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G. LEOPARDI Il passero solitario Parafrasi del testo
Dalla cima dell'antico campanile canti ripetutamente rivolto alla camna, o passero solitario, fino al tramonto; e l'armonia del tuo canto si diffonde per tutta la vallata. Tutt'intorno la primavera splende nell'aria frizzante ed esplode nei campi, tanto che, contemdola, ci si commuove. Si sentono belare le greggi e muggire le mandrie; gli altri uccellini svolazzano continuamente a gara all'aria aperta, festeggiando anche loro la stagione migliore: tu, invece, assorto nei tuoi pensieri e volutamente isolato, contempli tutto questo spettacolo; per te non ci son comni, né voli; non t'interessa l'allegria, eviti i divertimenti; canti solamente e in questo modo trascorri la parte più bella dell'ano e della tua vita.
Ahimè! Quanto è simile al mio il tuo modo di vivere! Non mi interesso, non so perché, del divertimento, delle risate, piacevole comnia dell'età giovanile, e di te, amore, fratello della giovinezza, amaro rimpianto dell'età adulta; anzi: quasi fuggo lontano da tutte queste cose e trascorro la primavera della mia vita solitario e quasi estraneo al mio stesso luogo di nascita. Nel nostro paese si è soliti festeggiare questo giorno che ormai sta finendo. Si può sentire il suono di una campana nel cielo o il rimbombo di colpi di fucile, che riecheggia lontano di casolare in casolare. La gioventù del paese esce di casa tutta vestita a festa e gira per le strade; e guarda e si fa guardare e si rallegra. Io, invece, uscendo tutto solo in questa parte remota del paese, rimando al futuro ogni piacere e divertimento; e intanto il mio sguardo che si estende nell'aria luminosa è ferito dal sole che, abbassandosi fra i monti in lontananza, dopo la giornata serena, tramonta e sembra dir che la gioventù beata sta terminando.
Tu, uccellino solitario, certamente non ti rammaricherai, quando finirà la tua vita, del tuo modo di vivere, perché ogni vostro desiderio deriva dalla natura. A me, invece, se non otterrò di evitare la detestata soglia della vecchiaia, che cosa mi parrà di un simile desiderio, quando questi occhi saranno muti al cuore degli altri, il mondo sarà privo di interesse e il futuro più noioso e cupo del presente? Che mi sembrerà di questi miei anni? Che mi sembrerà di me stesso? Ah, mi pentirò e spesso, inconsolabile, mi volgerò indietro.
Le prime due strofe presentano una struttura circolare; la prima, infatti, incomincia e finisce con la stessa immagine, quella del passero che solitario canta (v. 3 cantando e v. 15 canti), la seconda, che sposta l'attenzione dall'uccellino al poeta, si apre e chiude con la riflessione di quest'ultimo circa il proprio particolare modo di vivere, molto diverso da quello dei suoi coetanei, cioè estraneo ad ogni forma di divertimento e di piacere tipici della età giovanile (vv. 16-26 e vv.36-44). La struttura delle due strofe è identica: prima il poeta parla del passero-se stesso, poi allarga il suo orizzonte, descrivendo gli altri uccelli-ragazzi, per tornare infine sull'immagine di partenza del passero-se stesso.
Le tre strofe della poesia presentano tre momenti tematici distinti: la prima è dedicata a descrivere le abitudini del passero, che ama isolarsi dai suoi simili per passare la vita cantando da solo, la seconda presenta quelle del poeta, del tutto simili a quelle dell'uccellino, come è esplicitato ai vv.17-l8. La terza ed ultima strofa riprende il parallelo fra le due vite, quella del passero e quella del poeta, per capovolgerlo: se infatti l'uccello non si rammaricherà, da vecchio, di come ha trascorso gli anni migliori della propria esistenza, il poeta lo farà, ma sarà troppo tardi. Si può affermare che le prime due strofe pongono le basi per una riflessione che viene esplicitata nelle sue più radicali e pessimistiche conseguenze solo nell'ultima.
A livello metrico siamo in presenza di strofe libere di endecasillabi e settenari sciolti con rime saltuarie. E' un esempio di canzone libera, cioè caratterizzata da strofe che si differenziano tra loro sia per il numero dei versi, sia per lo schema metrico.
"Il passero solitario" presenta numerosi giochi fonetici, determinati soprattutto dal sapiente intreccio di rime, rime interne ed assonanze. Queste conferiscono all'intera poesia una musicalità che evoca sia l'armonia del canto del passero, che è uno dei temi portanti del testo, sia quella della festa del borgo evocata dal poeta, sia, infine, quella sublime e suprema della Poesia, estrema ed unica consolazione al cupo pessimismo leopardiano.
Per quanto riguarda le rime, esse si trovano ai vv.: 3-5; 10-l2; 14-l5; 11-l6;17-l9; 23-24; 26-27; 29-31; 32-36; 33-38; 40-43; 42-45; 49-50; 51-56; 52-55-59; 57-58. Alcune sono baciate, altre alternate, altre ancora libere.
