli organi delegati.
II conferimento della delega non esime
gli amministratori dall'obbligo di agire in modo informato richiedendo, se del
caso, tutte le necessarie informazioni sull'andamento della gestione agli
organi delegati (art. 2381, comma 6, c.c.).
Sono, viceversa, di spettanza degli
organi delegati (art. 2381, comma 4, c.c.):
- il compito di garantire l'adeguatezza
dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, rispetto
alla natura ed alle dimensioni dell'impresa;
- il compito di riferire al consiglio di
amministrazione ed al collegio sindacale, almeno ogni sei mesi, sul generale
andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle
operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società o dalle controllate.
Alcuni brevi cenni vanno svolti in merito
alla ura del direttore generale della società (art. 2396 c.c.), ovvero il
dirigente che svolge attività di alta gestione.
Questi ricopre, spesso, un ruolo di
estrema importanza nell'ambito della struttura organizzativa dell'ente:
dovendo, difatti, dare attuazione alle direttive impartite dall'organo
amministrativo, non di rado accade che al direttore generale siano riconosciuti
ampi poteri decisionali nella gestione dell'impresa.
La sua posizione è equiparata a quella
degli amministratori sia sotto il profilo delle responsabilità penali, sia
sotto quello della responsabilità civile (laddove nominato dall'assemblea o per
disposizione dello statuto ed in relazione ai compiti affidati).
La responsabilità degli amministratori
La responsabilità degli amministratori
per le attività svolte nell'ambito del proprio incarico può essere di natura
sia civilistica, sia penalistica.
In questa sede, verranno esaminate
esclusivamente le questioni connesse alla responsabilità di natura
civilistica.
Gli amministratori possono essere
responsabili: a) verso la società; b) verso i creditori sociali; e) verso i
singoli soci o i terzi.
Per quanto attiene alla responsabilità
degli amministratori verso la società, è fatto obbligo a questi ultimi di
adempiere ai propri doveri «con la diligenza richiesta dalla natura
dell'incarico e dalle loro specifiche competenze». In difetto, essi rispondono
solidalmente dei danni arrecati alla società, a meno che non si tratti di
attribuzioni proprie del comitato esecutivo o affidate, in concreto, ad un
amministratore delegato (art. 2392, comma 1, c.c.).
Gli amministratori, tuttavia, non sono
completamente esonerati da responsabilità per il solo fatto che le funzioni
siano state oggetto di delega in seno al consiglio di amministrazione. Il
conferimento della delega, difatti, non esime gli amministratori dal vigilare
sul generate andamento della gestione (art. 2381, comma 3, c.c.), così come non
fa venir meno l'obbligo di adoperarsi per impedire il compimento di atti
pregiudizievoli per la società di cui siano venuti a conoscenza, o per
eliminarne o attenuarne le conseguenze (art. 2392, comma 2, c.c.).
Conseguentemente, laddove il pregiudizio per la società derivi dall'esercizio
di una funzione non direttamente spettante agli amministratori, in quanto
delegata, ciascun amministratore sarà solidalmente responsabile con il soggetto
delegato se, pur avendo contezza del fatto pregiudizievole, non si sia prontamente
attivato per prevenire o impedire l'attività dannosa.
La responsabilità dell'amministratore non
è di tipo oggettivo, bensì di natura colposa. Non è ritenuto responsabile,
difatti, l'amministratore che dimostri di essere esente da colpa, purché (art.
2392, comma 3, c.c.):
- abbia fatto annotare senza ritardo il
suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio;
- abbia informato, immediatamente e per
iscritto, il presidente del collegio sindacale.
Quanto all'azione sociale di
responsabilità, essa deve essere deliberata dall'assemblea, anche se la società
è in liquidazione (art. 2393, comma 1, c.c.). La deliberazione relativa all'azione
di responsabilità può essere, inoltre, adottata in occasione della discussione
del bilancio, anche se non è indicata tra le materie da trattare all'ordine del
giorno, purché si tratti di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce
il bilancio (art. 2393, comma 2, c.c.).
II termine per esercitare l'azione è di
cinque anni dalla cessazione dell'amministratore dalla carica (art. 2393,
comma 3, c.c.).
Qualora la deliberazione sia adottata con
il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, l'amministratore è
revocato d'ufficio dalla carica e sostituito dalla assemblea (art. 2393, comma
4, c.c.). Non raggiungendosi tale percentuale, ai fini della revoca
dell'amministratore, sarà necessaria una ulteriore e separata deliberazione
dell'assemblea.
La società ha la possibilità sia di
rinunziare all'azione di responsabilità, sia di giungere ad una transazione
con l'amministratore (art. 2393, comma 5, c.c.). In tal caso, tuttavia, è
necessario, da un lato, che la ri-nunzia e/o la transazione siano approvate
dall'assemblea; dall'altro, che la deliberazione non riporti il voto contrario
di tanti soci che rappresentino un quinto del capitale sociale, ridotto ad un
ventesimo nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, o la diversa
e minore percentuale prevista in statuto per l'esercizio dell'azione sociale
di responsabilità da parte degli azionisti di minoranza.
Sotto quest'ultimo profilo, assume
rilevanza la disciplina contenuta nell'alt. 2393-^zs c.c., che riconosce il
diritto di promuovere l'azione di responsabilità ai soci che rappresentino
almeno un quinto del capitale sociale (o la diversa percentuale prevista in
statuto e comunque non superiore ad un terzo). Nelle società che fanno ricorso
al capitale di rischio, tale percentuale è ridotta ad un ventesimo.
Gli amministratori sono responsabili
anche nei confronti dei creditori sociali, verso i quali rispondono per
l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio
sociale (art. 2394, comma 1, c.c.).
La responsabilità degli amministratori
nei confronti dei creditori sociali ha natura sussidiaria rispetto a quella
della società. Si prevede, difatti, che i creditori sociali non possano
rivalersi immediatamente sugli amministratori, ma devono preliminarmente
aggredire il patrimonio sociale. Solo ove quest'ultimo si riveli insufficiente
a soddisfare il loro credito, essi potranno agire nei confronti degli
amministratori (art. 2394, comma 2, c.c.).
In ultimo, occorre accennare ai profili
relativi alla responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli
soci e dei terzi.
L'art. 2395 c.c. dispone che,
indipendentemente dall'esercizio dell'azione di responsabilità da parte delta
società e/o dei creditori sociali, gli amministratori sono responsabili dei
danni cagionati ai singoli soci e/o ai terzi, che siano stati direttamente
danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.
I presupposti di tale tipo di
responsabilità sono, quindi, due: da un lato, il compimento, da parte degli
amministratori, di un atto doloso o colposo; dall'altro, la produzione di un
danno diretto al singolo socio o al terzo, ossia di un danno che non
costituisca unicamente la conseguenza del danno arrecato al patrimonio sociale
(è il caso degli amministratori che, redigendo un bilancio falso, inducono i
terzi a sottoscrivere le azioni di nuova emissione).
II termine per esercitare l'azione è di
cinque anni dal compimento dell'atto che ha cagionato il danno.
Il collegio sindacale
II collegio sindacale è l'organo al quale,
nel sistema tradizionale, è demandato il controllo interno della società per
azioni.
Il collegio sindacale può essere composto
da tre o cinque membri effettivi, anche non soci, oltre che da due membri
supplenti (art. 2397, comma 1, c.c.). Il limite massimo dei cinque membri
effettivi non è previsto per le società quotate (art. 148 TUF).
Per quanto attiene ai requisiti
soggettivi, è prescritto che almeno un membro effettivo ed uno supplente
debbano essere scelti fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili. I
restanti membri, ove non iscritti in tale registro, devono essere scelti tra
gli iscritti agli albi professionali individuati dal Ministero della
Giustizia, o fra professori universitari di ruolo in materie economiche o
giuridiche (art. 2397, comma 2, c.c.). Per le società quotate, i requisiti di
professionalità ed onorabilità sono fissati dal Ministero della Giustizia (art.
148 TUF).
A tutela della indipendenza e della
autonomia dei sindaci, sono ineleggibili a tale ufficio, e, se eletti, decadono
dall'ufficio:
- coloro che risultano ineleggibili alla
carica di amministratore (art. 2382 c.c., richiamato dall'art. 2399, comma 1,
lett. a, c.c.);
- il coniuge, i parenti e gli affini
entro il quarto grado degli amministratori della società, nonché gli
amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli
amministratori delle società controllate, delle controllanti, e di quelle
sottoposte al comune controllo;
- coloro che sono legati alla società (o
alle società controllate, alle
controllanti, o a quelle sottoposte al
comune controllo) da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di
consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di
natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.
Sono fatte salve le ulteriori cause di
ineleggibilità o di incompatibilità, nonché i limiti ed i criteri per il cumulo
di incarichi, previsti nello statuto.
I sindaci sono nominati, per la prima
volta, nell'atto costitutivo; successivamente, dall'assemblea. Analogamente a
quanto previsto per l'organo amministrativo, è fatta salva la possibilità di
riservare allo Stato o ad enti pubblici la nomina di uno o più membri del
collegio sindacale, indipendentemente dalla titolarità di una partecipazione
azionaria nella società (art. 2400, comma 1, c.c.). Nelle società quotate, deve
essere riservata alla minoranza la nomina di un sindaco (o di almeno due se il
collegio sindacale è composto da più di tre membri).
I sindaci restano in carica per tre
esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del
bilancio relativo al terzo esercizio. La cessazione dall'ufficio ha efficacia
solamente dal momento in cui il collegio è stato ricostituito (art. 2400, comma
1, c.c.).
A differenza degli amministratori, i
sindaci possono essere revocati solo per giusta causa, la cui effettiva
sussistenza è verificata dal tribunale, il quale deve approvare, con proprio
decreto, la deliberazione assembleare di revoca, sentito l'interessato (art.
2400, comma 2, c.c.).
Come per gli amministratori, la nomina e
la cessazione dall'ufficio sono soggette ad iscrizione nel Registro delle
Imprese (art. 2400, comma 3, c.c.). il legislatore ha disciplinato
espressamente le conseguenze della cessazione anticipata dall'ufficio, che può
avvenire: a) per morte; b) per dimissioni; e) per decadenza dall'incarico,
ossia per sopravvenuta ineleggibilità, per cancellazione dagli albi o per
mancata partecipazione, senza giustificato motivo, alle adunanze assembleari o
consiliari.
In tali circostanze, i sindaci supplenti
sostituiscono quelli cessati fino alla successiva assemblea, in occasione della
quale è necessario integrare il collegio mediante la nomina di nuovi membri
effettivi e supplenti. I sindaci cosi nominati scadono con quelli in carica
(art. 2401, comma 1, c.c.). Se viene a cessare il presidente del collegio
sindacale, questi è sostituito dal sindaco più anziano fino alla assemblea
successiva (art. 2401, comma 2, c.c.).
Qualora il numero dei membri supplenti
non sia sufficiente ad integrare il collegio, occorre convocare l'assemblea
dei soci per provvedere alla necessaria integrazione (art. 2401, comma 3,
c.c.).
Sempre a tutela dell'indipendenza e
dell'autonomia dei sindaci è rivolta la disciplina del compenso: si prevede,
difatti, che questo sia predeterminato dall'assemblea e rimanga invariabile
per tutta la durata dell'incarico (art. 2402 c.c.)
Il collegio sindacale è presieduto da un
presidente nominato dall'assemblea (nelle società quotate, le modalità della
nomina sono indicate dall'atto costitutivo) e deve riunirsi almeno ogni novanta
giorni (art. 2404, comma 1, c.c.). Delle riunioni si redige processo verbale,
che deve essere trascritto nel libro delle riunioni del collegio sindacale e
sottoscritto dagli intervenuti (art. 2404, comma 3, c.c.).
Il collegio sindacale si considera
validamente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci in
carica. Esso delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Il sindaco
dissenziente ha diritto di far iscrivere a verbale i motivi del proprio
dissenso (art. 2404, comma 4, c.c.).
Le funzioni del collegio sindacale. La
responsabilità dei sindaci
II collegio sindacale, come detto, è
l'organo di controllo interno delle S.p.A.
Tra i compiti del collegio sindacale
rientra quello di vigilare «sull'osservanza della legge e detto statuto, sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione, ed in particolare
sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile
adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» (art. 2403 c.c.).
Come in precedenza rilevato, al collegio
sindacale non spetta il controllo contabile sulla società, che è svolto da un
revisore o da una società di revisione. Tuttavia, nelle società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio e che non siano tenute alla
redazione del bilancio consolidato, lo statuto può attribuire al collegio
sindacale il compito di svolgere il controllo contabile sulla società. In tal
caso, tuttavia, è necessario che tutti i membri del collegio siano iscritti nel
registro dei revisori contabili, istituito presso il Ministero della Giustizia
(art. 2409-bis, comma 3, c.c.).
La funzione di controllo attribuita al
collegio sindacale ha una portata assai ampia, interessando non solo
l'attività di gestione svolta dagli amministratori, ma m generale la
complessiva struttura organizzativa dell'ente, ivi inclusa l'attività
dell'assemblea.
Tale conclusione trova riscontro nella
previsione della necessaria
partecipazione del collegio sindacale
alle adunanze dei soci, degli amministratori e del comitato esecutivo, ove
presente (art. 2405, comma 1, c.c.), nonché nel riconoscimento del diritto di
impugnare le rispettive delibere, ma anche nella possibilità, per i membri del
collegio, di procedere, in qualsiasi momento ed anche individualmente, ad atti
di ispezione e di controllo (art. 2403-tò, comma 1, c.c.). Nello svolgimento
dei loro compiti i sindaci possono avvalersi di propri dipendenti e ausiliari.
In questo contesto, assumono rilevanza
anche gli obblighi di informazione nei confronti del collegio gravanti sugli
amministratori, nonché la previsione di costanti flussi informativi tra il
collegio ed altri organi. Sotto tale ultimo profilo, difatti, si riconosce al
collegio la possibilità di (art. 2403-tó, comma 2, c.c.):
- chiedere agli amministratori notizie ed
informazioni, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento
delle operazioni sociali o sul compimento di singoli affari, ferma restando la
possibilità, per gli amministratori, di rifiutare ai dipendenti ed ausiliari
dei sindaci l'accesso ad informazioni riservate (art. 2403 -bis, comma 5,
c.c.);
- scambiare informazioni sia con i
corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di
amministrazione e di controllo, al fine di verificare il generale andamento
dell'attività sociale, sia con i soggetti cui è attribuito il controllo
contabile esterno (art. 24Q9-septies c.c.).
Risponde all'esigenza di assicurare una
efficace attività di vigilanza anche la normativa dettata con riguardo ai
poteri spettanti al collegio ed ai doveri su di esso gravanti nell'espletamento
del proprio ufficio.
Quanto ai primi, si è già detto del
potere (rectius, potere-dovere) del collegio di compiere atti di ispezione e di
controllo. Tale organo, inoltre, può, previa comunicazione al presidente del
consiglio di amministrazione, convocare l'assemblea, qualora nell'espletamento
del proprio incarico ravvisi fatti di rilevante gravita in ordine ai quali vi
sia urgente necessità di provvedere (art. 2406, comma 2, c.c.).
