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DIVINA COMMEDIA.
SAN FRANCESCO E SAN DOMENICO (canti XI-XII Paradiso).
I canti XI e XII del Paradiso formano un dittico perfetto; ed è dal loro raffronto che balza subito evidente uno degli aspetti caratteristici della mentalità e del gusto medievali, di cui Dante partecipa: l'amore per le simmetrie e i parallelismi. Ideologicamente entrambi i canti entrano in quel tema più generale che domina una buona parte del Paradiso: l'antitesi fra il passato virtuoso e il presente degenerato, fra l'ordine ideale e il disordine storico.
Analoga è in essi la concezione della personalità e dell'opera dei due santi come combattenti a favore della Chiesa, come i <<due campioni>> alla cui predicazione e al cui esempio il popolo cristiano si ravvide e tornò sulla retta via.
Le immagini militaresche abbondano soprattutto nel canto XII. L'umanità redenta è chiamata l'esercito di Cristo, che tanto soffrì per essere dotata delle armi necessarie a vincere gli assalti del demonio; e si dice che essa seguiva fiaccamente la sua <<insegna>>, la sua bandiera, che è la croce di Cristo. Per analogia fra i due elogi si può aggiungere che entrambi i santi celebrarono mistiche nozze, san Francesco con la Povertà, san Domenico con la Fede.
Dal conto XI al canto XXII Dante esalta grandi santi, la cui virtù non è più così strettamente legata alle inclinazioni naturali. Ma qui occorre sottolineare un caratteristica generale della personalità del Poeta.
Dante è anche un teologo profondo e un dialettico sottile; ma è soprattutto un cristiano appassionato ai problemi della Chiesa, della comunità dei credenti, sollecito per i problemi di natura pastorale, desideroso in primo luogo di una riforma religiosa e morale. Questo orientamento diventa evidentissimo nei canti del cielo del Sole, in cui egli incontra gli spiriti sapienti. Proprio qui, fra tanta sapienza di cose divine, il Poeta resiste alla tentazione di aprire un dibattito sui problemi più discussi della sua epoca (su cui, fra l'altro, c'erano concezioni non meno contrastanti con la verità di quanto non lo siano oggi le concezioni neopositivistiche, neoidealistiche, marxistiche); e non indulge neppure alle polemiche fra gli ordini religiosi, polemiche dovute a una mancanza di sapienza, al non capire che è tutto prezioso e necessario agli occhi di Dio: l'alta dottrina domenicana e l'umile predicazione francescana.
S. Tommaso, una ura a cui non si è mai dato abbastanza rilievo, è in questo senso esemplare. Personalità completa, egli è animato da un grande amore per Cristo e per la sua Chiesa ed è dotato di una intelligenza profonda e sottile; ma ha anche l'umiltà del semplice credente, devoto ai grandi santi, sensibile ai bisogni concreti della Chiesa, attaccato anche alla più popolare pratica religiosa. S. Tommaso risponde ai dubbi teologici di Dante con un linguaggio conforme alla sua cultura e alla sua genialità; ma fa anche l'elogio di S. Francesco con la devozione dell'uomo di fede che ha intuito la sconfinata grandezza del Poverello di Assisi. Anzi, per tessere l'elogio, S. Tommaso usa un linguaggio alto, fatto di immagini sottili e preziose che fanno risaltare la gloria di S. Francesco.
Il suo discorso è tutto volto a mettere in evidenza la funzione del Santo nella Chiesa. Non si capirebbe nulla del suo elogio se non si avesse sempre presente la considerazione che Francesco e Domenico sono stati inviati entrambi dalla Provvidenza per aiutare la Chiesa ad andare verso il suo sposo, Cristo. Non sono uguali, ognuno ha la sua personalità, ma ciò che conta è l'azione ugualmente benefica che essi hanno svolto a favore della Chiesa. Raccontando poi la vita del Santo, il grande Tommaso non indulge sulle tante pie leggende che fiorirono intorno alla sua ura, ma mette unicamente in rilievo lo sposalizio con la Povertà e la sua importanza per la Chiesa.
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