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Alla fine del Medioevo l'Italia si avvia verso una grave decadenza politica, ma contemporaneamente è il centro di una rivoluzione intellettuale, che apre un nuovo periodo storico.
Le grandi istituzioni della civiltà medievale sono venute meno e si sono trasformate, nuove forme di vita economica si sono inserite nella struttura feudale, vivaci correnti internazionali di scambio hanno rotto l'immobilismo e la ristrettezza dei mercati locali.
L'impero ha perduto di fatto la sua importanza.
La Chiesa, dilaniata dal grande scisma e oggetto della polemica dei riformisti, ha abbandonato la pretesa di egemonia politica sul mondo cristiano, pur mantenendo, nell'interno degli Stati, privilegi e potere. Nelle città la gerarchia feudale è stata spezzata e si è creata una maggiore mobilità sociale di ceti e di individui; il potere dello Stato, del monarca, ha cominciato ad affermarsi sull'anarchia feudale.
Questi ed altri fenomeni mettono in crisi la civiltà medievale. Per lungo tempo, però, questi fatti nuovi, queste nuove esperienze, non modificano la concezione del mondo, dell'uomo, dei rapporti tra l'individuo e la società, che rimane ancora la concezione medievale.
Il mercante traffica e si arricchisce, la borghesia tende ad affermare un concetto di dignità sociale non più basato sulla nascita, i sovrani vogliono affermare la propria autorità, gli scienziati tendono ad una maggiore libertà di ricerca, ma ognuno di questi protagonisti si scontra non solo con le vecchie istituzioni, ma anche con il modo di concepire la vita e l'uomo, che è poi il suo stesso modo di pensare.
Non pochi mercanti, scienziati, letterati, sono presi da scrupoli, da pentimenti, da dubbi: molti rinnegano in punto di morte gli atteggiamenti tipici dei tempi nuovi.
In effetti, anche nell'età in cui si formano e si sviluppano i comuni e gli stati nazionali l'attività umana, gli interessi terreni, sono subordinati ai fini ultraterreni; la vita è vista in funzione del regno di Dio, la stessa ragione è subordinata alla fede.
La tensione spirituale, che percorre l'età medievale e la caratterizza, continua ancora oltre il XII secolo, ma è sempre più in contrasto con le nuove forme di attività umana che si vanno affermando praticamente.
Con l'inizio dell'età moderna, è questa concezione generale del mondo che comincia a mutare, sono questi ideali che cominciano a decadere. Le nuove esperienze politiche, economiche, sociali, tecniche, finiscono col creare le condizioni del superamento della cultura medievale.
Da esse sorge un movimento di idee che tende a sovvertire gli ideali tradizionali: è l'inizio di una evoluzione che giungerà alla sua piena maturità nel XVIII secolo.
In Italia nasce una sorta di contraddizione tra la fioritura di nuove idee e opere d'arte e di cultura, e la decadenza politica e la relativa stasi sociale.
Le corti di quei principi e signori che abbiamo visto impegnati in lotte senza quartiere tra loro, ospitano gli studiosi, gli scienziati, gli artisti che elaborano le nuove idee, sono il centro di questo movimento culturale, che da qui si irradia in Europa. L'eroe di questa fase della civiltà umana non è più colui che si dedica alla rinunzia, che orienta il suo spirito verso l'affermazione della fede, ma l'uomo che esercita il suo spirito critico, che afferma pienamente le sue energie, che carpisce i segreti e le leggi della natura. Fiducia nell'uomo, affermazione del valore dell'individuo, culto della bellezza: sono questi alcuni aspetti del modo di pensare e di sentire che si afferma nel Rinascimento.
Il movimento inizia con la riscoperta e lo studio dei grandi scrittori dell'antichità classica. Già la definizione di humanae litterae, che allora fu data a questi studi e che diede origine al termine umanesimo, ne indica la caratteristica centrale rispetto all'orientamento degli studi medievali, d'impronta prevalentemente teologica. Gli antichi manoscritti vengono ripresi, esaminati, confrontati.
Di Umanesimo si parla dunque soprattutto per indicare un filone di studio e di pensiero indirizzato prevalentemente alla conoscenza dei classici e a una riflessione storica, filosofica e letteraria concentrata sui valori dell'uomo e della sua esistenza terrena. Esso fu soprattutto un grande movimento di idee. Umanisti furono, nel Quattrocento, gli italiani Giovanni Pontano, Lorenzo Valla, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e lo stesso pontefice Pio II
Questa riscoperta dei classici non è soltanto un fatto di erudizione: personaggi, modi di vita, atteggiamenti morali e politici del mondo classico, vengono assunti e proposti come modelli da imitare.