Al collegio sindacale è, poi,
riconosciuta la possibilità di promuovere il controllo giudiziario sulla
gestione sociale, laddove vi sia il fondato sospetto che gli amministratori
abbiano commesso delle irregolarità nell'espletamento del proprio incarico
(art. 2409, comma 7, c.c.).
Per quanto concerne i principali doveri
gravanti sul collegio, occorre evidenziare che:
- in caso di omissione o di
ingiustificato ritardo degli amministratori, il collegio sindacale deve
convocare l'assemblea ed eseguire le pubblicazioni previste dalla legge (art.
2406, comma 1, c.c.);
- in caso di denunzia da parte di tanti
soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale (o il
due per cento nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio), il collegio deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e
presentare le proprie conclusioni all'assemblea; laddove non si raggiungano le
percentuali su richiamate (o le minori percentuali previste dallo statuto), il
collegio deve comunque tenere conto delle segnalazioni ricevute nella propria
relazione all'assemblea (art. 2408, comma 2, c.c.);
- nelle società quotate, il collegio ha
l'obbligo di segnalare tempestivamente alla Consob le irregolarità riscontrate
nel corso dell'attività di vigilanza (art. 150 TUF).
La violazione dei doveri su di essi
gravanti comporta, per i membri del collegio sindacale, una responsabilità che,
per molti versi, è assai simile a quella degli amministratori.
Tralasciando i profili penalistici di
un'eventuale responsabilità dei membri del collegio, occorre evidenziare che,
in ambito civilistico, i sindaci devono, al pari degli amministratori,
espletare il proprio ufficio con la professionalità e la diligenza richieste
dalla natura dell'incarico. In particolare, essi sono responsabili per la
verità delle proprie attestazioni, e devono conservare il segreto sui fatti e
documenti di cui siano a conoscenza per ragione del loro ufficio (art. 2407,
comma 1, c.c.).
I sindaci sono, inoltre, solidalmente
responsabili con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi,
qualora il danno non si sarebbe prodotto laddove avessero vigilato in
conformità agli obblighi su di essi gravanti (art. 2407, comma 2, c.c.). Alla
luce di tale previsione, deve ritenersi che i membri del collegio sono,
viceversa, responsabili in via esclusiva, seppure con vincolo di solidarietà
tra loro, per tutti i danni che non siano ricollegabili ad un fatto illecito
degli amministratori, bensì unicamente ad un mancato o negligente adempimento
dei loro doveri.
Quanto all'azione di responsabilità nei
confronti dei sindaci, sono richiamate, in quanto compatibili, le norme
dettate in materia di responsabilità degli amministratori (art. 2407, comma 3,
c.c.).
// controllo contabile
II controllo contabile sulle S.p.A. non è
di spettanza del collegio sindacale, ma di un soggetto esterno all'ente. Tale
innovazione si muove nel solco di un indirizzo legislativo iniziato negli anni
'70 per le sole società quotate, ed avente l'obiettivo di sottrarre il
controllo contabile agli organi interni, per affidarlo a soggetti terzi. La
situazione attuale può così riassumersi:
- nelle società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è esercitato da un
revisore contabile o da una società di revisione iscritti in un apposito
registro istituito presso il Ministero della Giustizia. Come rilevato,
tuttavia, le società che non sono tenute alla redazione del consolidato possono
continuare ad attribuire tale funzione al collegio sindacale (art. 2409-bis,
comma 3, c.c.);
- nelle società che, pur facendo ricorso
al mercato del capitale di rischio, non sono quotate, il controllo contabile
deve essere esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei
revisori contabili (artt. 2409-bis, comma 2, c.c. e Ili-te disp. att. c.c.)
- nelle società quotate, il controllo
contabile è esercitato da una società di revisione iscritta in un albo
speciale tenuto a cura della Consob (art. 161 TUF), ed avente quale esclusivo
oggetto sociale l'organizzazione e la revisione contabile delle aziende.
Analogamente a quanto previsto per gli
organi interni alla S.p.A., anche per i soggetti che svolgono il controllo
contabile sono individuate, oltre ai suindicati requisiti di professionalità,
alcune cause di ineleggibilità e decadenza dall'incarico. Si prevede, difatti,
che non può conferirsi tale incarico, e, se incaricati, decadono dall'ufficio,
ai sindaci della società, delle società controllate o della società controllante,
nonché a coloro che siano ineleggibili alla carica di sindaco (art.
24Q9-quinquies, comma 1, c.c.). Lo statuto, inoltre, può prevedere ulteriori
cause di ineleggibilità e decadenza, o cause di incompatibilità (art.
24Q9-qumquies, comma 2, c.c.).
II soggetto cui è demandato il controllo
contabile è nominato, per la prima volta, nell'atto costitutivo, e
successivamente dall'assemblea (sentito il collegio sindacale; art.
24Q9-quater, comma 1, c.c.). Nelle società quotate, l'incarico è conferito
dall'assemblea, previo parere del collegio sindacale, in occasione
dell'approvazione del bilancio. In mancanza, provvede la Consob (art. 159
TUF).
L'incarico è conferito per tre esercizi,
rinnovabili per non più di due volte nelle società quotate, e può essere
revocato solo per giusta causa, sempre dopo aver sentito il collegio sindacale.
La deliberazione assembleare di revoca deve, inoltre, essere approvata con
decreto del tribunale, sentito l'interessato (art. 24Q9-quater, commi 2 e 3,
c.c.).
Nelle società quotate, non è richiesta
l'approvazione del tribunale,
ma la società deve contestualmente
provvedere ad incaricare altra società di revisione (art. 159 TUF).
Le deliberazioni di conferimento e di
revoca dell'incarico devono es
sere iscritte nel Registro delle Imprese e, per le società quotate, vanno
trasmesse alla Consob.
Alla stregua della normativa codicistica,
le funzioni svolte dal soggetto incaricato del controllo contabile sono le
seguenti (art. 2409-ter c.c.):
- verifica, nel corso dell'esercizio e
con periodicità almeno trimestrale, della regolare tenuta delle scritture
contabili e della corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di
gestione;
- verifica della rispondenza del bilancio
di esercizio (e del consolidato, ove redatto) alle risultanze delle scritture
contabili e degli accertamenti eseguiti, nonché della conformità del bilancio
stesso alle norme che lo disciplinano;
- predisposizione di una relazione sul
bilancio di esercizio (e del consolidato, ove redatto), da depositare presso la
sede sociale.
Per consentire al soggetto deputato al
controllo contabile di adempiere ai propri compiti, è riconosciuta a
quest'ultimo non solo la possibilità di richiedere documenti e notizie agli
amministratori, ma anche quella di disporre ispezioni. L'attività svolta è
documentata in un apposito libro tenuto presso la sede sociale (art. 2409-ier,
comma 3, c.c.). E altresì prescritto un costante flusso informativo tra
l'organo di controllo esterno ed il collegio sindacale, prevedendosi il
reciproco scambio dei dati e delle notizie rilevanti ai fini dell'espletamento
dei rispettivi compiti.
Per quanto attiene alle responsabilità di
chi esercita il controllo esterno, trovano applicazione le norme dettate in
materia di responsabilità del collegio sindacale, prevedendosi che tale
soggetto è responsabile nei confronti della società, dei soci e dei terzi per
i danni derivanti dall'inadempimento dei propri doveri.
Se il controllo contabile è affidato ad
una società di revisione, le persone che hanno materialmente effettuato il
controllo contabile sono solidalmente responsabili con la società medesima.
Il termine per esercitare l'azione di
responsabilità è di cinque anni dalla cessazione dell'incarico.
I sistemi alternativi di amministrazione
e di controllo. Il sistema dualistico
La S.p.A. può adottare, in luogo del
sistema tradizionale, uno dei due sistemi alternativi di amministrazione e di
controllo previsti dal legislatore, il sistema cosiddetto «dualistico» e
quello cosiddetto «monastico>>. In entrambi i casi, come in precedenza
evidenziato, è, tuttavia, necessaria un'apposita clausola statutaria.
Nel sistema dualistico, è prevista la
presenza di due organi deputati all'amministrazione ed al controllo dell'ente,
il consiglio di gestione ed il consiglio di sorveglianza, mentre il controllo
contabile è affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.
Il consiglio di gestione svolge le
funzioni amministrative (rectius, di natura gestoria) che, nel sistema
tradizionale, sono di spettanza del consiglio di amministrazione. Poiché è
sancita l'applicabilità al consiglio di gestione della maggior parte delle
norme dettate con riferimento al consiglio di amministrazione (art.
2409-undecies c.c.), è opportuno, in questa sede, richiamare brevemente quelli
che sono gli elementi che differenziano il primo dal secondo.
Il consiglio di gestione è costituito di
un numero di componenti, anche non soci, non inferiore a due. Essi sono
nominati per la prima volta nell'atto costitutivo e, in seguito, dal consiglio
di sorveglianza, che ne determina anche il numero nei limiti fissati dallo
statuto (art. 2409-novies. commi 2 e 3, c.c.).
I membri del consiglio di gestione non
possono essere nominati consiglieri di sorveglianza. L'incarico può avere una
durata non superiore a tre esercizi, ma è rinnovabile, salvo diversa previsione
statutaria. I componenti possono essere revocati in qualunque momento dal
consiglio di sorveglianza anche senza giusta causa, fatto salvo, m tal caso, il
diritto al risarcimento dei danni. Se, nel corso dell'incarico, vengono a
mancare uno o più componenti del consiglio di gestione, non si da luogo a cooptazione,
dovendo essi essere sostituiti senza indugio dal consiglio di sorveglianza.
Come rilevato, al consiglio di gestione
spetta, in via esclusiva, la funzione di compiere le operazioni necessarie per
l'attuazione dell'oggetto sociale. Esso può delegare le proprie attribuzioni ad
uno o più dei suoi componenti, secondo quanto previsto per il consiglio di
amministrazione (art. 2409-^0^^5 c.c.).
I consiglieri di gestione sono
responsabili per il diligente adempimento
dei loro doveri sia nei confronti della
società, sia nei confronti dei singoli soci. La disciplina applicabile al
riguardo è quella dettata per l'azione di responsabilità nei confronti dei
membri del consiglio di amministrazione (artt. 2393 e 2393-te c.c., richiamati
dall'alt. 2409-deàes, comma 1, c.c.).
Una significativa differenza rispetto al
sistema tradizionale sta nel riconoscimento anche al consiglio di sorveglianza
del potere di promuovere l'azione di responsabilità nei confronti dei
consiglieri di gestione: la relativa deliberazione deve essere assunta dalla
maggioranza dei suoi membri e, se approvata con il voto favorevole di almeno i
due terzi dei componenti in carica, comporta la revoca d'ufficio del
consigliere di gestione (art. 2409-decies, comma 2, c.c.). Il termine per
esercitare l'azione è di cinque anni dalla cessazione del consigliere di
gestione dall'incarico (art. 2409-decies, comma 3, c.c.).
Il consiglio di sorveglianza può,
analogamente a quanto previsto per le S.p.A. nel sistema tradizionale,
rinunziare all'azione di responsabilità o raggiungere una transazione con il
consigliere di gestione (art. 2409-decies, comma 4, c.c.). La rinunzia
all'azione (ma non la transazione) da parte del consiglio di sorveglianza (o
della società) non preclude, tuttavia, la possibilità di esperire l'azione di
responsabilità da parte dei soci di minoranza o dei creditori sociali (art.
2409-decies, comma 5, c.c.).
Si può, a questo punto, passare all'esame
della disciplina relativa al consiglio di sorveglianza.
Tale organo è costituito da un numero di
componenti, anche non soci, fissato nello statuto e comunque non inferiore a
tre (art. 2409-duodedes, comma 1, c.c.). I consiglieri di sorveglianza sono
nominati, per la prima volta, nell'atto costitutivo ed, in seguito,
dall'assemblea dei soci, la quale ne determina anche il numero nei limiti
previsti dallo statuto (art. 2409-duodecies, comma 2, c.c.). L'assemblea nomina
anche il presidente del consiglio di sorveglianza, i cui poteri sono fissati
dallo statuto (art. 2409-duodeties, commi 8 e 9, c.c.).
Quanto ai requisiti necessari per
accedere alla carica, si prevede che almeno un componente debba essere scelto
tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il
Ministero della Giustizia (art. 2409-duodedes, comma 4, c.c.).
Sono ineleggibili alla carica di
consiglieri di sorveglianza e, se eletti, decadono dall'ufficio (art.
24Q9-duodecies, comma 10, c.c.): a) coloro che si trovino nelle condizioni di
ineleggibilità previste per i membri del consiglio di amministrazione; b) i
componenti del consiglio di gestione; e) coloro che sono legati alla società (o
alle società controllate, alle controllanti, o a quelle sottoposte al comune
controllo) da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di
consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di
natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.
Lo statuto può prevedere ulteriori
requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza, così come ulteriori
cause di decadenza o ineleggibilità, o cause di incompatibilità, limiti e
criteri per il cumulo degli incarichi (art. 24Q9-duodedes, commi 6 e 11, c.c.).
I consiglieri di sorveglianza restano in
carica per tre esercizi e sono rieleggibili, salvo diversa previsione dello
statuto. Essi sono revocabili, in qualunque tempo, con deliberazione
assembleare, adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale
sociale, ma hanno diritto al risarcimento dei danni qualora la revoca avvenga
senza giusta causa (art. 2409-duodecies, comma 5, c.c.). Se, nel corso
dell'incarico, vengono a mancare uno o più componenti del consiglio di
sorveglianza, non si da luogo a cooptazione, dovendo essi essere sostituiti
senza indugio dall'assemblea (art. 24Q9-duoded.es, comma 7, c.c.).
Del tutto peculiari sono le funzioni
svolte dal consiglio di sorveglianza.
Da un lato, al consiglio di sorveglianza
(ed ai suoi membri) si applica la maggior parte delle norme dettate per il
collegio sindacale (art. 2409-quaterdecies, comma 1, c.c.). Il parallelismo tra
i due organi emerge dall'esame di alcune funzioni spettanti al consiglio di
sorveglianza:
- l'obbligo di vigilare sull'osservanza
della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta
amministrazione, ed, in particolare, sull'adeguatezza dell'assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo
concreto funzionamento (art. 2403, comma 1, c.c., richiamato dall'ari.
24Q9-terdecies, comma 1, lett. B, c.c.);
- la possibilità di presentare la
denunzia al tribunale, ai sensi dell'art. 2409 c.c. (art. 2409-terdedes, comma
1, lett. E, c.c.);
- l'obbligo di riferire, per iscritto e
almeno una volta l'anno, all'assemblea sull'attività di vigilanza svolta,
sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati (art. 24Q9-terdedes, comma 1,
lett. F, c.c.);
- l'obbligo di partecipare alle assemblee
e la facoltà di presenziare alle adunanze del consiglio di gestione (art.
24Q9-terdedes, comma 4, c.c.).
Dall'altro lato, il consiglio di
sorveglianza svolge alcune funzioni normalmente spettanti all'assemblea dei
soci, quali la nomina e la revoca dei consiglieri di gestione (art.
2409-£erafedes, comma 1, lett. A, c.c.) o la approvazione del bilancio di
esercizio e del consolidato, ove redatto (art.
