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EMIGRAZIONE
Spostamento di popolazione da un territorio a un altro con riferimento a quello di partenza. L'emigrazione è detta internazionale se i territori (di partenza o di arrivo) appartengono a unità statali diverse; interna se i territori appartengono a una stessa unità statale. Può essere volontaria se lo spostamento è deciso liberamente dall'individuo, coatta (o forzata) se imposto d'autorità, come per esempio nelle deportazioni e soprattutto nella tratta degli schiavi; organizzata se, pur deciso liberamente, lo spostamento è regolato e controllato dalle autorità statali. L'emigrazione è permanente oppure temporanea secondo che lo spostamento sia definitivo oppure temporaneo ; è stagionale se avviene con periodicità annuale.
L'emigrazione di massa è stata una componente importantissima nella dinamica demografico-economica italiana, soprattutto nel periodo che va dalla seconda metà del XIX sec. fino al 1984.
Nei primi anni del Regno emigrarono soprattutto gli abitanti delle regioni settentrionali, socialmente più progredite e con popolazione più numerosa. Nelle regioni meridionali il fenomeno fu per lungo tempo irrilevante a causa del loro isolamento, della scarsa viabilità e dell'ignoranza, ma anche del loro attaccamento alla terra e alla casa. In breve tempo il rapporto si invertì per due cause: 1- intenso ritmo di accrescimento demografico; 2- condizioni economiche misere. Infatti il valore degli emigrati settentrionali diminuì dall'87% al 50% mentre crebbe quello degli emigrati dell'Italia meridionale, insulare e centrale dal 7% con un massimo di 40%.
Il flusso di emigrazione raggiunse l'apice tra la fine del XIX secolo e la Grande Guerra. Il maggior numero di emigranti era offerto dalle seguenti regioni italiane: Veneto, Lombardia e Piemonte (al Nord); Calabria, Sicilia e Campania (al Sud).
L'avanguardia di questo flusso è
composta in prevalenza da uomini. Arrivati dopo un viaggio massacrante a Porta Nuova a Torino o a Milano
Centrale, per citare i luoghi classici di approdo, cominciano a darsi da fare e
devono trovarsi un alloggio. Spesso lo si trova proprio vicino alla stazione
(come a Torino). Ci si arrangia in modeste pensioni, stanze in affitto,
dormitori pubblici o istituti di accoglienza, (come l'Albergo ECA, a Milano), o
peggio in soffitte o sottoscala, quasi sempre in edifici vecchi e malsani.
L'immigrato-tipo è semianalfabeta, parla quasi esclusivamente il dialetto
e in vita sua ha fatto solo il contadino. Sogna di lavorare in fabbrica, orari
di lavoro e salari regolari. Ma all'inizio gli tocca accettare lavori in nero, saltuari, scarsamente
ati. Ma non c'è solo questo. Lo stile di vita che si è ormai
imposto nelle città settentrionali in seguito alla rapida crescita
economica e alla conseguente urbanizzazione suscitano nell'immigrato un grande
imbarazzo; l'adattamento psicologico a queste condizioni unito alla fatica
fisica del lavoro sono aspetti che serberà nel ricordo con tutto
l'affanno che è possibile immaginare. Il censimento generale
del 1861, accertò l'esistenza di colonie italiane, già abbastanza
numerose, sia nei Paesi di Europa e del bacino mediterraneo sia nelle due Americhe,
infatti dai dati emerge la seguente situazione: Francia, 77.000; Germania,
14.000; Svizzera, 14.000; Alessandria d'Egitto, 12.000; Tunisi, 6.000; Stati
Uniti, 500.000; Resto delle Americhe, 500.000.
Nel 1914 con lo scoppio della Grande Guerra il movimneto emigratorio si bloccò, ma alla fine di questo conflitto europeo la corrente migratoria riprese il suo moto con un alto numero di emigrazioni.
Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale l'emigrazione riprende il suo corso con ritmo assai intenso. Quest'emigrazione avveniva, però, con un gran dislivello tra partenze di donne e di uomini. Infatti, gli uomini che si spostano tra regioni e regioni rappresentano l'85%, mentre le donne solo il restante 15%. Inoltre è grande la differenza per età: l'emigrante con un'età compresa tra i 15 e i 45 anni rappresenta l'80%.
La maggior parte delle persone emigrate partì dalle città meridionali, tra le quali la Campania e in particolare la Sicilia.
Gli emigranti erano diretti soprattutto in città modernizzate con la speranza di trovar lavoro in fabbrica o, almeno, condizioni di vita più decenti rispetto a quelle a cui erano abituati; così, le mete di questa seconda numerosa emigrazione sono Milano, Torino o anche le città dell'Italia centro-settentrionale quali quelle dell'Emilia Romagna, regione dalla quale, per altro, fu numeroso il tasso di emigrazione, soprattutto di braccianti diretti verso il Lazio.
L'emigrazione italiana del XX secolo si rivolge sia verso l'Europa, particolarmente in Francia, sia verso Paesi Extra-Europei, quali Argentina, USA. Dall'esame dei dati relativi al periodo che va dal 1946 al 1960, si può constatare che l'emigrazione permanente ha registrato 2.618.068 espatri di cui 1.628.170 verso i Paesi transoceanici e 989.898 verso i Paesi europei.
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