È tipico il caso di Cola di Rienzo, la cui ammirazione per Roma antica si intreccia strettamente con il suo programma politico immediato. Non si tratta, però, di un semplice ritorno all'antico. Anche se gli umanisti imitano nelle loro opere i modelli classici e adottano la lingua latina (non quella ecclesiastico-medievale, bensì l'autentica lingua latina classica), nella sostanza essi tendono soltanto a trarre ispirazione dal mondo antico per affrontare in modo nuovo i problemi della loro epoca. E il mondo classico, studiato con metodo critico e con una raffinata tecnica filologica, si rivela fecondo di insegnamenti e ricco di suggestioni.
Ai conservatori, infatti, la valorizzazione della civiltà e della cultura greco-latine appare come un mezzo per sovvertire i valori religiosi, morali, politici e sociali.
Il largo uso del latino da parte degli umanisti dimostra che l'umanesimo fu un movimento culturale ristretto, che non mirava ad espandersi. Ciò malgrado esso volle determinare un rinnovamento intellettuale e morale, ben al di là della creazione di una moda e di un gusto letterario.
« L'uscita del sapere antico dalle carceri dei conventi nelle città autonome dell'Italia quattrocentesca - scrive Eugenio Garin - significa una tappa importante nel processo di laicizzazione della cultura, un momento essenziale della sua diffusione nei ceti borghesi, un'epoca nuova nella storia della sua efficienza pubblica ».
Tra i maggiori protagonisti della prima fase dell'umanesimo, e particolarmente impegnati nella ricerca dei testi classici, furono, dopo Petrarca e Boccaccio, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni, Niccolò Cusano. Il Salutati (1331-l406), che ebbe incarichi politici di rilievo nella repubblica fiorentina alla fine del 300, promosse la diffusione delle lettere di Cicerone e la istituzione di una cattedra di greco, affidata ad uno studioso bizantino, nell'Università di Firenze. Poggio Bracciolini trasse occasione dalla partecipazione al concilio di Costanza per svolgere insieme ad un gruppo di dotti una intensa attività di ricerca nei monasteri tedeschi, traendone frutti sorprendenti.
Il superamento dello scisma, la riforma della Chiesa, appaiono come problemi da collocare nel più vasto quadro di un rinnovamento della concezione generale dell'uomo.
Leonardo Bruni non è soltanto un ricercatore di manoscritti, ma è anche uno storico ed uno scrittore politico immerso nel suo tempo; Niccolò Cusano, la cui attività di ricercatore si svolge intensa nel periodo del concilio di Basilea, è anche uno dei maggiori filosofi europei del secolo XV. Il suo contributo al superamento degli schemi medievali di pensiero è fondamentale.
Da queste premesse - cioè dalla riscoperta della civiltà greco-latina intesa come una spinta al generale ripensamento dei valori intellettuali e morali - scaturì una meravigliosa fioritura artistica e letteraria, di pensiero scientifico e filosofico; sorse, cioè, il Rinascimento (come lo battezzò uno storico francese del secolo scorso, il Michelet), prosecuzione e sviluppo dell'umanesimo, che del Rinascimento è stato il primo avvio. Ora la cultura si libera dalla imitazione dei classici, dall'attività di riscoperta, si impegna più decisamente nella creazione di opere originali, nello sforzo di creare una civiltà moderna, ispirata all'antica ma distinta da questa. La parola d'ordine non è più l'imitazione dei classici, ma l'espressione e l'affermazione di se stessi, del proprio mondo interiore, al di là dello studio degli autori antichi.
Tema fondamentale della nuova cultura è l'affermazione della centralità dell'uomo nell'ordine universale della creazione, di contro alla svalutazione dell'umano che era tipica del pensiero di tutto il Medioevo. Opere come quelle di Giannozzo Manetti (De dignitate et excellentia hominis, 1452) e di Pico della Mirandola (Oratio de hominis dignitate, 1486) sono tra le più significative di tutta una letteratura dedicata a questo argomento.
Pico (1463-l494) è colui che porta avanti più rigorosamente la concezione dell'uomo « libero artefice e costruttore di se stesso », capace di dominare la natura.
È facile comprendere la forza di liberazione, sul piano psicologico, intellettuale e morale, che queste posizioni dovevano avere.
