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Gerusalemme liberata - L'EPOPEA DELL'"ARME PIETOSE, FONTI STORICHE, MODELLI LETTERARI E PRINCIPI TEORICI, LA MODERNITÀ DELL'OPERA, LA FORTUNA,

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Gerusalemme liberata


Poema epico di Torquato Tasso, in venti canti strutturati in ottave, composto tra il 1564 e il 1575 e pubblicato la prima volta a Venezia nel 1580 in un'edizione parziale in sedici canti non autorizzata dall'autore e con il titolo di Goffredo. Seguirono, con il titolo di Gerusalemme liberata, altre edizioni, sia parziali sia complete, nessuna delle quali riconosciuta da Tasso, che continuò ossessivamente a correggere il testo per quasi vent'anni finché, nel 1593, autorizzò la pubblicazione di una versione profondamente modificata dell'opera, in 24 canti e con il titolo di Gierusalemme conquistata.

Proemio

Secondo le regole della tradizione classica, il genere epico prevede che l' incipit dell'opera contenga l'esposizione della materia cantata e l'invocazione alle Muse ispiratrici. Anche il proemio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso osserva questa consuetudine, articolando nella prima ottava la protasi, in cui delinea il campo narrativo dell'opera, e nelle due ottave seguenti l'invocazione del poeta alla Musa affinché sorregga il poeta nell'impresa letteraria. A queste parti seguono due ottave di dedica al protettore di Tasso, il duca Alfonso II d'Este.



L'EPOPEA DELL'"ARME PIETOSE

Argomento del poema è la prima crociata, combattuta nel 1099 dai cristiani, guidati da Goffredo di Buglione (Bouillon) duca della Bassa Lorena, per liberare Gerusalemme dai saraceni, comandati da Argante e Solimano. Il poema si apre sul raduno davanti a Gerusalemme dei principi cristiani, che eleggono Goffredo come loro capo (canto I). Mentre il saraceno Aladino, sovrano di Gerusalemme, allontana i cristiani dalla città, Argante, re d'Egitto e alleato dei saraceni, cerca invano di dissuadere i cristiani dal combattere (canti II-III). Plutone, dio degli inferi, invia a disturbare l'impresa dei cristiani i suoi diavoli, ai quali si unisce la bellissima maga Armida, che utilizza tutto il suo fascino per sedurre i capi dei crociati (canti IV-V).

In seguito al duello tra Argante e uno dei più valorosi guerrieri cristiani, Tancredi, la musulmana Erminia, innamorata di lui, penetra nel campo nemico per curargli le ferite, ma, scoperta, è costretta alla fuga. Tancredi, avendo scambiato Erminia per la guerriera saracena Clorinda, della quale si è invaghito, la insegue, ma finisce prigioniero degli incantesimi di Armida (canti VI-VII). Intanto l'esercito cristiano, dopo essere stato scosso da tumulti interni suscitati dai diavoli e attaccato dai saraceni di Solimano (canti VIII-X), prende d'assalto Gerusalemme (canto XI). Clorinda tenta di frenare l'offensiva, ma viene uccisa in duello da Tancredi, il quale, riconosciuta troppo tardi la sua amata, si dispera al punto da tentare il suicidio (canto XII).

Dopo una spaventosa siccità inviata dal mago Ismeno, che per mettere in difficoltà i cristiani ha anche gettato un incantesimo sul bosco di Saron (canto XIII), Goffredo manda alcuni dei suoi a liberare il guerriero Rinaldo, che dopo avere abbandonato il campo cristiano era stato imprigionato da Armida, innamoratasi di lui, nel suo meraviglioso palazzo (canti XIV-XVI). Mentre la maga, abbandonata, medita la vendetta, Rinaldo in Palestina trova una nuova splendida armatura: sullo scudo è incisa la gloriosa storia di Alfonso II d'Este - al quale la Gerusalemme liberata è dedicata - e della sua casata, di cui Rinaldo sarà il capostipite (canto XVII).

Mentre Goffredo, saputo dell'imminente arrivo dell'esercito egiziano a sostegno dei saraceni, si affretta ad attaccare Gerusalemme e la conquista (canto XVIII), Argante è ucciso in duello da Tancredi che, ferito, viene soccorso da Erminia, la quale gli dichiara il suo amore (canto XIX). Durante la battaglia decisiva il valoroso Rinaldo, che già ha seminato il terrore tra i ani e ha ucciso Solimano, ritrova Armida, la consola e la convince a farsi cristiana; dopo che tutti i campioni degli infedeli sono caduti e Gerusalemme è stata finalmente liberata, il comandante dei crociati, Goffredo, si reca in adorazione al Santo Sepolcro (canto XX).