24Q9-terdecies, comma 1, lett. B, c.c.).
Lo statuto può, tuttavia, prevedere che la competenza relativa all'approvazione
del bilancio sia attribuita all'assemblea in caso di mancata approvazione del
bilancio, ovvero laddove ne faccia richiesta almeno un terzo dei consiglieri di
gestione o dei consiglieri di sorveglianza (art. 24Q9-terdeàes, comma 2,
c.c.).
La deliberazione del consiglio di
sorveglianza di approvazione del bilancio può essere impugnata dai soci, a
norma dell'art. 2377 c.c.
Alle altre deliberazioni si applica la
normativa dettata in materia di validità delle delibere del consiglio di
amministrazione (art. 2388 c.c., richiamato dall'alt. 24Q9-terdecies c.c.).
I consiglieri di sorveglianza devono
adempiere ai loro doveri con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico.
I componenti del consiglio di sorveglianza sono solidalmente responsabili con i
membri del consiglio di gestione per i fatti o le omissioni di questi ultimi,
in tutti i casi in cui il danno non si sarebbe prodotto laddove essi avessero
vigilato in conformità agli obblighi della loro carica (art. 24Q9-terdecies,
comma 3, c.c.).
I membri del consiglio di sorveglianza
sono responsabili in via esclusiva, seppure con vincolo di solidarietà tra
loro, per tutti i danni che non siano ricollegabili ad un fatto illecito dei
consiglieri di gestione, bensì unicamente ad un mancato o negligente
adempimento dei loro doveri. L'azione di responsabilità è deliberata
dall'assemblea.
// sistema monistico
Nel sistema monistico, le funzioni di
amministrazione e di controllo sono attribuite a due organi, il consiglio di
amministrazione ed il comitato per il controllo della gestione, costituito all'interno
del primo (da qui l'appellativo di sistema «monistico»), e titolare di compiti
spettanti, nel sistema tradizionale, al collegio sindacale. Il controllo
contabile è affidato, anche in questo caso, ad un soggetto esterno, revisore
contabile o società di revisione.
L'elemento, quindi, che caratterizza il
sistema monistico è la presenza, salvo diversa disposizione dello statuto, di
un organo di controllo composto da alcuni dei membri dell'organo di gestione,
e, da quest'ultimo, nominato: in altre parole, si riconosce ai controllati la
possibilità di nominare i propri controllori (rectius, di essere al tempo
stesso controllori).
II consiglio di amministrazione è
l'organo deputato, in via esclusiva, alla gestione dell'ente. Ad esso si
applica la normativa dettata per il corrispondente organo del sistema
tradizionale (art. 24Q9-noviesdedes c.c.).
Va segnalato, tuttavia, che per almeno un
terzo dei suoi componenti devono ricorrere le condizioni previste dall'art.
2399, comma 1, c.c., per l'eleggibilità dei sindaci, fatti salvi eventuali
ulteriori requisiti previsti dallo statuto e mutuati dai codici di
comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di
mercati regolamentati (art. 2409-sep-tiesdecies c.c.).
Tale previsione si spiega ricordando che
il comitato per il controllo della gestione è costituito all'interno del
consiglio di amministrazione, organo al quale spetta, fatta salva una diversa
previsione statutaria, anche la determinazione del numero e la nomina dei
componenti del comitato (art. 24Q9-octiesdeties, comma 1, c.c.).
Questi ultimi, peraltro, devono essere
scelti tra i consiglieri in possesso dei predetti requisiti di indipendenza,
oltre che dei requisiti di onorabilità e professionalità eventualmente
richiesti dallo statuto. Non possono, viceversa, essere nominati nel comitato
per il controllo della gestione i consiglieri che facciano già parte del
comitato esecutivo ed ai quali siano state attribuite deleghe o particolari
cariche, ovvero svolgano, anche di mero fatto, funzioni attinenti alla gestione
della società, o di società controllate o controllanti (art. 24Q9-octiesdedes,
comma 2, c.c.).
Almeno uno dei componenti del comitato
deve essere scelto tra gli iscritti al registro dei revisori contabili (art. 24Q9-octiesdecies,
comma 3, c-c.).
Nel caso in cui un componente del
comitato venga a cessare, il consiglio di amministrazione provvede alla sua
sostituzione con un altro consigliere di amministrazione in possesso dei
requisiti fissati dalla legge; qualora ciò non sia possibile, procede alla
cooptazione di un esterno a norma dell'ari. 2386 c.c., ferma restando
l'esigenza di scegliere una persona in possesso dei requisiti medesimi (art.
24Q9-octiesded.es, comma 4, c.c.).
Il comitato per il controllo sulla gestione
elegge, a maggioranza assoluta e tra i propri membri, il presidente.
Le attribuzioni proprie del comitato sono
assai simili, come detto, a quelle del collegio sindacale, dovendo tale organo
vigilare sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del
sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché
sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione. Deve,
inoltre, svolgere gli ulteriori compiti affidati dal Consiglio di
amministrazione, con particolare riguardo ai rapporti con l'organo deputato al
controllo contabile (art. 24Q9-octiesdeties, comma 5, c.c.).
II bilancio
Il
bilancio di esercizio. - 97. La struttura del bilancio. - 98. Utili. Riserve.
// bilancio di esercizio
II bilancio di esercizio è il documento
contabile che illustra la situazione patrimoniale e finanziaria della S.p.A.
alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell'esercizio
stesso, ovvero l'indicazione degli utili conseguiti e delle perdite subite.
Deve essere redatto annualmente.
La principale funzione del bilancio di
esercizio è, pertanto, quella di fotografare l'effettiva consistenza del
patrimonio sociale, anche per quanto attiene alle prospettive di sviluppo
dell'attività di impresa.
Di non minore importanza è la funzione
informativa cui assolve il bilancio di esercizio: ove si tenga conto del fatto
che la gestione della società è attribuita all'organo amministrativo e che i
soci si pronunciano solo in ordine alle decisioni di maggior rilievo della vita
dell'ente, è agevole comprendere che il bilancio di esercizio è lo strumento
diretto a garantire la corretta e periodica informazione dell'intera comine
sulla situazione patrimoniale della società.
II bilancio esplica la propria funzione
informativa anche all'esterno della società. Si pensi, ad esempio, ai terzi che
intendano acquisire una partecipazione azionaria: essi valuteranno il tasso di
rischio del proprio investimento anche alla luce della situazione patrimoniale
della società risultante dal bilancio. Il bilancio di esercizio assume
rilevanza anche in ambito tributario, atteso che l'individuazione del reddito
imponibile sul quale applicare l'aliquota fiscale avviene alla stregua degli
elementi reddituali indicati in bilancio.
In considerazione delle molteplici
funzioni cui assolve il bilancio di esercizio, è necessario che esso delinei la
situazione patrimoniale della società in maniera quanto più possibile chiara,
veritiera e corretta. Tale esigenza è espressamente riconosciuta dal
legislatore, il quale ha previsto che il bilancio «deve essere redatto con
chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico
dell'esercizio» (art. 2423, comma 2, c.c.).
I principi cardine che presiedono alla
redazione del bilancio sono, quindi, quelli della chiarezza, della verità e
della correttezza: se la rilevanza del primo trova riscontro nella disciplina
riguardante la struttura ed il contenuto del bilancio, gli altri due emergono
con evidenza dall'esame della normativa in materia di valutazione dei cespiti
patrimoniali. In particolare, il principio di chiarezza richiede che il
bilancio abbia la composizione e le voci previste dalla legge. Il principio di
verità, collegato a quello di correttezza, sta ad indicare che le valutazioni
devono essere conformi ai criteri previsti dalla legge.
L'importanza, riconosciuta dal
legislatore, ai principi di verità e correttezza del bilancio, si evince anche
dalla previsione secondo la quale, laddove le informazioni richieste da
specifiche disposizioni di legge non siano sufficienti a garantire una
rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni
complementari necessarie a tale scopo (art. 2423, comma 3, c.c.).
I principi su esposti non esauriscono,
tuttavia, il novero di quelli prescritti in materia di redazione del bilancio
di esercizio.
Onde evitare l'indicazione in bilancio di
utili non effettivamente conseguiti, si dispone che la valutazione delle voci
di bilancio debba essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della
continuazione dell'attività.
La predetta valutazione deve tenere conto
anche della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo
considerato: in altre parole, laddove la considerazione di tale aspetto (la
concreta funzione economica dell'elemento patrimoniale) suggerisca una
valutazione difforme rispetto a quella che deriverebbe dall'applicazione dei
criteri formali di iscrizione in bilancio, la valutazione «sostanziale» dovrà
prevalere rispetto a quella «formale» (art. 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c.).
II bilancio di esercizio, inoltre, è un
bilancio di competenza, e non un bilancio di cassa. Si prevede, difatti, che in
sede di redazione occorre tener conto delle entrate e delle uscite di
competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla rispettiva data di incasso o
di amento (art. 2423-bis, comma 1, n. 3, c.c.). Analoga previsione è dettata
con riferimento ai rischi ed alle perdite, i quali vanno indicati solo se di
competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo
(art. 2423-bis, comma 1, n. 4, c.c.).
I criteri di valutazione non possono
essere modificati da un esercizio all'altro (art. 2423-bis, comma 1, n. 5,
c.c.), se non in casi eccezionali ed a condizione che, nella nota integrativa,
siano indicate sia le ragioni della deroga, sia la misura in cui quest'ultima
ha influito sulla situazione patrimoniale e finanziaria, nonché sul conto
economico.
La materia è, peraltro, oggetto di
continua evoluzione anche per effetto delle indicazioni del legislatore
comunitario.
Accanto al bilancio di esercizio, la
disciplina prevede che siano redatti altri bilanci, in particolari circostanze:
ad es. bilancio di fusione, bilancio di liquidazione, ecc.
La struttura del bilancio
II bilancio di esercizio consta di tre
documenti: lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa. Ad
esso sono allegate la relazione sulla gestione, redatta dagli amministratori,
e le relazioni del collegio sindacale e del revisore contabile.
Per quanto attiene allo stato
patrimoniale ed al conto economico, il legislatore ha puntualmente indicato le
diverse voci che li compongono, precisando che, accanto a ciascuna di esse,
deve essere indicato l'importo della corrispondente voce dell'anno precedente
(art. 2423-ter, comma 5, c.c.).
La funzione dello stato patrimoniale è
quella di rappresentare la situazione economica e finanziaria della società al
termine dell'esercizio. Le voci dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.) sono
distinte in «Attivo» e «Passivo». I punti salienti della disciplina sono i
seguenti:
- con riguardo all'attivo, gli elementi
destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le
immobilizzazioni;
- qualora vi siano elementi dell'attivo
destinati ad essere alienati, essi devono essere inseriti nella voce «Attivo
circolante», che comprende, oltre alle rimanenze, anche i lavori in corso su
ordinazione, i crediti a breve distinti secondo il soggetto debitore, le attività
finanziarie non costituenti immobilizzazioni e le disponibilità liquide;
- nell'attivo, devono essere iscritti i
ratei attivi e passivi,consistenti
in proventi e costi di competenza
dell'esercizio ma a realizzazione differita, nonché i risconti attivi e
passivi, consistenti in proventi e costi anticipatamente realizzati ma di
competenza di esercizi successivi;
- il passivo si compone del patrimonio
netto (capitale più riserve più/meno utili/perdite), del fondo rischi, del
fondo trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato, dei debiti indicati
secondo la diversa natura ed il soggetto creditore;
- in calce allo stato patrimoniale,
devono risultare le garanzie prestate direttamente o indirettamente,
distinguendosi tra fideiussioni, avalli, altre garanzie personali e garanzie
reali, ed indicando separatamente, per cia-scun tipo, le garanzie prestate in
favore delle altre società del gruppo.
Trovano, poi, puntuale disciplina anche i
criteri che devono essere seguiti nella valutazione dei differenti elementi
che compongono il patrimonio sociale (art. 2426 c.c.).
La funzione del conto economico,
viceversa, è quella di evidenziare il risultato economico dell'esercizio,
ovvero le variazioni intervenute nel periodo ricompreso tra la chiusura
dell'esercizio precedente e la chiusura dell'esercizio successivo. In tale
ambito, diviene necessaria la valorizzazione sia dei costi e degli oneri
sostenuti, sia dei ricavi e degli altri proventi conseguiti nell'esercizio.
Il terzo documento di cui si compone il
bilancio di esercizio è la nota integrativa, che viene redatta al fine di
illustrare ed integrare i dati contenuti nello stato patrimoniale e nel conto
economico, mediante l'allegazione delle informazioni specificamente richieste
dal legislatore nell'art. 2427 c.c.
Non fanno parte del bilancio, ma sono ad
esso allegate, la relazione sulla gestione, redatta dagli amministratori, e le
relazioni del collegio sindacale e del revisore contabile.
La relazione sulla gestione ha ad oggetto
la situazione della società e l'andamento della gestione, nel suo complesso e
nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate,
con particolare riguardo ai costi, ai ricavi ed agli investimenti. Anche con
riferimento a tale documento, sono puntualmente elencati i dati che devono
essere obbligatoriamente indicati (art. 2428 c.c.).
Una specifica disciplina è, poi, prevista
per le società quotate. Da un lato, difatti, si prescrive agli amministratori
di redigere una ulteriore relazione redatta sulla base dei criteri stabiliti
dalla Consob, la quale deve essere trasmessa al collegio sindacale, entro tre
mesi dalla fine del primo semestre dell'esercizio, e successivamente pubblicata
nei termini e con le modalità previste dalla Consob. Dall'altro, gli amministratori
devono trasmettere al collegio sindacale, con cadenza almeno trimestrale, una
relazione sull'attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo
effettuate sia dalla società, sia dalle controllate, con particolare riguardo
alle operazioni in potenziale conflitto di interessi (art. 150 TUF).
II progetto di bilancio, redatto dagli
amministratori (o dal consiglio di gestione), deve essere comunicato al
collegio sindacale (o comunque all'organo di vigilanza) almeno trenta giorni
prima della data fissata per l'assemblea (art. 2429, comma 1, c.c.). Il
collegio sindacale, a sua volta, deve redigere una relazione sui risultati
dell'esercizio sociale e sull'attività svolta nell'adempimento dei propri
doveri, illustrando le proprie osservazioni e proposte in ordine al bilancio
ed alla sua approvazione. Analoga relazione deve essere predisposta dal
soggetto incaricato del controllo contabile (art. 2429, comma 2, c.c.).
Tutti i predetti documenti (progetto di
bilancio, relazioni degli amministratori, del collegio sindacale e del
soggetto incaricato del controllo contabile), unitamente alle copie integrali
dell'ultimo bilancio delle società controllate ed al prospetto riepilogativo
dell'ultimo bilancio delle società collegate, devono rimanere depositati presso
la sede della società nei quindici giorni che precedono l'assemblea e finché il
bilancio non sia approvato, con facoltà dei soci di prenderne visione (art.
2429, comma 3, c.c.).
Per l'approvazione del progetto di
bilancio redatto dagli amministratori, è necessaria la deliberazione
dell'assemblea ordinaria.