Nel corso del Quattrocento l'interesse per la cultura del mondo classico si diffuse nelle corti dei principi e dei signori delle maggiori città italiane. Erano ambienti diversi da quelli ecclesiastici, dove avevano grande peso anche valori diversi da quelli della religione: valori legati alla vita, alla ricchezza, al potere, alla ricerca del bello.
La vita terrena non fu più vista soltanto come un momento di passaggio verso la vita eterna e le riflessioni dei filosofi si concentrarono sul significato e sul valore dell'esistenza dell'uomo.
Proprio perché poneva l'attenzione sull'uomo, questa nuova tendenza della cultura fu chiamata Umanesimo.
Gli umanisti non arrivarono mai a negare l'importanza e il significato di Dio e della religione: sostennero però che la fede non era in contrasto con il desiderio dell'uomo di affermarsi.
Fu questo l'inizio di una rivoluzione che modificò profondamente la cultura italiana ed europea.
Nel campo dell'educazione avviene un capovolgimento di metodi: all'insegnamento meccanico e per formule di un sapere raccolto in pochi testi scolastici si sostituisce lo stimolo alla ricerca razionale, all'esercizio dello spirito critico, all'osservazione metodica della natura.
I modelli di « virtù » che si presentano agli allievi non sono più gli asceti che disprezzano il mondo, ma eroi umani, impegnati nello sviluppo di se stessi e del proprio.
L'insegnamento si svolge in un ambiente sereno, come in quella scuola, la «Giocosa», che Vittorino da Feltre organizza a Mantova nel 1423, dove lo studio si accomna al gioco ed all'esercizio fisico ed i fanciulli poveri sono accomunati ai ricchi.
Motivi di rinnovamento religioso e di critica della Chiesa sono tutt'altro che estranei alla cultura rinascimentale. Un esempio insigne, in tale campo, è quello di Lorenzo Valla (1407-l457). Con il saggio 'De falso eredita et ementita donatione Constantini' egli dimostrò la falsità di un documento sul quale la Chiesa aveva basato la legittimazione formale del suo potere temporale. La sua polemica contro la chesa mondana, ipocrita e corrotta nasceva da una religiosità profonda, sentita come fatto personale e interiore, che era comune ai più illuminati pensatori della sua epoca e che trovò poi la sua più alta espressione nell'opera di Erasmo da Rotterdam.
Anche la scienza e la teoria politica rinnegano la soggezione a premesse e fini metafisici. Leonardo da Vinci dà un altissimo esempio di geniale spregiudicatezza scientifica, cercando una spiegazione razionale e sperimentale dei fenomeni naturali che cadono sotto la sua osservazione ed elaborando su questa base progetti e macchine che aprono orizzonti prima sconosciuti alla tecnica. E Niccolò Machiavelli, sgombrando il terreno dal moralismo che ha sempre accomnato la riflessione politica, si propone di indagare nel meccanismo dello Stato senza altre preoccupazioni che non siano quelle della vitalità e dello sviluppo dello Stato stesso.
La ragione e la volontà sono le forze di cui l'uomo dispone per dominare gli eventi e creare i fondamenti della convivenza civile.
Se alcuni tra i maggiori umanisti (come Lorenzo Valla e Pico della Mirandola) subirono persecuzioni che resero loro difficile la vita e molti non ebbero il riconoscimento e l'aiuto che meritavano, in genere le classi dirigenti ebbero un atteggiamento positivo nei confronti dei protagonisti del Rinascimento. La fioritura rinascimentale fu agevolata dal favore che scrittori, artisti e pensatori incontrarono presso le corti dei principi italiani, i papi umanisti (soprattutto Leone X, 1513-l521, uno dei li di Lorenzo dei Medici) e le più ricche e potenti famiglie private.
Roma, Firenze, Milano, Napoli e gli altri minori centri principeschi si arricchirono di stupende opere architettoniche, di palazzi, di biblioteche, di preziose raccolte di dipinti e di sculture; opere che, suscitando ammirazione per la loro bellezza, erano nello stesso tempo testimonianze della nuova concezione della vita, più libera, più umana, più razionale.
Le costruzioni di Filippo Brunelleschi (1377-l446), di Leon Battista Alberti (1404-l472) e di Donato Bramante (1444-l515), le pitture di Raffaello Sanzio (1483-l520), di Leonardo da Vinci (1459-l519), le sculture e gli affreschi di Michelangelo Buonarroti (1475-l564) non sono che gli esempi più famosi del meraviglioso spirito creativo che soffia sull'Italia in questo periodo.
