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costantinopoli
costantinopoli, la "nuova roma"
L'inabile situazione geografica fece occupare, nell'età della colonizzazione greca, la punta di terra rocciosa che si protende fra il Mar di Marmara e il Bosforo. Dalla primitiva colonia si sviluppò la città greca di Bisanzio. Incorporata nello stato romano, fu punita con degradazione amministrativa e distruzioni da Settimio Severo nella lotta contro il rivale Pescennio Nigro (assedio dal 194 al 196). Ma, per l'importanza della sua situazione, lo stesso Settimio Severo fece poi ricostruire le mura e dotò la città di una via porticata monumentale, di un grande ippodromo, di un teatro e di terme.
Questa città parteggiò, nella lotta per il potere imperiale, a favore del soccombente, Licinio, contro Costantino, e ancora una volta fu punita, nel 324, dal vincitore, che fece iniziare lo smantellamento delle mura. Ma Costantino decise di farne la nuova capitale dell'impero, più prossima alla frontiera orientale, la nuova Roma, lontana dalle ingerenze politiche dell'aristocrazia senatoria. Mentre subito dopo la resa di Bisanzio molti cittadini in posizione eminente erano stati esiliati, ora Costantino emise un decreto che obbligava ogni proprietario di terre della diocesi asiatica e pontica a possedere una casa residenziale nella città, che aveva preso il nome di Costantinopoli. Nel 330 essa fu inaugurata come capitale, dopo che erano state costruite nuove mura di una cinta più ampia, e la città era stata abbellita di monumenti. Molte statue furono portate, per ornamento della nuova capitale, da altre città, tra cui Atene e Roma stessa.
La nuova capitale fu divisa, come Roma, in 14 regioni. Il fatto che di queste regioni cinque erano comprese nella città severiana e altre cinque fra questa e le nuove mura, dà un'indicazione sulla portata dell'ampliamento del tessuto urbano. Delle rimanenti quattro, due erano suburbane, una era al di là del Corno d'Oro, dove si era sviluppato un quartiere sino dall'età greca, e l'ultima costituiva una piccola comunità a sé, con propria amministrazione, attorno a una chiesa e ad un secondo palazzo imperiale.
Le feste inaugurali di Costantinopoli durarono quaranta giorni e la città apparve modellata su Roma: con un Campidoglio, una sede del Senato, un Foro, impiantato al difuori della cerchia di mura severiane e unito al palazzo imperiale prolungando la via porticata. Ma il Foro differiva dagli impianti romani essendo di forma circolare, derivata dall'impianto circolare delle antiche città iraniche. Una colonna di porfido, che, danneggiata dal fuoco e racchiusa dentro un'armatura, esiste per gran parte, segna il luogo attorno al quale si apriva la piazza circolare. Sulla colonna stava una statua in bronzo che rafurava Costantino in aspetto di Apollo con in mano il globo, sul quale c'era la croce cristiana.
Della città di Costantino e dei suoi successori non rimane quasi nulla: viene a mancare un elemento fondamentale per seguire la formazione di uno stile nuovo nelle opere d'arte che dovettero prodursi attorno alla corte imperiale.
Nei grandi lavori intrapresi sotto Costantino per dare un assetto monumentale alla nuova capitale, si dovettero costituire maestranze numerose guidate da architetti, scultori e pittori, scelti fra le forze attive che avevano già dato prova di sé nelle officine artistiche dell'Asia Minore e della Siria. La matrice di uno sviluppo artistico costantinopolitano giace in quegli anni. Anche successivamente si conservò a Costantinopoli un certo eclettismo, conseguente al convivere di elementi di varia provenienza e tradizione. Ma un momento importante fu anche quello di Teodosio, quando si ebbe un ulteriore impulso urbanistico e monumentale.
Il grande Foro
La città ricevette una nuova impronta dal grande Foro, detto Forum Tauri, che fu impiantato sulla linea dell'arteria stradale porticata, oltre il Foro di Costantino.
Monumento principale del nuovo Foro fu una colonna istoriata, sul tipo di quelle di Traiano e di Marco Aurelio a Roma, eretta tra il 386 e il 393. Della colonna rimangono solo frammenti, dai quali è tuttavia possibile vedere che il rilievo non aveva i forti chiaroscuri della colonna di Marco Aurelio, ma un disegno nitido, preciso e privo di sensibilità, che si vale della ripetizione di atteggiamenti paralleli per raggiungere un certo ritmo compositivo.
