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GIACOMO LEOPARDI (1798 - 1837)
I Canti (1818 - 1836), le Operette Morali (1824 - 1832), lo Zibaldone (1817 - 1832) pubblicato postumo, i Pensieri (1833 - 1837)
Per delineare il pensiero e la poetica dell'autore si rende necessaria un'analisi del processo di formazione ideologica e letteraria del giovane Leopardi, che è antecedente al 1819 e ha il suo periodo più significativo nel triennio 1816 - 1819.
PRIMA DEL 1816CAMPO LETTERARIO: formazione tipicamente '700, prevalentemente esteriore e retorica (forma scritta) con preferenza per l'eleganza e disattenzione alla grande poesia degli antichi e dei moderni. Studio filosofico ed erudito di autori minori (studio di lingue antiche quali latino, greco, ed ebraico). CAMPO FILOSOFICO: aderisce al pensiero illuministico (razionalismo meccanicista) che cerca, però, di adattare all'educazione religiosa improntatagli dalla famiglia. CAMPO POLITICO: segue le idee del padre Monaldo (dispotismo illuminato) e afferma che è meglio un'Italia divisa ma pacifica e quieta. CAMPO RELIGIOSO: segue la tradizione familiare ma soprattutto nelle manifestazioni esteriori. |
CAMPO LETTERARIO: si verifica la conversione dall'erudito al bello cioè la scoperta dei grandi classici e dei romantici. L'incontro col Romanticismo dà l'avvio al progressivo maturarsi in Leopardi di un nuovo gusto letterario premessa per una poetica originale. CAMPO FILOSOFICO: si verifica la conversione dal bello al vero: momento in cui Leopardi approda al raccoglimento meditativo e doloroso sul proprio dolore oggetto della sua poesia. CAMPO POLITICO: nel 1818 con la Canzone all'Italia Leopardi si allontana dalle idee del padre e aderisce agli ideali unitari e indipendentistici dell'Italia (Risorgimento). CAMPO RELIGIOSO: abbandono della fede cristiana e adesione all'ateismo materialista |
Adesione ai postulati negativi della scuola romantica. Fin dall'inizio il Leopardi accoglie i postulati negativi, nel senso che critica anch'egli il concetto di imitazione, rifiuta cioè le regole imposte dai generi letterari codificati.
Adesione ai postulati positivi della scuola romantica. Successivamente Leopardi afferma il valore suggestivo e poetico del sentimento, noto anche ai popoli antichi, i quali però lo usavano con sobrietà ottenendo risultati migliori che non le moderne e romantiche ostentazioni sentimentali.
Ben presto Leopardi fa sua la distinzione (teorizzata da altri pensatori romantici) fra poesia di immaginazione e poesia di sentimento: la prima è propria delle civiltà antiche, la seconda di quelle moderne. Vera poesia è quella di immaginazione, nutrita di fantasia, ma non è più ripetibile, al punto che i tentativi moderni diventano imitazione: quindi al poeta non rimane che fare poesia di sentimento facendo prevalere del romanticismo gli aspetti legati all'intimità e all'immediatezza del sentimento.
L'originale poetica Leopardiana. Dopo il 1819 il concetto di poesia in Leopardi coincide con L'infinito e le sue "Rimembranze" dove, in particolare il termine infinito coincide con il termine indefinito e di immenso: il remoto, l'oscuro, l'immenso sono di per sé poetici, come il fantasticare dei fanciulli che è senza limiti, vago naturale e non razionale. "Ciò che è sommamente vago - dice Leopardi - è sommamente poetico": per questo ogni poesia si esplicita in una rimembranza in un ritorno a quel mondo fanciullesco tutto fatto di remote e sognanti fantasie.
La poesia è sempre più tale quanto più si allontana dalla pura narrazione e quanto più si accosta alla musica e non rappresenta ma esprime la vita del sentimento nella sua immediatezza: quanto meno imita, quanto meno narra, tanto più canta.
