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REVISIONE DELLA DISCIPLINA: DAL DECRETO LEGISLATIVO N.468/1997 AL DECRETO LEGISLATIVO N.81/200
Il decreto legislativo 1 dicembre 1997 n.468, <<Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili>>, è il frutto, data l'estrema complessità della materia, di una Commissione interministeriale di studio, appositamente costituita, e del confronto con le Commissioni parlamentari, la Conferenza Stato-Regioni-Enti locali, le forze sociali e gli organismi regionali delegati alle politiche del lavoro. Con la sua entrata in vigore si è avviato un processo di razionalizzazione e di semplificazione dell'intera materia; rappresenta il tentativo di trasformare gradualmente le diverse iniziative intraprese in forme di stabilizzazione occupazionale, a partire dalle categorie di soggetti che da più tempo rientrano nel circuito dei lavori socialmente utili. Viene portato a compimento un percorso, in uno scenario certamente non propedeutico ad uno sbocco occupazionale, verso uno strumento delle politiche attive del lavoro, cercando di superare gli aspetti assistenziali che caratterizzano i lavori socialmente utili. La reiterazione normativa ha dimostrato l'impossibilità di tracciare una via verso la creazione d'impresa e quindi del rapporto di lavoro, portando, in questo modo, ad una classificazione dell'istituto come misura di assistenzialismo temporaneo[1].
Con tale decreto l'istituto dei lavori socialmente utili viene trasformato da strumento nato per offrire un'assistenza economica ai disoccupati, in uno strumento idoneo a favorire l'effettivo inserimento nel mondo del lavoro, attraverso la promozione di vere e proprie imprese che prima gestiscono lavori di pubblica utilità e poi assumono i lavoratori per fornire stabilmente i servizi alla Pubblica Amministrazione nei nuovi bacini d'impiego .
La riforma, secondo le indicazioni della legge delega, si sviluppa lungo quattro importanti direzioni: ridefinire i lavori socialmente utili precisandone le tipologie, ambiti, soggetti promotori e soggetti utilizzabili, individuare procedure per l'approvazione dei progetti e per l'assegnazione e l'utilizzo dei lavoratori, regolare diritti e obblighi di questi, costruire dei percorsi per offrire sbocchi occupazionali ai soggetti già impegnati nei lavori socialmente utili in attività connesse a quelle svolte. Il decreto fa propria l'ottica del decentramento amministrativo ed anticipa anche la riforma dei servizi per l'impiego, contenuta nel decreto legislativo n.469/1997: viene ad instaurarsi un rapporto collaborativo tra lo Stato e le Regioni sia per la promozione dei lavori socialmente utili sia per la ripartizione delle risorse del Fondo per l'occupazione.
Lo Stato si riserva la competenza sull'individuazione delle tipologie di lavori socialmente utili e sulla disciplina del trattamento economico e giuridico dei soggetti coinvolti, nonché sulle ipotesi di decadenza dei trattamenti previdenziali in conseguenza dell'ingiustificato rifiuto dell'assegnazione alle attività. Alle Regioni si affidano delle vaste competenze che consentono loro di creare nuovi settori ed ambiti di lavori socialmente utili, oltre quelli previsti dal decreto; sempre alle Regioni sono affidate le procedure relative ai progetti, compresa la loro approvazione di competenza della Commissione regionale per l'impiego, considerando che anch'essa fa parte dell'Amministrazione regionale in conseguenza del trasferimento di tutti gli organi del mercato del lavoro.