FONTI STORICHE, MODELLI LETTERARI E PRINCIPI TEORICI

L' idea di un poema dedicato alla prima crociata risale agli anni della giovinezza veneziana di Tasso, quando, tra il 1559 e il 1561, il poeta aveva saputo del pericolo corso dalla sorella Cornelia durante un'incursione dei pirati saraceni lungo la costa amalfitana. A quei tempi, inoltre, lo scontro tra cattolicesimo e Islam era di grande attualità, soprattutto a Venezia, i cui territori e affari erano costantemente minacciati dai turchi. Ma il progetto di un poema epico, politico e religioso che esaltasse i valori della cristianità, in accordo con il clima della Controriforma, si dimostrò subito superiore alle forze del poeta quindicenne, che interruppe la stesura dell'opera, la Gierusalemme, al primo libro. Il nuovo poema, ultimato nel 1575 e dedicato ad Alfonso II d'Este duca di Ferrara (del quale Tasso era cortigiano), appare completamente diverso dal primitivo abbozzo: basato su uno studio scrupolosissmo delle fonti storiche e geografiche - in particolare della Historia belli sacri verissima di Guglielmo di Tiro - la Gerusalemme liberata fa esplicito riferimento a illustri modelli letterari, dai poemi omerici all'Eneide, dalla Divina Commedia all'Orlando innamorato di Boiardo, al Morgante di Pulci, al modello supremo dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Ma, nell'ambito dell'acceso dibattito cinquecentesco sui caratteri del poema epico e cavalleresco, rispetto alla multiforme varietà del poema ariostesco, Tasso propose e attuò nel suo capolavoro i principi aristotelici dell'unità di luogo, di tempo e di azione, la necessità di scegliere un tema storico che non fosse né troppo antico né troppo recente e l'esclusione della mitologia ana a favore del meraviglioso cristiano. Inoltre, convinto assertore del fine edonistico dell'arte, Tasso tentò di coniugare la verosimiglianza aristotelica con la piacevolezza del romanzo cavalleresco, inserendo nella trama principale di carattere storico numerosissimi episodi minori di tipo favolistico: guerreschi, amorosi, magici e soprannaturali. Lo stile del poema è "magnifico", ossia intermedio tra il tragico e il lirico; il tono è elevato e solenne; il ritmo dei versi è spezzato rispetto alla fluidità dell'ottava ariostesca.

LA MODERNITÀ DELL'OPERA

Al di là dei propositi unitari dell'autore, la Gerusalemme liberata appare un poema assai poco lineare che, al contrario, riflette la personalità tormentata del suo autore e mostra la molteplicità contradditoria della realtà e dei sentimenti umani. La netta contrapposizione tra Bene e Male, cristiani e infedeli, angeli e demoni, così come il contrasto tra verosimile e meraviglioso, sfumano in una continua oscillazione tra verità e apparenza, dove tutto si rivela mutevole e sfuggente: il piacere è illusorio, la gloria è un pallido sogno, gli eventi sono soggetti al capriccio della fortuna, l'impresa cristiana può suscitare anche orrore, mentre i saraceni attirano la simpatia.

Lo stesso paesaggio che fa da sfondo all'azione, ora desolato e torbido, ora arcadico e sereno, muta al mutare degli avvenimenti e degli stati d'animo dei personaggi, i quali, infine, rivelano una ricchissima e sofferta vita interiore sulla quale incombono la solitudine e la sconfitta: non solo Tancredi, Erminia e Armida sono tormentati da amori impossibili, ma lo stesso campione della cristianità, Goffredo, è solo e angosciato di fronte alla responsabilità delle scelte; e isolati nella loro fierezza sono anche i saraceni Argante e Solimano.

L'equilibrio instabile tra motivi eroici (la storia e l'etica religiosa) e motivi sentimentali (il tormento amoroso), cui corrisponde una narrazione dal tono ora magniloquente ora lirico, differenzia in modo evidente la Gerusalemme liberata dall'uniformità sentimentale e narrativa del modello ariostesco. Inoltre, l'inquietudine emotiva dei personaggi e soprattutto la consapevolezza, che serpeggia lungo tutto il poema, dell'illusoria precarietà del reale al di là del quale stanno in agguato la solitudine e la morte, conferiscono una straordinaria modernità al capolavoro di Tasso che, anzi, proprio per questi aspetti anticipa la sensibilità barocca.


LA FORTUNA

Il fatto che il poema sia stato stampato e diffuso indipendentemente dalla volontà dell'autore (che non lo considerava ancora pronto per la pubblicazione) già testimonia l'interesse e il gradimento dei lettori, che crebbero rapidamente anche al di fuori dell'Italia per tutto il Seicento e il Settecento. L'opera venne apprezzata non solo dalle élite intellettuali, ma anche da uomini di media cultura, come testimoniano le numerose traduzioni in dialetto, ed ebbe pure un'eccezionale diffusione orale, oltre che musicale e pittorica. Gli artisti - dai Carracci al Guercino, dal Tintoretto al Tiepolo, da Monteverdi a Lully, Gluck, Rossini - mostrarono di preferire i brani drammatici, amorosi e idillici (Tancredi e Clorinda, Erminia tra i pastori, Rinaldo e Armida), proprio quelli che i revisori, ai quali Tasso aveva sottoposto la lettura del poema appena terminato, avevano più aspramente criticato, fino a convincere l'autore ad eliminarli nella Gierusalemme conquistata.


LA GERUSALEMME CONQUISTATA

Subito dopo aver terminato la Gerusalemme liberata il poeta cominciò a sottoporre il testo alla lettura di correttori e revisori, che con le loro critiche impedirono la pubblicazione del poema. I manoscritti, però, cominciarono a circolare ugualmente, all'insaputa dell'autore, e alcuni editori ne stamparono delle versioni parziali, lacunose o erronee e le intitolarono arbitrariamente Gerusalemme liberata. Tasso, intanto, continuò a rielaborare e modificare il testo fino a trasformarlo in una nuova opera, che venne pubblicata a Roma nel 1593 con l'autorizzazione dell'autore. Dedicata all'ultimo mecenate del poeta, il cardinale Cinzio Aldobrandini, intitolata Gierusalemme conquistata, il nuovo poema è diviso in 24 canti: l'uniforme solennità dello stile, la rigida osservanza delle regole retoriche e soprattutto l'eliminazione di molti episodi lirici condannarono all'insuccesso l'ultimo frutto della lunga fatica di Tasso.




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