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WTO E L'ANDAMENTO DEL COMMERCIO MONDIALE - I principi su cui si basano tutti gli accordi WTO

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WTO E L'ANDAMENTO DEL COMMERCIO MONDIALE


1) WTO (WORLD TRADE ORGANITATION


1.1) Scheda descrittiva.


Il WTO, sigla tradotta in italiano come OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), è l'unica organizzazione internazionale che si occupa delle regole del commercio fra nazioni ed è probabilmente l'unica vera istituzione di governo mondiale. Si fonda essenzialmente su accordi, su negoziati, finalizzati al mantenimento, da parte dei governi, delle loro politiche commerciali entro limiti concordati.



Il WTO è nato il 1 gennaio del 1995 dall'Uruguay Round, ha sede a Ginevra e ad esso partecipano 134 Stati.

Gli accordi WTO coprono beni, servizi e proprietà intellettuali e cercano di attuare una liberalizzazione del commercio, inducendo i singoli Paesi ad abbassare tariffe e barriere commerciali, a mantenere aperti i mercati dei servizi, ed a prescrivere trattamenti speciali per i Paesi in via di sviluppo (PVS). I tre accordi pilastro su cui si fonda l'organizzazione sono il GATT, il GATS ed il TRIPs, a cui si aggiungono accordi extra che si riferiscono ad alcuni settori specifici.

Per i beni, gli accordi si riferiscono al settore agricolo, a quello tessile, a quello degli investimenti, nonché ai metodi di valutazione, alle ispezioni navali pre-imbarco, alle regole sull'origine dei prodotti, sulle licenze d'importazione e sull'anti-dumping. Per i servizi, gli accordi si riferiscono al movimento di persone, al trasporto aereo, alla navigazione, alle telecomunicazioni, ed ai servizi finanziari.  


1.2) I principi su cui si basano tutti gli accordi WTO.


Tutti gli accordi si fondano su una visione dello sviluppo e del mercato ben precisa. Il sistema commerciale immaginato e perseguito dal WTO si può definire schematicamente in questo modo:

Senza discriminazione- ogni paese non deve fare discriminazione fra partners commerciali, in quanto sono tutti egualmente garantiti dalla clausola MFN (most-favoured-nation), secondo cui ciascun Stato membro tratta gli altri come se fossero il miglior partner.

Libero- tramite l'abbassamento delle barriere attraverso i negoziati. Per barriere si intendono le tasse doganali, e le misure restrittive come il divieto di importazione o quote restrittive della quantità di prodotto importabile.

Seconda pietra miliare del concetto di libero mercato è il National Treatment (clausola del "trattamento nazionale"), che si traduce nel trattare prodotti stranieri e prodotti nazionali allo stesso modo; e ciò vale anche per i servizi, i marchi, copyrights e brevetti.

Senza imprevisti- le comnie straniere, gli investitori ed i governi devono sapere che le barriere commerciali non possono esser stabilite arbitrariamente ed ogni accordo da essi ratificato li lega ad una serie di impegni.

Più competitivo- vengono scoraggiate politiche non eque come quelle che incentivano le esportazioni e la vendita dei prodotti sotto costo, per aumentare le quote di mercato. Obiettivo: creare un sistema di regole per un'equa competizione.

Maggiore flessibilità e disponibilità nei confronti dei PVS- si accordano ai Paesi in via di sviluppo tempi più lunghi per adeguarsi ai vari accordi.


1.3) L'attività del WTO.


Il compito principale dell'Organizzazione, è quello di stendere gli accordi basilari che regolano gli scambi e la politica commerciale, al fine di ridurre il protezionismo e liberalizzare il più possibile gli scambi internazionali. La via perseguita è quella degli accordi multilaterali, mentre in ambito GATT potevano sussistere anche accordi plurilaterali (che interessano molti, ma non tutti gli Stati). Di fatto il WTO non può esser considerato una semplice estensione del GATT; al contrario sostituisce il suo predecessore e si presenta con caratteristiche molto diverse: ha uno scopo più ampio in termini di attività e politiche commerciali, perché copre anche l'interscambio di servizi e la proprietà intellettuale. Inoltre non è un insieme di regole, come il GATT, ma si presenta come un'istituzione permanente.