L'obelisco di Teodosio
Nell'intento di emulare i monumenti di Roma, Teodosio eresse nella spina dell'ippodromo un obelisco, che l'imperatore Giuliano aveva fatto venire dall'Egitto. L'obelisco fu posto sopra una base e questa fu decorata di sculture: sono queste le uniche che conservano una documentazione dell'arte di questo tempo. L'erezione dell'obelisco avvenne nel 390, e l'iscrizione greca e latina dice che avvenne sotto la prefettura di Proclo.
Una linea di sviluppo unisce i rilievi costantiniani dell'arco romano a questi rilievi della base dell'obelisco; ma non si tratta di una linea diretta. La posizione frontale dei personaggi imperiali e l'affollarsi simmetrico delle ure circostanti è un principio compositivo che viene adottato sia nei rilievi dell'arco (oratio e liberalitas), sia sulla base. Ma la forma plastica è diversa, popolare a Roma, aristocratica a Costantinopoli. Per questo aspetto, i precedenti sono da vedersi nelle ure di Vittorie sugli zoccoli delle colonne dell'arco. Ma è stata osservata anche una diversità di stile sulla stessa base dell'obelisco. Sono all'opera due mani diverse, che si avvertono nello schema unitario della composizione: una tendenza a interrompere con elementi narrativi la composizione si riconosce sui due lati sud-est e sud-ovest, mentre sugli altri due lati, nord-est e nord-ovest, lo schema di composizione rappresentativa è realizzato con estrema coerenza e, per non intaccare la chiarezza, si aboliscono ure intermedie.
Sembra possibile avanzare l'opinione che lo stile raggiunto dal primo artista della base dell'obelisco abbia avuto la sua radice nel classicismo costantiniano, sviluppatosi come arte aulica nella nuova capitale, alla quale si volle dare un aspetto di nobiltà e di raffinatezza. In questo ambiente, durante due generazioni, debbono aver operato artisti delle scuole di scultura esistenti in Asia Minore. Tipico di esse era un attaccamento alla tradizione ellenistica per quanto riguarda la correttezza e l'eleganza della forma. Vengono abbandonate le esuberanze barocche della scuola di Efeso del tardo II secolo; vengono assunte, nel corso del III secolo, le nuove concezioni di rapporto tra ure e spazio che portano ad isolare ed appiattire le immagini ed a caricarle di contenuti simbolici; viene attuata la prevalenza della 'rappresentazione' sulla 'narrazione" (frontalità delle ure principali, proporzioni gerarchiche, prospettiva ribaltata). Fra il primo scultore e il secondo la differenza non è né di qualità né d'arte: nel secondo troviamo soltanto una più rigorosa applicazione dei principi di fondo che sono già nell'arte del primo, e il conseguente abbandono di ogni tradizione naturalistica.
Le statue onorarie
Una serie di statue onorarie di consoli, di alti magistrati, databili all'età di Teodosio e di Arcadio, contribuiscono a precisare i contorni di questa produzione artistica. Sono per la massima parte acefale; ma in compenso abbiamo i ritratti degli imperatori di questo tempo. Queste statue onorarie non presentano impostazioni stilistiche diverse; differiscono soltanto per la più o meno rigorosa applicazione degli stessi principi formali o la maggiore finezza di esecuzione. Questi principi si possono riassumere in un'impostazione frontale della ura, sottolineata dall'accentuato verticalismo delle pieghe principali del panneggio e dalla loro linearità. Quest'ultimo carattere si manifesta anche nelle pieghe ad andamento obliquo con l'incisività degli spigoli e nel parallelismo delle pieghe nel panneggio a festone della toga.
Il missorium di Teodosio
Questi caratteri si ritrovano nel grande piatto d'argento (missorium), conservato all'Accademia di Madrid, nel quale vediamo l'imperatore Teodosio I con alla sua destra Valentiniano II, che reggeva parte dell'Occidente sotto la sua protezione, e il proprio lio, Arcadio, che sarà il successore per l'Oriente, quando, dopo la morte dell'imperatore (395), l'impero sarà diviso. Il piatto proviene da Almendraleja, in Sna, e sarà stato donato dall'imperatore, snolo d'origine, a qualche alto dignitario dello stesso paese, in occasione del proprio decennale di regno, nel 388. Questo piatto non era certamente unico e la fornitura per questi donativi in occasione del giubileo deve esser stata affidata alle officine degli argentieri della capitale, Costantinopoli.
