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I Promessi Sposi

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I Promessi Sposi



CAPITOLO 1


In quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno, tra due catene continue di monti, il 7 novembre del 1628 un prete, don Abbondio, come tutte le sere con il breviario in mano si dirige verso la curia recitando sermoni.


Dopo essere giunto dove il sentiero si divide e aver svoltato a destra si trova davanti due loschi individui che bloccano il suo cammino.


Subito intimorito cerca una via laterale per cui sfuggire, ma non potendoli più evitare decide di affrontarli, sicuro nell'animo di non avere colpe.




I due sono dei bravi mandati da don Rodrigo per far sì che il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella non si celebri.


Per riuscire nel loro intento minacciano la vita del curato che una volta tornato a casa chiede consiglio sul da farsi alla serva Perpetua.


Nonostante tutti i suoi dubbi rimangono: 'Celebrare o no il matrimonio?'.




CAPITOLO 2


Don Abbondio dopo l'incontro con i bravi e il dialogo con Perpetua passa una notte insonne.


Non ha alcuna intenzione di celebrare il matrimonio, ne di parlare dell'accaduto con Renzo e crede che l'unica soluzione sia prendere tempo.


Una volta riuscito ad addormentarsi incomincia a sognare ,a sognare di don Rodrigo, dei bravi ,di fughe.


La mattina seguente incontra il giovane Renzo e inventa molteplici scuse per rinviare le nozze.


Il ragazzo, sconsolato, si dirige verso casa quando, passando davanti all'orto del curato, sente la voce di Perpetua e pensa di poter avere qualche notizia sullo strano comportamento di don Abbondio.


Ingenuamente la serva cade nel suo inganno e gli confida la verità.


Renzo si reca allora a casa della sposa e la mette a conoscenza dell'accaduto, rendendo poi noto a tutti che il matrimonio è rinviato perché la febbre aveva colpito nella notte il curato.


Ironia della sorte don Abbondio fu veramente vittima di questa febbre.




CAPITOLO 3


Lucia davanti alla madre Agnese e a Renzo inizia a raccontare di quando, l'ultimo giorno della filanda ,era venuta a conoscenza dell'interesse mostrato verso di lei da don Rodrigo e della sua scommessa.


Finita la narrazione Agnese propone di chiedere un consiglio a qualcuno più colto di loro e fa il nome dell'Azzecca-Garbugli.


Allora Renzo, portando in offerta dei capponi, si reca da quest'avvocato che appena sentito il nome di don Rodrigo finge di scambiarlo per un bravo e rifiuta la causa.


Renzo torna al paese infuriato.


Intanto Lucia attraverso fra Galdino manda a chiamare padre Cristoforo, il suo confessore ,sperando che lui trovi un rimedio.


Al cominciare del tramonto i tre si separano scambiandosi consigli.


CAPITOLO 4


L'autore racconta la vera identità di fra Cristoforo.


Il suo vero nome è Ludovico e un tempo era un ricco mercante ritiratosi dall'attività per continuare a vivere nel lusso.


Un giorno, passando nei pressi del convento per una questione d'onore, arriva alle armi con altro nobile che uccide perché durante il combattimento aveva ucciso il suo giovane amico Cristoforo.


Spaventato dell'accaduto e delle sue possibili conseguenze tenta di scappare ma sviene.


Si risveglia all'interno del convento e una volta guarito trova come soluzione al problema il farsi frate.


Così una volta acquisiti gli abiti religiosi chiede e ottiene il perdono da parte dei familiari dell'uomo che ha ucciso.


Sarà però costretto a trasferirsi in un convento a più di sessanta miglia da quella città.


Il modulo si chiude con il suo arrivo a casa di Lucia accolto dal vociare delle donne.




CAPITOLI 5 e 6


Fra_ Cristoforo a colloquio con Lucia e la madre Agnese propone di recarsi in persona da don Rodrigo per cercare di risolvere la questione.


Giunto al palazzo del signore viene invitato a unirsi al banchetto e ai discorsi di don Rodrigo e dei suoi commensali.


Dopo un lungo dibattito sull'onore cavalleresco è sollecitato dal padrone di casa a seguirlo in un'altra stanza per poter discutere in privato.


Mentre i due discutono animatamente, Renzo e Lucia su consiglio di Agnese, decidono che la cosa migliore sia sposarsi segretamente per far sì che una volta uniti nessuno li possa più dividere.


Grazie alla promessa di ricompensa Renzo riesce a ottenere la collaborazione di Tonio e Gervasio, suoi amici, che faranno da testimoni.


Una volta organizzato tutto, i due promessi sposi e Agnese decidono di non riferire nulla a fra Cristoforo che stava tornando da loro turbato per non essere riuscito nel suo intento.




CAPITOLO 7


Padre Cristoforo Giunto a casa di Lucia riferisce il fallimento del colloquio con don Rodrigo.


La mattina seguente strani mendicanti si presentano alla porta di Lucia e, una volta entrati in casa per ricevere l'elemosina, tentano di aggirarsi per l'abitazione.


A questo punto interviene il narratore, che spiega al lettore che, questi loschi individui, non sono altri che i bravi mandati da don Rodrigo per organizzare il rapimento di Lucia.


Rapimento ispirato dalla paura del signore che le parole del frate si avverino.


