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I temi conduttori delle opere di Svevo sono malattia e inettitudine: l'assurdità dei rapporti sociali, la consapevolezza del fallimento, l'inadeguatezza all'esistenza, e la totale imprevedibilità degli eventi danno così vita a quel cocktail che è la poetica sveviana.
L'incapacità di adeguarsi alla realtà, di prendere decisioni e affrontare problemi caratterizzano la ura dell'inetto, protagonista indiscusso delle opere del nostro autore.
Il personaggio dell'inetto è tipico del Decadentismo e ricorre frequentemente nella letteratura di questi anni non solo con Svevo, ma anche con D'Annunzio e Pirandello. L'insicurezza psicologica rende i personaggi di Una Vita, Senilità, e La coscienza di Zeno "incapaci di vivere" in campo amoroso, lavorativo e relazionale. Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini sono dunque intrappolati da una serie di perturbazioni psicologiche.
Nel primo romanzo Nitti vive lo scontro tra individuo e società: scappa di fronte all'importante decisione amorosa si impegnarsi con Annetta, ma anche di fronte alla minaccia fisica del duello col fratello di Annetta, suicidandosi. In questo romanzo l'inettitudine viene vista come componente di Alfonso, non una scelta bensì come incapacità inevitabile.
Diversamente in Senilità Brentani è confuso dallo scontro tra piacere e realtà: Emilio ama Angiolina, donna poco seria, ma è afflitto dal senso del dovere sociale e morale e non riuscendo a decidersi accetta passivamente l'inettitudine, la sceglie e i suoi desideri restano sogni in quanto si adegua alle convenzioni sociali e alle norme.
L'inettitudine ne La coscienza di Zeno invece non è associata alla tragicità come nei precedenti romanzi di Svevo. Zeno è inquieto, nevrotico, ma disponibile alle trasformazioni, a sperimentare le più varie forme dell'esistenza, ad esplorare l'affascinante "originalità", è un essere in divenire grazie alla sua "mancanza assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso", mentre i "sani" sono cristallizzati in una forma rigida e immutabile, definitiva, perfettamente compiuti in tutte le loro parti e incapaci di evolversi ulteriormente. Alla fine la vita di Zeno è solo relativamente fallimentare, nonostante tutto, al protagonista le cose vanno bene: teme il fumo, ma non ne ha conseguenze; sposa Augusta per ripiego, ma poi scopre di amarla; tradisce la moglie con Carla, ma il suo tradimento non viene mai scoperto; trae profitto dal commercio, e crede di trovare negli affari la soluzione ai suoi problemi psicologici. La forza è esteriormente dei Cosini padre, dei Malfenti, delle Auguste, dei Guido Speier, la debolezza è di Zeno. Ma il suo sguardo distrugge le gerarchie e fa divenire tutto incerto ed ambiguo, converte la "salute" in "malattia". Zeno è dunque personaggio a più facce, fortemente problematico, negativo per un verso, come perfetto campione di falsa coscienza borghese, ma anche positivo, come strumento di straniamento e di conoscenza. Egli sa osservare il mondo dal di fuori, e può criticarlo, evidenziandone i difetti, minando alla base le certezze che lo guidano. La morale (e la conclusione cui giunge il narratore stesso nella ina conclusiva del romanzo) è che la malattia di Zeno in fondo non è una condizione eccezionale e anormale, ma è forse una condizione comune e inalienabile dell'uomo.
Zeno, con le sue riflessioni, finisce per scoprire che la "salute" degli altri è anch'essa "malattia", e a sovvertire le nozioni di salute e malattia, di forza e debolezza.
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