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Giuseppe Verdi (1813-l901) di Pierluigi Petrobelli
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Nato a Le Roncole, vicino a Busseto (Parma), il 10 ottobre 1813 da un oste e da una filatrice, Giuseppe Verdi manifestò precocemente il suo talento musicale, come testimonia la scritta posta sulla sua spinetta dal cembalaro Cavalletti, che nel 1821 la riparò gratuitamente 'vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi d'imparare a suonare questo istrumento'; la sua formazione culturale ed umanistica avvenne soprattutto attraverso la frequentazione della ricca Biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, tuttora in loco.
I principi della composizione
musicale e della pratica strumentale gli vennero da Ferdinando Provesi, maestro
dei locali Filarmonici; ma fu a Milano che avvenne la formazione della sua
personalità.
Non ammesso a quel Conservatorio (per aver superato i limiti d'età), per
la durata di un triennio si perfezionò nella tecnica contrappuntistica
con Vincenzo Lavigna, già 'maestro al cembalo' del Teatro alla
Scala, mentre la frequentazione dei teatri milanesi gli permise una conoscenza
diretta del repertorio operistico contemporaneo.
L'ambiente milanese, influenzato dalla dominazione austriaca, gli fece anche
conoscere il repertorio dei classici viennesi, soprattutto quello del quartetto
d'archi. I rapporti con l'aristocrazia milanese e i contatti con l'ambiente
teatrale decisero anche sul futuro destino del giovane compositore: dedicarsi
non alla musica sacra come maestro di cappella, o alla musica strumentale,
bensì in modo quasi esclusivo al teatro in musica.
La prima sua opera, nata come
Rocester (1837), frutto di lunga elaborazione, e poi trasformata in Oberto,
conte di San Bonifacio, venne rappresentata alla Scala il 17 novembre 1839, con
esito tutto sommato soddisfacente.
L'impresario del massimo teatro milanese, Bartolomeo Merelli, gli offerse un
contratto per altre due partiture: Un giorno di regno (Il finto Stanislao),
opera buffa, ebbe una sola rappresentazione (5 settembre 1840), e solo con
Nabucco, la cui prima ebbe luogo il 9 marzo 1842, il talento verdiano si
rivelò appieno. Il modello dello spettacolo grandioso, dove la vicenda
è disegnata a grandi tinte, si ripete nell'opera successiva, I lombardi
alla prima crociata (Milano, Scala, 11 febbraio 1843); ed è con Ernani
(Venezia,
A trentaquattro anni il compositore ha ormai raggiunto una fama internazionale;
le sue opere si rappresentano con frequenza in tutti i teatri del mondo, e
vengono commissionate dai principali teatri italiani.
Ma questo a Verdi non basta. La trasformazione de I lombardi in Jérusalem
(Parigi, Opéra, 26 novembre 1847) costituisce il primo incontro con le esigenze
(ma anche con gli imponenti mezzi a disposizione) del grand opéra francese, e
di questa esperienza sono evidenti le tracce ne La battaglia di Legnano (Roma,
Argentina, 27 gennaio 1849), in cui conflitti individuali ed aspirazioni
patriottiche, sollecitate dal contemporaneo esplodere dei moti risorgimentali,
si alternano nella partitura. Con Luisa Miller (Napoli, San Carlo, 8 dicembre
1849), di nuovo su modello schilleriano, i conflitti si spostano anche tra
differenti livelli sociali, alla fine dei quali l'innocenza soccombe.
Con Stiffelio (Trieste, Teatro Grande, 16 novembre 1850) l'ambientazione
borghese di una setta religiosa mette in luce il conflitto tra i sentimenti
individuali e il dovere che la carica spirituale impone. Con Rigoletto
(Venezia,
All'esperienza del grand opéra
Verdi ritorna con Les Vêpres siciliennes (Paris, Opéra, 13 giugno 1855),
affrontando per la prima volta le esigenze della declamazione in lingua
francese, e mettendo a confronto ancora una volta conflitti tra individui con
aspirazioni e sentimenti di un intero popolo. Oltre alla traduzione del
Trovatore in Trouvère e l'impoverita trasformazione (soprattutto per
esigenze di censura) di Stiffelio in Aroldo, con Simon Boccanegra (Venezia,
Il ritorno all'orbita francese porta alla riscrittura di Macbeth (Paris, Théatre Lyrique, 21 aprile 1865) e alla composizione di Don Carlos (Paris, Opéra, 11 marzo 1867), dove le esigenze spettacolari del genere vengono piegate alle necessità della più complessa fra tutte le realizzazioni drammatiche verdiane: i conflitti tra gli individui - e al loro interno - sono connessi tra loro in una vorticosa spirale, nella quale la concezione politica liberale del Marchese di Posa si confronta con quella assoluta di Filippo; ma su di entrambe prevale il potere della Chiesa impersonato dal Grande Inquisitore.
