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A Se Stesso - Giacomo Leopardi
Parafrasi e Analisi del Testo
Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.
Parafrasi:
Ora riposerai per sempre, mio cuore affaticato.
L'ultima illusione, che io credetti eterna, è morta. Perì. Mi
rendo perfettamente conto che in me, di queste care illusioni, si è
spenta non solo la speranza, ma anche il desiderio. Riposa per sempre. Hai
palpitato fin troppo. Nulla è degno delle tue emozioni, né la terra
è degna dei tuoi sospiri. La vita consiste solo in dolore e noia,
null'altro; e il mondo è fango. Trova pace. Perdi definitivamente ogni
speranza. All'umanità il fato non ha donato altro che morte. Ormai
disprezza te stesso, la natura, il potere malvagio che, nascosto, governa ogni
cosa a danno di tutti e l'infinita vanità di ogni cosa.
Analisi del testo:
Il componimento, scritto da Giacomo Leopardi nel 1835,
chiude il ciclo dei "Canti di Aspasia", ispirati dalla passione amorosa per
Fanny Targioni Tozzetti, rivelatasi infine una delusione. La poesia segna il
distacco definitivo dalla fase giovanile delle illusioni: come traspare dal
verso 5, anche il desiderio dei "cari inganni" è definitivamente
tramontato. e quindi l'atteggiamento eroico e sprezzante del poeta, che
esprime il proprio disprezzo verso qualsiasi cosa: se stesso, la natura e la
forza malefica del fato che, nascosto, domina l'universo avendo come fine
ultimo il male di tutti. Tale tensione eroica si riflette sullo stile: la
poesia ha infatti una struttura metrica molto rigorosa. Può essere
suddivisa in tre membri di cinque versi ciascuno, con lo stesso schema metrico
(vv. 1-5, 6-l0, 11-l5): un settenario posto in apertura, due endecasillabi, di
nuovo un settenario e infine un endecasillabo posto in chiusura. Il verso
finale è escluso da tale schematizzazione e costituisce quasi una
precisazione a sé stante, una "summa" del pensiero pessimistico leopardiano.
Ciascuna delle tre parti si apre poi con la ripetizione, quasi ossessiva, dello
stesso motivo: "Or poserai per sempre", "Posa per sempre", "T'acquieta ormai".
Questa struttura così rigorosa e rigida presenta, però, una
notevole agitazione al suo interno. Si sussegue infatti una lunga serie di
proposizioni brevissime (a volte composte da una sola parola, come
"Perì" al verso 3), senza alcun legame sintattico fra di loro, né di
coordinazione né di subordinazione. Di conseguenza, l'intero componimento
è percorso da una lunga serie di pause marcate dall'abbondante
punteggiatura e il ritmo risulta essere lento, franto e spezzato. La spezzatura
del ritmo è poi accentuata dai numerosi enjambements, anch'essi
decisamente duri e forti. Si nota pertanto la presenza di proposizioni secche e
concise con le quali il poeta esprime le conclusioni pessimistiche e
drammatiche a cui è giunto e tale negatività è evidenziata
dal ritmo cadenzato, lento e spezzato che Leopardi ha conferito alla lirica. Il
lessico del componimento è arido e spoglio. L'aggettivazione è
infatti molto scarsa: spiccano in assoluto, ai vv. 2-3, "estremo" e "eterno",
opposti fra loro per significato e messi in evidenza dalla fine del verso e
l'inizio del successivo. Il discorso perciò, data la scarsità
degli aggettivi, consta principalmente di verbi e sostantivi, con prevalenza di
questi ultimi. Per questo motivo vi è una netta contrapposizione con il
lessico usato da Leopardi ne "L'infinito": qui il poeta ricorre ad una
più ricca aggettivazione, servendosi di aggettivi che richiamano l'idea
del vago e indefinito alla base delle teorie (teoria della visione e del suono)
e del "bello poetico" leopardiani. Sul livello retorico si nota la presenza di
allitterazioni al verso 2 (stanco
mio cor), vv. 2-3 (estremo - eterno), verso 5 (che . speme . desiderio . spento),
diverse inversioni come ai vv.3-5. Tali ure retoriche influiscono
sull'andamento della lirica, rafforzando il ritmo cadenzato e scandito dalla
punteggiatura. L'intero componimento può essere considerato come il
capolinea dell'intensa riflessione leopardiana, una sorta di bilancio
esistenziale. "A se stesso" è dunque il culmine del pessimismo
leopardiano, il quale non trova conforto neppure nelle tanto care illusioni, ma
soltanto nell'unico e ultimo dono fatto dal Fato all'intera umanità: la
morte.
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