Per una scherzo del destino il matrimonio in segreto e il rapimento avranno luogo la stessa sera.


Così prima di prepararsi Tonio, Gervasio e Renzo cenano all'osteria dove incontrano i bravi che dovranno rapire la sposa.


Dopo aver cenato si incontrano con Lucia e si recano dal curato dove Agnese si presenta sola alla porte e cerca di far allontanare la serva Perpetua.




CAPITOLO 8


Agnese riesce nel suo intento e i due sposi con i testimoni entrano nella curia.


Tonio si presenta al curato con i soldi per saldare il debito che aveva e, sfruttando un momento di distrazione dell'anziano prete, fa cenno ai due giovani di uscire allo scoperto.


Renzo e Lucia tentano di recitare la frase che davanti ai testimoni e al prete li farà marito e moglie, ma il sagrestano ha sentito le urla di paura di don Abbondio e ha dato l'allarme.


Per non essere scoperti sono costretti a scappare senza essere riusciti nel loro intento.


Mentre si sviluppa la vicenda i bravi, incaricati di rapire Lucia entrano nella casa ispezionata quella mattina, ma non trovano nessuno e sentendo in lontananza l'allarme del sagrestano credono di essere stati scoperti e così fuggono.




CAPITOLO 9


Renzo, Lucia e Agnese fuggono sull'altra sponda del lago e si preparano a passare la notte in una locanda.


La mattina seguente le due donne, dopo essersi separate da Renzo, sono guidate da un buon 'barocciaio' al convento di Monza cui sono state mandate da padre Cristoforo.


Una volta arrivate vengono accolte da un frate che le guida in una stanza dive conoscono la 'signora'.


La 'signora' è la madre superiora e si chiama Geltrude.


Qui l'autore apre una lunga digressione sulla sua vita.


Fin dalla sua tenera età Geltrude era stata indirizzata a una vita di clausura e castità per seguire la via ecclesiastica.


Però la giovane si innamorò del gio che viveva nella casa del padre, un principe molto noto a Monza.


Quando una sera stava scrivendo una lettera al suo innamorato venne scoperta da una governante che consegnò il suo scritto al padre, che arrabbiatissimo licenziò il gio e la chiuse in una stanza con la sua accusatrice che le facesse da guardia.


A questo punto Geltrude cerca di ottenere il perdono del padre mandandogli una lettera di scuse dove rimarcava il suo pentimento, il suo abbattimento e la speranza che erano dentro d lei.




CAPITOLO 10


Il principe legge la lettera mandatagli dalla lia e la manda a chiamare .


Nasce così una lunga conversazione in cui il padre cerca di far capire alla lia che la soluzione migliore per non coprire di vergogna il casato era quella di diventare monaca presso il convento di Monza dove era stata educata.


La mattina seguente Geltrude viene portata a Monza e fa domanda d'ammissione al monastero .


Viene a lungo interrogata da un prete con lo scopo di capire le sue vere intenzioni sono quelle di diventare monaca o se qualcuno l'ha spinta nella sua decisione.


Preferisce nascondere la verità intuendo che ormai è troppo tardi per cercare una via d'uscita.


Passa così l'esame ed entra a far parte del monastero.


Lentamente iniziano a nascere il lei il rammarico per la libertà perduta e i pensieri su desideri non realizzati.


Inizia così a svilupparsi il suo dramma interiore: si comporta stranamente e usa un linguaggio violento.


Le monache che la circondano non possono capirla e vedono in questi suoi comportamenti solo dei capricci.


In seguito si innamora di Egidio, il giovane che abita a fianco del convento e quando una conversa scopre la loro relazione la uccidono.


La parentesi si chiude e si ritorna alla narrazione.


La monaca e Lucia parlano a lungo e le continue domande della donna insospettiscono la ragazza .




CAPITOLO 11


I bravi tornano dal padrone e lo informano del fallimento del rapimento.


Da un giro di voci, presumibilmente partite dal buon barocciaio, viene a sapere del nascondiglio di Lucia e della sua separazione da Renzo e così decide di mandare il Griso a Monza che dopo un iniziale tentennamento si decide a partire con due bravi al seguito.


Poi il discorso si sposta su Renzo che giunge a Milano con la lettera datagli da padre Cristoforo per il frate Bonaventura che però al momento è assente e così decide di aspettarlo.


In città intanto ci sono delle sommosse per la carestia e il giovane viene attirato al centro del tumulto dal rumore della folla.




CAPITOLO 12


Questo (1628) era il secondo anno di carestia e il Manzoni incomincia ad analizzarne le cause:


l'ostilità delle stagioni e gli sprechi fatti per la guerra di successione del Ducato di Mantova;


Prosegue descrivendone gli effetti: la scarsità del grano e la conseguente riduzione del consumo e dello spreco.


La gente non crede che si tratti di una vera e propria carestia, ma sospetta che siano i fornai e gli incettatori che per il loro tornaconto nascondano la farina.


Le riforme istituite dai magistrati furono tre:


*la prima imponeva un prezzo fisso massimo che prevedeva pene per chi si rifiutava di vendere secondo queste disposizioni, ma i suoi effetti furono nulli e in pratica non si risolse il problema sotto nessun problema;


*la seconda riforma ad opera del vice-governatore Ferrer che prevedeva la riduzione del prezzo della pena costituì la scontata protesta dei fornai


*nella terza riforma don Gonzalo (il governatore) declinando ogni responsabilità, nominò una giunta che cercando di risolvere il problema stabilì un ulteriore aumento dei prezzi.