Il sistema da esso instaurato accetta l'esistenza di tariffe doganali, ma le limita e ne disciplina l'impiego; inoltre cerca di garantire un ambiente in cui la concorrenza non sia distorta, ed i rapporti commerciali siano inspirati a criteri di equità.

Per quanto riguarda i PVS, che costituiscono più dei 3/4 dei Paesi WTO, la strategia è quella di farli crescere e progredire, conducendoli gradualmente al rispetto pieno degli impegni internazionali. Rimane in vigore il "Sistema delle preferenze generalizzate", ossia la possibilità che un paese sviluppato accordi condizioni agevolate di accesso al mercato ad un paese in via di sviluppo.


2) IL PRIMO RAPPORTO DEL WTO.


2.1) Il commercio mondiale nel biennio 97-98.


Il primo rapporto dell'Organizzazione Mondiale del Commercio relativo agli sviluppi commerciali degli ultimi anni e le prospettive future, fornisce una serie di notizie chiare ed indiscutibili sulla debolezza del commercio mondiale, consecutiva alla crisi economica del sud-est asiatico.

Gli indici maggiormente indicativi del trend economico mondiale sono rappresentati dalle importazioni ed esportazioni dei prodotti primari e dei servizi. Se analizziamo la crescita delle esportazioni mondiali, in termini di volume, notiamo una flessione preoccupante, dal 10% nel 1997, al 3.5% del 1998. Anche la crescita produttiva si è ridotta dell'1%, tanto che il divario tra la crescita produttiva e quella commerciale ha registrato il minimo storico, rispetto al margine degli anni '90.

Ma quali sono le ragioni?

Uno dei fattori di rallentamento è rappresentato dalla contrazione commerciale asiatica, a cui si aggiunge un marcato rallentamento nell'espansione delle esportazioni globali. Le esportazioni di merci hanno registrato una caduta in termini di valore monetario del 2%. Ciò ha determinato una riduzione del prezzo dei beni, sia primari derivati del petrolio (ridottasi del 20% in base media annua) che primari non petroliferi (del 15%).

Per i manufatti, invece, la riduzione del prezzo è stata meno influente (Tav.1).

Tavola 1

Esportazioni mondiali di merci e di servizi commerciali nel biennio 1996-l998

(in bilioni di dollari e percentuali)





Value

Annual


Change







Merchandise







Commercial Services









Di conseguenza il PIL mondiale si è ridotto dell'1% tra il 1997 ed il 1998. La riduzione della crescita commerciale è stata sperimentata da tutte le maggiori regioni; e la riduzione del prezzo del greggio del 30% e dei prodotti da esso ricavati del 20%, sembra confermare tale quadro.

Le regioni esportatrici di petrolio hanno registrato i maggiori ribassi nelle esportazioni, mentre le regioni che hanno maggiormente risentito della crisi asiatica, hanno registrato i maggiori ribassi nelle importazioni. Normale conseguenza di tale andamento, è che i Paesi importatori di carburante hanno registrato un aumento del proprio reddito reale. Denominatore comune è però che la riduzione delle importazioni è stata minore della riduzione registrata dalle esportazioni. Il commercio mondiale dei semilavorati e dei prodotti finiti continua a crescere debolmente, mentre si riduce progressivamente la vendita dei prodotti primari e delle tre principali categorie di servizi (tav.2).




Tav. 2 

La crescita nel volume del commercio mondiale di merci per regione nel periodo 1990-98


Exports


Imports

Media





Media








World








North America









Latin America









Western Europe









EU








PVS








Asia







-l.5

Japan








Six East Asian traders*




-l6.0


2.2) La situazione delle singole regioni.


a) Stati Uniti. 