Nelle S.p.A. che adottano il sistema di
amministrazione e controllo dualistico, il bilancio è approvato dal consiglio
di sorveglianza (art. 24^-ter de de s, comma 1, lett. B, c.c.), fatti salvi i
casi in cui lo statuto preveda l'approvazione da parte dell'assemblea
nell'ipotesi di mancata approvazione da parte del consiglio di sorveglianza,
ovvero laddove ne facciano richiesta almeno un terzo dei componenti del
consiglio di gestione o del consiglio di sorveglianza (art. 2409-terdecies,
comma
2, c.c.).
È prevista una specifica disciplina in
materia di invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio (art.
2434-^zs c.c.).
In primo luogo, è esclusa l'impugnabilità
della deliberazione qualora sia approvato il bilancio relativo all'esercizio
successivo. Inoltre, laddove il soggetto incaricato del controllo contabile non
abbia formulato rilievi in merito al progetto di bilancio redatto dagli
amministratori, la legittimazione all'impugnazione spetta a tanti soci che
rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale (nonché alla
Consob per le sole società quotate, art. 157 TUF): si tratta, evidentemente, di
un limite introdotto al fine di evitare l'impugnazione del bilancio da parte
del singolo azionista, a scopi meramente ostnizionistici.
II bilancio dell'esercizio nel corso del
quale è stata dichiarata l'invalidità tiene conto anche delle ragioni di
questa (art. 2434-bis, comma 3, c.c.).
Nei trenta giorni successivi all'approvazione,
devono essere depositati presso il Registro delle Imprese (o spediti a mezzo di
raccomandata), a cura degli amministratori, i seguenti documenti (art. 2435,
comma 1, c.c.):
- copia del bilancio approvato;
- le relazioni degli amministratori, del
collegio sindacale e del soggetto incaricato del controllo contabile;
- copia del verbale di approvazione
dell'assemblea o del consiglio di sorveglianza.
Occorre sottolineare, in proposito, che
l'approvazione del bilancio non implica la liberazione degli amministratori,
dei direttori generali e dei sindaci, per le responsabilità incorse nella
gestione sociale (art. 2434 c.c.).
Esaminate le principali questioni in
materia di bilancio di esercizio, è opportuno soffermarsi brevemente sul
bilancio in forma abbreviata.
Le prescrizioni su esposte in materia di
struttura del bilancio di esercizio non trovano applicazione in presenza di
alcuni presupposti specificamente indicati dal legislatore, ricorrendo i quali
le modalità di redazione del bilancio sono semplificate.
In particolare, alle società di minori
dimensioni, i cui titoli non siano negoziati sui mercati regolamentati, si
consente la redazione del bilancio in forma abbreviata. In tale ipotesi, i tre
documenti di cui si compone il bilancio (stato patrimoniale, conto economico e
nota integrativa) hanno un contenuto semplificato rispetto a quello di regola
prescritto. La redazione della relazione sulla gestione non è, inoltre,
obbligatoria, qualora la nota integrativa contenga le informazioni richieste
dai nn. 3 e 4 del-l'art 2428 c.c. (art. 2435-tò c.c.).
Utili. Riserve
Nel caso in cui l'esercizio sociale si
sia chiuso con degli utili per la società, l'assemblea, che approva il
bilancio, delibera anche sulla distribuzione degli utili. Laddove sia adottato
il sistema di amministrazione e controllo dualistico, tale decisione spetta
all'assemblea convocata dal consiglio di sorveglianza (art. 2433, comma 1,
c.c.).
Diversamente da quanto accade nelle
società di persone, nelle S.p.A. il diritto dei soci all'assegnazione degli
utili non nasce in seguito alla approvazione del bilancio, essendo necessaria
una ulteriore e specifica deliberazione assembleare di distribuzione degli
utili, che così divengono dividendi.
Tuttavia, l'autonomia dell'assemblea non
è, sul punto, assoluta.
Vi sono alcuni casi in cui gli utili
conseguiti non possono essere distribuiti ai soci, in considerazione dei
vincoli di destinazione fissati dalla legge o dall'atto costitutivo.
Si consideri, ad esempio, il caso in cui
l'esercizio sociale precedente si sia chiuso con delle perdite che abbiano
intaccato il capitale sociale: in tal caso, non può darsi luogo alla
distribuzione degli utili finché il capitale sociale non sia stato
reintegrato.
Tra gli ulteriori vincoli posti dalla
legge, vi sono quelli in materia di riserva legale: si prevede, difatti, che
dagli utili netti annuali debba essere detratta una somma pari ad almeno il
cinque per cento degli stessi, fino a quando le somme accantonate, costituenti
la riserva legale, non raggiungano un importo pari al venti per cento del
capitale sociale (art. 2430, comma 1, c.c.). Laddove la riserva legale
diminuisca per qualsiasi ragione, essa deve essere reintegrata fino al
raggiungimento del predetto ammontare del quinto del capitale sociale (art.
2430, comma 2, c.c.).
Lo statuto può, inoltre, prevedere che,
oltre alla riserva legale, siano accantonate ulteriori somme a titolo di
riserva statutaria. In tal caso, la percentuale degli utili annuali da
accantonare è fissata direttamente dallo statuto.
Anche le somme accantonate a titolo di
riserva statutaria non possono essere distribuite ai soci, se non previa
deliberazione dell'assemblea straordinaria modificativa dello statuto.
L'assemblea, in sede di approvazione del
bilancio, può discrezionalmente disporre la costituzione di riserve
facoltative, le quali, laddove non intaccate, possono essere utilizzate per
distribuire utili ai soci negli esercizi successivi.
Un breve cenno deve essere svolto con
riferimento alle conseguenze derivanti dalla distribuzione di utili fittizi,
ovvero non realmente conseguiti. In tal caso, la deliberazione assembleare di
distribuzione è nulla per illiceità dell'oggetto, mentre gli amministratori ed
i sindaci sono responsabili anche penalmente (art. 2627 c.c.). Si prevede,
tuttavia, che i soci non debbano restituire i dividendi riscossi per utili non
realmente conseguiti allorquando:
- erano in buona fede al momento della
riscossione;
- i dividendi sono stati distribuiti in
base ad un bilancio regolarmente approvato;
- dal bilancio risultavano utili netti
corrispondenti.
Sezione sesta Le modifiche dello statuto
Le modifiche dello statuto. Il recesso
del socio. - 100. Le modificazioni del capitale sociale. L'aumento del
capitale. - 101. La riduzione del capitale sociale.
Le modifiche dello statuto. Il recesso
del sodo
II contratto sociale, intendendosi con
tale locuzione fare riferimento sia all'atto costitutivo, sia allo statuto, può
essere modificato nel corso della vita dell'ente. Le modifiche possono essere
originate, ad esempio, dalla necessità di adeguamento alle mutate esigenze
imprenditoriali (mutamento dell'oggetto sociale), alla situazione
economico-finanziaria dell'ente (variazioni del capitale sociale) o ad altri
avvenimenti che riguardano la vita sociale (il recesso di un socio).
Come in precedenza precisato, le
modifiche dello statuto sono, di regola, adottate con deliberazione
dell'assemblea straordinaria. Avendo già esaminato le regole da seguire
nell'ambito di tale categoria di delibere, in questa sede è opportuno
sottolineare che, dopo ogni modifica dello statuto, occorre depositarne, presso
il Registro delle Imprese, il testo integrale nella sua redazione aggiornata
(art. 2436, comma 6, c.c.).
In taluni casi, la modifica dello statuto
legittima i soci a recedere dalla società. In particolare, l'art. 2437 c.c.
prevede una distinzione tra le cause di recesso non eliminabili dallo statuto e
quelle la cui applicabilità è subordinata alla mancanza di una diversa
previsione statutaria. Ad esse, si aggiungono le cause di recesso previste per
le società che fanno parte di un gruppo (art. 2497-quater c.c.).
Con riferimento alle cause di recesso
inderogabili, è previsto (art. 2437,
comma 1, c.c.) che il diritto di recesso,
per tutte o parte delle azioni, spetti ai soci che non hanno concorso alla
approvazione delle deliberazioni riguardanti:
- la modifica della clausola statutaria
relativa all'oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo
dell'attività della società;
- la trasformazione della società;
- il trasferimento della sede sociale
all'estero;
- la revoca dello stato di liquidazione;
- l'eliminazione di una o più cause di
recesso statutariamente previste;
- la modifica dei criteri di
determinazione del valore dell'azione in caso di recesso;
- le modifiche dello statuto in materia
di diritto di voto o di partecipazione.
Il patto volto ad escludere o rendere più
gravoso l'esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi su indicate è nullo
(art. 2437, comma 6, c.c.).
È riconosciuto, inoltre, il diritto di
recesso anche ai soci delle società quotate che non abbiano concorso
all'approvazione della deliberazione che comporta l'esclusione della società
dalla quotazione (artt. 2M>l-quin-quies c.c. e 131 TUF).
Fatta salva una diversa previsione statutaria,
hanno, poi, diritto di recesso, ma solo per la totalità delle azioni
possedute, i soci che non hanno concorso all'approvazione delle deliberazioni
riguardanti (art. 2437, comma 2, c.c.):
- la proroga del termine;
- l'introduzione o la rimozione di
vincoli alla circolazione dei titoli.
Nelle società costituite a tempo
indeterminato, le cui azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il
socio può recedere con un preavviso di centottanta giorni, prolungabile dallo
statuto sino ad un anno (art. 2437, comma 3, c.c.).
Al di là delle indicazioni che possono
essere rinvenute nel corpo della normativa codicistica, il legislatore ha
riconosciuto un notevole spazio all'autonomia privata, potendo lo statuto
delle società, che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,
prevedere ulteriori cause di recesso (art. 2437, comma 4, c.c.).
Ai fini dell'esercizio del diritto di
recesso, il socio deve rispettare i termini e le formalità prescritte dal
legislatore. Il recesso, difatti, va comunicato a mezzo di raccomandata,
contenente i dati relativi al socio ed alle azioni da questi possedute. La
comunicazione di recesso deve essere spedita entro quindici giorni dalla
adozione della deliberazione che lo legittima, ovvero entro trenta giorni dalla
conoscenza, da parte del socio, del fatto, diverso da una deliberazione, che
legittima il recesso (art. 2437-bis, comma 1, c.c.). Il socio non può alienare
le azioni per le quali il recesso è stato esercitato, che devono rimanere
depositate presso la sede sociale (art. 2437-bis, comma 2, c.c.).
Laddove la società provveda alla revoca
della deliberazione legittimante il recesso o sia deliberato lo scioglimento
della società, il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è
privo di efficacia (art. 2437-te, comma 3, c.c.).
A seguito della comunicazione di recesso,
occorre stabilire il valore della partecipazione azionaria di proprietà del
socio recedente, avendo, quest'ultimo, diritto alla liquidazione delle azioni
per le quali esercita il recesso.
Nelle società non quotate, la
determinazione del valore delle azioni è effettuata dagli amministratori,
sentito il collegio sindacale ed il soggetto che svolge il controllo contabile,
avendo come riferimento tre indici: la consistenza patrimoniale della società,
le sue prospettive reddituali e l'eventuale valore di mercato delle azioni
(art. 2437-ter, comma 2, c.c.).
Nelle società con azioni quotate,
viceversa, il valore di liquidazione va calcolato avendo quale esclusivo
parametro il valore medio che le azioni hanno avuto sul mercato nei sei mesi
precedenti la pubblicazione ovvero la ricezione dell'avviso di convocazione
dell'assemblea, le cui deliberazioni legittimano il recesso (art. 2437-ter,
comma 3, c.c.). Lo statuto può, tuttavia, prevedere differenti modalità di
liquidazione.
I soci hanno diritto di conoscere il
valore della propria quota azionaria nei quindici giorni precedenti alla data
dell'assemblea. In caso di contestazione, da proporre con la dichiarazione di
recesso, il valore è determinato da un esperto del tribunale, mediante
relazione giurata (art. 2437-ter, comma 6, c.c.).
Le azioni del socio recedente devono
essere offerte in opzione agli altri soci, in proporzione delle rispettive
quote, ed agli eventuali possessori di obbligazioni convertibili. Solo
nell'ipotesi in cui tali soggetti non acquistino le azioni offerte, queste
potranno essere collocate sul mercato. Laddove non si trovino acquirenti, le
azioni dovranno essere rimborsate mediante acquisto da parte della società, nel
limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili.
Se non vi siano utili distribuibili o
riserve disponibili, la società, con deliberazione dell'assemblea
straordinaria, deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale o disporre lo
scioglimento della società. La delibera di riduzione del capitale può essere
impugnata dai creditori sociali; in tal caso, se l'impugnazione è accolta, la
società si scioglie.
Le modificazioni del capitale sociale.
L'aumento del capitale
Tra le modifiche del contratto sociale
più ricorrenti, vi sono quelle che interessano il capitale sociale, che può
essere variato sia in aumento sia in diminuzione.
L'aumento del capitale sociale può essere
sia reale (o a amento), con conseguente aumento corrispondente del
patrimonio della società, sia nominale (o gratuito), ed in tal caso il
patrimonio sociale rimane invariato.
Si ha aumento reale del capitale sociale
allorquando la società, al fine di reperire nuove risorse finanziarie, emette
nuove azioni a amento, le quali possono essere sottoscritte sia dai soci,
sia da soggetti esterni alla società. Non può, tuttavia, darsi luogo alla
emissione di nuove azioni fino a quando le azioni già emesse non siano state
interamente liberate (art. 2438 c.c.).
Si ha aumento nominale, viceversa, quando
il capitale è aumentato utilizzando le riserve e gli altri fondi disponibili.
Analogamente a tutte le altre modifiche
dello statuto, anche l'aumento di capitale deve essere deliberato
dall'assemblea straordinaria, secondo il procedimento in precedenza esaminato.
Lo statuto, tuttavia, può attribuire agli
amministratori la facoltà di aumentare una o più volte il capitale sociale,
anche con contestuale esclusione o limitazione del diritto di opzione
spettante ai soci, con deliberazione consiliare, purché ricorrano le seguenti
condizioni (art. 2443 c.c.): a) deve essere predeterminato l'ammontare massimo
entro cui gli amministratori possono aumentare il capitale sociale; b) la
delega sia conferita per un periodo non superiore a cinque anni.
Il verbale della deliberazione consiliare
deve essere redatto da un notaio ed iscritto nel Registro delle Imprese.
La deliberazione di aumento del capitale,
sia assembleare sia consiliare, deve fissare un termine, non superiore a
trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta, per la raccolta delle
sottoscrizioni delle azioni di nuova emissione. I sottoscrittori devono,
all'atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per
cento del valore nominale delle azioni sottoscritte. Se vengono conferiti beni
in natura o crediti, si applicano le norme, già esaminate, di cui agli artt.
2342, commi 3 e 5, e' 2343 c.c. Nei trenta giorni successivi alla
sottoscrizione, gli amministratori devono depositare, per l'iscrizione nel
Registro delle Imprese, l'attestazione che l'aumento di capitale è stato
sottoscritto.
Qualora le azioni di nuova emissione
siano state sottoscritte solo in parte, la società può procedere all'aumento
del capitale nei limiti delle azioni effettivamente sottoscritte, solamente ove
tale possibilità sia prevista nella deliberazione di aumento (cosiddetto
aumento scindibile).
