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RICOSTRUZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI LAVORI SOCIALMENTE UTILI
Nel nostro Paese, nonostante la previsione legislativa, esistente fin dal 1981, dell'utilizzo dei cassaintegrati in lavori di utilità collettiva, i lavori socialmente utili hanno incominciato a conoscere un'apprezzabile applicazione pratica solo da pochi anni, soprattutto in seguito alle norme di legge che, da un lato, hanno reso più severa la disciplina della Cassa integrazione guadagni ed introdotto l'istituto della mobilità del personale in esubero delle imprese e, dall'altro, hanno attribuito ai cassaintegrati ed ai disoccupati impiegati in lavori socialmente utili il diritto ad una specifica integrazione economica.
Essi sono nati inizialmente come formula d'impiego per i lavoratori in Cassa integrazione straordinaria e in mobilità attraverso la partecipazione ad iniziative di pubblica utilità limitate nel tempo.
L'utilizzo di questo strumento per il reinserimento nel mercato del lavoro è stato poi esteso anche ai giovani inoccupati ed ai disoccupati di lunga durata, compresi, quindi, i lavoratori che non percepiscono più l'indennità di mobilità.
E' possibile rilevare una tendenza dei lavori socialmente utili ad evolversi da strumento di razionalizzazione della spesa pubblica destinata al sostegno del reddito dei cassaintegrati o dei lavoratori in mobilità a strumento che si rende disponibile ai disoccupati di lunga durata o ai giovani in attesa di primo impiego per ottenere un trattamento economico a fronte dello svolgimento di utilità sociale[1].
L'erogazione delle forme di sostegno al reddito dei disoccupati è condizionata allo svolgimento di lavori che perseguano finalità socialmente rilevanti, per rendere produttiva la spesa previdenziale ed indirizzarla a soggetti che ne hanno effettivamente bisogno.
Non appare possibile procedere ad un'analitica ed organica ricostruzione giuridica di tale istituto perché esso si è manifestato attraverso l'applicazione di diversi modelli operativi adeguati ai vari contesti economico-politico-sociali nonché al momento storico della loro attuazione.
Tuttavia è possibile descrivere il panorama normativo di tale materia procedendo ad una ricostruzione tipologica dei rapporti di lavoro socialmente utile nella loro attuale conurazione giuridica cercando, altresì, di prospettare i possibili sviluppi per il futuro dell'istituto, in particolare nell'ambito dei progetti di creazione di nuovi bacini d'impiego.
Il primo nucleo normativo è temporalmente collocabile tra la legge n.390/1981 e la riforma attuata in materia di lavori socialmente utili nel 1993/1994.
Con la legge 24 luglio 1981 n. 390 l'ordinamento giuridico pare voglia compiere un serio tentativo volto a finalizzare positivamente l'istituto della Cassa integrazione guadagni, declassato da strumento d'intervento previdenziale ad efficacia transitoria a sistema assistenziale a sostegno delle maestranze dipendenti da imprese industriali travolte dalla crisi economico-produttiva. Tale legge individua nella Pubblica Amministrazione una via per impiegare i prestatori di lavoro in Cassa integrazione guadagni per l'esecuzione di opere e servizi di pubblica utilità e per la durata strettamente legata all'utilizzo dell'intervento previdenziale.[2]
L'art. 1 bis della legge 24 luglio 1981 n.390, di conversione del decreto legge 28 maggio 1981 n.244 e concernente ulteriori interventi straordinari di integrazione salariale a favore delle aree del Mezzogiorno, attribuisce alla Commissione regionale per l'impiego (CRI) - organo regionale di programmazione, di direzione e controllo, di politica attiva dell'impiego, le cui funzioni sono cessate dal 20/04/2000 in seguito alla costituzione della Commissione regionale tripartita (CRT) - il potere di disporre <<d'intesa con le Amministrazioni pubbliche interessate>> l'utilizzazione temporanea dei lavoratori che godono del trattamento d'integrazione salariale straordinaria, <<in attività non incompatibili con la loro professionalità, per opere o servizi di pubblica utilità>>.