Vi è una stretta affinità tra il panneggio di queste ure e le statue onorarie, ma anche l'iconografia dei militi della guardia sul piatto ricorda quella dei gi di stirpe gotica dal viso ovale e dalle lunghe chiome sui rilievi della base dell'obelisco. Queste ure richiamano immagini di angeli dell'arte bizantina e sino alla fine del Medioevo occidentale.
Nel missorium di Teodosio abbiamo un documento di poco anteriore al rilievo della base dell'obelisco, e il panneggio delle ure è meno rigoroso che nelle statue onorarie.
Rafurazioni ispirate all'ellenismo, come la personificazione della Terra, si ripeteranno sulle argenterie costantinopolitane sino al VII secolo, come documentano i numerosi pezzi recanti sul metallo marchi della tesoreria imperiale anteriori alla loro fabbricazione. Questi elementi di tradizione iconografica ellenistica, ritagliati e collocati su fondi non oggettivati, servono come elementi ornamentali o simbolici nella parte orientale dell'impero; ma rappresentano solo un contorno alle creazioni contemporanee, concepite in un gusto diverso. Questa possibilità di convivenza di forme nuove e di repertorio ornamentale e simbolico antico, palesa il carattere intellettualistico di quest'arte di corte, che troverà il suo sviluppo nei grandi monumenti dell'impero e della Chiesa e negli oggetti di carattere prezioso riservati ad una ristretta cerchia aristocratica.
La statua di Valentiniano II ed il colosso di Barletta
La statua in abito consolare con il ritratto attribuito a Valentiniano II, proveniente dalle terme di Afrodisia, e la testa di Arcadio proveniente dalla regione del Foro di Costantinopoli, hanno l'impronta dello stesso stile, comune all'arte ufficiale delle province orientali. Il rigore lineare che non lascia nulla all'improvvisazione, l'etichetta dell''immagine di rappresentazione' si attenuano, tuttavia, nel ritratto al difuori della cerchia dell'imperatore. La statua di Valentiniano II ha ancora un panneggio non del tutto rigoroso nel suo linearismo pre-bizantino (la datazione può essere del 387 o del 390). Invece la statua di un magistrato, della stessa provenienza, ha un panneggio più rigoroso, di alta qualità nella sua consequenzialità stilistica, e dovrà essere datata agli inizi del V secolo; ma la testa presenta un ritratto più vivo e personale che non quello dei sovrani. La capigliatura profondamente lavorata al trapano per farne una massa chiaroscurata ma immobile, la faccia trattata a larghe masse espressive ma ferme, e l'indicazione di una barba non rasata, inducono ad avvicinare la testa di questa statua a quella del colosso di Barletta.
Si tratta dei resti di una statua in bronzo, alta oltre cinque metri, che, asportata dai Veneziani nel secolo XII da una città del Levante, fu abbandonata in seguito a un naufragio. È un'immagine imperiale, ma la sua identificazione rimane incerta. Lo stile è quello dei ritratti di magistrati di Afrodisia, con appena una maggiore fissità.
Un ritratto del Museo di Vienna ci porta ad Efeso, che continua ad essere un centro vivo di problematica artistica. Questo ritratto, trovato nel teatro, non può essere appartenuto ad alcuna delle statue acefale. Esso mostra uno stile che ha progredito ancora nella ricerca di una caratterizzazione che rimanga subordinata ad una concezione d'insieme decorativa, entro la quale le forme singole, caratterizzanti la fisionomia, assumono il valore di forme ornamentali. Le linee degli occhi, delle sopracciglia, le pieghe della fronte e della bocca vogliono definire caratteristiche personali; ma finiscono per costituire una specie di disegno ornamentale con precise rispondenze sui due lati del volto. La datazione alla metà del V secolo appare giustificata per questa testa e per quella di Barletta.
Il rilievo di una Vittoria, noto fin dal secolo XVII nella regione del Serraglio, dove un tempo era il Grande Palazzo imperiale, sembrerebbe adatta ad una decorazione all'interno di un edificio. È probabile che la Vittoria porgesse con la destra una corona. Possiamo considerarla un punto di arrivo nello svolgimento dell'arte della fine dell'antichità, prendendo come punto di partenza le Vittorie sugli zoccoli dell'arco di Costantino a Roma. Tutti gli elementi che nell'arco costantiniano erano accennati, si trovano giunti a chiarezza, ad una logica interna sorretta da una coscienza stilistica che ha acquisito la piena padronanza della sua espressione. Ogni residuo di improvvisazione naturalistica è sso; e siamo lontani dalle nudità delle Vittorie dell'arco di Leptis.