L'economia statunitense ha registrato un'accelerazione nel consumo privato ed una crescita degli investimenti continua. Il PIL è cresciuto del 4% nel 1997. La crescita statunitense ha influito considerevolmente sulla situazione economica dei Paesi membri del NAFTA. L'importazione di merci è cresciuta del 10.5%, mentre le esportazioni hanno subito una notevole inflessione, a causa della riduzione del prezzo dei beni  e del volume scambiato. In crescita anche le importazioni di servizi commerciali rispetto alle esportazioni.


b) America Latina.

Contrariamente agli straordinari livelli registrati nel 1997, la crescita commerciale ed il PIL hanno subito un brusco rallentamento nel 1998. Hanno contribuito a tali risultati la riduzione del prezzo dei beni, un rallentamento nel flusso di capitale privato ed un mercato di esportazione più debole.

Le importazioni di merci in termine di volume, invece, sono maggiori delle esportazioni in larga misura. Queste ultime si sono ridotte del 2%. Il maggior tracollo è stato sperimentato dall'Ecuador e dal Venezuela, i due maggiori esportatori di greggio, che hanno risentito, entrambi, di perdite superiori al 20%.


c) Europa Occidentale.

Si registra una forte crescita della domanda a fronte di un'economia globale molto debole, in cui il tasso di crescita delle importazioni eccede quello delle esportazioni. Le importazioni di merci aumentano del 5% in termini di valore e quelle dei servizi commerciali del 4%. Di contro le esportazioni di servizi commerciali sono aumentate del 3%.


d) Medio Oriente.

Quest'area registra la maggiore contrazione delle esportazioni in termine di valore, tra tutti i Paesi, essendo la regione con maggiori esportazioni di greggio. La riduzione si attesta intorno ad 1/5. Anche le importazioni hanno raggiunto livelli particolarmente bassi, i più bassi negli ultimi tempi, attestandosi intorno al 6% nel 1998.


e) Asia.

Ha registrato la più forte contrazione nelle importazioni in termine di volume negli ultimi anni, in misura pari all'8.5%, sulla scorta della contrazione nelle importazioni in Giappone (del 5.5%). Fanno eccezione in questa area soltanto l'Australia, la Cina e l'India. In termini di valore, si è registrato un declino senza precedenti, del 17.5% in Asia e del 17% in Giappone. Uniche eccezioni l'India e lo Sri Lanka. In generale l'andamento del commercio di buona parte dei Paesi asiatici si è ridotto dell'ultimo quarto nel 1998, parzialmente dovuto al rafforzamento dello yen e di altre divise asiatiche.


Tav. 3

La crescita del commercio mondiale di merci in termini di valore per regione.


(bilioni di dollari e percentuale)


Exports ( f.o.b.)


Imports ( c.i.f.)

Value

Annual percentage change


Value

Annual percentage change

















World





-l.0





-l.0

North America











Latin America











Mexico











Other Latin America











Western Europa




-l.5







EU










-l.0

PVS










Central Europe










-l6.0

Africa


-l.0


-l.5





-l5.0

South Africa



-l.5


-l1.0






Middle East











Asia





-l7.5






Japan




-l7.0






China




-l.5






Six East

Asian Traders*







* I sei Paesi asiatici a cui facciamo riferimento nelle tav. 2 e 3, sono Taipei, Hong Kong, la Malesia, la Repubblica di Korea, Singapore e la Tailandia.


Cerchiamo di analizzare adesso le ragioni determinanti la contrazione delle importazioni nei Paesi asiatici.