Pur nella grande diversità delle sue manifestazioni, l'arte rinascimentale ha un tratto comune: il realismo. La natura non è più trasurata, ma studiata scientificamente dagli artisti, per poter essere rappresentata ed imitata in sé e per sé, per la sua intrinseca bellezza ed armonia.
Non soltanto la realtà della natura è l'oggetto dell'artista, ma anche la realtà della società in cui egli vive con i suoi « eroi » e protagonisti della vita politica, culturale, mondana: da qui la diffusione della ritrattistica, gli splendidi ritratti di condottieri, signori, dame del mondo rinascimentale.
Nel 1434 l'orafo tedesco Giovanni Gutenberg costruì dei caratteri mobili, incidendo su pezzi di legno le singole lettere, con le quali si potevano comporre le parole e le ine. Poco dopo al legno fu sostituito il metallo. Ebbe inizio così la tipografia. Il primo libro, una Bibbia in latino, fu stampato dal Gutenberg a Magonza, nel 1457. Ad esso seguirono, accanto ai testi religiosi, moltissime opere di cultura profana (i libri stampati prima del 1500 si chiamano incunaboli).
Il costo dei libri, che fino ad allora erano stati pazientemente copiati a
mano, diminuì moltissimo mentre aumentò enormemente la
quantità dei libri disponibili.
L'arte della stampa si affermò dopo il 1456, data nella quale Gutenberg
pubblicò la sua prima opera importante, la Bibbia. Ciò non
avvenne senza difficoltà tecniche, perché i caratteri mobili che servivano
per formare le lettere dovevano essere fabbricati in una lega metallica né
troppo dura né troppo morbida, risultato del corretto dosaggio di piombo,
stagno e antimonio.
L'invenzione della stampa si diffuse molto rapidamente, grazie agli artigiani
stampatori che viaggiavano da un paese all'altro con i propri materiali. Il
primo libro stampato a Parigi è del 1471, a Lione del 1473, a Venezia
del 1470, a Napoli del 1471. Nell'arco di pochi anni sorsero poi delle officine
stabili. Nel 1480 più di 100 città europee avevano le loro
stamperie e nel 1500 ben 236.Si è calcolato che gli incunaboli (libri
stampati prima del 1500) ebbero una tiratura globale di 20 milioni di copie;
questa cifra è ancora più impressionante se si pensa che l'Europa
a quell'epoca contava forse 70 milioni di abitanti, la grandissima maggioranza
dei quali era analfabeta.
In Italia, l'arte tipografica ebbe un illustre rappresentante, Aldo Manuzio (m. nel 1515) che svolse intensamente la sua attività a Venezia, rendendosi famoso anche per l'eleganza dei caratteri usati e per il finissimo gusto delle sue edizioni (edizioni aldine). Il Manuzio fu uno dei primi a stampare le opere dei classici greci.
Già nel Trecento ure di altissimo rilievo, come Giotto (1266-l337), Paolo Uccello (1397-l475), Simone Martini (1284-l344), avevano dato importanti contributi all'arte italiana. Nei due secoli successivi vi fu nel nostro paese un'impressionante fioritura di pittori, scultori, architetti e artisti di ogni genere, che disseminarono l'Europa dei loro capolavori.Per quanto riguarda l'architettura, furono dapprima rinnovate le città italiane e in un secondo tempo quelle europee, in molti casi costruite ancora in legno. Brunelleschi (1377-l446), Bramante (1444-l514), Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini (1439-l502) e Michelangelo costruirono splendide chiese, grandi basiliche ornate da cupole gigantesche, palazzi e fortezze.
Furono addirittura migliaia i pittori di scuola veneziana, fiorentina, romana e napoletana che lavorarono per i signori, i principi, le grandi famiglie italiane e le principali corti europee. Tiziano (1490-l576) fu il pittore dell'imperatore Carlo V e del re Filippo II di Sna; Leonardo lavorò per Francesco I di Francia; Raffaello (1483-l520), fu attivo a Roma per i papi.La splendida fioritura artistica italiana si prolungò fino a tutto il Seicento. Pittori, scultori, architetti, scenografi, musicisti, ma anche artigiani e tecnici italiani invasero letteralmente l'Europa, dando un contributo straordinario alla formazione di un'arte e di una cultura comune a tutti i maggiori Paesi europei.