In tal modo i fornai furono accontentati ma la gente esplose manifestando la propria rabbia con l'assalto ai forni.


Il primo ad essere saccheggiato fu il forno delle Grucce, nonostante il vano tentativo del capitano di giustizia e degli alabardieri di bloccare la sommossa.


Poi il popolo si diresse verso la casa del vicario, ritenuto dalla gente il responsabile di tutto.




CAPITOLO 13-l4-l5-l6


Il Manzoni nel modulo 13 passa alla descrizione del terrore del vicario barricato nella sua abitazione ,mentre la folla minacciosa si avvicina.


Renzo è coinvolto nel tumulto e rischia di essere scambiato per un servitore del vicario.


Dopo qualche minuto giunge sul luogo il governatore Ferrer che diplomaticamente riesce a conquistare il popolo con la promessa che il vicario sarà condotto in prigione.


Il protagonista si presta nell'aiutare Ferrer che se ne va con la sua carrozza in comnia del curato.


Nel modulo 14 Renzo separatosi dalla folla si unisce alla discussione di alcune persone e una volta finito il suo discorso chiede un consiglio su dove passare la notte.


Uno sconosciuto si offre di guidarlo in un'osteria dove a causa di qualche bicchierino di troppo perde il lume della ragione e dopo essersi rifiutato di dare le sue generalità all'oste cade nel tranello del suo accomnatore che una volta venuto a conoscenza del suo nome lo abbandona.


Nel modulo 15 l'oste accomna in camera il giovane e dopo un ultimo tentativo sulla sua identità lo spoglia e lo mette a letto.


Tornato in cucine l'oste lascia con mille consigli il lavoro alla moglie e si reca al palazzo di giustizia per denunciare Renzo.


Qui viene a sapere che il giovane era già stato denunciato dal suo accomnatore, uno sbirro di nome Giorgio Fusella.


All'alba del mattino seguente tre poliziotti e il notaio criminale giungono all'osteria per arrestare Renzo che svegliato di soprassalto è stupito perché non sa di cosa è accusato.


Portato sulla strada in manette per essere condotto da Ferrer, il protagonista chiede aiuto al popolo che si ribella e lo libera.


Nel modulo 16 Renzo decide di uscire dal ducato di Milano e di recarsi a Bergamo dal cugino Bartolomeo.


In giornata giunge nel paese di Gorgonzola, dove si ferma in un'osteria.


Poco dopo il suo arrivo giunge all'osteria un mercante di Milano a cavallo che racconta ai presenti dei tumulti in città e della fuga di un giovane dalle mani della polizia.


Il giovane a cui egli si riferisce è proprio Renzo che spaventato lascia indifferente l'osteria e continua per la sua strada.




CAPITOLO 17-l8


Renzo continua a camminare per il sentiero ed è combattuto dalla voglia di scappare e quella di nascondersi.


Dopo aver a lungo riflettuto sta per decidersi a tornare a Gorgonzola per riposarsi in una locanda quando avverte in lontananza il mormorio dell'Adda, fiume che sente suo amico, fratello e salvatore.


Improvvisamente la stanchezza che lo assaliva se.


Decide di attraversare il corso d'acqua il giorno seguente e ricordandosi di una capanna inabitata vista poco prima, vi si reca e li passa una notte tormentata dal freddo e da strani pensieri.


Si sveglia la mattina seguente verso le 11 è tornato sulla riva del fiume si fa portare da un pescatore sull'altra sponda.


Durante il tragitto gli viene confermato che la città che si può vedere in lontananza è Bergamo e una volta giunto sulle sponde del ducato di Venezia pranza a un'osteria e si reca dal cugino Bartolomeo che lo rincuora e lo ospita.


Il modulo 18 si apre con la perquisizione della casa di Renzo e con la partenza di Attilio per Milano.


Intanto il Griso torna al suo padrone da Monza dove ha scoperto il nascondiglio di Lucia .,e don Rodrigo che aveva intenzione di abbandonare l'impresa ci ripensa per una questione di orgoglio.


A Monza Agnese e Lucia vengono a conoscenza delle terribili notizie su Renzo.


Agnese non ricevendo più notizie da padre Cristoforo decide di tornare in paese dove viene a sapere da fra Galdino che il suo 'confessore' è stato trasferito a Rimini.


L'autore spiega il perché.


Attilio si è recato a Milano per chiedere a suo zio di trasferire padre Cristoforo che infastidisce il cugino Rodrigo e riesce a convincerlo spiegandogli che salverà l'onore della famiglia frenando lo spirito di vendetta del nipote.




CAPITOLO 19


Il conta Attilio riesce nel suo intento.


Lo zio, amico da antica data del padre provinciale, lo invita a pranzo.


A tavola il conta parla di Madrid e, della sua visita all'Escuriale, mentre il padre provinciale parla del cardinale Barberini ,un cappuccino che era fratello del papa.


Finiti i preliminari i due passano in un'altra stanza per un colloquio più personale.


Il conte zio la prende da lontano, vuole sapere il parere del religioso su fra Cristoforo e lo informa che questi protegge il fuggiasco di Milano; gli ricorda inoltre i trascorsi giovanili del padre.