In caso contrario, la sottoscrizione
parziale non è vincolante né per la società né per i sottoscrittori, i quali
sono liberati dall'obbligo di conferimento ed hanno diritto alla restituzione
dei decimi precedentemente versati (art. 2439, comma 2, c.c.).
In sede di aumento di capitale, è
riconosciuto ai soci il diritto di opzione, ovvero il diritto di essere
preferiti ai terzi nella sottoscrizione delle azioni di nuova emissione. Tale
diritto spetta ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute (art.
2441, comma 1, c.c.).
Gli amministratori devono provvedere ad
iscrivere nel Registro delle Imprese l'offerta di opzione, nella quale è
indicato, in particolare, il termine, non inferiore a trenta giorni dalla
pubblicazione dell'offerta, entro cui i soci possono esercitare il diritto di
opzione sulle azioni di nuova emissione (art. 2441, comma 2, c.c.).
Ai soci che si avvalgono del diritto di
opzione, è riconosciuto il diritto di prelazione in ordine alla sottoscrizione
delle azioni (e delle obbligazioni convertibili in azioni) rimaste inoptate,
purché ne facciano contestuale richiesta all'atto dell'esercizio dell'opzione.
Nelle società quotate, i diritti di opzione non esercitati devono essere
offerti in borsa dagli amministratori, per conto della società, per almeno
cinque riunioni (art. 2441, comma 3, c.c.). Se i diritti offerti rimangono
invenduti, le azioni di nuova emissione possono essere liberamente collocate
sul mercato.
Ricorrendo alcune condizioni, il diritto
di opzione spettante ai soci titolari di azioni può essere escluso o limitato.
In primo luogo, è escluso per legge
allorquando le azioni debbano essere liberate mediante conferimenti in natura.
Nelle società quotate, lo statuto può escludere il diritto di opzione nei
limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che
il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni, e ciò
trovi conferma nella apposita relazione redatta dalla società incaricata della
revisione contabile (art. 2441, comma 4, c.c.).
In secondo luogo, il diritto di opzione
può essere escluso o limitato
«quando l'interesse della società lo
esige», ma la relativa delibera deve essere approvata da tanti soci che
rappresentino la maggioranza assoluta del capitale sociale (art. 2441, comma 5,
c.c.).
In ultimo, esso può essere escluso o
limitato, mediante delibera dell'assemblea straordinaria, allorquando le
azioni di nuova emissione debbano essere offerte in sottoscrizione ai
dipendenti della società.
Qualora il diritto di opzione sia escluso
per più di un quarto delle azioni di nuova emissione, la delibera deve essere
approvata da tanti soci che rappresentino la maggioranza assoluta del capitale
sociale.
Per quanto attiene all'aumento nominale
del capitale sociale, va evidenziato che ad esso non corrisponde un aumento
del patrimonio sociale.
In tal caso, difatti, non si da luogo a
nuovi conferimenti, bensì alla utilizzazione delle riserve e degli altri fondi
indicati a bilancio come disponibili (art. 2442, comma 1, c.c.), con
esclusione, quindi, della riserva legale.
Vi sono due differenti modalità con le
quali può essere realizzato l'aumento nominale del capitale sociale: mediante
l'aumento del valore nominale delle azioni già in circolazione, ovvero
mediante l'emissione di nuove azioni, assegnate gratuitamente ai soci in
proporzione del numero delle azioni possedute.
La riduzione del capitale sociale
Analogamente a quanto riscontrato in
materia di aumento di capitale, anche la contraria operazione di riduzione può
essere nominale o reale, a seconda che vi sia (o no) una diminuzione effettiva
del patrimonio sociale.
La riduzione reale del capitale sociale
può essere disposta anche per cause diverse dall'esuberanza dello stesso
rispetto al conseguimento dell'oggetto sociale. L'operazione può avvenire o
mediante liberazione dei soci dall'obbligo di effettuare i conferimenti
residui, o mediante rimborso ai soci del capitale. In ogni caso, il capitale
non può essere ridotto al di sotto del limite minimo previsto per le S.p.A. dal
codice civile (centoventimila euro) o da leggi speciali. Qualora siano state
emesse obbligazioni, la riduzione reale del capitale sociale è subordinata al rispetto
del limite legale all'emissione di queste ultime (art. 2413 c.c.).
La riduzione deve essere deliberata
dall'assemblea straordinaria, con le maggioranze prescritte per le
modificazioni dell'atto costitutivo.
L'avviso di convocazione dell'assemblea deve
indicare le ragioni e le
modalità della riduzione. La
deliberazione può essere eseguita solo dopo che siano decorsi tre mesi dalla
data della sua iscrizione nel Registro delle Imprese. Entro tale termine, i
creditori sociali possono proporre opposizione alla riduzione (art. 2445 c.c.).
Si da luogo alla riduzione nominale del
capitale sociale, allorquando il patrimonio netto sia divenuto, per effetto di
perdite già verificatesi, inferiore al capitale sociale nominale della società.
In tali circostanze, si manifesta la necessità di adeguare il capitale nominale
al valore del patrimonio netto, ovvero del capitale reale della società.
Si possono distinguere, al riguardo, i
casi in cui la riduzione nominale è facoltativa, da quelli, invece, m cui essa
è obbligatoria.
La riduzione è facoltativa allorquando le
perdite non determinino una diminuzione del capitale di oltre un terzo, tenuto
conto ovviamente anche delle eventuali riserve accantonate dalla società.
La riduzione è, viceversa, obbligatoria,
allorquando il patrimonio netto della società sia inferiore di oltre un terzo
al capitale sociale nominale.
Vi è una differente disciplina a seconda
che il capitale sociale sia diminuito o meno al di sotto del limite legale.
Laddove le perdite, pur riducendo il capitale
sociale di oltre un terzo, non abbiano determinato una diminuzione dello stesso
al di sotto del limite legale, gli amministratori (o il consiglio di gestione)
o, nel caso di loro inerzia, i sindaci (o il consiglio di sorveglianza), devono
senza indugio convocare l'assemblea affinchè essa adotti gli opportuni
provvedimenti, sottoponendo a quest'ultima una relazione sulla situazione
patrimoniale della società, corredata dal parere del collegio sindacale (art.
2446, comma 1, c.c.).
Se le perdite non si riducono a meno di
un terzo entro l'esercizio successivo, l'assemblea (o il consiglio di
sorveglianza) deve, in occasione dell'approvazione del bilancio, deliberare la
riduzione del capitale sociale in proporzione alle perdite accertate. In
mancanza, gli amministratori e i sindaci (o il consiglio di sorveglianza)
devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale
sociale, in ragione delle perdite risultanti dall'ultimo bilancio. Il
tribunale, dopo aver sentito il pubblico ministero, provvede con decreto
(soggetto a reclamo) che deve essere iscritto nel Registro delle Imprese (art.
2446, comma 2, c.c.).
Qualora la società abbia emesso azioni
prive di valore nominale, lo statuto o una deliberazione dell'assemblea
straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale sia deliberata
dal consiglio di amministrazione (art. 2446, comma 3, c.c.).
Laddove, viceversa, il capitale sociale
sia sceso al di sotto del limite
legale, la disciplina è più rigorosa. In
tal caso, difatti, gli amministratori (o il consiglio di gestione) devono
convocare senza indugio l'assemblea, affinchè essa deliberi immediatamente la
riduzione del capitale ed il contestuale aumento dello stesso fino al limite
legale, o, in alternativa, la trasformazione della società (art. 2447 c.c.).
In caso contrario, la società si scioglie.
Le
disposizioni comuni
in tema di società di capitali
La disciplina
comunitaria in tema di società e la società europea
La
esposizione della disciplina delle società di capitali non è completa se non si da conto di alcuni
profili di regolamentazione comune.
In primo
luogo, occorre rammentare il massiccio intervento, nella materia, del
legislatore comunitario.
Il motivo è da rinvenire nella
circostanza che le imprese di medie e grandi dimensioni fanno di regola capo,
in tutti i paesi dell'Unione Europea, a
società di capitali. La omogeneità della relativa disciplina è, dunque,
una condizione indispensabile per un efficiente funzionamento del mercato
comune. Basti pensare a temi come quelli dei poteri di rappresentanza o dei
criteri di redazione del bilancio, per comprendere quale rilevanza abbia tale omogeneità.
Si spiega così l'emanazione, già a
partire dagli anni '60, di numerosi atti comunitari, sia direttive e sia
regolamenti, volti a determinare la armonizzazione della regolamentazione
delle società di capitali nei vari Paesi.
Alla soddisfazione della medesima
esigenza è rivolta la previsione di una apposita società, destinata a favorire
la operatività delle imprese, che agiscono
contemporaneamente in più Stati dell'Unione: la società europea.
Questa è stata prevista dal
regolamento comunitario 2157/2001. Si tratta di una società destinata ad
operare ed ad avere sedi nello spazio comunitario, con eguale assetto e con
notevoli semplificazioni sotto il profilo burocratico.
Essa,
peraltro, non è integralmente disciplinata dal regolamento, atteso che il
medesimo è volutamente incompleto e rinvia, per la parte di disciplina
mancante, a quella prevista, dallo Stato dove ha la sede principale la
società, per il tipo di società di capitali equivalente alla italiana società per azioni.
Le caratteristiche fissate dal
regolamento possono essere cosi sintetizzate: la società ha personalità
giuridica e deve essere costituita con un capitale minimo di euro 120.000
suddiviso in azioni; la personalità giuridica si acquista con l'iscrizione nel
registro delle società esistente nel luogo ove la società ha la sede
principale; l'amministrazione può essere articolata secondo il sistema
monistico oppure secondo quello dualistico; deve essere previsto il coinvolgimento dei lavoratori
nel governo dell'impresa.
Il
regolamento prevede tassativamente che la costituzione della società europea possa
avvenire: a) per effetto di fusione tra S.p.a. con sedi in Stati membri
diversi; b] per effetto della creazione di una holding cui vengano conferite
partecipazioni in società aventi sede in Stati membri diversi; c) per effetto
della creazione di una società partecipata da società con sede in Stati membri
diversi; d) per effetto della trasformazione di una S.p.a. avente, da almeno due
anni, una affiliata con sede in un altro Stato membro.
I gruppi di
società
Si ha un gruppo di società
allorquando vi siano più imprese che, sep-pur distinte sotto il profilo
giuridico, siccome facenti capo a società diverse, costituiscono un unico
centro di interessi sotto il profilo economico, in quanto assoggettate alla
dirczione unitaria di un'unica società (società capogruppo), che detta le
strategie imprenditoriali da seguire per il conseguimento di un interesse
comune a tutte le società del gruppo. Solitamente le società costituenti il
gruppo sono società di capitali. L'effetto è che ciascuna società sopporta il
rischio di impresa limitatamente al segmento che è riferibile alla medesima.
II fenomeno del gruppo di società
trova amplissimo riscontro nella moderna realtà imprenditoriale, atteso che le
imprese di grandi dimensioni prediligono un'articolazione organizzativa in
cui, pur in presenza di una dirczione unitaria sotto il profilo
imprenditoriale, trovano spazio più società, ciascuna delle quali operante in
un determinato settore.
È innegabile, tuttavia,
l'interesse a regolamentare tale fenomeno, anche in considerazione
dell'esigenza di garantire sia una adeguata informazione circa la consistenza
patrimoniale del gruppo complessivamente considerato e delle singole società,
sia la trasparenza dei rapporti intragruppo, in modo da assicurare l'integrità
patrimoniale delle società coinvolte. In questa prospettiva, il legislatore ha
disciplinato sia i rapporti tra società controllante e società controllata, sia
le responsabilità connesse all'esercizio dell'attività di dirczione e di
coordinamento di società.
Ai sensi dell'art. 2359, comma 1,
c.c., una società può dirsi controllante di un'altra allorquando ricorra una
delle seguenti condizioni:
- quando la
prima dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria
della seconda;
- quando la prima dispone di voti
sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria
della seconda;
- quando la prima esercita
un'influenza dominante sulla seconda in virtù di particolari vincoli
contrattuali.
Nei primi due casi, occorre
considerare anche i voti spettanti ad altre società controllate, o esercitati
per mezzo di società fiduciaria o per interposta persona (art. 2359, comma 2,
c.c.).
Per quanto attiene al terzo caso,
assumono rilevanza tutte quelle ipotesi in cui una società si trova in una
situazione di sostanziale dipendenza economica rispetto ad un'altra impresa
con la quale ha stipulato particolari rapporti contrattuali.
Per completezza, va richiamata la
nozione di «società collegata». Con essa, si intende fare riferimento alle
società tra le quali, pur non intercorrendo alcun rapporto di controllo, vi
sia uno stretto legame societario. In
particolare, si definiscono collegate quelle società sulle quali un'altra
società esercita un'influenza che, seppur non dominante, come avviene per le
controllate, è, comunque, notevole. L'influenza notevole si presume allorquando
nell'assemblea ordinaria sia possibile esercitare un quinto dei voti, ovvero un
decimo se si tratta di società quotata (art. 2359,
comma 3, c.c.).
In presenza di un rapporto di
controllo, si presume che la società controllante eserciti l'attività di
direzione e di coordinamento che caratterizza, quanto meno sotto il profilo
dell'indirizzo economico, il gruppo di
società (art. 2497-sexies c.c.), con conseguente applicabilità della
relativa disciplina, i cui punti salienti possono così riassumersi:
- responsabilità della
controllante, nel caso di violazione dei principi di una corretta gestione societaria e imprenditoriale, nei confronti
dei soci per il pregiudizio arrecato
alla redditività ed al valore della partecipazione sociale delle controllate
(art. 2497, comma 1, c.c.) e nei confronti dei creditori per la lesione
cagionata al patrimonio della società;
responsabilità solidale dei soggetti che
abbiano preso parte al fatto lesivo (ad es.,
gli amministratori della controllante), nonché, nei limiti del vantaggio
conseguito, di chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio (ad es., altre
società del gruppo);
- necessità
di rispettare gli obblighi di pubblicità previsti per consentire ai terzi di venire a conoscenza
del rapporto di controllo (art. 2497-bis
c.c.);
- obbligo di motivare
analiticamente le decisioni assunte nell'ambito della società controllata, qualora esse siano state influenzate dalla
attività di dirczione e coordinamento svolta dalla società controllante (art. 2497-ter c.c.);
- esclusione di responsabilità
quando il danno è compensato dai benefici
della appartenenza al gruppo (vantaggi compensativi);
- riconoscimento, in presenza di
particolari eventi riguardanti la società controllante, del diritto di recesso
al socio della società controllata (art. 2497-quater
c.c.);
- equiparazione dei finanziamenti
infragruppo a quelli effettuati dai soci di S.r.l., con conseguente
postergazione degli stessi rispetto al soddisfacimento
degli altri creditori sociali (art. 2497-quinquies c.c.);
- introduzione del bilancio
consolidato di gruppo, volto a delineare la
situazione economico-finanziaria complessiva del gruppo di società.
Il bilancio consolidato di gruppo,
la cui redazione è divenuta obbligatoria a seguito del d.lg. 9 aprile 1991, n.