Il decreto innanzitutto definisce i lavori socialmente utili come le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l'utilizzo di particolari categorie di soggetti, compatibilmente con l'equilibrio del locale mercato del lavoro; poi individua quattro tipologie di lavori socialmente utili: a) i lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di occupazione, in particolare i nuovi bacini d'impiego, che assicurino un rapporto di lavoro regolare, della durata di 12 mesi prorogabili al massimo per due periodi di 6 mesi; b) i lavori socialmente utili mirati alla qualificazione di particolari progetti formativi destinati alla crescita professionale in settori innovativi e che colgano le specificità e le domande provenienti dal territorio; c) lavori socialmente utili per la realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario, della durata di 6 mesi prorogabili al massimo per altri 6, con priorità per i soggetti titolari di trattamenti previdenziali; d) lavori socialmente utili finalizzati all'utilizzo di lavoratori che usufruiscono di ammortizzatori sociali. I settori nei quali vengono attivati i progetti sono quelli che offrono servizi utili alla collettività, quali i servizi alla persona, salvaguardia e cura dell'ambiente e del territorio, recupero spazi urbani e beni culturali; altri settori ed ambiti possono essere individuati a livello regionale o locale al fine di promuovere attività vicine al modello imprenditoriale attraverso agevolazioni per l'affidamento di lavori da parte della Pubblica Amministrazione.
I soggetti promotori possono essere le Amministrazioni pubbliche, gli Enti pubblici economici, le società a totale o prevalente partecipazione pubblica e le cooperative sociali e i loro consorzi; i lavoratori occupabili sono quelli che hanno difficoltà d'inserimento nel mercato del lavoro e sono i disoccupati di lunga durata e coloro che hanno usufruito degli ammortizzatori sociali, oltre quelli che percepiscono trattamenti previdenziali.
Le procedure per l'assegnazione dei soggetti alle attività di lavori socialmente utili tengono conto delle diverse tipologie dei progetti, della qualifica posseduta dai lavoratori e del principio delle pari opportunità; inoltre è previsto il ricorso alla selezione fra gli avviati a norma dell'art. 16 della legge n.56/1987, per accertarne l'idoneità al raggiungimento degli obiettivi del progetto ed alle finalità occupazionali, nonché l'eventuale richiesta di assegnazione nominativa per i lavoratori in possesso di qualifiche maggiormente specializzate.
Per favorire la creazione di immediate opportunità occupazionali ai lavoratori impegnati nei progetti, il decreto prevede che le Pubbliche Amministrazioni, al momento dell'approvazione dei progetti, deliberino misure opportune per offrire continuità di lavoro mediante la costituzione di società miste, o l'affidamento a terzi di attività <<uguali, analoghe o connesse>> a quelle già oggetto dei lavori socialmente utili.
Sono previste anche disposizioni che riordinano la normativa in materia di società miste, riducendo il capitale sociale e modificando i requisiti della forza lavoro occupata in esse o presso gli altri datori di lavoro a cui venga attribuita la gestione dei sevizi.
Il decreto in esame elimina la disposizione, contenuta nella legge n.608/1996, che considera la partecipazione ai lavori socialmente utili titolo di preferenza, a parità di punteggio, nei pubblici concorsi.
I progetti di lavori socialmente utili previsti alla lett.d), secondo comma, dell'art.1 del decreto legislativo n.468/1997 possono essere realizzati solo dalle Amministrazioni pubbliche mediante l'utilizzo dei lavoratori <<residenti nel Comune o nell'area della Sezione circoscrizionale per l'impiego dove si svolge la prestazione>>. In questo caso la Pubblica Amministrazione inoltra la richiesta specificando tipo e durata delle prestazioni di attività; la finalità che si persegue non è quella di soddisfare bisogni sociali ben definiti ma di impiegare, anche in attività ordinarie della Pubblica Amministrazione i lavoratori che già percepiscono l'indennità di mobilità o l'integrazione salariale, per un periodo non superiore alla durata di corresponsione del residuo trattamento previdenziale.
Il decreto introduce anche una forma di protezione minima di tutela per i lavoratori adibiti a lavori socialmente utili, anche se ribadisce che la partecipazione ai progetti <<non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro e non comporta la sospensione o la cancellazione dalle liste di collocamento>> e di mobilità. L'orario di lavoro viene uniformato in tutte le ipotesi a 20 ore settimanali e 8 giornaliere, con il diritto all'eventuale importo integrativo nel caso di impegno per un tempo superiore; l'assegno per i lavoratori non percettori di trattamento previdenziale è fissato, come in precedenza, nella somma di lire 800.000 mensili, ma è prevista la rivalutazione annuale nella misura dell'80% della variazione Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai ed degli impiegati. L'assegno è cumulabile con redditi modesti, di lavoro autonomo e parasubordinato, nonché di lavoro dipendente a tempo determinato parziale, purché queste attività siano iniziate successivamente all'avvio del progetto. Si ribadisce l'obbligo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, però il contratto va stipulato con l'Inail.