Uno dei fattore a cui possiamo ricondurre tale andamento è la circolazione del capitale privato. Il flusso di capitale privato si è allontanato progressivamente dai mercati emergenti e dai Paesi in via di sviluppo, e ciò ha determinato l'abbassamento dei tassi di interesse in Nord America ed in Europa Occidentale. Sono aumentati anche gli investimenti stranieri sia sotto forma di FDI (investimenti diretti), che sotto forma di investimenti di portafoglio.

Proprio questi maggiori investimenti possono esser associati ad un incremento delle importazioni di beni capitale.

Un secondo fattore è rappresentato dal drop subito dagli investimenti domestici e dai minori livelli di consumo domestici.

Il mutamento di rotta nei flussi di capitale  nel '97-98, ha indotto molte economie dell'Est Asiatico a tagliere drasticamente le proprie importazioni. Il declino ha raggiunto livelli preoccupanti, oscillando tra il 26 ed il 35%. Non a caso si registrano ribassi del 35% in Korea, del 33% in Tailandia, del 34% in Indonesia, e del 26% in Malesia. E di non molto si è differenziata la situazione in Cina, a Singapore e ad Hong Kong.

La situazione non è molto diversa se si considerano le esportazioni.

Nonostante le svalutazioni monetarie che alimentano la concorrenza, la riduzione nelle esportazioni è stata più forte delle attese, tanto che le esportazioni combinate dei Paesi asiatici verso i maggiori mercati sviluppati  hanno subito una contrazione. E ciò ha interessato più le esportazioni di servizi commerciali che di merci, che decrescono più delle importazioni.

La riduzione nelle esportazioni di servizi commerciali sotto l'impatto della caduta del prezzo del carburante e la crisi finanziaria, ha interessato anche la Federazione Russa, il più grande esportatore di servizi commerciali, attestandosi intorno al 7%.

In Medio-Oriente ed in Africa il declino del prezzo dei beni primari è stato notevole, le esportazioni di greggio si sono ridotte di 1/4, e quelle globali del 16%, nonostante il moderato incremento del PIL africano, dovuto alla ripresa della produzione agricola. I dati disponibili nei servizi commerciali rivelano anch'essi un decremento nelle esportazioni, più veloce di quello nelle importazioni. I Paesi petroliferi, invece, hanno registrato un calo delle esportazioni oscillante tra 1/4 e più di 1/3.

In generale si è registrato un miglioramento nella posizione di Canada, Messico e di alcuni Paesi europei, tra cui Irlanda, Ungheria e Polonia, ed un peggioramento nelle posizioni di Asia e Russia.

In fin dei conti gli Stati Uniti hanno consolidato la propria posizione di leader mondiale, raggiungendo una quota di mercato globale pari a 4/6 nelle importazioni di merci e servizi, ed a 1/8 nelle importazioni di servizi ed esportazioni di merci.


Tav. 4

Le esportazioni di merci nei mercati emergenti per categorie di prodotto nel 1997

(in termini percentuali)



Carburanti

Metalli e minerali

Prodotti

Agricoli

Manufatti

Totale

Medio Oriente





Africa





America Latina*






Paesi asiatici emergenti**






Mondo






*escluso il Messico.

**escluso il Giappone, l'Australia e la Nuova Zelanda


Dalla tabella rileviamo che il Medio-Oriente, la regione che detiene la maggiore quota di esportazione di greggio, ha registrato la più forte contrazione in termini di valore tra tutte le regioni, pari al 73%, che rappresenta un tracollo di 1/5. Questo può essere spiegato alla luce del minor valore in dollari delle esportazioni, associato ad un incremento delle stesse in termine di volume. Un incremento nell'offerta di petrolio da parte di questa regione in un periodo di domanda fiacca ha contribuito a erodere il prezzo del petrolio. L'Asia ha registrato la più forte contrazione in termine di volume  e di valore delle importazioni, rispetto a tutte le altre regioni.

Parallelamente le esportazioni di manufatti costituiscono la quota maggiore di esportazioni sia in Asia che in America Latina, mentre in Africa il prodotto trainante è rappresentato ancora dal carburante, anche se è in ripresa il settore manifatturiero, come confermato dalle stime mondiali (i manufatti sono il 78% delle esportazioni globali).