L'opera letteraria italiana che divenne il simbolo del Rinascimento in tutta Europa fu l'Orlando Furioso, poema scritto da Ludovico Ariosto (1474-l533). Ne vennero stampate innumerevoli edizioni in pochi anni. Persino coloro che non sapevano leggere, si tramandavano brani dell'Orlando a memoria.Tramite questo poema dell'amore, dell'avventura e della fantasia l'Ariosto diffuse in modo del tutto nuovo un tema che aveva avuto grande fortuna nel Medioevo: quello delle imprese dei cavalieri e dei paladini di Carlo Magno.Altro grande autore del Cinquecento fu Torquato Tasso (1544-95), che scrisse in versi la Gerusalemme Liberata, un poema dedicato alla prima crociata.
Il Rinascimento italiano fu uno straordinario momento di sviluppo delle arti. Ma non solo. Anche la filosofia, la letteratura, il pensiero politico, la ricerca storica attraversarono innovazioni di grande rilievo.Il fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-l527), è considerato l'iniziatore del pensiero politico moderno. Egli studiò la politica come arte del governare, liberandola dai rapporti con la religione o la morale. Lasciò un'opera, Il principe, considerata ancora oggi un grande classico della scienza politica.Lo stesso Machiavelli fu anche uno storico di rilievo, come anche Francesco Guicciardini (1483-l540), che scrisse la Storia d'Italia.Storici, pensatori, letterati trovarono un largo spazio nelle corti di signori, principi e sovrani. Lavorarono come educatori, segretari, diplomatici, consiglieri politici, spesso anche all'estero (in Francia, Sna o Germania). Talvolta questo rapporto di dipendenza li costrinse a subire delle umiliazioni, ma spesso permise loro di creare opere di livello altissimo.
L'interesse per l'uomo e per la natura determinò anche una vivace ripresa dell'indagine scientifica.Nel Medioevo la scienza si era affidata non tanto all'osservazione diretta dei fatti quanto alla lettura di testi autorevoli: nella Bibbia o nell'opera del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) si rintracciavano le spiegazioni dei fenomeni naturali.In accordo con la più alta opinione che l'uomo del Rinascimento ebbe di se stesso, la scienza si liberò dal timore del confronto col passato e si affidò alle proprie ricerche e alle proprie libere valutazioni. Si cominciò a discutere l'uso che sino ad allora si era fatto della Bibbia, un testo religioso, come fonte di precise conoscenze scientifiche.Di grande rilievo furono gli sviluppi delle scienze naturali: biologia, zoologia, botanica. Lo studio del corpo umano fece grandi progressi soprattutto grazie al belga Andrea Vesalio (1514-64). Altrettanto importanti furono i passi avanti fatti nel campo dell'astronomia, soprattutto per opera del polacco Niccolò Copernico (1473-l543). Osservando il moto dei pianeti, egli dimostrò che è la Terra a girare intorno al Sole e non, come si credeva, viceversa.L'enciclopedismo, cioè la capacità di approfondire molte discipline, non caratterizzò solo gli artisti e i filosofi, ma anche gli scienziati. Oltre al caso già citato di Leonardo, artista e scienziato insieme, ricordiamo quello di Girolamo Cardano (1501-76), medico, scienziato, matematico, ideatore di dispositivi meccanici ancora oggi in uso.
Il primo trentennio del secolo XVI vede il trionfo della civiltà del Rinascimento anche nei paesi transalpini. In Germania, in Francia, in Inghilterra, in Sna, nei Paesi Bassi si incomincia ad abbandonare lo stile gotico per il nuovo stile modellato sui classici che viene dall'Italia; si chiamano a lavorare pittori e scultori ed architetti italiani, come Francesco I fa con Leonardo da Vinci e con il geniale orafo fiorentino Benvenuto Cellini; nelle corti si assumono i modi di vita idealizzati nel Cortegiano da Baldassarre Castiglione.
Il moto umanistico di riscoperta e studio dei classici romani e greci, di critica alla cultura medievale assunse, nei paesi transalpini, un carattere più accentuatamente polemico.
Gli umanisti transalpini svilupparono arditamente i fermenti critici e le aspirazioni di riforma religiosa già delineatisi nell'umanesimo italiano del Quattrocento. Essi adottarono il metodo filologico per penetrare il significato dei testi del Vecchio e Nuovo Testamento o per studiare i padri della Chiesa ed ereditarono le aspirazioni dei neo-platonici fiorentini, come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola ad uno spiritualismo filosofico.
