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L'effetto foto elettrico fu scoperto prima da Herz nel 1887 e soltanto nel 1900 il fisico tedesco Philipp Lenard (1862-l947) ne riprese gli studi e per le sue scoperte in questo campo vinse il premio Nobel per la fisica.
L'apparato sperimentato da Leonard è formato da: un fascio di luce monocromatica, di frequenza sufficientemente alta,che incide su di una superficie metallica all'interno di un tubo a vuoto, ed estrae da essa elettroni,che si dicono fotoelettroni. Se la differenza di potenziale V tra la superficie metallica E e un collettore C (posto anch'esso all'interno del tubo a vuoto e collegato ad un circuito)è positiva ed abbastanza grande, i fotoelettroni diventano corrente e raggiungono un valore costante di saturazione. Quando V è negativa, il flusso di fotoelettroni non si ferma, ma si stabilizza ad un valore di potenziale Vo (o potenziale d'arresto) che non dipende dall'intensità della luce incidente.Questo valore Vo moltiplicato per la carica elementare e, misura l'energia cinetica massima Kmax degli elettroni emessi:
Kmax=eVo
Ciò dimostra che Vo dipende solo dalla differenza di potenziale tra E e C. Inoltre, l'energia cinetica massima, cresce proporzionalmente alla frequenza della radiazione che ne provoca l'emissione, mentre non dipende dall'intensità.
Osservando poi, i valori delle lunghezze d'onda al variare del potenziale, ci si rese conto che per il valore Vo ne esisteva una ben precisa. Calcolando la frequenza a questa determinata lunghezza d'onda si ottiene la frequenza di soglia; cioè se la luce incidente ha un valore inferiore a questa frequenza limite, non vengono emessi fotoelettroni; semplicemente non avviene l'effetto fotoelettrico.
Proprio a questo punto la fisica classica entra in crisi, poiché, secondo la teoria ondulatoria della luce l'effetto fotoelettrico dovrebbe avvenire per qualsiasi frequenza d'onda questa (luce incidente) possieda, purché la sua intensità sia abbastanza grande.Inoltre la teoria classica non spiega l'esistenza di una frequenza di soglia, né perché l'energia cinetica massima cresce con la frequenza della luce incidente, né come onde elettromagnetiche di bassa intensità possano concentrare su un solo elettrone l'energia necessaria per estrarlo dal metallo. A dare una spiegazione ci ha pensato il fisico Albert Einstein.
In conclusione
Una sostanza mostra un effetto fotoelettrico solo se la radiazione incidente ha una frequenza superiore alla frequenza di soglia.
La corrente fotoelettrica è proporzionale all'intensità della luce incidente.
L'emissione di fotoelettroni è istantanea.
LA TEORIA DI EINSTEIN SULL'EFFETTO FOTOELETTRICO:
L'interpretazione
dell'effetto fotoelettrico, fu il lavoro che fece assegnare ad Albert Einstein,
nel 1921, il premio Nobel per la fisica. La proposta di Einstein era
rivoluzionaria e andava contro i principi della fisica classica: infatti egli
sosteneva che l'energia luminosa non è distribuita in modo
uniforme su tutto il fronte dell'onda che avanza, ma è concentrata in
pacchetti separati. Queste quantità sono ben definite e proporzionali
alla frequenza f dell'onda. Il fattore di proporzionalità
è una costante, indicata con h, e nota come costante di
ck. Secondo questo modello quindi l'energia di un fascio di luce di
frequenza f si compone di quantità discrete ciascuna di valore hf.
L'intensità di ogni singola unità elementare è chiamata quanto
e rappresenta la più piccola quantità di energia luminosa
della frequenza data (In seguito un quanto di energia fu chiamato
fotone).
Nell'ipotesi di Einstein l'assorbimento dell'energia da parte dell'elettrone
è inteso come 'per quanti indivisibili' ed analizzando l'azione
di ogni singolo fotone si accorse che questo agisce divellendo da un atomo un
solo elettrone.Poiché ogni singolo processo è uguale all'altro,
tutti gli elettroni divelti devono necessariamente avere la stessa energia. Di
conseguenza aumentando l'intensità della luce, aumenterà il
numero di fotoni e direttamente anche quello degli elettroni estratti dalla
lastra, ma l'energia di ognuno di essi sarà uguale.In altre parole:
detta Eo l'energia necessaria per estrarre un elettrone da un
atomo, ed E=hf quella di un fotone, si ha:
hf>Eo o hf=Eo
da cui si ha
f>Eo/h o f=Eo/h
dove f rappresenta la frequenza minima o di soglia, al di sotto della quale l'effetto fotoelettrico non può avvenire.
Infine, si giunse alla conclusione che un elettrone, al quale viene fornita energia cinetica all'interno del materiale in cui si trova, avrà perso una parte di questa energia quando raggiunge la superficie. Quindi ogni elettrone deve compiere un lavoro L per abbandonare il materiale. Agli elettroni emessi dagli strati superficiali e perpendicolari alla superficie di emissione corrisponderanno le velocità più alte e l'energia cinetica massima di tali elettroni è:
Kmax= hf-L
Si avrà così che:
L'energia cinetica è maggiore di zero solo se hf>0, quindi un elettrone può essere emesso solo quando la frequenza della luce incidente è maggiore di un certo valore f0, detto frequenza di soglia, per il quale hf0=L.
L'intensità della luce è proporzionale al numero di fotoni contenuti nel fascio luminoso, e il numero dei fotoelettroni è proporzionale al numero dei fotoni incidenti. Quindi il numero degli elettroni emessi è proporzionale all'intensità della luce.
L'energia luminosa, è concentrata in quanti.
L'equazione
di Einstein prevede che più elevata è la frequenza della luce
incidente, tanto maggiore è l'energia massima degli elettroni emessi.
L'energia minima per liberare un elettrone è quella che serve
all'elettrone stesso per uscire dalla superficie metallica, e ciò spiega
perché con una frequenza minore ad un valore f0 non si può
liberare alcun elettrone.
L'energia cinetica massima è quindi la differenza tra l'energia del fotone assorbito e quella che l'elettrone perde per uscire dal metallo.
La
teoria dei quanti era già stata introdotta cinque anni prima dal fisico
Max ck, che calcolò la costante h, cercando una
relazione tra l'energia irradiata da un corpo caldo e la frequenza della
radiazione emessa. La fisica classica non spiegava i fatti sperimentali. ck
trovò che potevano essere interpretati solo supponendo che gli atomi
varino la loro energia in modo discontinuo secondo quantità discrete. La
teoria di Einstein fu in realtà un' estensione e un' applicazione della
teoria quantistica di ck. Questi postulò che l'energia emessa
dall'atomo in un salto quantico si presenti sotto forma di fotoni ben
localizzati invece che distribuita in modo continuo in un'onda luminosa.
L'effetto fotoelettrico mise i fisici di fronte ad un nuovo problema: secondo
la teoria classica la luce è costituita da onde elettromagnetiche che si
proano in modo continuo nello spazio. Questa teoria spiegava i fenomeni di
rifrazione, riflessione, polarizzazione e interferenza, ma non l'effetto
fotoelettrico, che veniva spiegato dalla teoria di Einstein con l'ipotesi
dell'esistenza di quantità discrete di energia.
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