Condizione per tale utilizzo è l'impossibilità o non necessità, da accertare da parte della Commissione regionale per l'impiego, di <<istituire corsi di qualificazione e di riqualificazione professionale>> per i lavoratori interessati.
Utilizzazione, tra l'altro, che, per esplicita previsione di legge, non prevede l'instaurazione di alcun tipo di rapporto di lavoro con le Amministrazioni pubbliche interessate.
Tale disposizione prevede che ai lavoratori impegnati nei progetti di utilità collettiva venga corrisposto un importo integrativo del trattamento previdenziale, a carico dell'Amministrazione pubblica utilizzatrice, in una somma pari alla differenza tra la retribuzione che sarebbe stata percepita dal lavoratore in costanza del rapporto di lavoro ed il trattamento previdenziale goduto, o comunque non superiore alla retribuzione dei lavoratori che nell'Amministrazione utilizzatrice svolgono pari mansioni.
La norma in esame sancisce che l'eventuale rifiuto del lavoratore comporta la decadenza del diritto al godimento del trattamento di integrazione salariale straordinario, nonché da qualsiasi erogazione a carattere retributivo o previdenziale.
La disposizione contenuta nell'art. 1 bis della legge 24 luglio 1981 n.390, inizialmente prevista per i soli lavoratori in Cassa integrazione guadagni straordinaria delle aree meridionali immessi nelle procedure del collocamento speciale quali eccedenze risultanti a seguito del completamento delle opere pubbliche nelle aree del Mezzogiorno, viene successivamente estesa dall'art. 3 della legge 27 febbraio 1984 n.18 (di conversione del decreto legge n.747/1983) e dall'art. 3, secondo comma, della legge n.143/1985 (di conversione del decreto legge n.23/1985), a tutto il territorio nazionale e nei confronti di tutti i lavoratori che fruiscono del trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria, ciò nell'intento di attenuare il carattere meramente assistenziale che connotava il trattamento di Cassa integrazione guadagni, effettivamente piegato alle funzioni proprie del trattamento di disoccupazione, e per contrastare il fenomeno connesso del lavoro nero da parte dei beneficiari del trattamento previdenziale.
A seguito delle suindicate disposizioni legislative, la Direzione generale per l'impiego, con la Circolare del Ministero del lavoro del 20 luglio 1984 n.87 ha impartito le relative direttive in merito alle procedure ed alle modalità da seguire per la pratica attuazione delle disposizioni contenute nella legge n.18/1984.
In particolare, sono state fornite indicazioni operative alle Commissioni regionali per l'impiego per l'assolvimento dei compiti loro attribuiti dall'art. 1 bis della legge n.390/1981, in riferimento all'accertamento dei requisiti dei progetti di esecuzione di opere o servizi di pubblica utilità, nonché in merito alla predisposizione delle graduatorie dei lavoratori, all'avviamento ed all'eventuale rifiuto.
Con questa Circolare ministeriale viene meglio definita la procedura attuativa di tale normativa limitata ai lavoratori in Cassa integrazione guadagni straordinaria: rilevante è la disposizione che rinvia, per la predisposizione delle graduatorie, all'anzianità di godimento del trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria e, nel caso di pari anzianità, agli altri criteri previsti da leggi vigenti in materia di procedura nell'avviamento al lavoro.
Da menzionare anche la disposizione che attribuisce il diritto di precedenza ai lavoratori che si offrono volontariamente nei progetti di lavori socialmente utili; le Commissioni regionali per l'impiego hanno l'obbligo di cancellare dalla graduatoria i lavoratori che rifiutino l'impiego temporaneo nelle opere o servizi di pubblica utilità.