Ovviamente, questo umanesimo evangelico entrò in polemica contro gli epigoni della cultura medioevale, ancora assai forte oltralpe, a cominciare dai frati, difensori della scolastica. Dalla Francia alla Germania e dalla Svizzera all'Inghilterra, si accese così una battaglia fra l'eredità del Medioevo, e l'aspirazione umanistica ad un rinnovato cristianesimo, fondato sui testi della Scrittura e dei Padri, più ricco di interiorità ed umanità ed al tempo stesso più aperto al progresso delle intelligenze e della cultura.
Tra i più famosi umanisti ricordiamo, il tedesco GIOVANNI REUCHLIN (1455-l522), notissimo per i suoi studi di greco e di ebraico e per le aspre polemiche sostenute con frati e preti; il francese GIOVANNI LEFÉVRE D'ESTAPLE (1450-l536), seguace del pensiero del Ficino e dei neoplatonici fiorentini, traduttore dei Vangeli in francese, grande studioso dei padri della Chiesa dei primi secoli; gli inglesi GIOVANNI COLET (1466-l519) e TOMMASO MORO (1478-l535), l'autore della famosa Utopia, rafurazione di un ideale stato perfetto di sapore neoplatonico; lo snolo LUDOVICO VIVES (1492-l560), teorico dell'umanesimo evangelico nel campo dell'educazione.
Il più famoso è Erasmo di Rotterdam (1466-l536). Erasmo fu uno spirito profondamente europeo, che sentì una sorta di ideale comunione con tutti gli uomini dotti sinceramente religiosi e con tutti gli spiriti illuminati e nobili del suo tempo.
Viaggiatore e lavoratore infaticabile, percorse l'Italia, la Francia, risiedette in Inghilterra, dove insieme con gli amici Colet e Moro, fu tra i promotori di un rinnovamento culturale, letterario e religioso, che ebbe il proprio centro nella università di Oxford; passò qualche anno in Svizzera, a Basilea, già famosa per i progressi dell'arte tipografica, e si ritirò poi a morire in Germania a Friburgo di Brisgau.
Dovunque passò, ammirato ed applaudito, prodigò la sua dottrina di filologo, il suo sottile umorismo, la sua aristocratica serenità spirituale. La sua edizione critica del testo greco del Nuovo Testamento, ebbe il valore di una pietra miliare nell'evoluzione spirituale europea. Nel suo Manuale del cavaliere cristiano egli espresse l'ideale di un cristianesimo liberato da ogni superstizione e grossolanità, di una sorta di evangelismo umanistico, in cui l'interiorità cristiana si sposasse alla serena nobiltà morale dei classici. Nel suo Elogio della Follia, infine, cosparse di sottile canzonatura la vecchia teologia scolastica, i frati ignoranti, superstiziosi, intolleranti, la corruzione della Curia romana.
Erasmo non intendeva provocare una rivoluzione, ma le opere di Erasmo, lette avidamente da migliaia di lettori da un capo all'altro dell'Europa, accolte come autorità indiscussa da una generazione intera di discepoli e di ammiratori devoti, finirono per diventare simboli della battaglia fra l'umanesimo e la scolastica.
Non si trattava di una battaglia puramente culturale: ogni aspirazione di riforma religiosa diventava aspirazione alla riforma della società stessa, data la potenza e la ricchezza dell'apparato ecclesiastico. Chiesa e Stato, religione e società erano talmente connessi che non si poteva riformare l'uno senza toccare l'altro e viceversa. Non a caso, l'Utopia del Moro sorgeva da un'accorata protesta contro i mali sociali dell'Inghilterra del tempo e disegnava il profilo di una società di stampo comunistico.
Come vedremo, anzi, proprio dalla critica umanistica della società dovevano trarre alimento i grandi incendi rivoluzionari, religiosi e sociali insieme, che agitarono l'Europa nel secolo XVI.
10 la nuova geografia economica e politica
Nello stesso tempo in cui l'Europa comincia a vantare una propria cultura, degna di porsi accanto all'Umanesimo italiano comincia ad essere contestata anche l'indiscussa supremazia economica, che Firenze e Venezia, Milano e Genova, detenevano da secoli.