127, attuativo della settima Direttiva CEE di armonizzazione societaria, è
redatto dalla società capogruppo, in aggiunta al proprio bilancio di
esercizio.
La funzione del bilancio
consolidato di gruppo è quella di illustrare la
situazione finanziaria e patrimoniale delle società del gruppo unitariamente
considerate. Ai fini del consolidato, fanno parte del gruppo unicamente le società controllate mediante una
partecipazione societaria, con esclusione, pertanto, di quelle
controllate in virtù di particolari rapporti contrattuali (art. 2359, comma 1,
n. 3, c.c.). Non sono, inoltre, contemplate, ai fini del consolidato, le
società che svolgono un'attività del tutto eterogenea
rispetto a quella della maggior parte delle imprese controllate.
Non tutti i gruppi di società sono
tenuti alla redazione del bilancio consolidato: sono esclusi, difatti, i gruppi
di minore dimensione, purché non vi siano società quotate.
Il bilancio consolidato di gruppo è redatto dagli
amministratori della capogruppo ed ha la medesima struttura del bilancio di
esercizio (stato patrimoniale, conto economico, nota integrativa). È corredato
dalla relazione degli amministratori sulla
situazione complessiva delle imprese facenti parte del gruppo.
Anche per quanto attiene ai
principi ed ai criteri di redazione, nonché al procedimento di formazione ed
al regime pubblicitario, valgono le regole
dettate per il bilancio di esercizio, fatti salvi gli adattamenti necessari
onde consentire la corretta illustrazione della situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo unitariamente
considerato. La disciplina del bilancio consolidato diverge da quella
dettata per il bilancio di esercizio per il fatto che non è prevista
l'approvazione assembleare: il consolidato costituisce, difatti, atto degli
amministratori.
Le cause di
scioglimento delle società di capitali. La liquidazione
Il legislatore ha dettato, per le
società di capitali, una disciplina unitaria in materia di scioglimento della
società (art. 2484 e ss. c.c.).
La società di capitali si scioglie
allorquando ricorra una delle seguenti cause:
- per il decorso del termine,
sempre che la durata della società non sia a tempo indeterminato; il termine di
durata previsto nello statuto può essere prorogato con deliberazione dell'assemblea
straordinaria;
- per il conseguimento
dell'oggetto sociale o per l'impossibilità di conseguirlo,
salvo che l'assemblea, all'uopo convocata, non deliberi, senza indugio,
le opportune modifiche statutarie;
- per l'impossibilità di
funzionamento o per la continuata inattività dell'assemblea;
- per la riduzione del capitale
sociale al di sotto del minimo legale, qualora non si provveda a norma
dell'art. 2447 c.c. e cioè alla trasformazione della società o alla
ricostituzione del capitale;
- per l'approvazione della
deliberazione di scioglimento della società a seguito o del recesso di uno o
più soci, o dell'impossibilità di rimborsare le relative azioni senza ridurre
il capitale sociale, o dell'opposizione dei creditori alla riduzione del
capitale;
- qualora l'assemblea
straordinaria deliberi lo scioglimento anticipato della società;
- per le altre cause previste
dalla legge (ad es., dichiarazione di fallimento), dall'atto costitutivo o
dallo statuto.
Lo scioglimento ha efficacia dalla
data di iscrizione nel Registro delle Imprese
della dichiarazione degli amministratori, che accerti il verificarsi
della causa di scioglimento. Nel caso di scioglimento anticipato, gli effetti
si producono dalla data di iscrizione della relativa deliberazione assembleare
nel Registro delle Imprese (art. 2484, comma 2 c.c.).
In caso di
inerzia degli amministratori, il verificarsi della causa di scioglimento è accertato, su istanza
dei singoli soci o del singolo amministratore o dei sindaci, dal tribunale,
con decreto che deve essere iscritto nel Registro delle Imprese. Gli
amministratori sono, tuttavia, responsabili solidalmente per i danni arrecati
alla società, ai soci, ai creditori sociali o ai terzi (art. 2485 c.c.).
La società non si estingue
contestualmente al verificarsi di una causa di scioglimento, essendo necessario
provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali ed alla ripartizione tra i
soci dell'eventuale residuo attivo, attraverso il procedimento di
liquidazione.
Gli amministratori restano in
carica fino alla nomina dei liquidatori, di competenza dell'assemblea
straordinaria (art. 2365 c.c.), e conservano il
potere di gestire la società, seppure ai fini esclusivi della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale
(art. 2486, comma 1, c.c.), dovendo osservare il divieto di compiere
nuove operazioni.
Essi,
inoltre, devono convocare l'assemblea affinchè deliberi, oltre che sulla nomina e sui poteri dei
liquidatori, anche sui criteri della liquidazione (art. 2487, comma 1, c.c.).
In difetto, la convocazione dell'assemblea è disposta dal tribunale su istanza
dei singoli soci (o dei singoli amministratori o dei sindaci). Al tribunale è
riconosciuto anche il potere di adottare,
con decreto, le deliberazioni spettanti all'assemblea, qualora questa
non si costituisca o non deliberi (art. 2487, comma 2, c.c.).
A differenza degli amministratori
restano in carica i soggetti deputati al controllo della società: collegio
sindacale e revisori.
Effettuata la nomina dei
liquidatori ed iscritta la stessa nel Registro delle Imprese, occorre specificare, nella denominazione sociale, che la
società si trova in stato di liquidazione. Contestualmente, gli
amministratori cessano dalla carica e
consegnano ai liquidatori i libri sociali, una situazione dei conti
alla data dello scioglimento, ed un rendiconto sulla loro gestione, relativo al periodo successivo all'ultimo bilancio
approvato (art. 2487-£zs c.c.).
La revoca dello stato di
liquidazione deve essere deliberata dall'assemblea con le maggioranze previste
per le modificazioni dello statuto, previa eliminazione della causa di
scioglimento. I soci che non hanno concorso all'approvazione della
deliberazione hanno diritto di recedere dalla
società (art. 2437, comma 1, c.c.).
La revoca dello stato
di liquidazione ha efficacia solo decorsi due mesi dall'iscrizione della
relativa deliberazione assembleare presso il Registro delle Imprese.
Entro tale termine, i creditori sociali anteriori all'iscrizione possono fare
opposizione, con conseguente applicazione della disciplina dettata in
materia di riduzione facoltativa del capitale sociale (art. 2487-ter c.c.).
I liquidatori, salvo diversa
previsione statutaria, hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la
liquidazione (art. 2489, comma 1, c.c.).
Le
principali attribuzioni riconosciute loro sono:
- la possibilità di chiedere
proporzionalmente ai soci il versamento dei decimi ancora dovuti, laddove
riscontrino l'insufficienza del patrimonio sociale per soddisfare i creditori
(art. 2491, comma 1, c.c.);
- la possibilità di distribuire ai
soci, nel corso della liquidazione, acconti sul risultato della liquidazione
(art. 2491, comma 2, c.c.);
- l'obbligo
di redigere annualmente il bilancio, da sottoporre all'approvazione
dell'assemblea (art. 2490 c.c.).
Essi devono adempiere i loro doveri con la diligenza e la
professionalità richieste dalla natura
dell'incarico. La loro responsabilità per i danni derivanti
dall'inosservanza di tali doveri è disciplinata secondo le norme in tema di
responsabilità degli amministratori (art. 2489, comma 2, c.c.). Al termine
della liquidazione del patrimonio sociale, consistente nella conversione in
danaro del residuo patrimoniale attivo, i liquidatori devono redigere
il bilancio finale di liquidazione, indicando la parte spettante a ciascun socio o azione nella divisione
dell'attivo (cosiddetto piano di riparto). Il bilancio finale,
sottoscritto dai liquidatori ed accomnato dalla relazione dei sindaci e del
soggetto che svolge il controllo contabile, è depositato presso il Registro
delle Imprese. Esso deve essere approvato non già dall'assemblea, ma dai
singoli soci, anche tacitamente. Ciascun socio, difatti, può proporre reclamo
innanzi al tribunale nei tre mesi successivi al deposito, decorsi i quali: a)
in mancanza di reclami, il bilancio si intende approvato, e b) i liquidatori
sono liberati di fronte ai soci (artt.
2492-2493 c.c.).
Approvato il bilancio finale di
liquidazione, si procede, su istanza dei liquidatori,
alla cancellazione della società (art. 2495, comma 1, c.c.). Gli eventuali
creditori rimasti insoddisfatti possono rivalersi sui soci, ma solo nei
limiti delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale, o sui
liquidatori, laddove il mancato amento sia dipeso da loro colpa.
Ne consegue che, anche in presenza
di creditori sociali ancora non soddisfatti,
la cancellazione determina irrimediabilmente l'estinzione della società.
La trasformazione
La
trasformazione si concreta nel cambiamento di forma giuridica dell'ente.
Tale cambiamento trova, di regola,
la propria ragione giustificatrice nelle
mutate esigenze imprenditoriali della società (ad esempio, perché i nuovi scenari del mercato necessitano di una più
articolata struttura organizzativa
interna), per far fronte alle quali sarebbe certamente più dispendioso,
sia sotto il profilo del tempo occorrente, sia sotto quello dei costi, procedere alla liquidazione della società
ed alla successiva costituzione di un nuovo ente.
Nell'ambito
del fenomeno della trasformazione, assume rilevanza la distinzione fra
trasformazione cosiddetta omogenea, allorquando si passa da un tipo di società lucrativa ad un
altro, e trasformazione cosiddetta eterogenea,
che si verifica in tutti i casi in cui si passa da una società lucrativa
ad altri enti o viceversa. È opportuno, in questa sede, affrontare separatamente i due istituti.
Come sopra precisato, si parla di
trasformazione omogenea allorquando si passa da un tipo di società lucrativa
ad un altro (ad esempio, da S.a.s. in
S.p.a. o viceversa). Nell'ambito di tale fenomeno, è possibile
distinguere tre «sottotipi» di trasformazione, a seconda che essa riguardi:
-
una società di persone che si trasforma in società di capitali;
-
una società di capitali che si trasforma in società di persone;
- una società cooperativa, diversa
da quelle a mutualità prevalente, che si trasforma m società di persone o m
società di capitali.
Sebbene per ciascun sottotipo sia
dettata una normativa peculiare, è possibile
rinvenire i seguenti elementi comuni:
- la
trasformazione, nonostante determini il mutamento dell'intero assetto
organizzativo dell'ente, non comporta l'estinzione della società, la quale,
viceversa, continua ad operare senza soluzione di continuità sotto una diversa
forma giuridica. Tale considerazione trova riscontro nel disposto
dell'art. 2498, comma 1, c.c., alla stregua del quale la società «conserva i diritti e gli obblighi e
prosegue in tutti i rapporti anche processuali
dell'ente che ha effettuato la trasformazione»;
- l'atto di trasformazione è
soggetto alla disciplina prevista per il tipo societario adottato ed alle forme
di pubblicità relative, nonché alla pubblicità richiesta per la cessazione
dell'ente che effettua la trasformazione (art.
2500, comma 2, c.c.);
- la trasformazione
ha effetto solo dopo che siano adempiute tutte le formalità
pubblicitarie prescritte;
- concluso l'iter pubblicitario,
l'invalidità della trasformazione non può più essere dichiarata, pur
restando salvo il diritto al risarcimento del danno da parte dei soci o dei
terzi danneggiati dalla trasformazione (art. 2500-tó c.c.).
E
necessario, a questo punto, esaminare brevemente la disciplina dettata in
ordine ai tre differenti sottotipi di trasformazione omogenea.
Nel caso di
trasformazione di società di persone in società di capitali, la
trasformazione deve risultare da atto pubblico e deve contenere le indicazioni
previste dalla legge per l'atto costitutivo del tipo societario prescelto
(art. 2500, comma 1, c.c.).
La relativa decisione
è di spettanza dei soci e necessita, fatta salva diversa previsione
statutaria, del voto favorevole della maggioranza, determinata, tuttavia,
non già in base alla quota di partecipazione al capitale sociale, bensì in
relazione alla parte attribuita a ciascuno negli utili. Al socio che non ha concorso
all'approvazione della decisione spetta il diritto di recedere
dalla società (art. 25QQ-ter c.c.). Alla deliberazione di trasformazione
deve essere allegata una relazione di stima del patrimonio sociale, con le
forme previste per i conferimenti in natura nelle S.p.a. o nelle S.r.L, a
seconda della società risultante dalla trasformazione. Il procedimento di
trasformazione si conclude con l'iscrizione della deliberazione nel
Registro delle Imprese, in conseguenza della quale la società acquista la personalità
giuridica.
Compiuta la
trasformazione da società di persone in società di capitali, resta ferma la
responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni sorte anteriormente
all'iscrizione della trasformazione nel Registro delle Imprese. Tuttavia, i
soci possono essere liberati in presenza del consenso dei creditori sociali
alla trasformazione. Tale consenso, che si presume allorquando i creditori
siano stati informati della trasformazione e non abbiano espressamente
manifestato la loro opposizione entro sessanta giorni dalla comunicazione,
vale come consenso alla liberazione di tutti i soci illimitatamente
responsabili.
Nel caso di
trasformazione di società di capitali in società di persone, viceversa, la
deliberazione deve essere approvata con le maggioranze previste per le modifiche dello
statuto. E, inoltre, necessario il consenso
di quei soci che, con la trasformazione, assumono responsabilità illimitata per l'adempimento delle
obbligazioni sociali (art. 2500-sexies,
comma 1, c.c.). Anche in tal
caso, è riconosciuto il diritto di recesso al socio che non ha concorso
all'approvazione della deliberazione (art.
2437 c.c.).
La
deliberazione assembleare di trasformazione deve essere preceduta dalla redazione, da parte degli
amministratori, di una relazione da cui si evincano
i motivi e gli effetti della trasformazione. Essa deve restare depositata
presso la sede sociale nei trenta giorni che precedono l'assemblea, onde consentire ai soci di prenderne visione ed,
eventualmente, di estrarne copia (art. 2500-serzes, comma 2, c.c.). A
seguito della trasformazione, i soci che assumono la responsabilità illimitata
per le obbligazioni sociali rispondono con il proprio patrimonio anche delle
obbligazioni sorte anteriormente alla
trasformazione (art. 25QQ-sexies, comma 4, c.c.).
Nel caso di trasformazione di
società cooperative, diverse da quelle a mutualità prevalente, in società di
capitali o di persone, è richiesto il voto favorevole di almeno la metà dei
soci. Sono previsti (art. 2545-de-cies, c.c.) quorum differenti
sia nell'ipotesi in cui i soci siano meno di cinquanta (nel qual caso, occorre
il voto favorevole dei due terzi dei soci), sia nell'ipotesi in cui essi siano
più di diecimila (ed in tal caso, se lo statuto lo consente, può richiedersi il
voto favorevole dei due terzi dei votanti, purché all'assemblea sia presente
almeno il venti per cento dei soci). È fatto obbligo di devolvere il
patrimonio, dedotti il capitale versato e rivalutato ed i dividendi non ancora
distribuiti, ai fondi mu-tualistici per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione (art. 2545-undecies, comma 1, c.c.).
