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D'Annunzio
Durante una missione su Trieste, avvenuta il 16 gennaio 1916 D'Annunzio è ferito all'occhio destro, che rimarrà inutilizzabile. Per mantenere quello sinistro, anch'esso lesionato, il poeta è obbligato a letto per due mesi, al buio, completamente immobile: si farà tagliare delle lunghe striscioline di carta, su dei cartigli, (circa 10.000), che in seguito verranno messi in ordine dalla lia in modo da poter scrivere senza bisogno della vista.
Ecco che nasce il notturno, un lungo racconto della malattia attraverso la memoria della vita precedentemente vissuta, un'opera riflessiva e meditativa, in cui la tensione superomistica del D'Annunzio precedente viene superata.
La solitudine, l'impossibilità di esprimersi e muoversi liberamente, il dolore fisico e mentale, il buio sono il contesto in cui l'opera si sviluppa nella mente dell'autore.
La lunga notte a letto, viene da lui vissuta come il prolungamento infinito della malattia, quasi una morte fisica: in tal modo, D'Annunzio riesce a sviluppare il tema della visione interiore, essenzialmente visione del proprio passato, ovvero visione-memoria: «Chi ha rappresentato i ciechi come veggenti volti verso il futuro? come rivelatori dell'avvenire?».
Il poeta si descrive spesso dormiente in una bara, la sua stanza come la sua tomba, oscura, chiusa, silenziosa, vuota. Oltre alla descrizione della sua malattia, la guerra come causa della morte è il tema principale del libro, oltre alla descrizione della sua malattia: la morte del suo pilota Miraglia o quella dell'amico Gigi Bresciani sono il pretesto per avvicinarsi alla morte stessa. Ed è proprio a questa, alla morte, alla quale il Vate si riferirà più volte con l'invocazione " . Perché due volte m'hai deluso?" indicando due situazioni in cui, piuttosto di ritrovarsi paralizzato in un letto, avrebbe preferito morire, eroicamente, da soldato.
La sua sarà una lunga agonia, durata due mesi, due mesi di paralisi e cecità forzate, più volte indicate come periodo di morte, le quali non impediscono però al Vate di viaggiare e" vedere" non attraverso gli occhi ma attraverso la mente.
Lui, il "cieco veggente" compie un viaggio nei ricordi, in cui è solo l'occhio interiore ad essere in grado di aggregare passato, presente e futuro, vita e morte, realtà e sogno: ora i fatti assumono la valenza e la pregnanza della visione,ora del sogno notturno, ora dell'immaginazione ossessiva.
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