Il padre provinciale ha già capito tutto, ma risponde come richiede la convenienza e costringe così il conte a venire al punto.


Il punto è questo: 'Il frate ha preso a cozzare con suo nipote'.


Dispiaciuto il religioso s'incarica di prendere tutte le informazioni necessarie.


Ma il conte zio ha un altro parere: è meglio risolvere le cose senza fare chiasso, è meglio 'sopire, troncare' e secondo lui la soluzione migliore è allontanare padre Cristoforo.


Il padre provinciale accetta, ma in cambio vuole una dimostrazione di riguardo per i cappuccini.


L'affare è fatto.


E così una sera giunge al convento di Pescarenico un frate con un plico per il padre guardiano.


Dentro c'è l'obbedienza per cui padre Cristoforo dovrà andare a Rimini.


Don Rodrigo nel frattempo ha deciso di chiedere l'aiuto dell'innominato, uno scellerato di professione che si era meritato un bando e il dover vivere in un castello isolato, lontano da tutti; e tuttavia onnipresente nel milanese, dove rispettato da tutti per timore ,è collegato con molti altri malfattori.




CAPITOLO 20


Il modulo si apre con la descrizione del 'castellaccio dell'innominato': due sono le note che lo contraddistinguono: l'altezza e l'asprezza del paesaggio che lo circonda.


L'innominato si incontra con don Rodrigo ed è sbrigativo: si assume l'incarico del rapimento di Lucia e il signorotto lo informa di avere una carta segreta per poter stanare Lucia dal convento: Egidio, il giovane seduttore di Geltrude, è tra i suoi sicari.


Ma appena dato il suo consenso a don Rodrigo, l'innominato si pente.


Da tempo aveva incominciato a provare 'se non rimorso, una cert'uggia dalle sue scelleratezze'.


L'ordine a Egidio è comunque dato: la risposta giunge presto: l'impresa è facile e sicura.


Il Nibbio, il bravo di fiducia dell'innominato, può partire con una carrozza.


Geltrude trova spaventosa la proposta di Egidio, ma è costretta ad ubbidire.


Il giorno stabilito, chiede a Lucia di andare a chiamare il padre guardiano, sa far fronte alle incertezze e alla ritrosia della fanciulla, non senza rimorsi e ripensamenti.


Lucia parte, esce dal monastero, va nella via maestra, e vede una carrozza ferma.


Un uomo le chiede se quella è la strada per Monza, Lucia si volta per indicare la via giusta e viene afferrata, schiacciata dentro la carrozza che parte di gran carriera.


L'innominato attende dall'alto del castello l'arrivo della carrozza: la vede.


Pensa di mandare uno dei propri sgherri dal Nibbio per ordinargli di portare subito la ragazza da don Rodrigo.


Ma un imperioso no nella mente glielo impedisce.


Chiama allora una vecchia donna e le da uno strano ordine: le intima di fare coraggio alla giovane che stava per arrivare.




CAPITOLO 21


La vecchia accoglie Lucia senza però trovare le parole giuste per confortarla.


Intanto l'innominato dopo un breve colloquio con il Nibbio decide di vedere la ragazza e così si reca nella sua stanza dove alla vista della giovane terrorizzata modera i termini utilizzati precedentemente con il Nibbio e riesce a tranquillizzarla un po'.


Lucia implora misericordia in nome di Dio e turba l'innominato che dopo l'accenno di una mezza promessa di liberazione si ritira.


La vecchia incoraggia la fanciulla e la invita a mangiare, ma dopo vani tentativi si addormenta e Lucia rivive fra il sonno e la veglia la sua esperienza.


Ripresasi si affida alla preghiera, trova finalmente pace e si addormenta tranquillamente.


Intanto l'innominato colpito dal pentimento riesamina le varie tappe della sua vita.


E disperato, ha la tentazione di uccidersi, ma l'inconsapevolezza della vita ultraterrena lo ferma.


CAPITOLO 22


L'innominato, venuto a sapere della presenza in paese del Cardinale Federigo Borromeo, decide di ottenere un colloquio da lui.


Prima di lasciare il suo castello, porta visita a Lucia addormentata, e le lascia detto della sua prossima liberazione.


Una volta giunto in canonica, chiede all'impacciato segretario, che lo ha riconosciuto, di essere introdotto al cardinale, sul quale a questo punto l'autore apre una lunga parentesi.


Federigo, nato nel 1564, già all'età di 16 anni decise di dedicarsi al ministero ecclesiastico, stimolato dal perseguire il modello del cugino Carlo che aveva dato alla gente un'idea di santità preminenza sulla sua famiglia.


Una volta conclusa la presentazione il narratore descrive le qualità dell'uomo Federigo Borromeo e cioè:


*l'attenzione costante verso la povera gente;


*l'apertura e la liberalità del suo carattere;


*la grande modestia;


Per poi passare alla descrizione del suo amore per lo studio, che gli valse il titolo 'd'uomo dotto', e a quella sulla fondazione della biblioteca ambrosiana, che come sottolineò PierPaolo Bosca, nonostante 'fosse stata eretta da un privato, quasi tutta a sue spese ,i libri fossero esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque li richiedesse.'.


CAPITOLO 23


In questo modulo il discorso torna alla narrazione dei fatti.