Accanto all'industria tessile, specialmente della seta, il segreto della ricchezza degli italiani consisteva nel monopolio, da essi esercitato tradizionalmente nel traffico delle spezie e in quello del denaro liquido. I Veneziani caricavano le spezie nei porti del Levante e le rivendevano a compratori venuti da ogni parte d'Europa e specialmente a mercanti tedeschi di Augusta, di Norimberga, che le smerciavano nei paesi settentrionali.
I banchieri di Firenze, Genova e Milano eccellevano da secoli nel traffico di denaro liquido. Se vogliamo, renderci conto delle ragioni della prosperità dell'Italia del Rinascimento, dobbiamo sempre ricordare come minima fosse ancora in tutt'Europa la circolazione del denaro. Non solo si ignorava quel prezioso mezzo di scambio che è la carta moneta, ma si disponeva di una massa di oro e di argento addirittura irrisoria, in confronto a quella che doveva uscire nei secoli successivi dalle viscere del suolo dei continenti extraeuropei.
Mentre le grandi monarchie assolute abbisognavano di imponenti somme di denaro per le proprie necessità politiche e militari, l'Europa non disponeva di denaro liquido altrimenti che prendendolo in prestito, a tassi esorbitanti, dai finanzieri italiani, soli o quasi nel loro tempo a poterne procurare con facilità.
Nel secolo XVI, però, questo monopolio bancario italiano cominciava ad essere infirmato dalle fortune crescenti dei mercanti della Germania, come la celebre casa dei Fugger di Augusta, arricchitisi rivendendo le spezie dei Veneziani. Tra questi mercanti tedeschi, a cominciare dai Fugger , e la dinastia di Asburgo, si erano stabiliti, nel Quattrocento, rapporti di affari, destinati ad avere ripercussioni di importanza eccezionale nella storia europea.
Gli Asburgo, bisognosi di denaro per sviluppare quella ambiziosa politica dinastica, di cui altrove abbiamo parlato, trovavano nei mercanti di Augusta i propri finanziatori abituali. In compenso questi ultimi si facevano cedere dagli Asburgo il diritto di sfruttare le risorse minerarie degli stati austriaci, ove riuscivano a sviluppare in grandi proporzioni l'estrazione dell'argento, grazie all'adozione di nuovi ritrovati tecnici, come quello delle pompe per liberare dalle acque le gallerie sotterranee.
Già cospicua di suo, l'importanza di questo argento austriaco controllato dai mercanti tedeschi doveva accrescersi, parallelamente a quella dei rapporti di affari tra gli Asburgo e la finanza germanica di Augusta, con la scoperta portoghese della Via delle Indie.
Negli anni stessi in cui le grandi monarchie europee cominciavano a lottare per il dominio sull'Italia, ed in cui Erasmo cominciava ad affidare i suoi scritti alla nuovissima arte della stampa, i conquistatori portoghesi si spandevano nei mari delle Indie, spazzando via i mercanti arabi, che fino ad allora erano stati gli intermediari consueti delle spezie tra i paesi dell'Oriente ed i porti dell'Egitto e della Siria.
Già nel 1504, i veneziani recatisi a caricare le spezie nel Levante erano costretti a tornare a mani vuote, per il monopolio che i portoghesi avevano imposto ai paesi produttori di queste preziose merci.
Ma questi avventurieri del Portogallo, capaci di sterminare coi loro cannoni i mercanti arabi e di terrorizzare i piccoli principati asiatici dei paesi delle spezie, non disponevano né dell'attrezzatura tecnica, né dell'abilità commerciale, necessarie per vendere le merci dell'Oriente nel resto d'Europa. Sino dal principio perciò, per lo smercio delle spezie, i portoghesi avevano dovuto fare capo ad uno dei massimi centri commerciali dell'Occidente, cioè alle Fiandre.
Le Fiandre, a loro volta, giusto in questi anni, erano passate sotto lo scettro di Massimiliano d'Asburgo, grazie al matrimonio di quest'ultimo con Maria di Borgogna, erede di Carlo il Temerario. Era quanto mai naturale, pertanto, che anche i mercanti della Germania, tradizionali finanziatori degli Asburgo, si dirigessero immediatamente verso le Fiandre, aprendovi succursali delle loro banche e dei loro empori ed unendosi ai commercianti locali nello sfruttamento delle spezie trasportate dai Portoghesi.
