Le crisi economiche

Lo sviluppo del capitalismo industriale, che pure produsse un miglioramento del tenore di vita, portò con sé anche ricorrenti crisi economiche. Le crisi, non erano sconosciute nell'età preindustriale, dovute a un cattivo raccolto, a una guerra o a un consistente sviluppo demografico non seguito da una crescita adeguata della produzione agricola; ora, invece, erano crisi da sovrapproduzione.

La crisi si svolgeva secondo una successione di fatti che era quasi sempre la stessa. Un periodo di congiuntura favorevole, cioè di forte aumento della domanda di uno o più beni e di rialzo dei prezzi, induceva a un rapido ampliamento degli impianti o ala creazione di nuovi. Le aspettativa di profitti crescenti facevano aumentare il corso delle azioni delle società interessate, sulle quali non era difficile che si concentrasse una speculazione al rialzo. La capacità produttiva delle macchine consentiva un aumento della produzione ben oltre la possibilità di assorbimento del mercato, sicché la crisi di sovrapproduzione non tardava a manifestarsi.

I prezzi crollavano, le merci restavano invendute, gli utili si riducevano o si annullavano del tutto.

Licenziamenti di personale e fallimenti erano l'immancabile sbocco della crisi. Quando poi si manifestavano le prime difficoltà, erano ancora le banche a peggiorare la crisi, ritirando il credito alle aziende in difficoltà, nel tentativo, spesso vano, di ridurre le loro perdite.

Le crisi economiche furono percepite e studiate quasi subito, ancor prima che, intorno al 1860, Clément Juglar parlasse di andamento ciclico.

La crisi del "ciclo Juglar" non è altro che il punto di inversione che segna il passaggio dall'espansione alla depressione. Fra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento vi furono numerose crisi (1793, 1797, 1810, 1815-l8, 1825, 1836-38, 1847-48, per citare solo le più rilevanti).