Prevede, altresì, l'obbligo della denuncia dei lavoratori all'Inail e della corresponsione dei premi di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
Un ulteriore ampliamento della disposizione contenuta nell'art. 1 bis della legge n.390/1981 si ha con l'art. 3, primo e secondo comma, della legge 3 novembre 1987 n.452, di conversione del decreto legge 4 settembre 1987 n.366, il quale prevede la possibilità per la GEPI S.p.a. (Società specializzata nel salvataggio di imprese in difficoltà) e per le società da questa partecipate di utilizzare temporaneamente (secondo le modalità dell'art. 1 bis della legge n.390/1981) in lavori socialmente utili i lavoratori in carico alle società di reimpiego da questa costituite e che godono del trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria.
A sua volta la legge 20 maggio 1988 n.160 (di conversione del decreto legge n.86/1988) all'art. 4, quinto e sesto comma, prevede la possibilità di impiego in lavori socialmente utili di lavoratori che, senza soluzione di continuità, transitano dal trattamento straordinario di integrazione salariale al trattamento speciale di disoccupazione.
Può essere considerata rilevante, in riferimento a tale normativa, la modifica introdotta dalla legge 28 febbraio 1986 n.41 (<<Legge finanziaria>> del 1986), il cui art.8 ha modificato il secondo comma dell'art. 1 bis della legge n.390/1981.
Tale modifica riconosce ai cassaintegrati impiegati in opere o servizi di pubblica utilità il diritto a percepire, da parte delle Amministrazioni pubbliche interessate, <<una somma pari alla differenza tra la somma corrisposta dall'Inps a titolo di integrazione salariale e il salario o stipendio che sarebbe stato percepito in costanza del rapporto di lavoro e, comunque, non superiore a quello dei lavoratori che nell'Amministrazione pubblica interessata svolgono pari mansioni>>.
La suddetta disposizione normativa, però, mira all'incentivazione del lavoro nel rispetto della logica del workfare, che è quella del lavoro socialmente utile in cambio del sussidio, e, quindi, senza pretese da parte del lavoratore di ottenere qualcosa oltre il sussidio medesimo.
La legge del 1986, infatti, mira più ad una logica di parità di trattamento che di incentivazione al lavoro, visto che la norma in esame mira a garantire ai cassaintegrati utilizzati nelle opere o servizi di pubblica utilità una remunerazione pari, almeno tendenzialmente, alla retribuzione percepita in attività.
Un altro provvedimento, attraverso il quale viene realizzata un'esperienza socialmente utile e che nel corso degli anni Ottanta è riuscito ad ottenere un certo rilievo, è la legge 11 marzo 1988 n.67, che rappresenta un ulteriore strumento di protezione sociale a favore di lavoratori giovani disoccupati nelle aree del Mezzogiorno.
L'art. 23 di tale legge prevede la creazione di occasioni di lavoro consistenti nello svolgimento di attività di utilità collettiva attraverso l'impiego a tempo parziale di giovani di età compresa fra i 18 e i 22 anni, privi di occupazione, beneficiari dell'indennità di disoccupazione ed iscritti nelle liste di collocamento.
L'impiego di tali lavoratori in attività di utilità collettiva non implica l'instaurazione, lo si ribadisce anche in questo caso, di un rapporto di lavoro subordinato; inoltre dal punto di vista economico l'indennità corrisposta per l'attività effettivamente prestata, sostituisce l'indennità di disoccupazione.
Si tratta, in questo caso, di provvedimenti rivolti a promuovere l'occupazione e, in particolare, rivolti a favorire l'accesso della manodopera giovanile nel mercato del lavoro; in effetti, i giovani destinatari di questo provvedimento, in seguito all'applicazione della relativa normativa, inizialmente sono stati impegnati in un impiego temporaneo, poi sono stati utilizzati, sempre in posizione di precariato, per più di sei anni.