Il Foro di Arcadio
Proseguendo nell'opera paterna di abbellimento della città, Arcadio aveva costruito un Foro, simile a quello di Teodosio e ornato di una colonna coclide istoriata. Il parallelo con Roma veniva ad essere completato, ma si volle che le colonne costantinopolitane fossero più alte di quelle di Traiano e di Marco Aurelio. Questa colonna fu innalzata nel 402-403; la statua dell'imperatore, in cima, fu posta dopo la sua morte, nel 421. La colonna, di ventuno blocchi di marmo, posava sopra un'alta base, che rimane in situ, calcinata dagli incendi, con parte della prima spirale del rilievo. Il fusto della colonna fu abbattuto nel 1717 e già appare lesionato nei disegni che ne abbiamo. Questi disegni, insieme alle descrizioni che si hanno di questo monumento, consentono di avere un'idea abbastanza delle sue rafurazioni, ma soltanto qualche indizio per quanto riguarda lo stile dei rilievi.
Particolare importanza era data alla grande base, dove i rilievi si allineavano su quattro registri sui tre lati urati, mentre il lato nord era occupato dalla porta attraverso la quale si accedeva alla scala interna. Le due colonne gemelle, di Teodosio e di Arcadio, vengono celebrate nei documenti contemporanei come 'meraviglie' per la loro praticabilità all'interno e per la visione che se ne poteva avere sulla città. Su ognuno de lati urati appariva la croce o il monogramma cristiano e nelle rafurazioni sul fusto della colonna era reso evidente l'intervento divino con la presenza di angeli. I rilievi delle basi avevano un carattere rappresentativo e trionfale: ma l'intento trionfale prevale su quello narrativo. Tuttavia si nota una particolare frequenza d elementi paesistici, in continuità con motivi ellenistici.
Testimonianze di pittura su codici
Questa continuità di motivi ellenistici è possibile documentarla anche attraverso i ricordi che di composizioni pittoriche ci rimangono in fonti scritte e in miniature. Descrizioni di pitture del IV secolo si trovano in scritti attribuiti a Libanio, con soggetti di carattere rustico ed illustrazioni di episodi dell'Iliade. Procopio di Gaza descrive pitture di un edificio pubblico degli inizi del VI secolo con soggetti mitologici e illustrazioni dell'Iliade. Circa la pittura del III e IV secolo si può ricavare testimonianza dalle miniature di un codice dell'Iliade conservate nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Una parte di queste miniature riproducono composizioni più antiche, ma una parte sono un prodotto degli inizi del VI secolo. Queste composizioni, raffrontate con quelle derivanti da modelli del III secolo e con quanto possiamo intravedere dei rilievi delle colonne di Teodosio e di Arcadio, confermano la progressiva tendenza a schematizzare le composizioni, a dare a tutte le ure un tipo uniforme, a perdere la sostanza corporea dei volumi e delle strutture. A partire dagli inizi del VI secolo, ogni vigore del naturalismo ellenistico è sso dai prodotti dell'arte contemporanea.
Nel manoscritto della Genesi conservato a Vienna, databile entro il primo ventennio del VI secolo, le miniature mostrano, attraverso mani diverse, uno stile che può dirsi bizantino, anche se vi si trovano motivi ornamentali o paesaggistici di derivazione ancora ellenistica. Ma accanto a queste miniature, prodotto dell'arte contemporanea, vi sono tre miniature iniziali di carattere meno illustrativo e tra queste la terza, meglio conservata, con la rappresentazione del Diluvio, è costruita secondo un'arte permeata di spazialità ellenistica e di pateticità espressiva. Questo carattere si è conservato anche attraverso le successive trasposizioni, da un originale pittorico di grande formato all'illustrazione del codice. La posizione obliqua e prospettica dell'arca, il vortice nel quale le ure immerse nelle onde sono trasportate, la loro varietà di atteggiamenti e la loro drammaticità, tutto questo ci porta in un ambiente diverso dalla forma tardo-antica di Roma e delle province occidentali, ma anche da quello delle pitture di carattere civile romano e religioso giudaico di un centro periferico come Dura Europos. Dobbiamo indicare l'ambiente siriaco-anatolico-costantinopolitano come quello nel quale, fra la seconda metà del III e la seconda metà del IV secolo, si effettua il passaggio dalla forma artistica dell'antichità a quella del mondo bizantino.
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