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Due furono i problemi monetari principali del dopoguerra: l'iperinflazione in alcuni stati europei e il riordinamento del sistema monetario internazionale. La Germania aveva finanziato la partecipazione al conflitto prevalentemente con emissioni cartacee e, anche a guerra finita, le spese statali, accresciute dall'indennità da versare ai vincitori, furono coperte per meno della metà con le entrate ordinarie. Si trattava di una vera e propria orgia di carta. I prezzi, ovviamente, anche degli oggetti più economici, si esprimevano in miliardi e variavano di ora in ora, mentre le monete straniere venivano usate correntemente nelle transazioni commerciali.
Una tale inflazione avvantaggiò varie categorie: gli industriali, che contrassero debiti con le banche per rinnovare le loro attrezzature e che riuscirono a vendere molto all'estero; i commercianti, che videro rivalutare le loro scorte e che aumentavano i prezzi in misura superiore all'inflazione; lo Stato, che riuscì a liberarsi di buona parte del debito pubblico, ato con moneta priva di valore; e infine gli stranieri, che non solo acquistarono prodotti tedeschi a basso prezzo, grazie al cambio favorevole, ma investirono molto nelle società tedesche e persino nelle abitazioni. Sfavoriti furono i percettori di reddito fisso, come salariati, impiegati, e proprietari, e chi possedeva titoli o banconote o comunque vantava un credito. Si trattò, in definitiva, di una radicale e violenta ridistribuzione della ricchezza fra i ceti sociali, a vantaggio di quelli economicamente più forti e a svantaggio in particolare delle classi medie.
Lo stock aureo mondiale era cresciuto, durante la guerra, molto meno dei prezzi, ed era perciò insufficiente a garantire i biglietti emessi, che non era possibile ritirare dalla circolazione.
Nel 1922, la Conferenza monetaria internazionale di Genova propose l'adozione di un sistema alquanto diverso da quello aureo: il gold exchange standard, o sistema a cambio aureo, secondo il quale le riserve delle banche di emissione potevano essere costituite non solo da oro, come in precedenza, ma anche da banconote straniere convertibili in oro. In quel momento l'unica "valuta-chiave", ossia l'unica convertibile in oro e quindi utilizzabile come moneta di riserva, era il dollaro. La Conferenza raccomandò, sempre per economizzare il metallo giallo, di eliminare le monete d'oro dalla circolazione e di assicurare la convertibilità dei biglietti esclusivamente in lingotti, ciò che si disse gold bullion standard.
Il primo governo che in ordine di tempo provvide a stabilizzare la moneta fu quello tedesco, che doveva tirare il marco fuori dal baratro in cui l'inflazione lo aveva precipitato.
In un primo momento, s'introdusse una moneta provvisoria, garantita da ipoteche sulle proprietà immobiliari industriali. Le ipoteche, che fruttavano un interesse del 6 per cento, furono accese a favore di una nuova banca, Deutsche Rentenbank. Il 15 novembre 1923 fu fermata la stampa dei precedenti biglietti e la Rentenbank cominciò l'emissione della nuova moneta, il Rentenmark. I possessori dei vecchi marchi potevano cambiarli con i nuovi. La nuova moneta serviva solo per un uso interno, sicché era in dispensabile attuare rapidamente la seconda fase, con il ripristino di una moneta agganciata all'oro. Furono tagliate molte spese statali, la Reichsbank ridusse il credito alle banche commerciali e alla industrie.
A fine agosto 1924 fu già possibile ritornare al Reichsmark, al quale fu assegnato lo stesso contenuto aureo dell'anteguerra.
La Germania aveva quindi aderito al gold exchange standard.
La Gran Bretagna ristabilì la convertibilità della sua moneta l'anno successivo. Nel 1925, la Banca d'Inghilterra poteva cambiare i biglietti soltanto in lingotti del peso di 400 once, ossia del valore di 1.500 sterline: era il gold bullion standard.
In Francia, il nuovo presidente del consiglio, Raymond Poincaré, intraprese una politica di austerità, realizzando economie di bilancio e aumentando imposte e tariffe, in modo da riportare in pareggio i conti dello Stato. In seguito, la Francia veniva sostanzialmente posta in regime di gold exchange standard, e il nuovo franco venne chiamato "franco Poincaré".
In Italia, la lenta smobilitazione dell'esercito, per evitare un aumento dei disoccupati, e l'onere per mantenere il prezzo politico del pane, avevano indotto il governo a farsi anticipare grosse somme dagli istituti di emissione (Banca d'Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia).
Nel 1922, il governo avviò il risanamento del bilancio statale, riportandolo in pareggio nel 1924-25.
Nella primavera del 1926, Mussolini annunziò, nel famoso discorso di Pesaro dell'agosto del 1926, l'intenzione del governo italiano di difendere la lira e riportare la sua quotazione rispetto alla sterlina da 145 a 90 lire; si parlò perciò di "quota novanta". Vennero subito adottati alcuni provvedimenti, fra il settembre e il dicembre del 1926, tendenti a ridurre la massa dei biglietti in circolazione. Il 21 dicembre 1927 venne finalmente dichiarata l'abolizione del corso forzoso e la lira fu fatta equivalere a 0,079191 grammi d'oro. L'operazione fu garantita da due aperture di credito, concesse da alcune banche di emissione e dalla Banca di Morgan.
La fissazione del cambio delle lira a quei valori significò una sopravvalutazione della moneta italiana, alla quale si erano vanamente opposti alcuni industriali e uomini d'affari, che vedevano penalizzate le esportazioni. La stabilizzazione portò con sé una breve crisi (la cosiddetta "crisi di stabilizzazione"), con numerosi fallimenti, chiusura di fabbriche e aumento della disoccupazione.
Da parte loro, le maggiori banche, in primo luogo la Banca Commerciale e il Credito Italiano, che avevano parecchie partecipazioni industriali, impiegarono altri fondi nell'acquisto di azioni, per sostenerne il corso.
I legami tra banca e industria divennero più stretti e le banche s'impegnarono a fondo nel sostenere le maggiori industrie.
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