Il Decreto ministeriale 18 maggio 1988 n.259 fissa i criteri e le modalità per l'individuazione dei soggetti interessati e per la presentazione e per l'approvazione dei progetti di esecuzione di lavori socialmente utili da parte delle Amministrazioni ed Enti pubblici.
Nello stesso decreto sono, altresì, ribaditi il carattere temporaneo di tale utilizzazione e la mancanza dell'instaurazione di un rapporto di lavoro con le Amministrazioni pubbliche interessate, nonché i compiti delle Commissioni regionali per l'impiego riguardo alla valutazione della compatibilità delle attività da svolgere, con la qualifica posseduta dal lavoratore, la procedura di avviamento, la comunicazione del rifiuto del lavoratore alla frequenza dei corsi ed allo svolgimento dell'attività e le relative conseguenze.
Detta le norme di attuazione degli artt. 3 e 4 della legge n.452/1987, che prevede l'applicazione della normativa sui lavori socialmente utili ai cassaintegrati GEPI. Stabilisce, inoltre, che l'anzianità di godimento del trattamento di integrazione salariale non sia più il criterio cardine, ma solo uno dei criteri, insieme al carico familiare ed alla situazione economica, dei quali la Commissione regionale per l'impiego deve tener conto nella formazione delle graduatorie.
Comunque, sia in riferimento ai progetti di lavori socialmente utili previsti nella forma dei cantieri lavoro nella legge n.264/1949 a favore dei lavoratori disoccupati, sia in riferimento ai progetti di lavori socialmente utili previsti agli inizi degli anni Ottanta con il coinvolgimento di lavoratori beneficiari di trattamenti previdenziali, tali lavori sono stati utilizzati come una sorta di giustificazione sociale dei trattamenti di sostegno al reddito corrisposti a soggetti privi di un'occupazione.
Con l'entrata in vigore della legge 23 luglio 1991 n.223 l'istituto dei lavori socialmente utili viene ulteriormente valorizzato in quanto tale legge, oltre a ribadire l'impiego in lavori socialmente utili dei lavoratori che godono del trattamento di integrazione salariale (art.15), prevede, all'art. 6, quarto comma, che le Commissioni regionali per l'impiego possano disporre l'utilizzazione temporanea in opere o servizi di pubblica utilità dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, su richiesta delle Amministrazioni pubbliche.
I lavoratori iscritti nelle liste di mobilità sono, ai sensi della legge 223/1991, i lavoratori cassaintegrati collocati in mobilità dalle imprese che, nel corso di attuazione del programma di ristrutturazione e riorganizzazione sulla base del quale è stato concesso il trattamento straordinario di integrazione salariale, ritengano di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative (art. 4 legge n.223/1991); si tratta anche dei lavoratori licenziati per riduzione di personale, ai sensi dell'art. 24, dalle <<imprese che occupino più di 15 dipendenti>>.
La legge n.223/1991 è, infatti, un intervento attraverso il quale il legislatore mira a regolamentare l'intera materia delle eccedenze di personale allo scopo di fare trasparenza sul mercato del lavoro e di restituire alle imprese certe sue responsabilità; essa ha, tra l'altro, stabilito la durata temporale massima del ricorso, da parte delle aziende, alla Cassa integrazione guadagni straordinaria ed ha istituito le liste di mobilità per i lavoratori già sospesi che non possono più essere riassorbiti dalla propria azienda.
L'utilizzo di tali lavoratori, volontario o disposto d'ufficio dalla Commissione regionale per l'impiego, non comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro con le Amministrazioni che hanno predisposto i progetti; queste ultime hanno l'onere di comunicare il rifiuto all'Inps, con la conseguente decadenza dal trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria o dell'indennità di mobilità.
La legge n.223/1991 prevede, all'art. 9, primo comma, lett.c), la cancellazione dalla lista di mobilità del lavoratore che rifiuti l'impiego in opere o servizi di pubblica utilità, analogamente a quanto previsto dall'art. 1 bis, quarto comma, della legge n.390/1981 in riferimento ai cassaintegrati.