2.3) Le ripercussioni della caduta dei prezzi dei beni primari.


Nel 1998 si è registrato un decremento nel prezzo di molti beni primari. Il prezzo dei beni derivati dal petrolio si è ridotto di un ammontare oscillante tra il 15 ed il 30%. Per i beni primari non ottenuti dal petrolio, le prime riduzioni sono state registrate nella prima metà del 1998, e si sono poi moderate nella seconda metà, con il risultato che il declino alla fine dell'anno è risultato inferiore della media annua dello stesso anno (circa del 10%). Questo declino ha influenzato i redditi da esportazione del Medio Oriente e dell'Africa. Tale situazione non è migliorata nel 1999, anzi il prezzo del petrolio nei primi tre mesi dell'anno ha raggiunto il più basso livello, a seguito della comunicazione da parte dei Paesi produttori di tagli di produzione.

Rimane da vedere se questo trend continuerà; una cosa è certa: se da una parte questi andamenti condurranno ad aggiustamenti in ribasso nelle importazioni dei Paesi esportatori di petrolio nel 1999, dall'altra si registreranno dei guadagni reddituali per i Paesi importatori di petrolio, che compenserà almeno parzialmente questa atrofizzazione del commercio mondiale.

Lo stesso scenario si prospetta anche per i prodotti agricoli, anche se meno drammatico; due sono le ragioni: la riduzione di prezzo dei prodotti agricoli è minore rispetto al decremento subito dai derivati del petrolio, e gli esportatori dipendono di meno dal singolo bene, rispetto agli esportatori di petrolio.  


2.4) Le prospettive del commercio mondiale per il 1999.


La deficienza del commercio mondiale e della crescita produttiva non ha invertito il proprio corso nel 1998. Il PIL del Giappone continua a ridursi e molti Paesi dell'Europa Occidentale registrano un indebolimento del loro trend economico. Solo l'economia statunitense continua a registrare delle accelerazioni. Inoltre la lenta crescita del PIL in Brasile e la contrazione dell'economia russa influenzeranno negativamente i Paesi vicini, con cui intrattengono rapporti economici.

Nel 1999 poi, la riduzione di prezzo dei beni primari derivati del petrolio avrà il maggior impatto sugli investimenti e sui consumi. I rallentamenti nella crescita produttiva globale continueranno anche nel 1999, e ciò comporterà una moderata espansione commerciale con valori non distanti da quelli registrati nel 1998, del 3.5%.

Anche se una moderata crescita produttiva negli Stati Uniti ed in Europa Occidentale, più marcata rispetto alle attese ed una ripresa economica in Asia, più ritardata rispetto alle previsioni della maggior parte degli osservatori, potrebbero addirittura far registrare una crescita del commercio mondiale addirittura superiore al 3.5%.

Il più alto tasso di crescita tra i Paesi industrializzati previsto, dovrebbe essere quello registrato dagli Stati Uniti, a patto che i consumatori non correggano i propri tassi di risparmio, storicamente bassi, e che la produzione di mercato non influenzi troppo la disponibilità degli investitori e dei consumatori.


3) AGGIORNAMENTI.


3.1) Il fallimento del Millenium Round.


A Seattle (Stati Uniti), in novembre ha avuto luogo il terzo meeting ministeriale dei Paesi aderenti al WTO, per discutere dei nuovi obiettivi da raggiungere nell'ambito della liberalizzazione del commercio. Ma commercio libero e liberalizzazione degli investimenti non vanno a beneficio della maggioranza della popolazione del globo. Per risolvere i problemi dell'umanità si dovrebbe migliorare la distribuzione delle risorse, ridurre i consumi nei paesi occidentali, combattere il problema della fame che colpisce ancora una parte troppo vasta della popolazione mondiale, e proteggere l'ambiente.