Ai primi del sec. XVI, oscurando ormai gli altri centri tradizionali delle Fiandre, come Bruges o Malines, il porto di Anversa si trasformava nel massimo mercato internazionale delle spezie e al tempo stesso in uno dei massimi centri della speculazione finanziaria. Così nel campo dell'attività bancaria, come in quello del traffico delle spezie, dunque, gli italiani cominciavano ad essere battuti dalla concorrenza straniera.
Tutto un nuovo sistema di scambi cominciava a delinearsi. Per un verso, l'incessante flusso di metallo prezioso che passava attraverso Augusta e le altre città mercantili tedesche determinava una crescita implacabile dei prezzi. Il rincaro della vita aggravava le condizioni degli strati più umili della popolazione tedesca stessa e scatenava la crisi nelle camne, ove piccoli feudatari e contadini si trovavano in difficoltà crescenti.
Per un altro verso, la grande finanza augustana e fiamminga allargava sempre più i propri tentacoli, mentre rafforzava i propri vincoli con gli Asburgo. Per comperare spezie in Asia, i portoghesi avevano bisogno di argento con cui arle, e quindi dovevano stringersi ai grandi dominatori del mercato dell'argento, cioè ai banchieri tedeschi di Augusta e di Anversa. Per recarsi nei mari dell'Estremo Oriente, avevano bisogno di navi, cioè di legname, di pece, di canapa per vele e cordami, di cui il loro paese difettava quasi completamente.
Di colpo, l'importanza della massima riserva di queste materie prime, il bacino del Mar Baltico, con le si ingigantiva. Sorgeva all'orizzonte politico dell'Europa un nuovo problema, destinato ad occuparlo fino a tutto il sec. XVIII, cioè il controllo del Baltico e delle sue rive. Una furibonda lotta si scatenava da parte dei mercanti insediati ad Anversa per rompere quel monopolio del Baltico, che l'Hansa tedesca aveva detenuto per secoli.
Navi e denaro del grande commercio fiammingo-tedesco appoggiavano il re di Danimarca, Cristiano II (1512-23), contro l'Hansa, fino alla disfatta di quest'ultima ed all'imposizione di una sorta di egemonia danese sul Baltico, mediante il controllo dello stretto del Sund, cioè della porta stessa di questo mare diventato ormai tanto prezioso. Col denaro ricavato dal Danegeld, cioè dal pedaggio che gli avano le navi in transito attraverso il Sund, Cristiano II poteva arruolare soldati mercenari tedeschi, trasformando in senso assolutistico le antiquate strutture feudali del suo stato e domare sanguinosamente la Sa ribelle.
Parallelamente all'avanzata del grande capitale finanziario di Augusta e di Anversa, procedeva l'avanzata dei suoi alleati politici, gli Asburgo, mediante la consueta loro abilità diplomatica e la loro consueta tattica matrimoniale. Già Massimiliano d'Asburgo, come si è visto, aveva concluso il matrimonio di suo lio Filippo il Bello con la principessa Giovanna la Pazza, lia di Ferdinando d'Aragona e di Isabella di Castiglia.
Morto Filippo il Bello, suo lio Carlo d'Asburgo, il futuro Carlo V, era stato insediato al governo delle Fiandre (1506): una sua sorella, adesso veniva congiunta in matrimonio con Cristiano II di Danimarca, suggellando così sul terreno dinastico quella spinta verso il Baltico, che già aveva realizzato per conto suo il capitalismo tedesco-fiammingo.
Ma eventi ancora più importanti si profilavano all'orizzonte. Nel 1516, la morte di Ferdinando il Cattolico lasciava a Carlo d'Asburgo l'eredità delle corone di Castiglia e di Aragona, coi loro domini italiani di Napoli, Sicilia e Sardegna e con le nuove terre d'America, che si aprivano alla conquista snola.
Una turba di cortigiani e di speculatori fiamminghi seguiva immediatamente il giovane Asburgo nella Sna, che veniva così a cadere nelle maglie del giuoco politico e finanziario facente capo ad Anversa ed Augusta. Sin dall'inizio il nuovo sovrano snolo si trovava nella necessità di ricorrere ai prestiti dei Fugger e dei loro consorti, ipotecando le rendite dei suoi domini.
In quanto erede di Carlo il Temerario e dei rancori inveterati dei duchi di Borgogna contro la monarchia di Francia, Carlo d'Asburgo veniva così a spostare l'asse della politica snola: la Sna si trovava inchiodata in permanenza ad una politica anti-francese, la quale aveva il proprio centro più nelle Fiandre che nella penisola iberica, subordinando a quest'ultima ogni suo più vitale interesse.
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