GIOVANNI PASCOLI
LA VITA
Nasce a S.Mauro di Romagna nel 1955. Nel '62 entra nel collegio dei
padri Scolopi a Urbino, dove rimane fino al '71. E' il quarto di otto fratelli
e il padre è l'amministratore della tenuta "La Torre" dei principi Torlonia. Nel '67 accade l'episodio che segna
indelebilmente la sensibilità del piccolo Pascoli: viene assassinato il
padre da ignoti, mentre ritorna a casa . Non si seppe mai chi fu l'assassino,
ma il Pascoli crede di individuarlo nell'amministratore che successe a suo padre
nell'amministrazione della tenuta dei Torlonia e
nella sua poesia lo rappresenta come il "cuculo", uccello che non si crea il
suo nido, ma che occupa quello degli altri. L'anno seguente muore una sorella,
poi, di seguito, la madre e due fratelli. La morte della madre viene
considerata dal Pascoli la tragedia maggiore, perché viene meno il nucleo
familiare, il "nido". D'ora in poi il suo proposito sarà sempre di
riformare il nido originario. Questa precoce esperienza di dolore e di morte
sconvolge profondamente l'anima del Pascoli; rimane una ferita non chiusa, che
si traduce in un senso sgomento del destino tragico e inesplicabile dell'uomo,
e segna il crollo di un mondo d'innocenza e di infanzia serena a cui sempre il
poeta aspirerà con immutata nostalgia. Nel '73 il Pascoli vince una
borsa di studio all'università di Bologna, dove si iscrive alla
facoltà di lettere. Il periodo bolognese lo mette in contatto con il
movimento anarchico e si avvicina così agli ideali socialisti. Aderisce
all' Internazionale e inizia a frequentare Andrea Costa, capo dell'anarchismo
romagnolo. Nel '79, in seguito a dimostrazioni connesse all' attentato
dell'anarchico Passannante contro il re Umberto I,
subisce alcuni mesi di carcere preventivo; quando vi esce riprende gli studi e
da questo momento in poi non si occuperà più di politica,
essendone rimasto evidentemente spaventato. Non è più un ribelle,
ma un uomo che china il capo davanti all'oscuro destino. L'unico rimedio al
male gli appare ora la pietà e l'amore fraterno fra gli uomini, solo
conforto al mistero insondabile della vita. Nello stesso tempo, nasce in lui
l'ideale di ricostruire il proprio focolare domestico, con le due sorelle
superstiti, Ida e Maria, di ritrovare così nella quiete appartata e
nell'intimità degli affetti la pace. Laureatosi nell'82, ottiene una
cattedra presso il liceo di Matera, Massa e Livorno. Nel frattempo, per
più anni, partecipa a concorsi di poesia latina ad Amsterdam,
vincendoli. Lo troviamo presso varie università: a Bologna, dove inizialmente
insegna latino e greco, a Messina ed infine, nel 1906, succede al Carducci
nella cattedra di letteratura italiana all'università di Bologna, dove
muore nel 1912. Viene sepolto a Castelvecchio, in una
casa di camna che dal '95 era stata il suo rifugio più caro insieme
alle sorelle.
LA POETICA
Il carattere dominante della poesia del Pascoli è costituito
dall'evasione della realtà per rifugiarsi nel mondo dell'infanzia, un
mondo rassicurante, dove l'individuo si sente isolato ma tranquillo rispetto ad
una realtà che non capisce e quindi teme.
Il Pascoli esprime questa sua poetica in uno scritto che intitola "Il fanciullino". Egli afferma che in tutti noi c'è un
fanciullo che durante l'infanzia fa sentire la sua voce, che si confonde con la
nostra, mentre in età adulta la lotta per la vita impedisce di sentire
la voce del fanciullo, per cui il momento veramente poetico è in
definitiva quello dell'infanzia. Di fatti il fanciullo vede tutto per la prima
volta, quindi con meraviglia; scopre la poesia che c'è nelle cose,
queste stesse gli rivelano il loro sorriso, le loro lacrime, per cui il poeta
non ha bisogno di creare nulla di nuovo, ma scopre quello che già
c'è in natura. Il fanciullino è quello
che parla alle bestie, agli alberi, alle nuvole e scopre le relazioni
più ingegnose che vi sono tra le cose, ride e piange per ciò che
sfugge ai nostri sensi, al nostro intelletto. La poesia si presenta quindi con
un carattere non razionale, ma intuitivo e alogico.