Donde il titolo delle poesie leopardiane: i Canti.
Gli elementi che spiegano il sorgere del pessimismo in Leopardi sono:
Per quanto concerne il primo punto, essa giunge al suo apice nel 1819 in una lettera al Giordani parla di un crescente travaglio fisico e spirituale, di un'orrida malinconia, della fatica dello studio, dell'odio contro la famiglia e Recanati (sentiti come ambienti soffocatori).
Per quanto concerne il secondo punto, bisogna ricordare Leopardi si formò nella sua giovinezza sotto l'influenza delle dottrine illuministiche, che sentì consone alla mente (ragione), ma ostili alle ansie del cuore (sentimento). In altre parole il pessimismo non sarebbe sorto in lui se le conclusioni dell'Illuminismo non si fossero scontrate con un animo romantico: era infatti quell'ultimo che lo induceva a chiedersi i "perché" e i "fini" delle leggi dell'universo, piuttosto che limitarsi a conoscerle.
Una risposta soddisfacente non poteva essere di ordine razionalistico o scientifico ma andava ricercata in una filosofia diversa da quella illuministica. La sua era una posizione che non poteva condurre che al mistero: "l'uomo non è nulla, non sa nulla, non può nulla". È l'individualismo romantico che soffre per la nullità del suo essere di fronte alla natura onnipresente (l'uomo non è) è l'individualismo romantico che cerca una luce e trova il mistero (l'uomo non sa) è ancora l'individualismo romantico che, chiuso in una morsa di limiti insuperabili, che non può sperare di superarli ne ora ne mai (l'uomo non può sapere nulla).
Ne consegue che la vita appare un cammino faticoso che non ha altro scopo che quello di precipitare nel nulla. Questa legge è valida per tutti gli uomini, per gli animali, per gli astri, per tutto l'universo. La natura fa esistere gli essere soltanto per attuare il suo cieco e misterioso ciclo del nascere, del vivere e del morire. Tra gli esseri il più infelice è l'uomo, perché la sua infelicità è soprattutto coscienza dell'infelicità stessa e non c'è illusione che riesca a far tacere questa verità.
Il pessimismo leopardiano, dunque, può essere definito come la convinzione ferma, costante e assoluta che ogni essere ubbidisce ad una legge di dolore, alla quale è impossibile contrastare.
Gli studiosi parlano di tre fasi del pessimismo leopardiano: dapprima personale, poi storico, in fine cosmico. Si tratta di tre momenti non completamente cronologici, ma ideali del dolore, nel senso che a volte il Leopardi sentì esclusivamente la propria tristezza personale in mezzo ad un mondo di felicità, a volte gli parve che la tristezza fosse di tutti gli uomini, a volte di ogni essere esistente. In sostanza queste sono tre diverse maniere con cui reagisce sentimentalmente, non filosoficamente alle dottrine illuministiche. Nell'ultimo periodo della sua esistenza quando vive a Napoli, Leopardi approda ad una quarta posizione che potremmo definire del pessimismo eroico. Questa nuova posizione sembra testimoniare una reazione "attiva" all'accettazione delle dottrine illuministiche: partendo da un profondo amore di conoscenza, riconoscendo che se l'intelligenza dell'uomo è causa di infelicità è anche principio di libertà, Leopardi giunge alla conclusione che anche se all'uomo è negata la possibilità di raggiungere la felicità, questi deve continuare a desiderarla e ad opporsi al proprio destino pur nella consapevolezza razionale dell'inutilità di tale tentativo. È così che il Leopardi esprime il suo alto concetto di dignità umana, il suo sostanziale amore per la vita, il suo eroismo morale. Per il Leopardi è possibile parlare di felicità solo nei riguardi dei fanciulli e dei giovinetti, prima che in loro insorga la ragione e, a riguardo dei popoli, ha senso parlare di felicità per i popoli antichi che vivevano di fantasia. Ne deriva in Leopardi lo sdegno contro la civiltà perché rappresenta la fine del fantasticare rifiuto di ordine sentimentale.