Per quanto riguarda l'ambito applicativo di tale sanzione, si può rilevare che un'offerta di lavoro temporaneo deve essere accettata solo in mancanza di un'occasione lavorativa a tempo pieno e indeterminato.
Ciò a conferma della ratio della legge, che tende a privilegiare per il lavoratore iscritto nella lista di mobilità un reimpiego stabile rispetto ad un'occupazione transitoria. Pertanto, nel concorso delle due offerte di lavoro, il lavoratore è tenuto ad accettare la proposta di lavoro a tempo indeterminato, pena la sua cancellazione dalla lista.
Per calcolare l'importo a carico delle Amministrazioni, che si avvalgono della prestazione dei lavoratori iscritti nella lista di mobilità ed impiegati in lavori socialmente utili, si fa riferimento all'indennità di mobilità percepita da costoro, secondo la disposizione contenuta nell'art. 7 della legge n.223/1991, piuttosto che al trattamento di integrazione salariale.
Tale normativa, dunque, risulta applicabile a tutti i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, anche se non titolari del diritto all'indennità di mobilità; tale indennità, infatti, non spetta, secondo l'art. 16, primo comma, della legge 223/1991 ai lavoratori licenziati dalle imprese estranee al campo di applicazione della Cassa integrazione guadagni straordinaria, né a quelli con anzianità aziendale inferiore ad un anno, anche se comunque tali lavoratori vengono ricompresi nella lista di mobilità.
Inoltre, tale normativa riconosce ai lavoratori impiegati in lavori socialmente utili un importo pari alla differenza tra la retribuzione spettante e l'indennità di mobilità goduta.
Viene in rilievo, a questo punto, una carenza legislativa derivante dal fatto che la normativa contenuta nella legge n.223/1991 viene applicata indistintamente a due fattispecie che si sovrappongono e che, invece, devono essere tenute distinte: i lavori socialmente utili svolti da soggetti che usufruiscono di prestazioni previdenziali; i lavori socialmente utili svolti da soggetti privi di queste prestazioni.
Questa lacuna legislativa viene colmata dalla riforma avviata nel 1993/1994.
Tale quadro normativo viene poi ulteriormente integrato con le disposizioni contenute in alcuni interventi legislativi, attraverso i quali si mira ad incentivare l'impiego dei cassaintegrati e dei lavoratori in mobilità in lavori socialmente utili.
I poteri delle Commissioni regionali per l'impiego vengono notevolmente ampliati in materia, soprattutto sulla base delle disposizioni contenute nella legge n.56/1987 e nella legge n.223/1991; in virtù di tali poteri, l'art. 25, quinto comma, lett.c), della legge n.223/1991 attribuisce alle Commissioni regionali per l'impiego il potere di ricomprendere, tra quei lavoratori che hanno il diritto alla riserva del 12% delle assunzioni da parte dei datori di lavoro privati che abbiano più di 10 dipendenti (soglia elevata a 15 dipendenti dall'art. 2, quarto comma, del decreto legge n.31/1995), ulteriori categorie di lavoratori rispetto a quelle previste dall'art. 25, quinto comma, lett.a) e b) che fa riferimento alle c.d. fasce deboli: lavoratori iscritti da più di due anni nella prima classe delle liste di collocamento e che risultino non iscritti da almeno tre anni negli elenchi ed albi degli esercenti attività commerciali, degli artigiani e dei coltivatori diretti e agli albi dei liberi professionisti, nonché le categorie di lavoratori determinate, anche per specifiche aree territoriali, mediante delibera della Commissione regionale per l'impiego, approvata dal Ministero del lavoro.
S. BRUNO, 'Tra Stato e mercato: ricerca di spazi per iniziative socialmente utili', in Ec. e Lav., 1983, 129
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