Il cardinale Federigo sta studiando mentre aspetta l'ora di andare in chiesa quando entra il cappellano crocifero che lo avvisa di una 'strana visita, strana davvero'.


Quando Borromeo viene a sapere l'identità del suo visitatore lo accoglie con prontezza.


Per qualche secondo all'entrata nella stanza dell'innominato domina il silenzio poi rotto dal cardinale.


L'accoglienza calorosa del religioso lo sorprende e dopo le prime parole del suo interlocutore cade in pianto e in parole di pentimento per la sua vita piena di nefandezze.


Dopo essersi sfogato l'innominato prova finalmente una gioia nuova per essersi confidato e aver aperto il proprio cuore a qualcuno.


Non potendo più riparare alle male opere compiute non può far altro che sistemare quelle in compimento e così parla al cardinale del rapimento di Lucia.


Qui torna in scena il timoroso don Abbondio che viene convocato dal cardinale che gli ordina di riaccomnare al castello l'innominato per liberare la sua compaesana Lucia Mondella .


Durante il tragitto verso il castello si esprimono tutti le paure e i dubbi di don Abbondio nei confronti dell'innominato: 'Sarà vero pentimento o nasconde un losco piano?'.


Tutte le sue paure sbiadiscono quando arrivati al castello le parole, il volto dell'innominato placano ogni suo dubbio.


Il modulo si chiude con l'entrata di nel castello e la salita silenziosa della scalinata che conduceva alle stanze.




CAPITOLO 24


L'innominato, don Abbondio e la brava donna sono appena giunti al castello.


Quando Lucia vede entrare il curato con la notizia della liberazione è commossa e alquanto sorpresa.


Si convince sempre più d'aver ottenuto un miracolo dalla Madonna.


L'innominato le chiede perdono e la ragazza chiede a Dio misericordia per quell'uomo pentito.


I protagonisti escono dal castello, Lucia viene fatta salire sulla carrozza con la donna, moglie di un sarto del paese, che si presenta e cerca di confortarla rivelandole la conversione dell'innominato.


Giunta finalmente a casa della donna viene sfamata.


Una volta finito il pranzo la giovane si risistema e toccandosi il collo sfiora la corona e così si ricorda del suo voto.


Sembra quasi pentirsene, ma piena di gratitudine verso la Madonna lo riconferma.


Intanto il sarto torna dalla chiesa con il resto della famiglia e l'autore ne da una piccola descrizione.


L'autore esalta la carità e lo spirito con cui il sarto accoglie Lucia.


Agnese e la lia riescono finalmente a incontrarsi e le fa visita anche il cardinale giunto alla casa del sarto.


Agnese lancia dure accuse al curato, ma Lucia completa la verità, rivelando il tentativo di matrimonio a sorpresa.


Intanto l'innominato tornato al castello raduna tutti i suoi bravi e dichiara la sua conversione e i suoi scopi nel futuro lasciando libero chi vuole di andarsene.


Tutti sono molto sorpresi e c'è chi si rodeva, chi pensava di adattarsi al far di galantuomo e chi non sapeva cosa fare.


Dopo qualche minuto l'innominato si ritirò nella sua stanza e si affidò alle preghiere.


CAPITOLO 25


La gente di Pescarenico, una volta venuta sapere che Lucia è miracolosamente libero, commenta deplorando don Rodrigo e i suoi comni.


Il signorotto infastidito dalle chiacchiere e preoccupato per l'imminente arrivo del cardinale Federigo, lascia il paese il più presto possibile.


Il sopraggiungere del cardinale è festeggiato con grandi cerimonie e tutti sono felici.


Il solo don Abbondio teme un rimprovero per non aver celebrato il matrimonio, rimprovero rinviato dal cardinale che attende il momento giusto.


Intanto Lucia e Agnese, ospiti del sarto conoscono donna Prassade, una nobile signora, e Lucia accetta la sua offerta di ospitalità sapendo di non poter tornare in paese.


Quindi il cardinale interroga don Abbondio sul suo operato e gli porta duri rimproveri che però il prete non coglie a causa del suo persistente egocentrismo.


CAPITOLI 25-26-27


Don Rodrigo venuto a conoscenza del clamoroso fallimento del suo piano e dell'avvicinarsi dell'arrivo del cardinale, scappa per evitare chiacchiere malevole e l'imbarazzante incontro con il religioso.


Il cardinale Borromeo continua nel suo rimprovero a don Abbondio ricordandogli i suoi doveri e gli impegni presi una volta indossato l'abito religioso.


Il Manzoni riporta la vicenda a Lucia che ha ricevuto 100 dall'Innominato che vuole riscattarsi.


Con l'arrivo di questi soldi Agnese fa molti progetti, stroncati però dalla confessione del voto alla Madonna da parte della lia.


Con la collaborazione di uno scrivano le due riescono a mandare la metà di questa cifra a Renzo che era a Bergamo dal cugino Bortolo.


Intanto il governatore di Milano, don Gonzalo Fernandez di Cordova, fa un gran fracasso quando viene a sapere che Lorenzo Tramaglino, uno dei furfanti della sommossa si trova nel suo ducato.


Quindi Renzo non è più al sicuro e allora cambia nome in Antonio Rivolta e cambia occupazione.


Durante la narrazione del romanzo il Manzoni ha più volte accennato alla guerra di successione agli stati del duca Vincenzo Gonzaga.