Per quanto concerne la lettura di opere preromantiche, Leopardi apprende da Vico l'idea dell'antica giovinezza dei popoli, e da Rousseao il dualismo Natura - Ragione.
Seguendo l'insegnamento di Rousseao il poeta considera la Natura benigna, fonte di vita, ispiratrice di poesia, creatrice di sogni, di illusione, di entusiasmi, mentre la Ragione è fonte di miseria, rivelatrice dell'orrido vera dissacratrice dell'entusiasmo, chiarificatrice della morte. Sia la storia dell'umanità sia quella di ogni individuo è reale decadenza dell'inconsapevole infelicità della fanciullezza ad una conclusione di consapevole dolore.
Questa posizione iniziale cambia con le Operette morali (1824), in cui il concetto intorno alla Natura viene sottoposto ad analisi e gradatamente è scoperto l'aspetto ingannevole della sua benignità. La Natura appare a Leopardi nella sua vera essenza di matrigna perché intenta a perseguitare col dolore le sue stesse creature in quanto le crea col desiderio della felicità e al tempo stesso nega loro la possibilità di realizzarla.
Conseguenza diretta di tali meditazioni fu la solitudine del poeta: mancando una fede mancava l'azione, perciò il giovane Leopardi rimane sempre ai margini della vita sociale, pur desiderando vivamente di farne parte.
Il motivo della sua solitudine, appare ne "Il passero solitario" come incapacità di vivere con gli altri, ne "La sera del dì di festa" come esclusione dagli affetti, nel "Canto notturno di un pastore errante nell'Asia" come solitudine del pastore e dell'umanità tutta, è nell'"Infinito" come realtà fisica che conduce alla religiosa scoperta dell'illimitato.
Questo presenta un aspetto comune a tanti altri spiriti nel tempo cioè la ribellione del cuore e del sentimento alle leggi della materia trasformatrice e demolitrice dell'individuo, ma presenta anche altri aspetti caratteristici di Leopardi; in particolare
L'idillio leopardiano può essere definito una rafurazione serena e contemplativa del proprio mondo interiore attraverso le immagini della natura: una storia intima affidata alle immagini del paesaggio
Per ciò l'idillio leopardiano non può essere una confessione autobiografica e neppure una semplice descrizione: si conclude che l'idillio è assunzione della natura con forma poetica di una storia interiore.
Nella stesura dei Canti (che sono appunto gli idilli) si può osservare un'evoluzione poetica e positivista dei contenuti da parte del poeta; in particolare:
negli idilli maggiori si ritrova la stessa materia dei minori (costituita dagli aspetti familiari a Leopardi: i piccoli aspetti della vita quotidiana interiori ed esteriori), ma nei minori tale materia è vissuta quasi sempre in forma immediata e presente, cioè nel momento stesso dell'esperienza, mentre nei maggiori riappaiono nel ricordo, come se il poeta li contemplasse da un mondo lontano;
la materia, poi, nei minori si presenta in forme brevi e schematiche, mentre nei maggiori si estende in un disegno poetico più ampio e complesso;
negli idilli maggiori il contrasto tra la felicità sognata e l'amarezza dell'inganno è collocato in una lontananza senza impeti e senza fremiti, cosa che non sempre avviene nei minori;
il ricordo è espresso, negli idilli maggiori attraverso toni di tenerezze e non di impeto o di ribellione: una tenerezza che non investe soltanto le persone, le cose rievocate, ma anche le parti riflessive;
il linguaggio poetico si accorda col modo semplice, col sogno e con la contemplazione usata nei vari idilli; è un linguaggio che realizza l'incontro fra il famigliare ed il raro, fra il semplice e l'elegante, fra la novità e la preziosità: l'impressione però che resta non è quella di un linguaggio accademico ma famigliare e spontaneo.
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