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Attilio (Roberto Benigni) è un docente universitario di letteratura, un poeta un po' stravagante, innamorato perdutamente di Vittoria (Nicoletta Braschi), scrittrice, che però non gli dà alcuna speranza. I due si incontrano alla presentazione di un libro del poeta iracheno Fuad (Jean Reno), vecchio amico di Attilio, che sta per tornare a Baghdad per essere vicino ai suoi connazionali nei terribili momenti che vedono avvicinare la guerra. Vittoria sta curando la biografia di Fuad e quindi lo raggiungerà a Baghdad per portare avanti il suo lavoro. Una notte Attilio riceve la telefonata di Fuad che gli comunica che Vittoria è stata colpita durante un bombardamento ed è in fin di vita a Baghdad. Quindi parte immediatamente per raggiungerla e, spacciandosi per un medico della Croce Rossa, riesce ad arrivare a Baghdad, fino all'ospedale dove Vittoria è in coma e senza possibilità di uscirne a causa della mancanza di medicine. "La tigre e la neve", allo stesso tempo il titolo del film e il titolo della raccolta di poesie di Attilio, è un ossimoro, un accostamento improbabile, così come la comicità e la sofferenza, come l'amore e la guerra. Improbabile, ma non impossibile, almeno non per la poesia. Infatti il protagonista è poeta, ma è poeta anche Benigni con questo suo film. Un film che esprime la poesia delle piccole cose, che permette di cogliere la vita in uno scenario di guerra, che dà forza all'amore, alla speranza di salvare l'amata. E' la poesia della gioia di vivere, che non si arrende mai e che si contrappone alla tristezza di Fuad, che invece si lascia sopraffare dal non-senso della guerra. E così l'amore di Attilio per Vittoria, che all'inizio popola gli assurdi sogni del poeta sulle note di Tom Waits, da impossibile diventa possibile, diventa vero, reale . Come una tigre sotto la neve. Godibilissimo e divertente per l'insuperabile dinamicità di Benigni, il film non patisce la staticità della Braschi, alla quale possiamo perdonare la recitazione in quanto musa ispiratrice di suo marito; il bravissimo Jean Reno, invece, nel suo personaggio così cupo risulta essere un po' soffocato dalla carica esplosiva del regista-attore protagonista, che forse gli poteva lasciare uno spazio che gli potesse rendere maggiormente giustizia
Quando H.G. Welles nel 1898 scrisse il romanzo di fantascienza "La guerra dei mondi" la tematica dell'invasione aliena e della sfiorata catastrofe umana era indubbiamente nuova ed originale. Nel 1953, poi, il regista Byron Haskin mise su pellicola l'omonimo film, fino ad oggi considerato un pilastro della filmografia del suo genere. Il remake di Steven Spielberg, in questi giorni nelle sale, ha potuto disporre di ben altri mezzi per effetti speciali che lasciano senza fiato. La sua eccezionale bravura nel creare immagini di devastazione e panico generalizzato, che rievocano spesso gli scenari dell'11 settembre, non trova, però, la stessa corrispondenza nella sceneggiatura, che appare, invece, a tratti un po' scontata. Ray Ferrier (Tom Cruise), operaio di New York, è un padre fallito cui vengono affidati i li per qualche giorno dall'ex moglie che deve recarsi a Boston con il nuovo comno. Proprio in quei giorni si verifica l'invasione aliena e il protagonista, nella fuga verso Boston con i due ragazzi, riscopre la propria paternità. Alcuni interessanti spunti, come il conflitto generazionale padre-lio e la diversità di approccio alla minaccia, quello del padre più concreto e disincantato, quello del lio più combattivo e generoso, potevano essere maggiormente curati ed ampliati. Ben riuscita la sensazione di impotenza che il regista voleva dare: "Questa non è una guerra, come non può essere chiamata guerra quella tra un uomo e una manciata di vermi", dirà ad un certo punto Tim Burton. La soluzione, infatti, non sarà data dall'uomo, ma dalla natura, unica reale forza in grado di salvaguardare la specie umana da lei selezionata in migliaia di anni.. Steven Spielberg. Fantascientifico 116'. Tom Cruise, Tim Robbins, Dakota Fanning, Justin Chatwin
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