Passando, a questo punto, alla
disciplina dettata in materia di trasformazione
cosiddetta eterogenea, va sottolineato che il legislatore ha regolamentato
espressamente solo l'ipotesi di trasformazione eterogenea di una società di
capitali o che da vita ad una società di capitali, non essendo viceversa
disciplinata l'ipotesi di trasformazione eterogenea di una società di persone o
che da vita ad una società di persone.
Per quanto
attiene alla trasformazione di una società di capitali, si prevede che quest'ultima possa
trasformarsi in consorzio, società consortile, società cooperativa, comunione di azienda, associazione non
riconosciuta e fondazione (non è contemplata espressamente la
trasformazione in associazione
riconosciuta; art. 25QQ-septies c.c.).
Relativamente a tale ipotesi, si
applica la disciplina dettata con riferimento alla trasformazione omogenea
delle società di capitali, con le seguenti
differenze:
- la deliberazione deve essere
assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto;
- la deliberazione di trasformazione in
fondazione produce gli effetti che il
codice civile ricollega all'atto di fondazione o alla volontà del fondatore.
La
trasformazione in società di capitali, viceversa, può essere deliberata da un consorzio, società
consortile, comunione di azienda, associazione non riconosciuta e fondazione
(non sono contemplate espressamente né le
società cooperative, né le associazioni riconosciute; art. 2500-octies c.c.). I punti essenziali della disciplina codicistica possono cosi riassumersi:
- sono
espressamente previsti quorum deliberativi specifici per i consorzi
(maggioranza assoluta dei consorziati) e per le comunioni di azienda (unanimità); per le società
consortili e per le associazioni si rinvia alle maggioranze richieste dalla
legge o dall'atto costitutivo per lo scioglimento
anticipato;
- la trasformazione delle
associazioni in società di capitali può essere esclusa dall'atto costitutivo e, per determinate associazioni, dalla
legge; in ogni caso, non è ammessa per le associazioni che abbiano
ricevuto contributi pubblici oppure liberalità ed oblazioni dal pubblico;
- la trasformazione delle
fondazioni in società di capitali è disposta dall'autorità governativa, su
proposta dell'organo competente;
- la trasformazione ha effetto solo dopo
che siano decorsi sessanta giorni dalla
conclusione dell'iter prescritto ai fini della pubblicità, a meno che
non vi sia il consenso dei creditori o il amento dei creditori che non hanno
prestato il consenso. Nel suddetto termine di sessanta giorni, i creditori possono fare opposizione: in tal caso,
trova applicazione la disciplina
dettata, con riferimento alla riduzione facoltativa del capitale, dal-l'art. 2445, comma 4, c.c.
La fusione
La fusione si sostanzia nella
unione tra due o più società. Il ricorso a tale strumento trova la propria
ragione giustificatrice, di regola, nell'esigenza di unificare due o più
imprese, al fine di raggiungere una maggiore
competitivita sul mercato. Mediante la fusione, difatti, si verifica la concentrazione
degli enti partecipanti alla fusione, con conseguente necessaria reductio
ad unum di tutta la loro struttura economico-organiz-zativa (patrimonio, organi sociali, ecc.).
La fusione
tra due o più società può avere luogo secondo due modalità differenti (art,
2501, comma 1, c.c.): 1) può essere costituita una nuova società, nell'ambito
della quale confluiscono gli enti partecipanti all'operazione (cosiddetta
fusione in senso stretto); 2) può accadere che una delle società partecipanti
inglobi le altre (cosiddetta fusione per incorporazione).
A differenza della trasformazione, la fusione comporta l'estinzione
delle società partecipanti all'operazione (tranne nel caso di fusione per
incorporazione per la sola società incorporante).
Una ulteriore distinzione degna di
rilievo è quella tra la fusione cosiddetta omogenea, che ha luogo tra società
dello stesso tipo (ad es., tra due S.p.a.),
e fusione cosiddetta eterogenea, che avviene tra società di tipo diverso
(ad es., tra una S.a.s. ed una S.r.l.). In quest'ultimo caso, si verifica la
trasformazione di una o più delle società partecipanti alla fusione, con
conseguente necessario rispetto della disciplina e dei limiti previsti m
materia di trasformazione. È, altresì, consentita la fusione tra società ed
enti di tipo diverso, nei limiti previsti dalla disciplina della trasformazione
eterogenea. Non possono partecipare alla fusione le società in liquidazione (art. 2501, comma 2, c.c.).
La fusione tra due o più società
ha luogo a seguito di un procedimento articolato che consta di tre fasi: il
progetto di fusione, la delibera di fusione e l'atto di fusione.
L'organo amministrativo delle
società partecipanti alla fusione deve redigere un progetto di fusione, nel
quale vanno indicati gli elementi rilevanti
ai fini della successiva deliberazione di fusione, espressamente elencati
dal legislatore (art. 2501-ter c.c.). Il progetto di fusione deve essere iscritto
nel Registro delle Imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti alla fusione.
Oltre a tale progetto, i
componenti dell'organo amministrativo delle società
partecipanti alla fusione devono redigere:
- la
situazione patrimoniale delle società, redatta con l'osservanza delle norme sul bilancio di esercizio e
riferita ad una data non anteriore di oltre centoventi giorni a quello in cui
il progetto di fusione è depositato nella sede della società. La situazione
patrimoniale può essere sostituita dall'ultimo bilancio di esercizio, laddove
quest'ultimo sia stato chiuso non oltre sei mesi prima dal giorno in cui il
progetto di fusione è stato depositato
presso la sede della società (art. 25Ql~quater c.c.);
- una relazione illustrativa del
progetto di fusione, che indichi il rapporto di cambio delle azioni o delle
quote (e, cioè, il rapporto tra numero delle partecipazioni in una delle
vecchie società e numero di partecipazioni nella nuova) ed i criteri di
determinazione.
Si prevede, inoltre, che uno o più esperti
per
ciascuna
società debbano predisporre una relazione sulla congruità del rapporto
di cambio delle quote o delle azioni (art. 25Q-sexies c.c.).
Tutti i
predetti documenti (progetto di fusione, situazione patrimoniale, relazione
degli amministratori e relazione degli esperti) debbono rimanere depositati presso la sede
delle società partecipanti alla fusione nei trenta
giorni precedenti la data fissata per l'adunanza assembleare, unitamente ai bilanci degli ultimi tre esercizi ed
alle relative relazioni predisposte dai soggetti cui compete
l'amministrazione ed il controllo contabile (art.
25Ql-septies c.c.).
Prima di passare ad esaminare la
fase deliberativa della fusione, va dato atto del fatto che il legislatore ha
dettato una disciplina semplificata nei casi in cui: a) la società
incorporante possieda tutte le azioni o quote della società incorporata (art.
2505 c.c.), o almeno il novanta per cento (art. 25Q5-bis c.c.); b) alla
fusione non partecipino società con capitale rappresentato da azioni o società
cooperative per azioni (art. 25Q5-qua-ter
c.c.); e) la fusione avvenga a
seguito di acquisizione con indebitamento (cosiddetto leveraged
buyout, art. 25Q-bis c.c.), e cioè quando una società ne acquisti
un'altra indebitandosi, per poi fondersi con la società indebitata e are i
debiti con l'attivo patrimoniale di quest'ultima.
La fusione è deliberata, di
regola, dai soci delle società partecipanti alla fusione, mediante approvazione
del relativo progetto. Nelle società di persone, la deliberazione deve essere
adottata con il voto favorevole della maggioranza dei soci, determinata secondo
la parte attribuita a ciascuno dei soci
nella distribuzione degli utili (è fatta salva una diversa previsione dell'atto costitutivo o dello statuto).
Nelle società di capitali, l'approvazione del progetto di fusione
avviene con le modalità ed i quorum previsti per le modifiche dell'atto
costitutivo o dello statuto (art. 2502 e.e.). Le deliberazioni devono essere
iscritte nel Registro delle Imprese, previo controllo di legalità da parte del
notaio verbalizzante, se la società risultante dalla fusione è una società di
capitali (art. 2502-bis c.c.).
Ancorché sia intervenuta
l'approvazione del relativo progetto, la fusione può essere attuata solo dopo che
siano decorsi sessanta giorni dalla data di
iscrizione nel Registro delle Imprese dell'ultima delibera delle società
partecipanti alla fusione. Nel suddetto termine di sessanta giorni, i creditori
delle società partecipanti alla fusione possono proporre opposizione alla fusione, con conseguente
applicabilità della disciplina dettata dall'art. 2445 c.c., in materia di
riduzione del capitale sociale delle S.p.A. (art. 2503 c.c.).
La terza ed ultima
fase del procedimento di fusione si sostanzia nella attuazione delle delibere di approvazione
del progetto di fusione, mediante la
stipulazione dell'atto di fusione.
L'atto di fusione, stipulato dai legali
rappresentanti delle società partecipanti alla fusione, deve essere redatto per
atto pubblico e, entro i successivi trenta
giorni, deve essere depositato per l'iscrizione nel Registro delle
Imprese del luogo (o dei luoghi) ove hanno sede le società partecipanti alla
fusione e la società risultante dalla fusione (art. 2504 c.c.). La fusione ha
effetto solo dopo che sia effettuata l'ultima iscrizione nel Registro delle Imprese, sebbene nell'ipotesi di fusione per incorporazione
possa essere stabilita una data successiva (art. 25Q4-bis, comma 2, c.c.).
Per quanto attiene
agli effetti della fusione, come in precedenza rilevato, le società
partecipanti all'operazione confluiscono nella società risultante dalla
fusione (o in quella incorporante), con conseguente unificazione soggettiva e
patrimoniale delle diverse società. Tale conclusione trova riscontro nel disposto
dell'art. 2504-tó, comma 1, c.c., laddove si statuisce che la società
risultante dalla fusione (ovvero quella incorporante nell'ipotesi
di fusione per incorporazione) assume i diritti e gli obblighi delle società
partecipanti alla fusione, proseguendo tutti i loro rapporti, anche
processuali, anteriori alla fusione.
Laddove la fusione comporti la
costituzione di una nuova società di capitali, ovvero l'incorporazione in
una società di capitali, i soci in precedenza illimitatamente responsabili
continuano a rispondere anche con il proprio patrimonio per l'adempimento delle
obbligazioni delle rispettive società contratte prima dell'ultima
iscrizione dell'atto di fusione nel Registro delle Imprese, fatto salvo il caso m cui vi sia il
consenso dei creditori alla liberazione
(art. 2504-fe, comma 5, c.c.).
Una volta effettuate
le prescritte iscrizioni nel Registro delle Imprese, l'invalidità dell'atto di fusione non può
più essere dichiarata. I soci o i terzi
danneggiati dall'operazione non potranno, in alcun modo, inficiarne la
validità e/o l'efficacia, ma potranno unicamente agire per il risarcimento dei danni subiti (art. 25Q4-quater c.c.).
La scissione
La scissione si sostanzia nella
scomposizione del patrimonio di una società (cosiddetta società scissa) e nel
suo parziale o totale trasferìmento in
favore di altre società (società beneficiane), nonché nella conseguente assegnazione, ai soci della prima, delle
azioni o quote delle seconde.
Se la fusione
risponde all'esigenza di unificare due o più imprese, normalmente al fine di
raggiungere una maggiore competitivita sul mercato, lo strumento
giuridico della scissione è utilizzato, di regola, nella prospettiva di una
ristrutturazione dell'ente. Si pensi, ad esempio, alle società che
diversificano la propria attività imprenditoriale in più settori: nel corso
della vita dell'ente, può presentarsi la necessità, o anche solo l'opportunità,
di suddividere il patrimonio sociale tra due o più società, onde
attribuire a ciascuna di esse uno specifico settore.
Nell'ambito del più
generale fenomeno della scissione, è possibile distinguere la
scissione totale dalla scissione parziale. Nel primo caso, l'intero patrimonio
della società scissa viene trasferito a più società. La società scissa si
estingue ed i suoi diritti ed obblighi vengono interamente assunti dalle
società beneficiane. Nel secondo caso, oggetto del trasferimento è solo
una parte del patrimonio della società scissa, che viene assegnato a una
o più società. In tal caso, la società scissa non si estingue, ma continua ad operare,
seppure con un patrimonio ridotto.
Una
ulteriore distinzione degna di rilievo è quella tra la scissione in senso
stretto, che ha luogo allorquando le società beneficiane siano di nuova
costituzione, e la scissione per incorporazione, che si ha nell'ipotesi in cui
le società beneficiane siano preesistenti.
Il
procedimento di scissione si presenta assai simile a quello previsto per la
fusione.
L'organo
amministrativo delle società partecipanti alla scissione, difatti, redige un
progetto di scissione contenente:
- l'esatta
descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare alle società beneficiane
e dell'eventuale conguaglio in danaro (art. 25Q6-bis, comma 1, c.c.).
Laddove, dal progetto di fusione, non si evinca la destinazione di un
elemento dell'attivo, questo è assegnato alla società scissa nell'ipotesi di
scissione parziale; nell'ipotesi di scissione totale, esso è ripartito tra le
società beneficiane in proporzione della quota di patrimonio netto a ciascuna
di esse assegnata (art. 2506-te, comma 2, c.c.);
- i criteri di distribuzione delle
azioni o delle quote delle società beneficiane.
Qualora si adottino criteri di attribuzione diversi da quello proporzionale, i
soci, che non approvano il progetto di scissione, hanno diritto di far acquistare le proprie
partecipazioni dai soggetti indicati nel progetto, per un corrispettivo
determinato alla stregua dei criteri previsti
per il recesso (art. 24Q6-bis, comma 4 c.c.).
Oltre che il progetto di
scissione, devono essere redatti anche la situazione
patrimoniale delle società partecipanti alla scissione, la relazione degli
amministratori e quella degli esperti. Gli amministratori possono, tuttavia,
essere esonerati da tali incombenti con il consenso unanime dei soci e dei possessori
degli strumenti finanziari con diritto di voto (art. 2506-ter c.c.).
Le fasi successive del progetto di
scissione si sostanziano, analogamente a quanto avviene in materia di fusione,
nella deliberazione di approvazione del predetto progetto e nella stipulazione
dell'atto di scissione. Trova applicazione, a tal riguardo, la disciplina
dettata per la fusione, anche per i
profili attinenti alle iscrizioni dell'atto di scissione, all'opposizione
dei creditori ed alla invalidità dell'atto di scissione.
Come per la fusione, la scissione
ha effetto solo dopo che sia effettuata l'ultima iscrizione dell'atto di
scissione nel Registro delle Imprese del
luogo in cui hanno sede le società beneficiarie (art. 25Q6-quater c.c.).
In tale momento, si verifica la
suddivisione del patrimonio della società
scissa in favore delle società beneficiarie, le quali assumono i diritti e
gli obblighi ad esse spettanti in base all'atto di scissione.
Un'ultima considerazione merita di
essere svolta con riferimento alla disciplina
della responsabilità delle società partecipanti alla scissione, per i debiti
della società scissa.
Si è già
detto che, a seguito della scissione, i debiti della società scissa sono ripartiti tra le società
partecipanti all'operazione (id est, le società beneficiarie e, nell'ipotesi di scissione parziale, anche la società
scissa).
