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Giacomo Leopardi (1798 - 1837)
Dialogo della Natura e di un islandese (dalle Operette morali)
Un islandese si rende conto fin dai primi anni della sua vita, dell'impossibilità di trarre piacere morale e spirituale dalla convivenza con altri uomini. Egli infatti considera stolti i suoi simili che si affannano per procurarsi piaceri quasi sempre a danno di altri uomini.
Decide pertanto di vivere isolato dall'umanità così fastidiosa con l'unica aspirazione di tenersi lontano dai patimenti, non solo spirituali ma anche fisici. Fugge così dall'Islanda, paese tormentato dal gelo e dal vulcano e inizia una vera peregrinazione per tutta la terra alla ricerca di un luogo che, senza dare piacere al suo corpo, non infligga almeno sofferenza ad esso.
Ben presto però è costretto ad ammettere che i patimenti maggiori non sono inflitti dall'uomo all'altro uomo, ma dalla stessa natura che sferza l'umanità col gelo, col caldo, i venti, i terremoti, le malattie, la vecchiaia e la morte.
Questo brano è appunto un dialogo tra l'islandese e la natura, in cui l'uomo lamenta tutta la crudeltà delle calamità naturali e si domanda a che serve questa vita infelicissima dell'universo.
La natura risponde che il mondo è un ciclo eterno di produzione e distruzione e che la distruzione è indispensabile alla conservazione del mondo. Piante e animali vengono distrutti per fornire nutrimento ad altri. E quasi a conferma di quanto detto dalla natura , al termine del racconto l'islandese viene sbranato da due leoni affamati, che grazie a tale nutrimento riusciranno a sopravvivere fino a nuova preda.
Già nello Zibaldone Leopardi aveva messo in dubbio che la natura avesse come fine il bene del singolo, ma in questa operetta si dimostra tutto il suo materialismo assoluto e il pessimismo cosmico che abbraccia tutti gli esseri e tutti i tempi.
Cantico del gallo silvestre (dalle Operette morali)
Si tratta di un altro dialogo e questa volta chi pone le domande è un contemplatore dell'umanità posto al di fuori del genere umano. E' il gallo silvestre i cui piedi poggiano sulla terra e il capo tocca il cielo, che invita gli uomini a non sognare, a non fantasticare ma a considerare la durissima condizione umana. Per quanto ognuno tenti di procurarsi piaceri e benessere, la sola cosa che può ritrovare ogni giorno è l'infelicità. Se anche sulla terra languisse ogni forma di vita, se i buoi non muggissero più, se i prati seccassero, non più il sussurro delle api o delle farfalle, l'acqua, il vento, l'uomo potrebbe essere più infelice di quanto è già? E ancora si rivolge al sole chiedendo se in un solo giorno illuminato da lui, fin dall'inizio dei tempi, ha mai potuto vedere un uomo felice?
La speranza che investe l'uomo ogni giorno, quando al risveglio si illude che possa succedere qualche cosa di buono, è vana e dipende soltanto da un maggior vigore dovuto al riposo che gli darà più forza per accettare le disavventure delle prossime ore.
Per ogni creatura è impossibile dunque raggiungere la felicità e solo il sonno eterno della morte porrà fine alla sofferenza. E il tema centrale dell'operetta è appunto la morte che pone fine a tutti gli esseri viventi e a tutte le cose, il processo inarrestabile di decadimento che accomna ogni essere fin dalla nascita, dunque la distruzione e la morte come leggi universali.
Dialogo di Tristano e di un amico (dalle Operette morali)
Tristano rappresenta Leopardi a colloquio con un amico. L'operetta è di stampo ironico. L'amico commenta l'ultima opera dello scrittore intrisa di infelicità come tutte le altre e con sorpresa apprende che Tristano dopo quello scritto ha cambiato opinione. Egli infatti finge di ritirare le sue concezioni pessimistiche sulla infelicità umana e di abbracciare le opinioni ottimistiche del suo tempo. Avevo sbagliato tutto, dice, la felicità esiste, perché il genere umano non vuol credere alla verità, ma solo a quello in cui gli fa comodo di credere, non vuole vedere la realtà, preferisce vedere quello che gli piace. Quando si è costretti a vivere in un paese è meglio credere che quello sia il paese più bello del mondo. Quando si vuol vivere, è meglio pensare che la vita sia bellissima. Gli uomini sono sempre pronti a rivolgersi alla fortuna, a consolarsi di qualunque sventura, ad accettare qualunque compenso per ciò che hanno perduto, ad adattarsi a qualunque condizione, anche la più ingiusta e barbara
L'ironia però non è tenuta in continuità. Per lunghi tratti Leopardi l'abbandona per far posto alla polemica diretta. Non vuole confondere il suo animo con quello vile, debole e ignobile dell'uomo del suo tempo e dichiara il suo coraggio di guardare in faccia la realtà, di vedere e accettare tutto il dolore umano, rifiutando ogni puerile inganno. "Se Salomone, Omero e i filosofi più antichi condividono il mio pensiero sulla crudeltà del destino umano, non sono io lo stupido, ma gli uomini del mio tempo." Ed è proprio polemica contro un secolo al quale Leopardi si sente estraneo e del quale disprezza tutte le tendenze. E' il decadimento dei moderni rispetto agli antichi che non cessa di ammirare, ed è decadenza non solo morale e intellettuale, ma anche fisica per la moderna educazione che mortifica il corpo. E' l'abbassamento del livello culturale, è la mediocrità dominante che impedisce ai grandi animi di emergere e soprattutto è la viltà degli uomini che vogliono credere che la vita sia bella e non hanno il coraggio di ammettere di non sapere nulla di non essere nulla e di non avere niente da sperare.
L'operetta si conclude con un'invocazione alla morte unica liberatrice della sofferenza umana.
Lo scopo principale di questa Accademia è favorire le inclinazioni e premiare l'ingegno dell'uomo.
Pare che in questo secolo tutto l'ingegno umano sia rivolto alla invenzione e alla costruzione delle macchine. Ma le macchine sin qui inventate proteggono l'umanità da diversi spaventi o pericoli provocati dalla natura ma non da quelli provocati dall'uomo.
L'accademia dei Silografi propone tre grossi premi per l'invenzione di tre nuove macchine.
La prima dovrà fare la parte dell'amico dell'uomo. Una macchina che non lo biasimi, non lo derida, lo sostenga nella necessità, non tradisca la sua fiducia, non faccia pettegolezzi
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