Verdi, che era stato eletto deputato nel primo Parlamento italiano e che su richiesta di Cavour aveva composto l'Inno delle nazioni per l'inaugurazione dell'Esposizione universale di Londra del 1862, vide con crescente preoccupazione l'assenza di un sentimento di appartenenza nella nazione appena creata; e non cessò di additare modelli nei quali riconoscere un patrimonio culturale comune; alla morte di Rossini (13 novembre 1868) propose una Messa da Requiem, omaggio collettivo dei maestri italiani al massimo esponente dell'arte loro (1869) e, rielaborando La forza del destino, scrisse una Sinfonia la cui articolazione è modellata su quella del rossiniano Guglielmo Tell.
La creazione di Aida (Il Cairo, Teatro dell'Opera, 24 dicembre 1871), voluta come opera 'nazionale' egiziana da Ismail Pascià, portò ad una originalissima interpretazione, in chiave italiana, delle esigenze spettacolari e drammatiche del grand opéra; ancora una volta in quest'opera il conflitto tra il potere e l'individuo porta all'annientamento di quest'ultimo attraverso una caleidoscopica alternanza di esperienze stilistiche, musicali e spettacolari.
Davanti al diffondersi in Italia della musica strumentale d'Oltralpe Verdi reagì componendo un Quartetto (Napoli, 1 aprile 1873) per dimostrare che sapeva combattere il 'nemico' con le sue stesse armi e, alla morte di Alessandro Manzoni, decise di comporre lui stesso, sviluppando il già fatto nell'ultimo movimento della collettiva Messa per Rossini, un Requiem, che di quella composizione ritiene l'articolazione testuale e l'alternanza di spessori sonori.
Ma il Requiem, ulteriore messaggio politico che identifica nel destinatario la massima gloria letteraria contemporanea e in Palestrina il modello storico secondo il quale si svolgono alcuni momenti cruciali della partitura, è una solitaria, totalmente soggettiva, meditazione sul mistero della morte, con tensioni costantemente frustrate verso una trascendenza avvertita come improbabile.
Ad un periodo piuttosto prolungato di apparente stasi ed inattività creativa seguirono il radicale rifacimento del Simon Boccanegra (1880-81), che segna fra l'altro l'inizio della collaborazione con Arrigo Boito, e la trasformazione di Don Carlos da grand opéra in cinque atti ad opera italiana (Milano, Scala, 10 gennaio 1884).
Con la composizione di Otello (Milano, Scala, 5 febbraio 1887) Verdi riporta il dramma al livello dell'individuo - il protagonista - che si dibatte e soccombe tra l'astrazione assoluta del bene - Desdemona - e quella del male - Jago -. Se in Otello sono ancora riconoscibili, pur nel flusso continuo del discorso sonoro e drammatico, nuclei statici nei quali si intravedono le forme musicali chiuse del passato, in Falstaff, l'estrema fatica operistica verdiana, l'azione si trasforma in puro gioco dell'intelletto, al quale corrisponde un altrettanto sottile e raffinato procedere di simmetrie sonore.
La parabola artistica di Verdi si chiuse con la composizione dei tre pezzi sacri, uno Stabat Mater ed un Te Deum per coro e grande orchestra, che incorniciano la preghiera alla Vergine dall'ultimo canto della Divina commedia, affidato a quattro voci femminili soliste e, a questi tre brani venne in seguito aggiunta, all'inizio, un'Ave Maria per coro a cappella, composta precedentemente. Anche qui, come nel Requiem, le aspirazioni ad una trascendenza si alternano ad una visione pessimistica della realtà umana, la sola alla quale Verdi crede veramente. E per i musicisti anziani Verdi dà vita in Milano ad una casa di riposo che egli definirà 'l'opera mia più bella'.
La morte di Verdi, il 27 gennaio 1901, segna la conclusione di un'era della vita italiana; l'apoteosi del suo funerale coincide invece con l'inizio della parabola crescente della fortuna dell'opera sua, mai come oggi viva ed attuale sulle scene di tutto il mondo.
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