Alla sua morte il ducato di Milano cadde in mano a don Gonzago che impegnato nella guerra di casale si dimentica temporaneamente di Renzo.


Il quale rimasto nascosto dietro la nuova identità trova il modo di corrispondere con Agnese e venuto a conoscenza del voto di Lucia s'infuria.


Lucia viene invitata da donna Prassade una certa nobildonna incline a far del bene di cui però l'autore fa un quadro un po' ambiguo.


Una donna molto impegnata in opere di bene che opera la sua influenza su tutte le persone all'interno della casa tranne che sul marito, don Ferrante.


Uno studioso di varie materie dall'astrologia alla filosofia antica, dalla filosofia naturale alla magia e alla stregoneria.


Almeno in una merita il titolo di professore: la scienza cavalleresca.


Fino all'autunno 1929 la situazione dei personaggi è stabile.


Nell'inverno e nella primavera di quell'anno sopraggiunge una nuova carestia.


In ogni città ci sono botteghe chiuse e fabbriche deserte.


Il buon cardinale Federigo s'impegna per far fronte alla sciagura e comprata una certa quantità di grano la distribuisce nelle varie diocesi.


Passata finalmente la primavera i campi resuscitarono e tutti i contadini tornarono alle camne.


Poco dopo don Gonzalo se ne andò da Milano a cause delle sconfitte subite.


La gente lo contesta.


intanto l'esercito alemanno discende l'Italia saccheggiandola e la popolazione si nasconde sui monti.


CAPITOLO 28


L'attenzione dello scrittore ritorna alla situazione nel ducato di Milano; si inizia con alcune notizie sulla pubblicazione di nuove gride relative al problema del pane, che l'autorità emana per cercare di dare tardivo rimedio ai problemi posti dalla carestia, ma che, nella realtà, si rivelano assolutamente inadeguate e inefficaci di fronte al degenerare della situazione.


Manzoni descrive quindi la tragica e allucinante realtà cittadina, fatta di miseria, abbandono, fame, sporcizia, in cui la moria causata dalla tremenda carestia incomincia a far ire le prime avvisaglie di un morbo dilagante.


Col supporto di numerose testimonianze di storici dell'epoca, il Manzoni illustra quindi i provvedimenti presi dalla pubblica amministrazione, che si limita a destinare a centro di raccolta i poveri, mendicanti e malati, il lazzaretto, un edificio in periferia, costruito alla fine del 400 come ricovero per gli appestati.


Il provvedimento si rivela tardivo, come appare nella descrizione dell'apocalittico spettacolo che si presentava all'interno del lazzaretto.


Infine, dopo le notizie sulla riapertura del lazzaretto e la temporanea fine della carestia, Manzoni torna a parlare di avvenimenti storici, e in particolare della solita guerra di successione al ducato di Mantova ,che subisce delle svolte decisive ,culminanti con il fallimento di don Gonzalo e il suo allontanamento.


Ma, legata ai fatti della guerra, si prospetta una nuova minaccia sulle terre del milanese, quella della calata e dei saccheggi delle truppe mercenarie dell'esercito tedesco, chiamate dall'imperatore di Germania nel 1625: i famigerati lanzichenecchi, che porteranno in Italia la peste e costringeranno la popolazione a rifugiarsi sui monti.


CAPITOLO 30


I tre fuggitivi si avvicinano alla valle e cominciano a incontrare comnie di viaggio e di sventura che da sentieri sboccavano sulla strada.


Queste nuove presenze non erano gradite a don Abbondio, che temeva che il radunarsi di tanta gente attirasse i soldati e di conseguenza di trovarsi coinvolto nella battaglia.


Giunti alla 'Malanotte' il baroccio si ferma, viene licenziato il conducente e i tre si avviarono a piedi per la salita.


Dopo qualche minuto viene loro incontro l'innominato che riconobbe immediatamente don Abbondio e fu ben felice di poter ospitare la madre di Lucia, della quale chiede notizie.


Tutti insieme salgono al castello e ai tre ospiti vengono assegnate delle stanze.


Si trattennero per circa 24 giorni e fortunatamente in quel lasso si tempo non accadde nulla di straordinario anche se non passava giorno in cui non fosse lanciato un allarme.


Il più delle volte si trattava solo di semplici saccheggiatori che si ritiravano appena sorpresi.


Agnese e Perpetua per sdebitarsi dell'ospitalità, avevano voluto essere impiegate nei sevizi che erano necessari.


Don Abbondio invece non aveva niente da fare, ma non si annoiava perché la paura gli teneva comnia .


Non sia azzardava neppure a uscire dal castello, passeggiava solamente per i corridoi e si ingegnava nel trovare passi praticabili per una veloce fuga in caso di invasione.


Alla fine tutti lasciarono il castello.


Quelli delle terre invase partirono per primi e ogni giorno molti altri.


Don Abbondio, Agnese e Perpetua furono gli ultimi ad andarsene.


Mentre il primo era ancora timoroso nel caso di un incontro con i Lanzichenecchi, la serva sosteneva che più si tardava, più si dava agio ai soldati di rubare nelle case.


Fissarono il giorno della partenza e l'innominato fece trovare loro pronta una carrozza.


Dopo che ricevette i ringraziamenti da don Abbondio e Perpetua, prese in disparte Agnese e le diede degli scudi per riparare i danni che avrebbe trovato in casa.