Ma il Millenium Round, a cui tutti i Governi affidavano le proprie speranze e l'affermazione dei propri interessi economici, si è tradotto in un fiasco di proporzioni etarie. I Governi più prudenti tacciono o minimizzano sul fallimento degli avvii del negoziato; i più acrimoniosi si accusano a vicenda.

Ma cosa è andato storto e perché la globalizzazione ha trovato, di colpo, tanti avversari?

In primo luogo, il negoziato si è allontanato progressivamente dagli obiettivi che si era proposto come la riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie su un insieme di prodotti; l'apertura al libero commercio di qualche settore di servizi; e la riduzione del protezionismo agricolo europeo; per diventare un groviglio politico-diplomatico. I Paesi ricchi hanno tentato di imporre condizioni sull'ambiente e sul lavoro minorile, creando un irrigidimento nella posizione dei Paesi poveri, che vedevano questi proponimenti come forme di protezionismo ed aggravi indebiti di costo a loro danno.

In secondo luogo, l'UE, sotto l'egida della Francia, ha aperto la questione della sicurezza alimentare, generando l'irrigidimento degli USA.

Il mancato varo a Seattle del Millenium Round ha portato allo scoperto l'inadeguatezza delle strutture del WTO e l'inopportunità della scelta dei tempi nel lancio del negoziato, in concomitanza con la fase di carburazione della camna presidenziale americana. Non a caso il commissario europeo al commercio, Lamy, ha evidenziato l'esigenza di riformare i meccanismi di funzionamento dell'Organizzazione. I dossier che hanno fatto fallire il negoziato riguardano:

Investimenti- l'UE chiedeva la liberalizzazione degli investimenti esteri diretti, al contrario dei PVS che temevano di perderne il controllo, e degli USA, fautori di politiche di embargo.

Standard lavorativi- gli Stati Uniti proponevano la fissazione di requisiti minimi per eque condizioni di lavoro, contrari i Paesi più poveri timorosi che l'adozione di tale proposta potesse bloccare l'accesso ai mercati occidentali dei loro prodotti a basso costo.

Biotecnologie- La richiesta statunitense di liberalizzazione è stata criticata sia dall'UE, che voleva riservarsi la possibilità di respingere i prodotti manipolati geneticamente, sia dal Terzo Mondo, che temeva una crisi della propria agricoltura con la diffusione dei ritrovati biotecnologici.

Sovvenzioni alle esportazioni agricole- gli Stati Uniti ed i PVS volevano abolirle per consentire alle proprie merci di essere ancora più competitive sui mercati internazionali. L'UE si è opposta, condividendo solo una parziale e graduale riduzione.

Tempi di attuazione delle intese precedenti- I Paesi emergenti hanno chiesto deroghe o aiuti in materia, contro la posizione americana. Più flessibile l'UE.

Ma il fallimento di Seattle crea i presupposti per nuovi passi indietro, specialmente sul versante dell'ingresso della Cina nell'organizzazione. E questo per il fatto che, non solo la Cina rappresenta con il suo miliardo di abitanti, un ostacolo difficile da superare, ma anche per i numerosi problemi che dovrebbe affrontare in materia di competitività ( giudicata sleale dai sindacati), e che la accomunano ai PVS. Salari da schavitù, condizioni ambientali disastrose e prevenzioni ecologiche inesistenti, sono solo alcuni esempi.

Forse la contestazione si proponeva di bloccare proprio l'ingresso della Cina, a favore del neoprotezionismo e a danno dell'amministrazione Clinton, prima attrice nella stipulazione dell'accordo con la leadership di Pechino. E di fatto la contestazione americana coordinata da Mike Dolan, aveva tutti gli interessi nel fare dell'ingresso della Cina nel WTO, una battaglia politica.


3.2) Il Rapporto WTO per il 1999.