Le rime interne che ho individuato sono ai vv.: 8-9 (armenti-contenti); 22-25-26 (io-natio-mio); 29-31 (squilla-villa); 58-59 (pentirommi, volgerommi).
Le assonanze che ho individuato sono ai vv.: 4-6 (armonia-aria); 8-9 (greggi-augelli); 19-20 (novella-giovinezza); 22-25 (loro-loco); 32-40 (vestita-aprica).
Nel testo leopardiano si trovano le anafore di non ai vv. 13-l4, che sottolinea con intensità la diversità di comportamento del passero rispetto agli altri uccellini; di quasi ai vv. 23-24 che evidenzia, proprio come la precedente, il particolare comportamento del poeta, completamente diverso da quello dei ragazzi della sua età. Poi l'anafora di odi ai vv. 29-30, per evidenziare le sensazioni uditive, che predominano in tutta la poesia; infine ai vv. 56-57 l'anafora di che, che introduce la triplice domanda retorica con cui si chiude il testo, sottolineando quanto essa sia lacerante per Leopardi.
La seconda strofa è collegata alla prima dal punto di vista tematico in quanto istituisce un esplicito parallelo fra la condizione del passero e quella del poeta; tale legame è espresso formalmente attraverso l'esclamazione che apre la seconda strofa ai vv. 17-l8. La terza strofa, che, come già detto, rovescia il parallelo di prima, è comunque legata alle due precedenti attraverso alcuni elementi formali, precisamente i due pronomi personali, tu al v. 45 e me al v. 50, che si riferiscono ai due termini del paragone su cui si regge tutta la poesia. Inoltre si può osservare che il vocativo passero solitario del v. 2 con cui il componimento si apre è richiamato dal vocativo tu del v.45 con cui si chiude, così come l'esclamazione Oimè del v. 17 che dà inizio alla seconda strofa è ripresa dall'esclamazione Ahi del v. 58.
La musicalità e l'armonia della poesia, rese possibili dal sapiente impiego di varie ure di suono e di espedienti metrici, si interrompono negli ultimi due versi del testo, piuttosto lenti e "pesanti" per la presenza di ben tre parole quadrisillabe: pentirommi, sconsolato, volgerommi. Le ragioni di questa scelta sono evidenti: il poeta affida a questi ultimi versi il messaggio, intriso di cupo pessimismo, dell'intero componimento; pertanto intende mettere in rilievo questi versi, rendendoli diversi da tutti gli altri, anzitutto a livello fonetico e metrico. Questo opzione, unitamente alla loro collocazione nella chiusa del testo, li imprimono con la forza di una sententia nella mente del lettore, come il Leopardi desidera.
La poesia "Il passero solitario" è tutta giocata sul parallelismo fra le abitudini di vita del passerotto che Leopardi osserva e quelle del poeta stesso, da lui profondamente analizzate. Nelle prime due strofe il parallelo è totale: come l'uccello ama isolarsi dai suoi comni e sembra schivare l'altrui comnia, così lo scrittore evita le amicizie e gli amori, disdegna quasi i divertimenti tipici della sua età, preferendo la solitudine. Entrambe, quindi, scelgono di vivere i migliori anni della loro vita da soli, sia pur per motivi diversi; e qui si innesta la differenza che distingue i due e il loro destino. Come detto nell'ultima strofa, infatti, il passero si comporta così seguendo semplicemente la natura, per cui non avrà a pentirsene, mentre il poeta che, per motivi a lui stesso imperscrutabili (v.22), sceglie di rinviare sempre i diletti della giovinezza, una volta invecchiato, se ne pentirà, ma invano. Identico comportamento, quindi, ma diversi destini.
A questi elementi di parallelismo-antitesi, esplicitamente intessuti dal poeta, si aggiunge un altro motivo potenzialmente significativo e sotteso a tutto il testo: il canto del passero non può non evocare, per analogia, i canti, le poesie del nostro autore.
Rispetto ai temi affrontati e alla struttura metrica questo testo mi richiama "A Silvia". Anche in quella poesia, infatti, il Leopardi medita con cupo pessimismo sulla sua difficoltà ad afferrare e a godere dei piaceri della giovinezza, i quali, peraltro, sono puramente illusori per la loro transitorietà. La struttura metrica di entrambe le poesia è la canzone libera di endecasillabi e settenari.
La collocazione del passero, che nel testo è l'alter ego del poeta, sulla cima di un campanile, da cui "pensoso, in disparte" mira tutto ciò che lo circonda, simboleggia la sofferta ma convinta scelta del Leopardi di trascorrere la sua vita isolato, lontano da quella realtà che aveva sperimentato come deludente sia sul piano degli affetti, sia su quello civile e politico. E' solo da tale posizione che egli può osservare e giudicare tale realtà col dovuto distacco, che non è indifferenza, bensì coraggio di squarciare il velo per guardare il faccia "l'arido vero" e rivelarlo a tutta l'illusa umanità attraverso i suoi capolavori poetici.
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