Tuttavia,
ciascuna società partecipante alla scissione è altresì solidalmente responsabile, nei limiti del
patrimonio netto ad essa trasferito (o del patrimonio rimasto in capo alla
società scissa, nel caso di scissione parziale), dei debiti della società
scissa non soddisfatti dalla società cui fanno
carico (art. 25QG-qnater c.c.).
In altre parole, dei debiti della
società scissa risponde, in via principale, la società cui il debito è stato
assegnato in sede di scissione; in via sussidiaria, ne rispondono solidalmente
le altre società partecipanti alla scissione, seppure nei limiti del patrimonio
netto a ciascuna di esse trasferito.
Le società con scopo mutulistico
Lo scopo
mutualistico
Dalle società
lucrative si distinguono, come detto, le società mutualistiche. Come le prime,
anche le seconde hanno natura di società. Società lucrative e società mutualistiche costituiscono, infatti, due specie
del genere società, in quanto mutualità e scopo di lucro rappresentano
due diversi modi di essere della causa del
contratto sociale, consistente m un'acquisizione di benefici economici
in senso lato.
Lo scopo mutualistico
è espressamente previsto, oltre che nel codice civile, nella Costituzione.
Dispone l'art. 45 Cost. che «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità
e senza fini di speculazione privata». «La legge»., continua il testo costituzionale, «ne assicura il carattere e le finalità».
Sono
previsti due tipi di società mutualistiche: le società cooperative e le società
di mutua assicurazione (dette anche mutue assicuratrici).
Le società con scopo
mutualistico sono dirette a offrire ai soci beni e servizi od occasioni di
lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto al mercato.
Tali tipi
di società, infatti, creano un rapporto diretto tra il produttore e il
consumatore, oppure tra il committente e il lavoratore, che consente, eliminando il ricarico dell'intermediario
(commerciale, assicurativo, ecc.) o il profitto del datore di lavoro, di
garantire ai soci un prezzo inferiore o una retribuzione maggiore rispetto a
quelli del mercato.
Pertanto,
lé società mutualistiche non hanno come fine quello di far conseguire ai soci un profitto, vale a dire un
guadagno positivo, ma piuttosto un risparmio di spesa o una maggiore
remunerazione. Nelle società con scopo mutualistico, di conseguenza, i soci
sono,generalmente. i destinatari
dell'attività sociale.
È bene
tenere presente che, per realizzare il vantaggio mutualistico, non è sufficiente la partecipazione del socio alla
società. E necessario, infatti, che il socio concluda con la società
una o più operazioni, aventi per oggetto la prestazione dei beni o dei servizi
a cui è diretta l'attività della società. In altri termini, occorre che il
socio acquisti dei prodotti, che stipuli un contratto di assicurazione sulla
vita o contro i danni, che presti
un'attività lavorativa, ecc.
Le
cooperative e la mutualità prevalente
Al fine di porre un
freno al diffuso abuso dello strumento cooperativo, al proliferare, cioè, di «false cooperative», indotto dal
complesso degli incentivi e delle
agevolazioni, la disciplina delle società cooperative distingue tra
«società cooperative a mutualità prevalente» e altre società cooperative.
Solo le prime godono
di tutte le agevolazioni, soprattutto di carattere tributario, previste per le
società cooperative.
Le cooperative a
mutualità prevalente sono quelle che presentano alcuni elementi
caratterizzanti, la cui ricorrenza deve essere accertata in concreto.
Questi elementi sono:
- la presenza, nello
statuto, di clausole che, come si dirà in seguito, limitano la distribuzione di
utili e riserve ai soci cooperatori;
- la circostanza che
la loro attività deve essere svolta prevalentemente a favore dei soci
(cooperative di consumo), ovvero deve utilizzare, prevalentemente, prestazioni
lavorative dei soci (cooperative di lavoro), o beni o servizi dagli stessi
apportati (cooperative di produzione e lavoro).
Gli amministratori e
i sindaci devono documentare, nella nota integrativa al bilancio, tali
condizioni di prevalenza. In particolare, la mutualità prevalente ricorre
quando i rapporti di scambio con i soci (o il costo del lavoro dei soci o il
costo della produzione) superano il cinquanta per cento del totale dei
rapporti nell'anno della società.
Le società
cooperative a mutualità prevalente, inoltre, devono iscriversi in un apposito
albo delle società cooperative, tenuto a cura del Ministero delle attività
produttive, presso il quale depositano annualmente il proprio bilancio.
In una
distinta sezione dello stesso albo, si iscrivono le altre società cooperative.
In relazione all'attività svolta, le cooperative si
distinguono in:
- cooperative di
consumo, dirette ad acquistare all'ingrosso prodotti di largo consumo, per
rivenderli al dettaglio ai soci;
- cooperative
edilizie, aventi come fine la costruzione di alloggi e la loro assegnazione in
proprietà o in locazione ai soci;
- cooperative di
credito (banche popolari, casse artigiane, casse rurali), volte a concedere ai
soci prestiti e altri servizi a tassi di interesse più favorevoli rispetto a
quelli di mercato;
-
cooperative assicuratrici, volte a fornire ai soci la copertura di determinati rischi
a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate dalle imprese di
assicurazione;
-
cooperative di trasformazione e alienazione di prodotti agricoli (cantine, latterie sociali, ecc.),
costituite da imprenditori agricoli allo scopo di ridurre i costi di gestione e
trovare accessi diretti al mercato;
-
cooperative di produzione e lavoro (di pulizia, di traslochi, di trasporti), formate da lavoratori, le
quali garantiscono ai soci occasioni di lavoro e retribuzioni più elevate
rispetto a quelle correnti, assumendo direttamente lo svolgimento di
determinate attività.
I caratteri
strutturali della società cooperativa
La
disciplina delle società cooperative è modellata su quella della società per
azioni. Nel contempo, però, il codice civile consente che i soci di piccole
cooperative (quelle con un numero di soci cooperatori inferiori a venti,
ovvero con un attivo dello stato patrimoniale non superiore a un milione di
euro), possano optare per la più snella disciplina della società a responsabilità limitata.
Per
le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio (art.
2518 c.c.).
Anche la disciplina
sui conferimenti è identica a quella dettata per le società per azioni, salvo
che lo statuto non abbia optato per la disciplina della società a responsabilità limitata.
I carattere salienti della disciplina della società
cooperativa sono:
- per
procedere alla costituzione della società è necessario che il numero dei soci
sia almeno pari a nove. Sono, tuttavia, sufficienti tre soci persone fisiche,
se la società adotta le norme della società a responsabilità limitata. È, inoltre, richiesto, per la partecipazione ad una
società cooperativa, che i soci posseggano determinati requisiti
soggettivi, volti ad assicurare che gli stessi svolgano attività coerente e/o
non incompatibile con quella che costituisce l'oggetto sociale della
cooperativa. Tali requisiti variano a seconda del settore di attività della
cooperativa e numerose sono, poi, le leggi speciali che specificano
ulteriormente i requisiti soggettivi dei
soci, m relazione alla particolare finalità sociale della cooperativa. La
legge fissa, come regola generale, che non possono, in ogni caso, essere
soci quanti esercitano in proprio imprese identiche o affini con quella della cooperativa;
- sono fissati
limiti massimi alla quota di partecipazione di ciascun socio ed alla
percentuale di utili agli stessi distribuirli, sia pure con disposizioni diverse per le cooperative a mutualità
prevalente e le altre cooperative, volti a disincentivare la partecipazione
alla società per fini esclusivamente
lucrativi;
- le
variazioni del numero e delle persone dei soci, e le conseguenti variazioni del
capitale sociale, non comportano modificazione dell'atto costitutivo. In tal
modo, si da, alla società, una struttura aperta, che facilita l'ingresso di
nuovi soci ed il recesso di quanti non sono più interessati all'attività mutualistica;
- ogni
socio cooperatore persona fisica ha, in assemblea, un solo voto, qualunque sia
il valore della sua quota o il numero delle sue azioni. E, così, capovolta la
regola di funzionamento propria delle società di capitali (numero di voti
proporzionale al numero delle azioni) ed è introdotto il principio «una
testa-un voto». Principio che sottolinea il rilievo della persona dei soci
anche nel funzionamento della società e nell'indirizzo dell'attività comune;
- le società
cooperative sono sottoposte a vigilanza dell'autorità governativa, al fine di
assicurare il regolare funzionamento amministrativo e contabile.
La previsione di limiti
massimi alla partecipazione di ciascun socio e di limiti alla libera
circolazione delle azioni, sommati ai limiti posti per la distribuzione degli
utili, ha indotto il legislatore ad introdurre la figura dei soci sovventori,
volta a consentire la raccolta del capitale di rischio anche tra soggetti
sprovvisti degli specifici requisiti soggettivi richiesti per partecipare all'attività mutualistica.
I
conferimenti dei soci sovventori devono rispettare i limiti massimi previsti
per i soci cooperatori. A fronte di essi sono emesse azioni (o quote) nominative liberamente trasferibili, salvo
che l'atto costitutivo non
preveda limiti alla
circolazione. L'atto costitutivo può prevedere particolari condizioni a favore dei soci sovventori per la
ripartizione degli utili e la liquidazione delle quote o delle azioni, così
superando i limiti posti per i soci
cooperatori. Per evitare una partecipazione esclusivamente speculativa,
è, però, stabilito che il tasso di remunerazione dei soci sovventori non può
essere maggiorato in misura superiore al due per cento rispetto a quello
previsto per gli altri soci.
L'atto costitutivo
può prevedere che il socio sovventore abbia più voti anche in relazione
all'ammontare del conferimento, ma non oltre cinque. I voti attribuiti ai soci
sovventori non possono mai superare un terzo dei voti spettanti a tutti i soci.
I soci sovventori possono essere nominati amministratori, ma la maggioranza
degli amministratori deve essere costituita da soci cooperatori.
Gli utili e i ristorni
Regole specifiche sono dettate per la destinazione degli
utili.
Innanzitutto,
per rafforzare la consistenza del patrimonio sociale, la percentuale degli
utili netti da destinare a riserva legale è sei volte più elevata rispetto alla
società per azioni: il trenta per cento anziché il cinque per cento,
indipendentemente dall'ammontare raggiunto dalla riserva legale. La 1. 31
gennaio 1992, n. 59 ha, poi, introdotto l'obbligo di destinare il tre per
cento degli utili netti annuali ad appositi «fondi mutualistici per la
produzione e lo sviluppo della cooperazione». Si tratta di forme di auto
contribuzione obbligatoria, finalizzate alla promozione ed al finanziamento di
nuove imprese e di iniziative di sviluppo del movimento cooperativo.
Sono
posti, inoltre, limiti alla distribuzione tra i soci degli utili residui, così
comprimendosi il profilo lucrativo della partecipazione sociale. Al riguardo,
come detto, la disciplina introduce una netta distinzione tra società
cooperative a mutualità prevalente ed altre società cooperative. Per queste
ultime è sufficiente che l'atto costitutivo fissi la percentuale massima dei
dividendi, che possono essere ripartiti tra i soci sovventori.
Una disciplina più restrittiva è, invece, prevista per le società
cooperative a mutualità
prevalente. Gli statuti delle società devono prevedere:
- il divieto di
distribuire dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni
fruttiferi postali aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivo versato;
il divieto di
remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura
superiore al due per cento rispetto a tale limite
massimo;
- il divieto di distribuire le riserve tra i soci
cooperatori;
- l'obbligo, infine, di devolvere,
in caso di scioglimento della società, l'intero patrimonio sociale, dedotto
soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi
mutualistici per lo sviluppo e la promozione della cooperazione.
Inoltre, in tutte le
società cooperative, al fine di rafforzare la consistenza patrimoniale della società, possono essere distribuiti dividendi
solo se il rapporto fra patrimonio
netto e complessivo indebitamento della società è superiore ad un
quarto.
La quota degli utili
che residua dopo tali destinazioni (riserva legale, fondi mutualistici, utili
ai soci nei limiti legali), se non assegnata ad altre riserve o fondi o
ridistribuita ai soci, deve essere destinata a fini mutualistici.
Dagli utili (intesi
come remunerazione del capitale) vanno tenuti distinti i ristorni. Questi
consistono in un rimborso ai soci di parte del prezzo ato alla cooperativa
per i beni o i servizi da questa forniti, tenuto conto del costo effettivo
sostenuto dalla cooperativa (cooperative di consumo), ovvero in una
integrazione della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le
prestazioni del socio (cooperative di produzione e lavoro). Se una società
cooperativa cede beni o presta servizi allo stesso prezzo sia ai soci, sia ai
terzi, deve provvedere, perio-dicamente, ad assegnare ai soci dei ristorni, che
consistono nel rimborso della differenza tra il prezzo praticato e il costo
effettivo sostenuto dalla cooperativa.
A differenza degli
utili, i ristorni vengono attribuiti ai soci non m proporzione al valore dei
conferimenti, ma al numero delle operazioni di cessione di beni o di servizi
intercorse con la società. Ad esempio: in una cooperativa di consumo, un socio
riceverà una somma più o meno elevata, a seconda della quantità di merci che ha
acquistato; in una cooperativa di lavoro, in base alle ore lavorative
effettuate.
I ristorni
costituiscono, quindi, uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci
cooperatori il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa e maggiore
remunerazione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la
cooperativa. Alle somme attribuite ai soci a titolo di ristorno non sono
applicabili le limitazioni che la legge pone per la distribuzione degli utili.
Le mutue assicuratrici
L'altro
tipo di società mutualistica è costituito dalla mutua assicuratrice o società di mutua assicurazione (art. 2546
c.c.).
Le mutue
assicuratrici sono dirette a costituire un fondo comune tra coloro che sono esposti ad un medesimo rischio,
per la reciproca assicurazione contro i danni.
Nelle mutue
assicuratrici vi è stretta interdipendenza tra la qualità di socio e la qualità
di assicurato: non si può acquisire la qualità di socio se non assicurandosi
presso la società e si perde la qualità di socio con l'estinguersi dell'assicurazione.
Viceversa, nelle
comuni cooperative di assicurazione si può essere assicurati anche senza diventare soci.
I
soci sono obbligati verso la società al amento dei contributi. Questi sono calcolati secondo i
criteri tecnici propri dei premi di assicurazione e devono essere versati
periodicamente. Hanno, pertanto, la funzione sia di conferimenti in società,
il cui capitale si forma in più soluzioni
successive, sia di premi di assicurazione.
Nelle mutue
assicuratrici per le obbligazioni sociali, ed, in particolare, per il
amento delle indennità assicurative, risponde solo la società con il proprio patrimonio.
Se
il patrimonio sociale è insufficiente per l'esercizio dell'attività assicurativa, l'atto costitutivo può
prevedere la costituzione di fondi di garanzia per il amento delle
indennità, mediante speciali conferimenti di terzi, attribuendo anche a questi
ultimi la qualità di socio.
Nelle
mutue assicuratrici, possono, perciò, coesistere due categorie di soci: soci
assicurati e soci sovventori. Soci, questi ultimi, che si limitano a conferire il capitale necessario
per l'attività della società, senza essere assicurati.
In ogni caso, i voti dei soci sovventori, ciascuno dei quali può averne
fino ad un massimo di
cinque in relazione all'ammontare del conferimento, devono essere inferiori al
numero dei voti spettanti ai soci assicurati.