Durante il ritorno fecero una breve sosta alla casa del sarto dove ascoltarono attenti gli atti dei soldati passati: le solite ruberie, percosse, ma li non si erano visti Lanzichenecchi.


Giunti al paese trovarono ciò che si aspettavano.


I saccheggiatori però non si erano limitati a rubare, ma avevano anche imbrattato i muri di uracce.


Scesi nell'orto si accorsero che anche il loro tesoro era stato rubato, non dai soldati, ma dai loro compaesani.


CAPITOLO 31


Sulla peste che si diffonde nel milanese dopo l'invasione dei lanzichenecchi esistono molte relazioni di autori contemporanei, fra le quali la più importante è quella del Ripamonti.


Secondo il narratore tuttavia, esse sono tutte più o meno incomplete o imparziali.


Perciò egli si propone di dare una nuova versione dei fatti, mettendo in rilievo la responsabilità della classe dirigente del tempo.


Al verificarsi dei primi casi di peste, vengono svolte alcune indagini ,ma il governatore mostra pochissimo interesse per lo stato delle cose in città: a occupare la sua mente sono piuttosto i pensieri della guerra.


Rifiuta pertanto di prendere delle precauzioni.


Anche se la maggior parte della popolazione nega l'evidenza e accusa i medici che parlano di peste di essere degli impostori, animati dal desiderio di gettare nello spavento l'intera città.


Quando però la verità non può essere più nascosta, il lazzaretto torna alla sua funzione originaria di ricovero per gli appestati.


La popolazione che vi si raccoglie aumenta di giorno in giorno: il numero dei nuovi arrivati supera di gran lunga quello, se pur elevato, dei decessi.


Questa situazione solleva diversi problemi, di ordine finanziario e organizzativo, ai quali si pone rimedio come si può, e non sempre in modo ottimale.


Intanto, non potendo più negare la verità, la superstizione popolare va cercando fra le più astruse la causa del flagello.


CAPITOLO 32


Il modulo si apre con la richiesta d'aiuto dei decurioni al governatore che da però una risposta molto evasiva e trasferisce la sua autorità a Ferrer, perché lui doveva pensare alla guerra.


Guerra che aveva portato via milione di persone anche a causa del contagio e che si era conclusa con il riconoscimento del duca, per escludere il quale era iniziata la guerra.


Nello stesso tempo i decurioni pregarono il buon cardinale che si facesse una processione solenne, ma egli rifiutò per due motivi.


Primo: se la cosa non avrebbe riportato risultati si sarebbe aperto uno scandalo e mancanza di fiducia nella religione.


Secondo: l'accalcarsi di una così gran massa avrebbe favorito il lavoro degli untori o, se questi non esistevano, aumentato il rischio di contagio.


Il sospetto delle unzioni si era infatti ridestato più generale e forte di prima.


Ma i decurioni non si abbatterono all'iniziale rifiuto e convinsero Federigo a concedere il permesso per la processione.


Il giorno seguente la processione, le morti aumentarono in ogni parte della città.


E la popolazione passò da 250 mila prima della peste a 64 mila abitanti.


I decurioni stabilirono nuovi serventi pubblici: commissari, apparitori e monatti.


I primi regolavano apparitori e monatti.


I secondi precedevano i carri dove i monatti raccoglievano i moribondi e i cadaveri e suonavano un campanello per far sgombrare la strada.


Il cardinale Federigo non volle lasciare la città, dove i monatti erano diventati padroni ormai di ogni cosa, infatti si impadronivano dei beni dei moribondi. Si diceva addirittura che lasciassero cadere dal carro roba infetta per divulgare la pestilenza divenuta per loro motivo di ricchezza.


Dal pari con la perversità, in questa situazione crebbe la pazzia, che rinforzò la paura delle unzioni.


Così i magistrati sempre più confusi si misero alla ricerca di questi untori.






CAPITOLO 33


Una notte, verso la fine di Agosto ,don Rodrigo accomnato dal fido Griso torna in Milano.


Camminando però sentiva un malessere e anche il suo viso aveva qualcosa di strano.


Giunto a casa si sdraiò e il suo malore crebbe e durante un turbolento sogno vide di fra Cristoforo.


Ripresosi sentì il dolore sempre più forte e dando un'occhiata scoprì un bubbone.


Il terrore della morte lo invase e così si confidò con il Griso e lo mandò a chiamare un dottore.


Il Griso però lo tradì e mandò a chiamare i monatti che lo derubarono e lo portarono al lazzaretto.


Il Griso, il giorno seguente, dopo aver preso più che poteva si sentì male e dopo essere stato spogliato dei suoi beni morì sul carro dei monatti.


Intanto Renzo tornato in paese incontra Tonio, ormai irriconoscibile per la peste e don Abbondio dal quale viene a sapere che Lucia è a Milano.


Renzo salvatosi dalla peste si rifugiò da un vecchio amico e il giorno seguente partì per Milano alla ricerca della sua promessa sposa.


CAPITOLO 34


Renzo riesce a entrare in Milano da Porta Nuova e viene scambiato da un barbone per un untore.


Proseguendo il suo cammino e giungendo in piazza san Marco vede la tremenda macchina della tortura.


Incontra poi un prete in farsetto al quale chiede la via per la casa di don Ferrante.