Proprio mentre si stava preparando il negoziato di Seattle, l'Organizzazione mondiale del commercio ha lanciato un monito a proseguire sulla strada della liberalizzazione e dell'apertura. E lo ha fatto dati alla mano, presentando le conclusioni del rapporto annuale sull'interscambio mondiale. All'indomani della crisi asiatica, il buon senso dei Governi e le disposizioni WTO hanno contribuito a mantenere aperti i mercati e a rafforzare il sistema multilaterale fondato sulle regole.

Il 1998 è stato caratterizzato, come abbiamo visto, dalla crisi che ha colpito i Paesi emergenti, che ha evidenziato la riduzione nelle importazioni in Asia; la flessione della quota di partecipazione al commercio mondiale dei PVS; e la crescita delle esportazioni globali in termini di volume si è arenata intorno al 4%, dopo il balzo record del 10.5% nel '97. In calo anche tutti i settori primari, con flessioni che oscillano dal 5% degli alimentari a circa il 25% dei combustibili. Con questa premessa, non si può sperare in una crescita superiore al 4%, almeno per quest'anno. Ma proseguire sulla via dell'apertura sul fronte sia economico che commerciale, ha favorito una rapida ripresa: il primo semestre dell'anno ha fatto registrare un rimbalzo superiore alle attese, sia per le importazioni asiatiche sia per la crescita economica statunitense. Se questo trend sarà confermato, anche nella seconda metà dell'anno, si potrà avere una crescita commerciale del 6-7% nel 2000, anche se tutto dipenderà dagli sviluppi congiunturali in USA, Europa e Giappone. Ma vediamo le stime per regione:

Nord America- Le importazioni hanno registrato una crescita del 10.5% nel 1998, più che doppia rispetto alla media globale, ed un rallentamento delle esportazioni pari al 3.5%. Gli Stati Uniti continuano a giocare un ruolo determinante, con una partecipazione all'interscambio mondiale pari a più del 10% nel primo semestre.

America Latina- E' stata registrata una forte contrazione, dovuta alla flessione di prezzo delle materie prime e del calo di domanda in Asia. Unica eccezione è il Messico, trainato dalla continua espansione statunitense. Le importazioni sono cresciute del 14%, e le esportazioni del 6.5%.  

Europa occidentale- Le esportazioni sono cresciute del 5% sull'onda del commercio intra-regionale e degli ordini verso gli Stati Uniti, grazie all'aumento delle vendite nel settore automobilistico. Le forniture in Asia e Russia hanno registrato flessioni a doppia cifra. Le importazioni sono cresciute del 7.5%. Bisogna osservare attentamente la situazione europea, perché da questa dipenderà l'andamento del commercio nel 2000.

Est europeo- Il crollo della Russia ha trascinato l'intera area ex-comunista, annullando la forte espansione degli altri Paesi dell'area, favoriti dalla integrazione economica con l'Europa occidentale.

Asia- La recessione giapponese e la crisi asiatica si sono tradotti in una flessione del 20% delle importazioni. Le esportazioni hanno registrato una contrazione, anche se minore, del 6%, perché bilanciata dalla domanda americana ed europea. Le maggiori perdite sono state segnalate dal settore tessile (-l1%), e da quello dell'information technology. I primi sei mesi del '99 hanno registrato un'inversione di tendenza, con una ripresa del 5% annuo delle importazioni nel secondo trimestre, e del 10% nel terzo.

Medio Oriente e Africa- La debolezza delle quotazioni delle materie prime ha colpito duramente queste aree. La forte caduta del greggio ha provocato un taglio di oltre 1/5 dei proventi da esportazioni per il Medio Oriente ed una flessione del 5% nelle importazioni. In Africa, oltre al calo delle esportazioni sudafricane del 9%, i maggiori esportatori di prodotti petroliferi hanno registrato una contrazione del 31%. Ma il rimbalzo del greggio promette di invertire la situazione.




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