La tutela dei lavoratori ricomprende il diritto, con conservazione dell'assegno al godimento di adeguati periodi di riposo, ai permessi per allattamento a norma dell'art. 10 della legge n.1204/1971, ai permessi mensili per accudire i li, anche adottivi, con grave handicap, successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, alle assenze per malattia, per infortuni e malattie professionali, alla partecipazione alle assemblee organizzate dalle organizzazioni sindacali; le assenze giustificate per motivi personali comportano la sospensione dell'assegno, mentre viene modificato il trattamento economico dovuto alla lavoratrice per i periodi di astensione obbligatoria per maternità.
L'ingiustificato rifiuto da parte del lavoratore di svolgere l'attività assegnata implica l'irrogazione di una sanzione consistente nella perdita del relativo trattamento e nella cancellazione dalle liste.
Le risorse del Fondo per l'occupazione destinate al finanziamento dei lavori socialmente utili vengono ripartite a livello regionale con decreto del Ministro del lavoro in relazione al numero delle persone in cerca di prima occupazione e dei disoccupati.
La disciplina transitoria è destinata ai lavoratori già impegnati da oltre 12 mesi, alla data del 31/12/1997, in progetti di lavori socialmente utili: questi lavoratori continuano ad essere inseriti nelle liste di mobilità, in presenza di eventuali assunzioni viene stabilita una riserva del 30% dei posti da ricoprire attraverso gli stessi Enti pubblici che hanno gestito i progetti. Nel caso in cui ai lavoratori manchino meno di 5 anni al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento può essere richiesto un contributo a fondo perduto pari alla metà dell'onere relativo al perseguimento volontario della contribuzione; un contributo a fondo perduto nel caso venga presentato un progetto di lavoro autonomo e infine la concessione di un contributo aggiuntivo a quelli già vigenti al datore di lavoro che assuma i lavoratori precedentemente coinvolti in progetti.
Le norme finali del decreto prevedono l'abrogazione di tutte le disposizioni in contrasto con esso ed hanno valore per le Regioni e per le Province autonome di Trento e Bolzano.
L'impianto del decreto è coerente con le indicazioni della norma di delega, anche se successivamente alla sua emanazione sono rimaste aperte alcune questioni quali l'inadeguatezza delle risorse finanziarie disponibili in riferimento alla gravità delle emergenze occupazionali nei diversi territori; manca una soluzione per la copertura contributiva e previdenziale ai fini dell'accesso alla pensione; manca, altresì, il riconoscimento al lavoratore impegnato nei progetti a tempo pieno dell'integrazione per le assenze giornaliere dovute a ferie, festività, malattia, mancato riconoscimento motivato dalla non costituzione del rapporto di lavoro.
Con la successiva entrata in vigore del decreto legislativo n.469/1997, che prevede il passaggio delle funzioni e dei compiti relativi al mercato del lavoro alle Regioni e agli Enti locali, l'intera materia relativa ai lavori socialmente utili viene decentrata a livello locale.
Nasce, inoltre, da una direttiva del Presidente del Consiglio, Italia Lavoro cui vengono assegnati compiti relativi all'orientamento ed alla formazione professionale, alla progettazione e gestione di progetti di lavori socialmente utili finalizzati a stabili occasioni di impiego e con particolare riferimento alle società miste, alle cooperative sociali, ai servizi alla persona, alle attività ''non profit'', al lavoro interinale e ad ogni forma di intervento che abbia come obiettivo la promozione dell'occupazione.
Successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n.468/1997 viene avviata una fase di trasformazione dei lavori socialmente utili in lavori di pubblica utilità; durante questa fase particolare attenzione viene concentrata sulla questione dell'uscita dei soggetti impegnati nei progetti, utilizzando a questo riguardo le norme fissate nell'art. 12 del decreto n.468/1997. Tali norme dettano una speciale disciplina diretta a favorire la ricollocazione lavorativa ovvero il raggiungimento dei trattamenti pensionistici dei lavoratori da più tempo impegnati nei lavori socialmente utili. Gli interventi previsti sono stati successivamente definiti con il decreto interministeriale 21 maggio 1998, con il quale sono state individuate particolari forme di incentivazione alla ricollocazione lavorativa e sono state precisate le modalità di attuazione delle misure relative all'accesso ai pensionamenti anticipati.
Il decreto legislativo 28 febbraio 2000 n.81 viene emanato in base alla delega contenuta nell'art. 45 della legge 17 maggio 1999 n.144 e, in conformità ai criteri di delega, modifica ed integra la normativa contenuta nel decreto legislativo n.468/1997.
Il decentramento istituzionale in materia di mercato e di politiche del lavoro, in precedenza, ha attribuito la competenza in materia di lavori socialmente utili alle Regioni (art. 1, secondo comma, lett.f), decreto legislativo n.469/1997) determinando la necessità di un adeguamento dell'istituto dei lavori socialmente utili.
La pubblicazione di questo decreto segna definitivamente la fine dell'esperienza normativa che ha trasformato i lavori socialmente utili da strumento di sperimentazione avanzata in uno strumento assistenziale per il grande numero di disoccupati che hanno poche possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro. Ma con questo provvedimento dovrebbe aprirsi un'ulteriore esperienza diretta alla gestione delle alternative da offrire ai lavoratori coinvolti dal provvedimento.
La normativa contenuta nel decreto n.81/2000 dovrebbe essere finalizzata a trovare, nell'arco di 12 mesi, un'attività lavorativa vera e propria per tutti quei lavoratori che hanno partecipato ai progetti di lavori socialmente utili e che hanno nutrito speranze di regolarizzazione.
I lavoratori interessati da questo provvedimento sono quelli coinvolti nei progetti finanziati al 100% dal Fondo nazionale per l'occupazione e che hanno effettivamente maturato 12 mesi di attività nel biennio '98/'99; questi progetti non avranno più proroghe. In ogni caso è previsto che se le Amministrazioni pubbliche e gli Enti promotori vogliono continuare ad utilizzare i lavoratori socialmente utili devono farsene carico per il 50%: i lavoratori possono continuare la loro attività per un altro anno, però per 6 mesi l'intero ammontare dell'indennità di lire 850.000 che spetta loro è a carico del Fondo nazionale per l'occupazione, per i rimanenti 6 mesi il 50% della stessa cifra deve essere erogato direttamente dall'ente utilizzatore (fermo restando, naturalmente, il contributo del Fondo).
Una novità importante di questo decreto riguarda la ripartizione delle risorse per il finanziamento dei progetti: fino all'emanazione del decreto n.81/2000 il Fondo per l'occupazione trasferiva alle Regioni le somme per finanziare i vari progetti, con la nuova normativa le Regioni possono direttamente trattenere le risorse economiche necessarie.
E' prevista una serie di incentivi, confermando in parte quanto disposto dalla precedente normativa: ai datori di lavoro pubblici e privati è riconosciuto un contributo di 18 milioni di lire per ogni assunzione di lavoratori coinvolti in lavori socialmente utili a tempo pieno ed indeterminato. La medesima somma può essere erogata a coloro che intendono costituire una cooperativa, invece l'assunzione a tempo parziale, inferiore a 30 ore settimanali, è incentivata con un contributo proporzionalmente ridotto alle ore effettivamente lavorate.
Il datore di lavoro che intenda assumere a tempo indeterminato può usufruire di un periodo di formazione, non superiore a 6 mesi, ato dal Fondo nazionale per l'occupazione, senza che questo però implichi l'instaurazione di un rapporto di lavoro; alle aziende è riconosciuta la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato. Nel momento in cui le imprese decidono di assumere a tempo indeterminato ricevono l'incentivo di 18 milioni di lire; però, se il rapporto di lavoro non viene trasformato, il lavoratore rientra nella categoria dei "riservatari": se rifiuta un'occupazione a tempo determinato superiore a tre mesi, lo stesso lavoratore decade da ogni diritto.
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