Il Manzoni racconta gli inutili tentativi di proteggersi dalla peste da parte del popolo.


Mentre percorre la via indicatagli dal prete si trova di fronte a una moltitudine di ammalati condotti al lazzaretto.


Giunto finalmente da don Ferrante gli viene detto che Lucia si trova nel lazzaretto e viene scacciato.


Viene nuovamente preso per un untore e la folla lo circonda.


Riesce a fuggire saltando su un carro funebre dal quale scende una volta trovatosi di fronte al lazzaretto che gli presenta uno spettacolo mostruoso: un brulicare di ammalati e moribondi.


CAPITOLO 35


Il lazzaretto era un recinto popolato da 16000 appestati e Renzo non vedendo nessuna donna pensò che le donne dovevano essere in un luogo separato e si dispose a cercarlo.


Aveva già girato per un bel pezzo quando si imbatté in un cappuccino dall'aria a lui familiare: era fra Cristoforo, che da Rimini ,scoppiata la peste, aveva chiesto di venire a Milano per assistere gli appestati. Il conte zio era morto e così la sua domanda fu accolta.


Renzo si fece riconoscere e fu accolto con molto affetto.


Gli fu offerta una scodella di minestra e un bicchiere di vino.


Renzo racconta la sua avventura.


Fra Cristoforo gli raccomanda pazienza, ma anche rassegnazione, perché non era facile trovare una persona viva nel lazzaretto.


Allora Renzo ripensa a don Rodrigo e pensa di farsi giustizia da solo. Ma rimproverato da Cristoforo si pente.


Il frate accorgendosi della sua onestà lo porta in una capanna dove morente c'era per terra don Rodrigo.


Renzo dopo aver pregato per lui si avviò verso la cappella.


CAPITOLO 36


Renzo entrato nella cappella assiste alla predica di padre Felice e nonostante i ripetuti sforzi non riesce a scovare Lucia tra la folla.


Allora entrò nel quartiere delle donne e trovò un campanello, di quelli usati dai monatti, e pensò che un tale strumento sarebbe potuto essergli utile.


Un commissario lo scambiò allora per un monatto e fu costretto a fuggire.


Nascostosi tra le capanne si chinò per levarsi il campanello e sentì provenire dall'interno della capanna una voce familiare: era proprio quella dalla sua amata Lucia.


Immediatamente entrò nella capanna, ma viene respinto da Lucia memore del voto fatto alla Madonna.


Renzo torna allora da Fra Cristoforo e gli parla del voto.


Insieme si recano alla capanna di Lucia dove il frate spiega alla giovane che è possibile sciogliere il voto perché interessa la volontà di un altra persona, così la libera dalla sua promessa.


Padre Cristoforo si congedò quindi da Lucia, che non riusciva a rassegnarsi all'idea di doversi per sempre staccare da lui, e uscì con Renzo dalla capanna.


CAPITOLO 37


Appena Renzo ebbe varcato l'uscita del lazzaretto, iniziò una pioggia impetuosa, quella pioggia che portò via il contagio.


Il giovane proseguiva felice il suo cammino, col solo pensiero di arrivare il prima possibile al suo paese e di rimettersi poi in cammino per Pasturo, in cerca di Agnese.


Mentre andava, veniva sempre a galla un pensiero: l'ho trovata ,è guarita , è mia!


Passato l'Adda la mattina seguente giunse alla casa dell'ospite amico, il quale fu ben felice di apprendere che Lucia era stata trovata e che era guarita.


Poi mentre Renzo si cambiava con vesti asciutte preparò una buona polenta.


Il mattino seguente s'alzò prima che facesse giorno e, vedendo cessata la pioggia, si incamminò per Pasturo.


Era ancore mattino quando vi arrivò, cercò di Agnese e gli fu indicata una casupola.


Ci andò e trovata la donna iniziò con lei una lunga conversazione.


Renzo tornò poi al paese, passò la notte in casa dell'amico e il giorno dopo si mise nuovamente in viaggio verso il paese adottivo.


Lì trovò Bortolo in ottima salute e la peste ssa; gli promise che presto sarebbe tornato al lavoro e prese in affitto una casa più grande che fornì di mobili e di attrezzi utilizzando gli scudi donati a Lucia dall'innominato.


Dopo qualche giorno tornò al paese nativo per poi recarsi di nuovo a Pasturo.


Intanto Lucia con la mercantessa che aveva accudito era uscita dal lazzaretto ed era venuta a conoscenza della morte di padre Cristoforo e di donna Prassede e del marito.


Per la morte di don Ferrante il narratore racconta alcuni particolari.


Egli dice che, al primo parlar che si fece di peste ,quel brav'uomo fu uno dei più risoluti a negarla, sostenendo la sua opinione con ragionamenti, ai quali non mancava certo logica.


Diceva che in natura non vi possono essere che sostanze o accidenti.


Ma la peste non poteva essere sostanza ,perché le sostanze sono quattro: aerea, acquea, ignea, terrea.


La peste non può essere nessuna di queste come non può essere un accidente, perché passa di soggetto in soggetto.


Secondo la sua teoria la ragione della pestilenza andava ricercata nella maligna congiunzione tra Saturno e Giove, contro la quale non vi era rimedio.


HIS FRETUS ,vale a dire su queste convinzioni, non prese alcuna precauzione e andò a letto a morire come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.







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