L'atteggiamento del fanciullo gli permette di penetrare nel mistero della
realtà, mistero colto non attraverso la logica, ma attraverso
l'intuizione ed espresso con linguaggio non razionale ma fondato sull'analogia
e sul simbolo. La funzione del simbolo è proprio quella di far comprendere
il senso riposto nella realtà, per mezzo di collegamenti apparentemente
logici fra oggetti diversi, attraverso l'associazione di colori, profumi, suoni
di cui si può percepire la misteriosa affinità, attraverso la
scelta delle parole non per il loro significato concreto ed oggettivo, ma per
le suggestioni che sono in grado di evocare. La poesia quindi può avere
una grande utilità morale e sociale; il sentimento poetico che è
in tutti gli uomini gli fa sentire fratelli nel comune dolore, pronti a deporre
gli odi e le guerre, a corrersi incontro ed abbracciarsi. Da un lato egli
concepisce la poesia come ispiratrice di amore umano, le assegna il compito di
rendere gli uomini più buoni, ma il poeta non deve proporselo come fine,
perché non è un oratore o un predicatore, ma ha unicamente il dono di
pronunciare la parola nella quale tutti gli altri uomini si riconoscono. In
definitiva il poeta è l'individuo abbastanza eccezionale che, pur
essendo cresciuto, riesce ancora a dare voce al quel fanciullo che c'è
in ogni uomo.
La situazione tipica della poesia pascoliana è
quella del poeta solitario, immerso nella camna vasta e silenziosa ed inteso
a descrivere le rivelazioni delle cose. Di fatti gli eventi tragici della vita
del Pascoli ne condizionano la vita stessa ed anche la poesia, creando vari
miti; tra questi vediamo il "nido", che rappresenta la famiglia , che lo
preserva dalla vita violenta e difficile da affrontare, solo nel nido
può trovare tranquillità e serenità. Al di là del
nido troviamo la "siepe", che recinge uno spazio che dà autarchia. Con
il mito della siepe il Pascoli rappresenta la situazione o il desiderio della
piccola borghesia contadina che mira ad una vita indipendente dall'esterno e
quindi autarchica. Oltre la siepe vi troviamo il "campo santo": una strada
dritta porta dal podere al campo santo, ove giacciono i morti, presenze
costanti nella vita del Pascoli e che ritornano continuamente confondendosi con
i vivi. A questi tre elementi di fondo il Pascoli circoscrive tutta quanta la
sua esistenza.
IL LINGUAGGIO
Fu completamente nuovo, soprattutto per la letteratura italiana, in cui
persiste ancora la tradizione classica. Qui la frase si spezza; il soggetto
è spesso da solo, senza bisogno di un verbo che lo specifichi. Il tutto
è affidato a parole che riproducono suoni (frequentissime sono le
onomatopee) oppure a immagini che evocano sentimenti. Possiamo quindi definirlo
un linguaggio completamente innovativo nella letteratura italiana, che nel
Pascoli forse è più intuitivo che non una semplice imitazione del
Decadentismo; è qualcosa di istintivo, che risponde perfettamente al suo
modo di esprimersi e alla sua visione della vita. Possiamo definirlo inoltre un
linguaggio pittorico: si affida molto al colore, come anche alla
musicalità e unendo queste due componenti realizza spesso delle
sinestesie (mescolando sensazioni che provengono da sensi diversi).
Il Pascoli influisce fortemente sulla letteratura italiana proprio per la
particolare innovazione del linguaggio. Mentre D'Annunzio influisce molto con
la sua esperienza personale, quindi sul costume italiano, il Pascoli è
un importante innovatore del linguaggio poetico.